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IL COMPENSO DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO: COME SI CALCOLA, COSA COMPRENDE

[A cura di: Gian Vincenzo Tortorici – avvocato in Pisa]

L’incarico di amministratore di condominio è normalmente retribuito per l’intera annualità della gestione in cui l’amministratore stesso dura in carica, considerato che il testo dell’art. 1135, c. I, n. 1 cod. civ. prevede come “eventuale” la retribuzione dell’amministratore (Cass. civ., Sez. II, 31 maggio 2010, n. 13235). 

Considerato che lo stesso legislatore, con il comma XIV dell’art. 1129 cod. civ., stabilisce che, per quanto non previsto dagli artt. 1129, 1130 e 1131 cod. civ., al rapporto contrattuale che s’instaura tra condominio e amministratore si applica la disciplina del mandato, per il combinato disposto degli artt. 1135 e 1709 cod. civ., l’attività prestata da quest’ultimo può essere a titolo gratuito; in questo caso l’onere della prova di tale gratuità compete al condominio che intenda farla valere.

ALIQUOTE

Il compenso dell’amministratore, che è gravato dalle aliquote concernenti la previdenza pensionistica, è soggetto alla ritenuta d’acconto ai sensi dell’art. 7, c. IX, del d. P. R. 29 settembre 1973, n. 605, così come integrato dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449, che deve essere versata dal condominio in conseguenza dell’assoggettabilità del suddetto compenso alla tassazione Irpef; se l’amministratore svolga l’attività in modo sistematico e abituale, il compenso è soggetto anche a Iva (Cass. civ., Sez. V, 13 marzo 2009, n. 6136).

MAGGIORANZA

La retribuzione dell’amministratore deve essere approvata con la stessa maggioranza prevista per la sua nomina, ex art. 1136, comma II, cod. civ., vale a dire con una maggioranza che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio (cinquecento millesimi) e la maggioranza degli intervenuti all’assemblea condominiale. Qualora l’amministratore non venga confermato, sino alla nomina del suo successore deve svolgere la sola attività finalizzata alla soluzione delle problematiche urgenti in forma gratuita ex art. 1129, c. VIII, cod. civ..

GLI EXTRA

Normalmente non ha diritto ad alcun compenso extra l’amministratore che presti un’attività che esuli dal suo mandato gestionale ordinario, dovendosi ritenere ricompresa nel corrispettivo riconosciutogli al momento del conferimento dell’incarico (Cass. civ., Sez. II, 30 settembre 2013, n. 22313; Cass. civ., Sez. II, 28 aprile 2010, n. 10204). Il compenso de quo può essere, però, specificatamente approvato dall’assemblea condominiale. Tale approvazione può avvenire, sia in sede di assemblea annuale allorché si nomina un amministratore e il suo compenso, sia in sede di assemblea, così detta, straordinaria allorché si debbano deliberare opere di manutenzione o di ristrutturazione dello stabile, ovvero interventi innovativi ai beni e servizi condominiali, se non ne sia già previsto l’importo nel tariffario dell’amministratore. 

Va, infatti, ribadito che in tema di condominio, l’attività dell’amministratore, connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali, deve ritenersi compresa, quanto al suo compenso, nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa svolta nella vigenza della durata contrattuale e non deve, pertanto, essere retribuita a parte. 

Si deve rammentare che il compenso dell’amministratore, inerente alle voci del proprio tariffario, sono sempre comprensive di tutta l’attività preparatoria e strumentale alla realizzazione concreta della stessa. Peraltro, non opera, ai fini del riconoscimento di un compenso suppletivo, in mancanza di una specifica delibera condominiale, la presunta onerosità del mandato, allorché sia stabilito un compenso forfetario a favore dell’amministratore, spettando comunque all’assemblea condominiale il compito generale di valutare l’opportunità delle spese sostenute dall’amministratore che, quindi, non può esigere neppure il rimborso di spese da lui anticipate, non potendo il relativo credito considerarsi liquido ed esigibile senza un preventivo controllo da parte dell’assemblea (Cass. civ., Sez. II, 30 settembre 2013, n. 22313).

TARIFFARIO

Il diritto al compenso dell’amministratore, che parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto prescriversi nel termine di cinque anni ex art. 2948, n. 4 cod. civ., si prescrive in dieci anni a parere della Corte di Cassazione ex art. 2946 cod. civ., non trattandosi di obbligazione periodica, in quanto la durata annuale dell’incarico comporta la cessazione ex lege del rapporto (Cass. civ., Sez. II, 4 ottobre 2005, n. 19348; Trib. Napoli, Sez. II, 29 ottobre 2013, n. 11943). Il compenso dell’amministratore deve essere stabilito in base a un proprio tariffario di studio, non potendo egli riferirsi a tariffari di categoria non esistendo, questi, e non potendo essere previsti in relazione a quanto, già da tempo, ha stabilito l’Autorità garante della concorrenza (Antitrust); se sia un professionista iscritto a un Ordine, può riferirsi al tariffario di questo, anche se normalmente non esaustivo rispetto a quanto previsto dall’art. 1129, comma X, cod. civ.. Anche l’amministratore nominato dal Tribunale, non essendo un suo ausiliario, deve farsi approvare dall’assemblea il suo tariffario (Cass. civ., Sez. II, 27 luglio 2014, n. 16698).

ECCEZIONI

Da quanto dedotto, deriva che il compenso dell’amministratore deve essere sempre deliberato dall’assemblea e deve essere limitato all’attività effettivamente prestata, con la conseguenza che, ove il suo incarico sia interrotto prima della naturale scadenza del mandato, l’amministratore non ha diritto di percepire l’intera retribuzione deliberata (Cass. civ., Sez. II, 30 dicembre 2012, n. 18667).

Nulla impedisce, però, che, anche in vigenza dell’art. 1129 cod. civ. novellato, nei suoi ampi poteri, l’assemblea possa ratificare a posteriori un’attività, se necessaria e urgente, espletata dall’amministratore e ne determini, solo in tale frangente, il relativo compenso. Si tratta di una scelta di opportunità che l’assemblea può assumere con il quorum deliberativo di riferimento (Cass. civ., Sez. II, 22 luglio 2004, n. 13780), e se validamente approvata, non può essere impugnata, considerato che il sindacato dell’autorità giudiziaria non può estendersi al merito della delibera (Cass. civ., Sez. II, 3 dicembre 2008, n. 28734); anche il potere discrezionale dell’assemblea, di quantificare il compenso dell’amministratore all’atto del conferimento dell’incarico, non può essere valutato dal giudice se inerisca esclusivamente la congruità economica (Trib. Cagliari, Sez. II, 18 giugno 2015, in Leggi d’Italia). 

Si ritiene, altresì, ammissibile un’approvazione del compenso, soltanto con il richiamo all’importo corrispondente nel rendiconto preventivo. In tal modo l’oggetto del contratto di mandato è comunque determinato o facilmente determinabile solo che dal testo del verbale emerga chiaramente questa circostanza, anche in occasione di ogni rinnovo tacito, sempre che non ne sia modificato l’ammontare. Infatti, in forza del comma X dell’art. 1129 cod. civ., l’amministratore deve specificare il suo compenso, precisando le voci del suo tariffario, che deve essere il più completo possibile.

La sanzione, disposta dal legislatore, consiste nella nullità dell’intero contratto di mandato e non soltanto della determinazione del quantum del compenso, poiché non sussistendo tariffe, questo non può essere stabilito dall’autorità giudiziaria, in relazione al combinato disposto dagli artt. 1419 e 1709 cod. civ..

Ut supra dedotto, se l’ammontare del compenso sia indicato nel rendiconto consuntivo, al quale deve essere allegato il tariffario, e il verbale dell’assemblea approvi sia l’uno sia l’altro, la nomina non può essere invalida, considerato che l’oggetto del contratto è facilmente determinabile per il combinato disposto dagli artt. 1418 e 1346 cod. civ..

Tra l’altro, considerato che l’amministratore dura in carica un anno, rinnovabile di un ulteriore anno, qualora al secondo anno l’amministratore intendesse mutare la sua retribuzione, cambiando una clausola contrattuale, la durata del rapporto deve essere deliberata quale nomina ex novo.

PROBLEMATICHE

Due sono le problematiche che il disposto del comma XIV dell’art. 1129 cod. civ. pone:

1) l’amministratore deve far approvare, dall’assemblea, un proprio tariffario analitico, per evitare di omettere l’inserimento di alcune prestazioni che intenda farsi retribuire, non potendo più pretenderle successivamente; infatti, con il nuovo testo legislativo inerente alla nullità del contratto, si deve ritenere che non sia ammissibile una ratifica a posteriori, poiché un contratto nullo non può essere convalidato ex art. 1423 cod. civ.;

2) l’amministratore deve far risultare, dal verbale d’assemblea, la proposta di tariffario e la sua accettazione. 

Considerato che la sanzione concernente la violazione del dettato legislativo consiste nella nullità dello stesso contratto di mandato, la cui azione è imprescrittibile ai sensi dell’art. 1422 cod. civ., ciascun condomino può, anche a distanza di anni, contestare la nomina. La conseguenza è, dichiarata la nullità del contratto, la sua inefficacia ex tunc, e l’amministratore può essere obbligato a restituire il compenso percepito negli anni, salva la possibilità di richiedere un indennizzo per l’utilità che il condominio ha comunque ricavato dalla sua opera, ai sensi dell’art. 2041 cod. civ.. 

AMMINISTRATORE, ACCESSO AGLI ATTI AMMINISTRATIVI E LEGITTIMAZIONE DELL’ASSEMBLEA

[A cura di Fulvio Graziotto – www.studiograziotto.com]

È legittimo il diniego di accesso agli atti amministrativi all’amministratore del condominio che non dimostra la propria legittimazione ai sensi degli artt. 1130 e 1131 codice civile. È quanto disposto dal Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa, sezione autonoma di Bolzano, con la sentenza n. 133/2016 

LA QUESTIONE

L’amministratore di un condominio richiedeva l’accesso agli atti relativi alle autorizzazioni di un vicino impianto di distributori di carburanti. La richiesta alla Provincia e al Comune era stata inviata via posta elettronica certificata senza firma digitale, e non era stata formulata in nome del condominio; mancava, inoltre, la dimostrazione della necessaria deliberazione autorizzativa dell’assemblea condominiale. A seguito del silenzio della Provincia, l’amministratore proponeva ricorso al T.A.R.  (Tribunale Amministrativo Regionale), che lo ha ritenuto inammissibile per difetto di legittimazione attiva dell’amministratore condominiale.

LA DECISIONE

Il T.A.R. dapprima rileva che «Il ricorso in esame è stato presentato dal Condominio R., “in persona dell’Amministratore e legale rappresentante pt, Rag. S. K.”, il quale dichiara di agire in giudizio in nome e per conto del Condominio, senza però fornire alcuna prova in ordine al proprio potere di rappresentanza in giudizio nel caso specifico».

Poi ricorda che «l’art. 1130 c.c. stabilisce quali poteri spettano all’amministratore del condominio», e che «il potere di rappresentanza dell’amministratore condominiale è limitato alle attribuzioni di cui alla citata disposizione, salvo il caso in cui il regolamento condominiale o l’assemblea, con propria deliberazione, gli attribuiscano poteri maggiori, così come previsto dall’art. 1131 c.c., il quale così recita: “Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condòmini sia contro i terzi. Può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell’autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto. Qualora la citazione o il provvedimento abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell’amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condòmini”».

L’assemblea

Il Collegio richiama poi il costante orientamento giurisprudenziale in tema di legittimazione condominiale: «Secondo un costante orientamento giurisprudenziale, “nel condominio, in materia di azioni processuali, il potere decisionale spetta solo ed esclusivamente all’assemblea, la quale deve deliberare se agire in giudizio, se resistere e se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente. Un tale potere decisionale non può competere in via autonoma all’amministratore che, per sua natura, non è un organo decisionale, ma meramente esecutivo del condominio” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4944; nello stesso senso, Sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4944; TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 8 maggio 2014, n. 2511 e Cassaz. Sez. Un., 6 agosto 2010, n. 18331)».

La legittimazione

Poi il T.A.R. affronta la questione relativa alla legittimazione attiva dell’amministratore nel processo amministrativo: «Nel caso di specie l’amministratore non ha dimostrato in giudizio di essere stato autorizzato dall’assemblea condominiale a proporre l’azione di accesso di cui all’art. 116 c.p.a., né l’esercizio di tale azione può farsi rientrare in una delle attribuzioni proprie dell’amministratore, tassativamente elencate nel citato art. 1130 c.c..».

Con la conseguenza che «Il ricorso deve, pertanto considerarsi inammissibile, per difetto di legittimazione processuale dell’amministratore del Condominio ricorrente».

L’inammissibilità

In ogni caso, il Collegio rafforza la decisione chiarendo che «Ad abundantiam, va aggiunto che è fondata anche l’eccezione subordinata di inammissibilità, sollevata dalla difesa provinciale sul rilievo che, da un lato, la richiesta di accesso agli atti, inviata tramite posta elettronica certificata (PEC) il 22 novembre 2015, proviene dalla casella PEC della ditta P. (di cui non si conoscono i legami con il Condominio) e non da una casella PEC riconducibile al Condominio R. e al suo amministratore e, dall’altro lato, che la richiesta inviata mediante PEC è priva della firma digitale, cosicché non risulta avvenuto, né provato, alcun ricevimento da parte del destinatario. Osserva a tal riguardo il Collegio che la firma digitale, nella PEC, costituisce l’equivalente informatico della tradizionale firma autografa apposta su carta e serve a garantire l’identità del sottoscrittore, ad assicurare che il documento non sia stato modificato dopo la sua sottoscrizione e ad attribuire piena validità legale al documento».

Ne deriva pertanto che «Nel caso di specie, mancando la firma digitale, non è possibile attestare l’integrità e l’autenticità della sottoscrizione dell’amministratore del Condominio ricorrente, né la validità della manifestazione di volontà contenuta nella richiesta di accesso, considerato che essa proviene da una casella PEC intestata ad una società (P. Sas) che, in assenza di prova contraria, non ha alcun collegamento».

OSSERVAZIONI

Nel decidere sulla questione, il T.A.R. ha rilevato il difetto di legittimazione processuale dell’amministratore condominiale, e ha ricordato che, mancando la firma digitale sulla richiesta di accesso agli atti inviata tramite PEC dalla una casella di una ditta (e non del condominio), non era possibile attestare l’integrità e l’autenticità della sottoscrizione dell’amministratore del condominio, 

LE FONTI

Codice Civile

CAPO II – Del condominio negli edifici

Art. 1130 – Attribuzioni dell’amministratore

L’amministratore, oltre a quanto previsto dall’articolo 1129 e dalle vigenti disposizioni di legge, deve:

1) eseguire le deliberazioni dell’assemblea, convocarla annualmente per l’approvazione del rendiconto condominiale di cui all’articolo 1130-bis e curare l’osservanza del regolamento di condominio;

2) disciplinare l’’uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell’interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a ciascuno dei condòmini;

3) riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni;

4) compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio;

5) eseguire gli adempimenti fiscali;

6) curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale contenente le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio, i dati catastali di ciascuna unità immobiliare, nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza delle parti comuni dell’edificio. Ogni variazione dei dati deve essere comunicata all’amministratore in forma scritta entro sessanta giorni. L’amministratore, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, richiede con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe. Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l’amministratore acquisisce le informazioni necessarie, addebitandone il costo ai responsabili;

7) curare la tenuta del registro dei verbali delle assemblee, del registro di nomina e revoca dell’amministratore e del registro di contabilità. Nel registro dei verbali delle assemblee sono altresì annotate: le eventuali mancate costituzioni dell’assemblea, le deliberazioni nonché le brevi dichiarazioni rese dai condomini che ne hanno fatto richiesta; allo stesso registro è allegato il regolamento di condominio, ove adottato. Nel registro di nomina e revoca dell’amministratore sono annotate, in ordine cronologico, le date della nomina e della revoca di ciascun amministratore del condominio, nonché gli estremi del decreto in caso di provvedimento giudiziale. Nel registro di contabilità sono annotati in ordine cronologico, entro trenta giorni da quello dell’effettuazione, i singoli movimenti in entrata ed in uscita. Tale registro può tenersi anche con modalità informatizzate;

8) conservare tutta la documentazione inerente alla propria gestione riferibile sia al rapporto con i condomini sia allo stato tecnico-amministrativo dell’edificio e del condominio;

9) fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso;

10) redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l’assemblea per la relativa approvazione entro centottanta giorni.

Art. 1131 – Rappresentanza

Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condòmini sia contro i terzi.

Può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell’autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto.

Qualora la citazione o il provvedimento abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell’amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condòmini.

L’amministratore che non adempie a quest’obbligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento dei danni.

CONDOMINIO: IL COMPLESSO PASSAGGIO DI CONSEGNE TRA AMMINISTRATORI

[A cura di: avv. Mario Fiamigi – vice presidente Nazionale APPC]

Un momento cruciale della vita condominiale è sicuramente quello di transizione dalla gestione dell’amministratore appena cessato a quello appena nominato. Questa situazione ha trovato una sua esplicitazione normativa nella riforma del condominio. Il testo novellato dell’art. 1129, ottavo comma, recita “alla cessazione dell’incarico, l’amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condòmini e ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi”.

Nulla questio riguardo alla prima parte che esplicita il dovere di restituzione previsto dall’art. 1713 cc per il quale il mandatario deve rendere il conto al mandante del suo operato e rimettergli tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato. L’amministratore infatti è il mero custode della documentazione. Vedasi a questo proposito, tra le altre, la sentenza del Tribunale di Roma, numero 10818 del 25 gennaio 2007.

Gravi problemi di interpretazione pone invece l’obbligo di eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni in un momento temporale successivo alla cessazione dell’incarico. Si tratta di una sorta di “prorogatio” per compiere attività che non sono esplicitate ma che sono finalizzate solo ad evitare pregiudizi. Non si comprende, però, perché tali urgenze non potrebbero essere compiute dall’amministratore legittimamente nominato. Si tratta di una disposizione che evidentemente non è conforme ai principi generali e che appare di difficile coordinamento con il sistema di diritto condominiale.

Conseguenze della mancata consegna

È evidente che non provvedere alla restituzione della documentazione amministrativa comporta gravissimi problemi: basti pensare all’impossibilità di redigere il bilancio, di affrontare gli obblighi previdenziali e assistenziali nonché gli adempimenti fiscali. La giurisprudenza ha certificato questo stato di crisi definendolo nella sentenza 11472 del 28 ottobre 1991 ove si legge che “la mancata disponibilità da parte del nuovo amministratore di tutta la documentazione contabile, in relazione alle notorie incombenze di diverso genere e natura che gravano sull’amministrazione di un condominio, può determinare per i condòmini un grave ed irreparabile pregiudizio non agevolmente commisurabile per la situazione di stallo che si verrebbe a creare”.

I rimedi processuali

La sopracitata sentenza evidenzia come la mancata consegna espone il condominio a vari rischi che certamente rientrano nella nozione di periculum in mora e quindi giustificano il ricorso alla procedura d’urgenza ex art. 700 cpc. Come per tutte le azioni cautelari, l’amministratore in carica potrà procedere giudizialmente senza la preventiva autorizzazione assembleare in forza della legittimazione processuale conferita dall’art. 1130 cc; peraltro non si deve dimenticare che anche i singoli condòmini hanno un’autonoma legittimazione processuale. Ricordiamo ancora che questa tipologia di azioni non è soggetta al tentativo obbligatorio di mediazione (art. 5 dlgs 28/2010).

Ovviamente il procedimento cautelare è finalizzato ad ottenere la riconsegna della documentazione, ma l’omissione della consegna configura una responsabilità per danni che può essere fatta valere per via ordinaria. Il Tribunale di Milano (sentenza 448/2010) ha condannato un amministratore uscente che non aveva consegnato tutta la documentazione al risarcimento quantificato in via equitativa nell’importo di euro 15.000.

Le fattispecie penali

La mancata consegna può configurarsi anche come illecito penale sotto due profili. In un primo caso, qualora si sia ottenuto un provvedimento formale da parte del Giudice Civile, si potrebbe configurare il reato di mancata esecuzione dolosa di un ordine del giudice previsto dall’art. 388 codice penale. Indipendentemente dall’esistenza di un provvedimento giudiziario può anche configurarsi il reato di appropriazione indebita previsto dall’art. 646 del codice penale. La Corte di Cassazione (sentenza 31192 del 16 luglio 2014) ha confermato che il rifiuto di consegnare la documentazione configura un comportamento penalmente rilevante ai sensi dell’art. 388 del codice penale, salvo che la disposizione sia per qualche motivo ineseguibile, e che tale comportamento sarebbe prova di un proprio interesse ad impedire che si possa effettuare un controllo sulla gestione condominiale configurando pertanto l’esistenza del dolo specifico (la volontà di perseguire l’ingiusto profitto) necessario perché si realizzi la fattispecie delittuosa dell’art. 646 cp.

I documenti che devono essere consegnati

Può accadere di trovarsi nella difficoltà pratica di individuare i documenti che necessariamente devono essere consegnati. Il Tribunale di Palermo, con ordinanza in data 28 gennaio 2014, ha stilato un elenco analitico della documentazione non limitandosi a un generico richiamo.

Per la precisione questa è la lista:

* ultimo bilancio approvato; 

* elenco dei condòmini e relativi indirizzi; 

* tabelle millesimali e regolamento condominiale; 

* chiavi e timbri; 

* registri dei verbali di assemblea; 

* contratti con le ditte fornitrici e relative fatture; 

* libretti di esercizio e documentazione relativa agli impianti;

* codice fiscale del condominio; 

* passaggio del conto corrente e chiavi di accesso on line; 

* polizza di assicurazione; 

* certificato di prevenzione incendi; 

* contratti di appalto dei lavori in corso di esecuzione;

* atti giudiziari relativi a contenziosi che hanno coinvolto il condominio; 

* certificazione del modello 770 nonché la comunicazione all’anagrafe tributaria dell’ammontare dei beni e servizi; 

* documentazione di chiusura cassa; 

* ogni altra documentazione condominiale di carattere contabile o amministrativo

Il credito dell’ex amministratore

È cosa relativamente frequente che al momento del passaggio delle consegne l’amministratore cessato vanti un credito nei confronti del condominio e inserisca tale pretesa nel verbale di formalizzazione del passaggio. Peraltro la sottoscrizione dell’amministratore entrante non è sufficiente a rendere esigibile tale credito essendo indicativa della mera ricevuta della documentazione. Secondo la Giurisprudenza, l’amministratore che chiede la restituzione degli “anticipi” deve dimostrare che le somme versate nel patrimonio del condominio, oltre a non essere state successivamente restituite, provengono dal suo patrimonio personale. Quindi occorrerà una prova documentale con la produzione di assegni o di bonifici tratti dal suo conto corrente e versati su quello del condominio. Questo principio è stato recentemente ribadito dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 17248 del 20 settembre 2016.

L’obbligo di agire

Ricordiamo infine che l’amministratore in carica che non si attivasse per recuperare la documentazione potrebbe essere soggetto a propria volta ad azione di responsabilità. L’obbligo di diligenza del mandatario gli impone l’onere di agire in ogni modo possibile per entrare in possesso delle carte che costituiscono il presupposto per eseguire correttamente i compiti che la legge gli assegna quali l’esecuzione degli adempimenti fiscali previsti dall’art. 1130 comma 1 n. 4 e la conservazione della documentazione previsto dall’art. 1130, comma 1, numero 8.

Peraltro, tale norma ribadisce l’obbligo di conservazione della documentazione condominiale anche se “solo “alla propria gestione e non alle precedenti o comunque a tutto ciò che sia stato ricevuto dal precedente amministratore in sede di passaggio di consegne. In ogni caso sembra assai difficile che l’amministratore non sia tenuto alla conservazione di tutta la documentazione ricevuta in ordine alla gestione dell’edificio e non solo quella della “sua” gestione.

CHI EDIFICA UN ALLOGGIO SU UN’AREA DI SUA PROPRIETÀ: NON PERDE IL BONUS PRIMA CASA

Arriva un nuovo chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate su un tema sempre di grande attualità fiscale: quello dei benefici “prima casa”. E, nella fattispecie, si tratta di una presa di posizione destinata ad avere positivi effetti sulla disciplina del regime fiscale di favore. 

A sottolinearlo, in un approfondimento pubblicato su FiscoOggi, rivista ufficiale dell’Agenzia delle Entrate, è l’esperto, Gennaro Napolitano, che rimarca come l’amministrazione, con la risoluzione n. 13/E del 26 gennaio 2017, abbia aggiornato un proprio precedente orientamento e amplia l’ambito delle ipotesi in cui non si decade dall’agevolazione.

Come noto, la disciplina relativa ai benefici “prima casa” (Nota II-bis, articolo 1, Tariffa parte I allegata al Dpr 131/1986) prevede, tra le cause di decadenza, il trasferimento dell’immobile comprato in regime agevolato prima che siano passati cinque anni dall’acquisto. Per evitare la decadenza (e, quindi, il pagamento delle imposte nella misura ordinaria, più una sanzione del 30%), il contribuente deve, entro un anno dalla cessione, acquistare un altro immobile da adibire a propria abitazione principale.

Con precedenti documenti di prassi, peraltro, l’Agenzia aveva chiarito che, in tal caso, l’agevolazione comunque si conserva se il contribuente, sempre entro un anno, compra un terreno su cui costruisce un immobile “non di lusso” utilizzabile come abitazione principale. Ciò anche se il fabbricato non sia stato ultimato, essendo sufficiente che si sia in presenza di un rustico comprensivo delle mura perimetrali e della copertura (cfr. risoluzione n. 44/E del 16 marzo 2004 e circolare n. 38/E del 12 agosto 2005, paragrafo 5.2).

Questa “apertura” dell’Agenzia delle Entrate è stata oggetto di un’ulteriore interpretazione estensiva da parte della Corte di cassazione. In diverse pronunce, infatti, i giudici di legittimità hanno ritenuto che, in caso di vendita infraquinquennale, per evitare la decadenza dai benefici è sufficiente che, entro un anno, il contribuente costruisca un nuovo immobile da adibire a propria abitazione principale, anche se il terreno su cui avviene l’edificazione fosse già di sua proprietà. Pertanto, secondo la Cassazione, ai fini del mantenimento dell’agevolazione, non assume alcuna rilevanza il momento in cui è stato acquistato il terreno su cui sorge il nuovo fabbricato (cfr. sentenze 27 novembre 2015, n. 24253; 12 marzo 2015, n. 8847; 1° luglio 2016, n. 13550; 16 settembre 2016, n. 18214).

Sulla base dell’orientamento della suprema Corte, quindi, l’Agenzia delle Entrate ha rivisto la propria precedente posizione e ha affermato che nell’ipotesi in cui, prima che siano decorsi cinque anni, venga venduto l’immobile acquistato con i benefici “prima casa”, non si decade dall’agevolazione se, entro un anno dalla cessione, su un terreno di cui si sia già proprietari, venga costruito un immobile a uso abitativo (di categoria catastale diversa da A1, A8 e A9), da adibire a propria abitazione principale, che il contribuente utilizzi come dimora abituale.

L’AMMINISTRATORE USCENTE E IL DIFFICILE RECUPERO DELLE SPESE ANTICIPATE

[A cura di: avv. Carlo Pikler – Ufficio Legale ROKLER Management & Consulting S.r.l.]

Il presente articolo si pone l’obbiettivo di esaminare i più recenti approdi giurisprudenziali in merito a un tema che, in ambito condominiale, risulta sempre più attuale. Ciò anche alla luce dei trascorsi anni di crisi economica, che hanno aggravato la generale posizione debitoria di tutte le compagini condominiali. Capita sovente allora che, in seguito al passaggio delle consegne tra un amministratore di condominio uscente e uno entrante, si instauri un contenzioso giudiziario azionato dal primo al fine del recupero di somme dichiaratamente anticipate – nell’arco della propria gestione – in favore del condominio in precedenza amministrato.

IL CREDITO

Secondo la ricostruzione giurisprudenziale dominante, il suddetto credito a titolo di somme anticipate nell’interesse del Condominio trae origine da un ufficio di diritto privato al quale sarebbe ricollegato un rapporto di “mandato” – assimilabile a quello con rappresentanza – che intercorre tra amministratore e condòmini (cfr., da ultimo, Trib. Torino Sez. I Civ., sentenza 29/01/2016 n. 544).

Troverebbe pertanto applicazione l’art. 1720 comma I c.c., in conformità del quale il mandante ha l’obbligo di rimborsare al mandatario le anticipazioni fatte nell’esecuzione dell’incarico. Obbligo che naturalmente perdura oltre la cessazione del medesimo incarico e che legittima l’inoltro della relativa richiesta di restituzione anche nei confronti del singolo condomino inadempiente (cfr. già Cass. n. 1286/1997).

Enucleati tali elementari principi alla base dell’azione in oggetto e considerato che essa, rientrando nell’ampia materia condominiale,  è soggetta al previo esperimento del procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale (ex D.Lgs, n. 28/2010) deve ora dirsi che l’effettivo recupero delle somme così richieste appare in realtà tutt’altro che agevole. Ma questo non tanto dal punto di vista pratico, quanto piuttosto giuridico. Nel senso che l’amministratore, al fine di vedere accogliere giudizialmente le proprie istanze, è “costretto” ad assolvere un difficoltoso onere probatorio.

LE PROVE

Non avendo infatti l’amministratore un generale potere di spesa e fatti salvi i casi di urgenza ex artt. 1130, 1134, 1135 c.c.. – le cui anticipazioni devono in ogni caso essere successivamente ratificate dall’assemblea – qualunque somma anticipata abbisogna di formale “accettazione” della compagine condominiale. Quest’ultima è infatti deputata al formale controllo della gestione del proprio “mandatario”, altrimenti il corrispondente credito non sarebbe né liquido né esigibile (Cass. n. 14197/2011 e Cass. n. 1224/2012).

L’atto di accettazione per eccellenza – e dunque, si potrebbe dire, valevole come ricognizione del debito – è rappresentato dall’approvazione del rendiconto, nel quale confluiscono tutte le poste di spesa, anche quelle a titolo di anticipazioni. Eppure la giurisprudenza ha più volte affermato che tali poste devono essere dotate della necessaria specificità e chiarezza, altrimenti l’onere probatorio non sarebbe per nulla assolto (Cass. n. 10153/2011; Cass. 28/05/2012 n. 8498/2012; Cass. n. 15401/2014).

Peraltro nemmeno la sottoscrizione da parte del nuovo amministratore – all’atto della consegna della documentazione inerente la precedente amministrazione – del verbale di passaggio delle consegne ovvero l’apposizione sullo stesso di diciture del tipo “per accettazione” o “per ratifica” o, ancora, “per approvazione”, è sufficiente ad impegnare il condominio in merito al rimborso di somme anticipate dall’amministratore antecedente (cfr. ancora Cass. n. 8498/2012). E che un decreto ingiuntivo emesso in favore di costui su tale unica base probatoria, ben può essere oggetto di una vittoriosa opposizione da parte del Condominio ingiunto (Trib. Genova Sez. III, 08/02/2012).

CONCLUSIONI

Per concludere la disamina effettuata, allora, l’amministratore che intenda recuperare – con qualche concreta possibilità di successo – l’anticipazione da egli effettuata a titolo di spese di gestione o, comunque, di spese urgenti, dovrà:

1. confrontare il rendiconto bancario condominiale con quello da lui redatto onde accertare pagamenti non risultanti su conto corrente;

2. previa verifica dell’effettivo pagamento di tutte le partite del suo rendiconto, evidenziare la presenza di un saldo passivo del suo rendiconto e la corrispondente assenza di fondi sul conto corrente condominiale;

3. dimostrare l’anticipazione attraverso la produzione dei titoli di pagamento (ovvero bonifici provenienti da suo conto personale, assegni, o testimonianze dirette di versamenti in contanti a pagamento delle singole partite.

Nel condominio, infatti, deve rinvenirsi un rendiconto “reale” costituito dal rendiconto bancario e un rendiconto “virtuale” redatto dall’amministratore. Solo la redazione di quest’ultimo secondo un principio di cassa “puro”, difatti, potrà fondare una base contabile da confrontarsi con le risultanze bancarie. In mancanza di ciò e qualora venga redatto unicamente un rendiconto per “competenza”, dovranno dunque essere considerate solo le spese effettivamente sostenute nel periodo.

Attraverso il riscontro positivo tra il conto corrente e il rendiconto, e con l’esibizione dei titoli di pagamento, il giudice potrà quindi licenziare una consulenza tecnica d’ufficio di tipo “deducente” (che proceda al controllo delle allegazioni del procedente ed alla verifica dei conteggi). In caso contrario, infatti, come precisato dalla recente giurisprudenza di merito, una perizia che dovesse procedere alla revisione della contabilità onde rinvenire eventuali anticipazioni non sarebbe ammessa poiché meramente “esplorativa”, e pertanto in violazione del principio dispositivo del processo (ove spetta alla parte allegare e dimostrare puntualmente ogni richiesta). 

IMPOSTE SULLA CASA, CONFEDILIZIA: ATTENZIONE ALLA DATA DELLE DELIBERE DI IMU E (TASI)

[A cura di: Corrado Sforza Fogliani – pres. Centro studi Confedilizia]

Se la delibera sulle aliquote Imu (ma il discorso per la Tasi è similare) non viene adottata dal Comune entro il termine stabilito dalla legge (fissato al 31 dicembre dell’anno antecedente l’esercizio annuale interessato ma poi in genere prorogato, ogni anno, di qualche mese), le aliquote non sono valide ed il contribuente deve utilizzare quelle in vigore per l’anno precedente. 

Questo principio è stato ribadito dal Tar della Calabria, sezione prima, con la sentenza n. 1284 del 17.6.2016, con cui il giudice amministrativo ha accolto il ricorso presentato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e, per l’effetto, ha annullato la deliberazione n. 34/2015 nella quale il Consiglio comunale di Taverna aveva determinato le aliquote dell’Imu per l’anno 2015. Nel caso esaminato, la delibera impugnata era stata adottata dal Consiglio comunale in data 3.8.2015. L’art. 1, comma 169, della legge 296/2006 impone invece agli enti locali di fissare le tariffe e le aliquote relative ai tributi di competenza degli stessi (tra i quali, anche l’Imu e la Tasi) entro la data fissata dalle norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione, prevedendo, nel contempo, che in caso di mancata approvazione entro il termine indicato, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno. 

Per l’anno 2015, il termine per la deliberazione del bilancio di previsione era stato fissato al 30.7.2015 dal decreto del Ministero dell’interno del 13.5.2015. Il termine anzidetto, ha evidenziato il Tribunale, aveva carattere perentorio (come si desume dalla previsione di cui al citato art. 1, comma 169, per la quale, in caso di mancata approvazione entro il termine per la deliberazione del bilancio di previsione, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno). Ne conseguiva che la deliberazione consiliare impugnata, adottata successivamente alla data del 30.7.2015, era illegittima e come tale è stata annullata.

CRONACA FLASH DALLA CASA E DAL CONDOMINIO

Amministratore rapinato

delle quote dei condòmini

Un amministratore di condominio di 33 anni è stato rapinato da una banda di malviventi mentre si trovava fuori da un complesso residenziale di Palermo, intento a riscuotere le quote degli inquilini destinati al pagamento delle spese condominiali. I rapinatori sono entrati in azione a volto coperto e hanno puntato un’arma contro il 33enne per farsi consegnare il denaro, salvo poi contrariarsi per la cifra esigua del bottino. L’amministratore, infatti, era solito riscuotere il denaro dei suoi condòmini utilizzando un Pos portatile e, dunque, i contanti non superavano i 1000 euro. Il sospetto è che il gruppetto di ladri fosse, in qualche modo, a conoscenza degli avvisi affissi sulla bacheca del residence, che avvertivano del passaggio dell’amministratore per la riscossione.

Furto in condominio:

bottino di 80mila euro

Una coppia di anziani residenti a Pisa è stata derubata in pieno giorno da alcuni topi d’appartamento che si sono introdotti in casa, approfittando della loro assenza. I malviventi sono passati dalla porta finestra della cucina, sita al primo piano e, dopo aver messo a soqquadro l’abitazione, sono riusciti a trovare i gioielli e gli altri oggetti preziosi che i proprietari avevano nascosto in una scatola, nell’armadio, per un valore complessivo di circa 80mila euro. Beni che appartenevano alla famiglia da generazioni, dal grande valore affettivo, e che sono stati fatti sparire assieme alla serenità della coppia, terrorizzata per la scena che si è trovata davanti.

Accendono braciere in casa:

in tre muoiono per esalazioni 

Sono state trovate senza vita le tre persone che abitavano in una residenza bifamiliare di un comune della provincia di Vicenza. Si tratta di tre uomini di 29, 35 e 40 anni, tutti di nazionalità indiana. Secondo una prima ricostruzione, sarebbero morti nel sonno a causa delle esalazioni da monossido di carbonio scaturite da un braciere che avevano acceso la notte precedente per riscaldarsi. L’allarme è stato lanciato poco dopo le 7 del mattino dall’amico che risiede poco distante dal luogo della tragedia, che si era insospettito non vedendo una delle vittime uscire di casa per andare a lavorare, come invece era solito fare ogni mattina. Sul posto, oltre ai vigili del fuoco, sono arrivati gli operatori del 118 ma per i tre non c’era già più nulla da fare.

Muore carbonizzato

preparando la colazione

Aveva lasciato il fornello acceso per preparare la colazione, ma è stato avvolto dalle fiamme. È morto così, per un banale incidente domestico, l’anziano di 85 anni che viveva da solo in un quartiere della prima cintura di Torino. In pochi istanti le fiamme hanno raggiunto i suoi vestiti e hanno avuto il sopravvento sul pensionato, che nel tentativo di chiamare aiuto è inciampato rovinando a terra. A dare l’allarme è stata la badante che ogni mattina andava ad assisterlo. Quando i vigili del fuoco sono arrivati nell’appartamento, all’ultimo piano di una palazzina, non hanno potuto fare altro che constatare il decesso dell’uomo.

Fuga di gas, esplode casa

Salvi nonno e nipotino 

Tragedia sfiorata in una palazzina di un comune vicino Roma, dove un 60enne è riuscito a mettersi in salvo, assieme al nipotino di tre anni, dall’imminente scoppio di una bombola di gas. L’uomo stava sostituendo il serbatoio del gas che si trovava al piano terra dell’abitazione, quando per un probabile errore di collegamento, una fiammata partita dal fornello ha avvolto l’impianto. Resosi conto del pericolo, l’uomo ha preso in braccio il bimbo ed è corso fuori dalla casa, avendo la prontezza di aprire le finestre e di avvertire i vicini. Pochi istanti dopo, una potente deflagrazione ha quasi distrutto l’appartamento e danneggiato leggermente la casa dei vicini, che sono stati fatti evacuare per precauzione.

PARI DIRITTO DI TUTTI I CONDÒMINI DI FRUIRE DELLA COSA COMUNE

[A cura di: Fna – Confappi]

“Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa”. Sulla base di questo principio, contenuto nell’articolo 1102 del Codice Civile e che disciplina la cosa comune, la Corte di Cassazione ha intimato – con la sentenza n. 21538 del 25 ottobre 2016 – al proprietario di un appartamento sito all’ultimo piano di un palazzo di sostituire, a proprie spese, con una finestra, la porta che gli consentiva di accedere direttamente al terrazzo comune. Il pronunciamento conferma quanto già stabilito dalla Corte di Appello di Roma con la sentenza n. 1739/2011, secondo cui il proprietario dell’alloggio è tenuto a ripristinare, facendosi carico del costo, la situazione originaria del terrazzo, ossia procedere alla chiusura dell’apertura di collegamento fra l’appartamento e il lastrico solare condiviso.

La Cassazione precisa come la succitata porta consentiva – in concreto – un uso che non era un mero uso intensivo consentito. Di conseguenza, chi ha realizzato l’intervento è tenuto a ripristinare la situazione precedente. A proposito dell’uso intensivo della cosa comune, la Suprema Corte aveva già osservato come “ per stabilire se l’uso più intenso da parte di un condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio fra partecipanti al condominio – e perciò da ritenersi non consentito a norma dell’art. 1102 – non deve aversi riguardo all’uso fatto in concreto di detta cosa da altri condòmini in un determinato momento, ma di quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno”. (Cass. 23 marzo 1995, n. 3368). E ancora, l’intervento sarebbe da ritenersi illegittimo “(…) solo ove si accerti che l’incremento dell’uso del singolo partecipante pregiudichi la possibilità degli altri di continuare nell’esercizio del loro uso, e di ampliare eventualmente il medesimo in modo e misura analoghe”. (Cass. 11 luglio 1975, n. 2746).

LE SPESE CONDOMINIALI E LA SUCCESSIONE INTER VIVOS DEI CONDÒMINI

[A cura di: Avv. Gian Vincenzo Tortorici]

Il legislatore del 1942, nel promulgare il codice civile, ha sostanzialmente ripreso il R.D. 15 gennaio 1934, n. 56, omettendo peraltro la definizione di condominio e limitandosi ad elencare nell’art. 1117 cod. civ. le parti e i servizi che si devono presumere comuni, mentre la giurisprudenza lo ha definito, ante riforma 2012, un mero ente di gestione delle cose comuni, sprovvisto di personalità giuridica. La legge 11 dicembre 2012, n. 220 non ha risolto la questione ma, introducendo ex novo alcuni articoli o modificandone altri, inerenti al patrimonio del condominio, ha indotto la giurisprudenza a ritenerlo fornito di soggettività giuridica [Cass., Sezz. Unite, 18 settembre 2014, n. 19663].

LE SPESE

La gestione del condominio comporta l’obbligo, non soltanto di conciliare le diverse esigenze personali dei condòmini, ma anche di effettuare alcune spese al fine di garantire la costante funzionalità di alcuni servizi (ad esempio, il portierato) e la perenne conservazione delle parti e dei manufatti comuni dello stabile (per esempio, il lastrico solare comune o la centrale elettrica).

L’obbligatorietà del pagamento delle spese da parte dei condòmini deriva direttamente dalla circostanza dell’essere comproprietari dei beni comuni ex art. 1117 cod. civ., per i quali sono state effettuate le suddette spese e, quindi, non dal fatto di essere state approvate in assemblea, in quanto trattandosi di una obbligazione propter rem, tale obbligo insorge nel medesimo momento in cui sono attuate le varie attività inerenti alla complessiva gestione del condominio. Quanto sopra dedotto discende dal disposto del secondo e del terzo comma dell’art. 1118 cod. civ., che stabiliscono: 

* il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni; 

* il condomino non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d’uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali. 

Ne discende che la giurisprudenza ritiene che, nei confronti del condominio, l’obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell’edificio deriva non dall’approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, atteso il carattere meramente dichiarativo di tali delibere, ma dalla circostanza per cui sia sorta la necessità della spesa ovvero l’attuazione concreta e reale di manutenzione e quindi per effetto dell’attività gestionale concretamente compiuta e non per effetto dell’autorizzazione accordata all’amministrazione per il compimento di una di queste attività di gestione. [Cass. civ., Sez. II, 9 settembre 2009, n. 23345].

Normalmente le spese vengono ripartite in base alle differenti carature millesimali (di proprietà, di ascensore, di riscaldamento, di gestione generale, etc.), ma le spese che ineriscono alla manutenzione straordinaria dello stabile, con i relativi beni accessori, e all’adeguamento degli impianti condominiali, alle nuove disposizioni legislative, sono sempre da ripartirsi tra i condòmini in forza della tabella millesimale di proprietà.

Tutte le spese che ineriscono al godimento delle parti e dei servizi comuni devono essere sempre corrisposte dai condòmini anche se un impianto, ad esempio quello centralizzato di riscaldamento, non funziona per omessa riparazione, salvo il diritto dei condòmini danneggiati a pretendere il risarcimento dei danni concretamente subiti [Cass., Sez. II, 4 luglio 2014, n. 15399].

ALIENAZIONE

La problematica sorge allorquando una unità immobiliare viene alienata.

La solidarietà passiva tra alienante ed acquirente di una unità immobiliare, ex art. 63 disp. att. cod. civ., comporta che l’acquirente deve pagare le spese non corrisposte dal suo dante causa esclusivamente per la gestione nel corso della quale avviene il trasferimento di proprietà e per la gestione immediatamente precedente, e ciò anche se nel riparto consuntivo si richiama un saldo relativo a più gestioni condominiali pregresse. 

La responsabilità solidale dell’acquirente per il pagamento dei contributi dovuti al condominio dal venditore è limitata, ut supra dedotto, alla gestione in corso e a quella immediatamente precedente all’acquisto, trovando applicazione l’art. 63, IV comma, disp. att. cod. civ., e non già l’art. 1104 cod.civ., atteso che, giusto il disposto di cui all’art. 1139 cod. civ., la disciplina dettata in tema di comunione si applica (anche) al condominio solamente in mancanza di norme che (come appunto il citato art. 63) specificamente lo regolano [Cass., Sez. II, 27 febbraio 2012, n. 2979; Cass., Sez. II, 18 agosto 2005, n. 16975]; in questa fattispecie l’acquirente è quindi solo garante delle obbligazioni sorte in capo all’alienante e non, in queste, subentrante.

Del resto il legislatore, con questa previsione legislativa, ha voluto consentire al condominio di avere sempre la disponibilità finanziaria necessaria a sopportare le spese indispensabili per la sua gestione, potendo trovarsi, viceversa, in difficoltà se dovesse aggredire il condomino alienante che potrebbe non possedere più alcun bene pignorabile.

Proprio in virtù di ciò l’art. 63, in esame, si applica anche nei confronti dell’aggiudicatario di un’unità immobiliare in conseguenza di una procedura esecutiva immobiliare; non si applica, quindi, l’art. 2919 cod. civ., considerato, da una parte, il testo letterale dell’articolo de quo, che si riferisce genericamente a colui che subentra nella proprietà e, dall’altra, il principio generale, desumibile dall’art. 1104 cod. civ., concernente l’insorgere dell’obligatio propter rem dall’essere divenuto comproprietario delle cose comuni.

EREDITÀ

Tale principio non si applica agli eredi del de cuius che subentrano, a titolo universale, in ogni diritto e in ogni onere del loro dante causa, per cui questi sono obbligati a corrispondere l’intero importo dovuto anche se antecedente l’anno precedente all’accettazione dell’eredità; per contro non vi è tenuto colui che subentri al de cuius a titolo particolare, quale è un legatario [Cass., Sez. II, 13 novembre 2009, n. 24133].

DELIBERAZIONI

Per le spese di gestione e di manutenzione ordinaria l’obbligo al pagamento sorge ex lege al loro compimento stante l’obbligo dell’amministratore di erogare le spese correnti ex art. 1130, n. 3, cod. civ. e, quindi, della gestione stessa dell’amministratore, indipendentemente che la spesa sia stata prevista nel rendiconto preventivo, la cui approvazione ha la sola finalità di convalidare la congruità delle spese che il condominio prevede di dover sostenere.

In sostanza la giurisprudenza sembra distinguere tra obbligazione, che nasce dalla comproprietà dei beni, e debito, determinato dal dovere di adempiere il quantum deliberato dall’assemblea.

Per contro, in caso di vendita di una unità immobiliare in condominio, nel quale siano stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione, ristrutturazione o innovazioni sulle parti comuni, è tenuto a sopportarne i costi chi era proprietario dell’immobile al momento della delibera assembleare che abbia disposto l’esecuzione dei detti interventi, avendo tale delibera valore costitutivo della relativa obbligazione, indipendentemente alla circostanza che venditore e compratore si siano diversamente accordati in ordine alla ripartizione delle relative spese, con una clausola ad hoc nel contratto di compravendita. Di conseguenza, ove le spese in questione siano state deliberate antecedentemente alla stipulazione del contratto di vendita, ne risponde il venditore, a nulla rilevando che le opere siano state, in tutto o in parte, eseguite successivamente, e l’acquirente ha diritto di rivalersi, nei confronti del medesimo, di quanto pagato al condominio per tali spese, in forza del principio di solidarietà passiva di cui all’art. 63 disp. att. cod. civ. e nell’arco temporale di questo stabilito [Cass., Sez. II, 3 dicembre 2010, n. 24654].

E la giurisprudenza di merito si è adeguata al principio de quo [Trib. Salerno, Sez. II, 9 luglio 2014 e Trib. Roma, Sez. X, 12 gennaio 2016, in Leggi d’Italia].

LA NOMINA E LA REVOCA DELL’AMMINISTRATORE NEL PICCOLO CONDOMINIO

[A cura di: avv. Massimo Agerli]

Si segnala una controversa ordinanza (del 21.12.2016) depositata dal Tribunale di Torino in sede collegiale, all’esito di un contenzioso cautelare relativo ad un condominio di meno di otto condòmini. La questione era nata dalla richiesta, avanzata in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c. da parte di un condomino avente la maggioranza millesimale, in un condominio composto di tre soli condòmini, di restituzione della documentazione condominiale da parte di un amministratore che si riteneva cessato dall’incarico, in quanto non confermato dall’assemblea dopo il decorso dei due anni di cui alla norma dell’art.1129 c.c.. Infatti, la situazione di stallo determinata dall’impossibilità di deliberare per mancanza delle maggioranze – millesimale da un lato e per teste dall’altro – rendeva impossibile trovare un accordo sulla nomina di un amministratore dopo una prima nomina avvenuta nel 2011 (da parte del Tribunale stesso, ai sensi dell’art. 1105 c.c.). 

Era stata posta la questione della inesistenza, per tali piccoli condomini, del regime della prorogatio in quanto si riteneva che, se il condominio non era obbligato alla nomina di nuovo amministratore, non si sarebbe potuto porre termine a detto protrarsi dei poteri se un nuovo amministratore, non voluto, non venisse mai nominato: se non è obbligatorio avere un amministratore non si vede perché un amministratore cessato dall’incarico dovrebbe per forza amministrare in prorogatio contro la volontà dei condòmini o quantomeno del condomino di maggioranza. 

IL GIUDICE MONOCRATICO

In un primo momento il Giudice Monocratico (ordinanza del 3.11.2016) aveva invece ritenuto sussistente il regime della prorogatio dell’amministratore cessato anche nel piccolo condominio per motivi di carattere pubblicistico, nel senso che vi fosse un interesse pubblicistico ad un rappresentante del condominio, mantenendo però il presupposto che l’amministratore fosse comunque cessato dall’incarico, in applicazione dell’art. 1129 c.c.. In conseguenza di tale impostazione il Giudice Monocratico aveva quindi respinto la richiesta di consegna della documentazione condominiale in quanto l’amministratore sarebbe stato tuttora in prorogatio.

IL RICORSO

A seguito di reclamo, il Tribunale in composizione collegiale ha però ribaltato la situazione. Il Collegio ha infatti sostenuto che la norma dell’art. 1129 c.c. in punto nomina e revoca dell’amministratore non si applicherebbe ai piccoli condomini; “L’art. 1129 c.c. disciplina la nomina, la revoca e gli obblighi dell’amministratore quando i condòmini sono più di otto. La ratio è proprio quella di semplificare la gestione condominiale nelle ipotesi di piccoli condomini. Ne consegue, pertanto, che la disciplina prevista per la nomina e revoca dell’amministratore quando i condòmini sono più di otto non possa trovare applicazione nell’ipotesi di piccolo condominio per il quale, ai sensi dell’art. 1139 c.c., si devono osservare le norme sulla comunione in generale”. 

Il Tribunale in composizione collegiale ha dunque ritenuto che, essendo stato l’amministratore nominato dal Tribunale, a seguito di ricorso di un condomino, non dovessero ad esso applicarsi le condizioni di cessazione stabilite dall’art. 1129 c.c. e che pertanto l’amministratore sia tuttora in carica, nel pieno delle sue funzioni, non essendo stato formalmente revocato (in realtà mai revocato perché ritenuto cessato dall’incarico e mai riconfermato).

UNA VALUTAZIONE

Contraddittorio è però l’assunto del Tribunale: infatti, a prescindere da come sia avvenuta la nomina (assembleare o giudiziale), esso è amministratore formalmente a tutti gli effetti e soggetto quindi a tutte le previsioni normative del codice condominiale. La questione si pone in termini nuovi rispetto a quanto si riteneva, ossia che essendo il piccolo condominio pur sempre un condominio, tutte le norme del capo II del titolo VII del codice civile si applicassero anche a tali situazioni; non solo, ma tale impostazione va ad interessare oggi un maggior numero di condomini, in considerazione della riforma dell’art. 1129 c.c. che porta al numero di otto condòmini l’esonero dall’obbligo della nomina di un amministratore.

Ulteriore perplessità nasce dal fatto che l’art. 1139 c.c. rinvia alle norme sulla comunione “per quanto non è espressamente previsto da questo capo. Deve ritenersi che il rinvio alle norme sulla comunione in generale sia da intendersi in senso restrittivo, mentre per quanto attiene alla nomina e revoca dell’amministratore la disciplina sia ampia e specifica e perciò prevalente rispetto alla previsione dell’art. 1139 c.c.; non solo, ma lo stesso art. 1129, c.6, c.c. precisa: “In mancanza dell’amministratore, sul luogo di accesso al condominio o di maggior uso comune, accessibili anche ai terzi, è affissa l’indicazione delle generalità ….della persona che svolge funzioni analoghe a quelle dell’amministratore, con ciò confermando l’applicazione delle norme in punto anche a colui che svolga di fatto dette funzioni.

Inoltre, la conclusione a cui è giunto il Tribunale in sede collegiale comporta, a cascata, inevitabili dubbi su quali norme siano applicabili all’amministratore nominato dal comunista: tutti gli obblighi stabiliti dalla stessa norma dell’art. 1129 c.c., le sue attribuzioni ex art. 1130 c.c., 1130 bis c.c., 1131 c.c. le condizioni di nomina di cui all’art. 71 bis delle disposizioni transitorie; non è infatti chiaro perché solo per la nomina e la revoca dell’amministratore non si dovrebbe applicare la norma dell’art. 1129 c.c., restando invece attuale tutto il resto della normativa.

Infatti, da un lato non si spiega perché ad un amministratore nominato dal Tribunale debba essere applicata una disciplina diversa, rispetto a quello nominato dall’assemblea, entrambi soggetti alle norme del codice del condominio; dall’altro lato il Tribunale, eludendo il problema prospettato circa la inesistenza della prorogatio imperii dell’amministratore cessato nel condominio non obbligato alla nomina di nuovo amministratore, con le conclusioni assunte ha implicitamente escluso la natura di condominio laddove i condòmini siano solo otto o in numero inferiore.

È evidente che la conclusione del Tribunale lascia spazio ad un contenzioso inevitabile, dal momento che a sensi dell’art. 1105 c.c. il comunista che ha la maggioranza delle quote può decidere la nomina e la revoca dell’amministratore senza alcuna possibilità di tutela della minoranza, quindi superando la decisione collegiale.