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CONTRATTI DI LOCAZIONE: CHI DEVE PAGARE LE SPESE PER LA REGISTRAZIONE

Sesta puntata del nostro approfondimento on line sulla circolare 27/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha risposto ai quesiti della stampa specializzata sulle più svariate tematiche fiscali inerenti a vario titolo il settore abitativo e immobiliare: dalle agevolazioni sulla prima casa alla rendita degli imbullonati, passando per compravendite, locazioni, leasing abitativo e impianti eolici, fotovoltaici e di risalita. Il focus di oggi è dedicato al pagamento delle spese di registrazione dei contratti di locazione.

D. Come si concilia, anche a livello sanzionatorio, il nuovo testo dell’articolo 13, comma 1, della legge 431/98 (introdotto dal comma 59 dell’articolo 1 della legge di Stabilità 2016) con l’articolo 57 del DPR 131/1986 che stabilisce la solidarietà tra conduttore e locatore per il versamento dell’imposta e la registrazione del contratto? 

R. L’articolo 13, comma 1, della legge n. 431 del 1998, come riformulato con l’articolo 1, comma 59, della legge di stabilità 2016 ha introdotto l’obbligo a carico del locatore di provvedere alla registrazione del contratto di locazione nel termine perentorio di trenta giorni dalla data della sua stipula; di tale registrazione il locatore deve dare “documentata comunicazione”, nei successivi sessanta giorni, al conduttore nonché all’amministratore del condominio (ai fini dell’ottemperanza, da parte di quest’ultimo, degli obblighi di tenuta della c.d. “anagrafe condominiale” – articolo 1130, numero 6), cod. civ.). 

La modifica normativa, di natura civilistica, introdotta con la legge di Stabilità 2016 alla disciplina delle locazioni ad uso abitativo, di cui alla legge n. 431 del 1998 non ha, tuttavia, variato la disciplina fiscale prevista, ai fini dell’imposta di registro, dagli articoli 10 e 57 del DPR 26 aprile 1986, n. 131 (di seguito TUR), per la registrazione dei contratti di locazione. 

Si rammenta che l’articolo 10 del TUR stabilisce al comma 1, lett. a), tra l’altro, l’obbligo di richiedere la registrazione a cura delle parti contraenti (e, dunque, sia il conduttore che il locatore) per i contratti di locazione redatti nella forma di scrittura privata non autenticata. Detto obbligo grava, altresì, in capo agli agenti di affari in mediazione, ai sensi della successiva lettera d-bis) dello stesso articolo 10 del TUR. 

Coerentemente l’articolo 57 del TUR stabilisce l’obbligo solidale di pagamento dell’imposta in capo alle parti contraenti e agli agenti immobiliari “per le scritture private non autenticate di natura negoziale stipulate a seguito della loro attività per la conclusione degli affari”. 

In definitiva, deve ritenersi, che la modifica operata con la legge di Stabilità 2016 non abbia innovato le regole di registrazione dei contratti di locazione, come disciplinati dall’imposta di registro e, dunque, restano obbligati all’adempimento della registrazione ed al pagamento della relativa imposta oltre che il locatore anche il conduttore dell’immobile ovvero l’agente immobiliare, qualora si tratti di contratti conclusi a seguito della loro attività.

PRIMA DI TRASFORMARE L’ALLOGGIO IN B&B È MEGLIO CHIEDERE IL PARERE ASSEMBLEARE

[A cura di: Fulvio Graziotto – www.studiograziotto.it]

Nel caso di ristrutturazione che richiede anche il mutamento della destinazione d’uso di un’unità immobiliare (nel caso di specie un bed and breakfast), l’ordinaria diligenza impone di verificare la possibilità del mutamento. È quanto si evince dalla sentenza 6509/2016 della Cassazione, di cui si riportano i passaggi salienti e si commentano i principi.

IL CASO

Un condomino iniziava i lavori per trasformare un suo appartamento in un “bed and breakfast”. Successivamente chiedeva l’autorizzazione all’assemblea condominiale al cambio di destinazione d’uso, ma l’assemblea la negava, e quindi aveva dovuto sospendere i lavori. Impugnava quindi la delibera ma senza chiederne la sospensione. Proponeva poi domanda di risarcimento dei danni subiti per la sospensione dei lavori, ma sia il Tribunale che la Corte di Appello la rigettavano.

Il condomino propone quindi ricorso per la cassazione della sentenza, ma la Suprema Corte lo rigetta.

LA DECISIONE

Il condomino proponeva ricorso sulla base di due motivi: con il primo lamentava “che la Corte d’appello non abbia preso in considerazione il principio basilare di cui all’art. 1175 cod. civ., secondo cui il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza”.

Con il secondo motivo “si deduce violazione dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente deduce che se la Corte d’appello avesse preso in considerazione la perizia e le fotografie allegate, innanzitutto avrebbe rilevato che i lavori sono stati sospesi ad avvenuta demolizione totale di tutti gli impianti preesistenti, delle pareti divisorie, dei pavimenti e dei rivestimenti. Ancora si rileva che dalle fotografie risulterebbe che ci troviamo in un cantiere edilizio, per cui l’affermazione che comunque il B. avrebbe potuto trarre un vantaggio da tali lavori sarebbe un’affermazione fine a se stessa, illogica e non suffragata da alcun elemento concreto”.

La Suprema Corte ritiene entrambi i motivi inammissibili perché implicano accertamenti e valutazioni di fatto che, per quanto riguarda il primo motivo non risultano essere stati trattati nel grado di merito, mentre nel secondo motivo risultano essere stati compiuti dal giudice di merito con congruo e logico apprezzamento. Conseguentemente, il ricorso viene rigettato.

OSSERVAZIONI

Sulla base degli accertamenti effettuati dai giudici di merito, il condomino era stato indotto, pur colposamente, ad avviare e poi sospendere i lavori dal comportamento dell’amministratore del condominio (quindi riconducibile ai condòmini che rappresentava).

La Corte di Appello ha ritenuto che “l’ordinaria diligenza gli avrebbe dovuto imporre di verificare funditus la possibilità di mutamento della destinazione d’uso e della conseguente ristrutturazione, proprio per l’entità delle spese che andava ad affrontare. Risulta inoltre, sempre per le affermazioni dello stesso appellante, che nell’estate del 2005 egli sospese i lavori dopo la manifestazione delle prime perplessità da parte dell’amministratore e ben prima della delibera”.

DISPOSIZIONI 

* Codice civile – Art. 1175: Comportamento secondo correttezza

Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza. 

* Codice di procedura civile – Art. 360: Sentenze impugnabili e motivi di ricorso

Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione:

1) per motivi attinenti alla giurisdizione;

2) per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;

3) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;

4) per nullità della sentenza o del procedimento;

5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Può inoltre essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale, se le parti sono d’accordo per omettere l’appello; ma in tale caso l’impugnazione può proporsi soltanto a norma del primo comma, n. 3.

Non sono immediatamente impugnabili con ricorso per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio. Il ricorso per cassazione avverso tali sentenze può essere proposto, senza necessità di riserva, allorché sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio.

Le disposizioni di cui al primo comma e terzo comma si applicano alle sentenze ed ai provvedimenti diversi dalla sentenza contro i quali è ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge.

L’ACCORPAMENTO CATASTALE DI DUE DISTINTE UNITÀ IMMOBILIARI

Quinta puntata del nostro approfondimento on line sulla circolare 27/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha risposto ai quesiti della stampa specializzata sulle più svariate tematiche fiscali inerenti a vario titolo il settore abitativo e immobiliare: dalle agevolazioni sulla prima casa alla rendita degli imbullonati, passando per compravendite, locazioni, leasing abitativo e impianti eolici, fotovoltaici e di risalita. Il focus di oggi è dedicato all’accatastamento unico e all’unione di fatto ai fini fiscali.

D. È confermata l’impossibilità, in caso di due unità immobiliari contigue e autonomamente accatastate, di richiedere l’accatastamento unitario in presenza di distinta titolarità delle stesse (ad esempio, un’unità di proprietà del marito, l’altra di proprietà della moglie). Resterebbe pertanto l’unica possibilità di richiedere un’apposita annotazione negli atti catastali («porzione di u.i.u. unita di fatto ai fini fiscali»)? 

R. Occorre premettere che non è, di norma, ammissibile la fusione di unità immobiliari, anche se contigue, quando per ciascuna di esse sia riscontrata l’autonomia funzionale e reddituale, e ciò indipendentemente dalla titolarità di tali unità. Tuttavia, se a seguito di interventi edilizi vengono meno i menzionati requisiti di autonomia, pur essendo preclusa la possibilità di fondere in un’unica unità immobiliare i due originari cespiti in presenza di distinta titolarità, per dare evidenza negli archivi catastali dell’unione di fatto ai fini fiscali delle eventuali diverse porzioni autonomamente censite è necessario presentare, con le modalità di cui al decreto del Ministro delle Finanze 19 aprile 1994, n. 701, due distinte dichiarazioni di variazione, relative a ciascuna delle menzionate porzioni. 

Tali dichiarazioni di variazione prevedono, in particolare: 

* l’utilizzo della causale di presentazione “Altre”, nel cui campo descrittivo deve essere riportata la dizione “DICHIARAZIONE DI PORZIONE DI U.I.”; 

* l’inserimento, nel riquadro “Note relative al documento”, della dizione “Porzione di u.i.u. unita di fatto con quella di Foglio xxx Part. yyy Sub. zzzz. Rendita attribuita alla porzione di u.i.u. ai fini fiscali”; 

* la rappresentazione, nelle planimetrie di ciascuna porzione, dell’intera unità immobiliare, con l’avvertenza di utilizzare il tratto continuo per la parte associata a ciascuna titolarità e quello tratteggiato per la parte rimanente. Un tratteggio a linea e punto è riportato nella planimetria per meglio distinguere e delimitare ciascuna delle parti da associare alla ditta avente diritto; 

* ai fini del classamento, l’attribuzione ai beni costituenti porzioni di unità immobiliare della categoria e classe più appropriata, considerando le caratteristiche proprie dell’unità immobiliare intesa nel suo complesso (cioè derivante dalla fusione di fatto delle porzioni), mentre la rendita di competenza viene associata a ciascuna di dette porzioni, in ragione della relativa consistenza. 

Non è pertanto sufficiente richiedere ai competenti Uffici dell’Agenzia delle Entrate solo l’inserimento di un’apposita annotazione negli atti catastali, senza che siano state presentate le dichiarazioni di variazione secondo le modalità sopra esposte. L’Ufficio competente dell’Agenzia delle Entrate, immediatamente dopo la registrazione in banca dati catastale delle menzionate dichiarazioni di variazione, provvede ad inserire, negli atti relativi a ciascuna porzione immobiliare, la seguente annotazione “Porzione di u. i. u. unita di fatto con quella di Foglio xxx Part. yyy Sub. zzzz. Rendita attribuita alla porzione di u.i.u. ai fini fiscali”.

I CONTRATTI DI LOCAZIONE E LA DISCIPLINA DELLA RISOLUZIONE DI DIRITTO

[A cura di: avvocato Gian Vincenzo Tortorici – pres. Centro studi Anaci]

I rapporti che si instaurano tra persone, siano esse fisiche siano esse giuridiche, sono fonte di obbligazione tra le quali in principalità i contratti. Questi sono costituiti dall’accordo di due o più contraenti per costituire regolare o estinguere un loro rapporto giuridico di natura patrimoniale; principio prevalente inerente ai contratti è costituito dall’autonomia delle parti nel determinare il contenuto delle clausole contrattuali nel rispetto, comunque, della correttezza e della buona fede. 

I contratti si distinguono in contratti tipici e contratti atipici; i primi sono disciplinati da leggi, in primis il codice civile, e gli altri sono pattuiti tra le parti stesse purché il loro contenuto non sia contrario a norme imperative e al buon costume, inteso questo come corretta gestioni degli affari economici e finanziari. 

CONTRATTO DI LOCAZIONE

Il contratto di locazione di un bene immobile viene definito dalla dottrina quale diritto personale di godimento di detto bene nel quale a fronte del godimento di quella determinata cosa, il contraente che ne benefici effettua la propria controprestazione pagando un corrispettivo, comprensivo o meno del rimborso delle spese condominiali e di quelle delle utenze tra cui, principalmente, la tassa dei rifiuti solidi urbani. Si tratta pur sempre di un contratto che soggiace alle regole generali che disciplinano tutti i contratti e soprattutto si tratta di un contratto tipico, vale a dire le regole del quale sono dettate sia dal codice civile sia da altre leggi così dette speciali. Ad esso si applicano i principi generali relativi ai suoi elementi essenziali, alla simulazione, alla nullità, alla prescrizione e alla prova di un contratto soprattutto delle sue clausole pattizie. 

CODICE E LEGGI

La disciplina dei contratti di locazione di beni immobili è specificatamente stabilita dal codice civile, che è integrato da leggi successive dettate da esigenze contingenti, in particolare di natura sociale. Così vengono disciplinati gli obblighi reciproci del locatore e del conduttore, detto anche locatario o inquilino, tra i quali il pagamento del canone, la durata del contratto, il diniego di rinnovazione e la disdetta e altri peculiari istituti quali, ad esempio, l’avviamento commerciale e la prelazione stabiliti a favore del conduttore di un fondo frequentato dal pubblico degli utenti e dei consumatori. 

Il quadro normativo, codicistico e non, è imperativo e le parti possono gestire esattamente il loro rapporto contrattuale comportandosi con buona fede e adempiendo con scrupolosità a tutte le disposizioni di leggi. Qualora una parte non adempia la propria prestazione, trattandosi di un contratto sinallagmatico, la parte adempiente può da una parte chiedere la risoluzione del contratto, che può avvenire per inadempimento e la risoluzione può essere a sua volta giudiziale o di diritto. 

RISOLUZIONE E SFRATTO

Nella prima ipotesi il giudice con una sentenza dichiara la risoluzione del contratto dopo aver constatato che l’inadempimento della parte sia grave rispetto all’interesse economico dell’altro contraente. La risoluzione di diritto si verifica nel caso sia di una diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., sia della scadenza di un termine essenziale prevista dall’art. 1457 c.c. e in particolare dal verificarsi di un fatto che le parti stesse all’origine della stipulazione del contratto hanno ritenuto talmente grave da determinare la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1456 c.c.. 

Una delle obbligazioni principali del conduttore è quella di corrispondere il canone in valuta legale alle scadenze convenzionalmente previste. Nel caso si verifichi una mora del conduttore, il locatore ha diritto di agire in sede giudiziaria con un’intimazione di sfratto per morosità; alla prima udienza il conduttore ha il diritto ex art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392 di chiedere un termine per poter sanare la morosità e il magistrato deve concedere questo termine che deve avere una durata non superiore a 90 giorni, estendibile a 120 giorni qualora il conduttore versi in particolare esigenze finanziarie familiari insorte dopo la stipulazione del contratto. 

La problematica che sempre è sorta inerisce alla possibilità, per il locatore, di avvalersi della clausola risolutiva espressa sopra indicata di cui l’art. 1456 c.c.; ebbene la giurisprudenza ha riconosciuto la validità di una clausola risolutiva espressa pattuita in contratto, a condizione che il locatore si avvalga di questa introducendo un’azione ex art. 447 bis c.p.c invocando l’applicabilità della predetta clausola. Qualora viceversa il locatore introduca un giudizio con sfratto per morosità e a fronte dell’opposizione del conduttore, mutato il rito, chieda che il magistrato si pronunci in relazione alla invocata clausola risolutiva espressa, non si ha una modifica della domanda bensì una propria e vera mutatio con la conseguenza che la stessa è inammissibile. Considerato che, dopo il mutamento del rito, si riconosce all’intimante una propria difesa solo rispetto alle eccezioni della controparte, non deve mutare la domanda originaria, ma adeguarla alle tesi adversae ed eventualmente aggiungendo ulteriori pretese che, non siano sostitutive di quelle adottate nell’atto introduttivo, ma siano riconducibili nell’ambito di una domanda riconvenzionale. 

Del resto la domanda introdotta ex art. 1456 c.c. è radicalmente diversa dalla domanda prevista dall’art. 657 c.p.c. quanto al petitum, considerato che la prima domanda presuppone una sentenza dichiarativa, mentre la seconda una sentenza costitutiva. Questo principio è stato stabilito recentemente dalla Cassazione civile, Sez.  III, con sentenza del 9 giugno 2015, n. 11864 e ribadito sempre dalla Cassazione civile, Sez. III, con sentenza del 24 maggio 2016, n. 10691.

IMMOBILI: GLI ACQUIRENTI RICHIEDONO MAGGIORI TUTELE E SGRAVI FISCALI

[A cura di: Abitare Co.]

Lo scenario di instabilità offerto dai mercati finanziari ha lasciato spazio ad un recupero di appetibilità del mercato immobiliare. Questo grazie anche ad agevolazioni fiscali e tutele dei consumatori che gli intermediari possono mettere a disposizione dei propri clienti. È quanto sostiene Abitare Co., società di intermediazione immobiliare di riferimento per la piazza milanese, il cui amministratore delegato, Giuseppe Crupi, spiega: “Dopo gli ultimi anni bui, i primi mesi dell’anno 2016 hanno confermato i segnali di una lenta ripresa del mercato immobiliare italiano, già riscontrati alla fine del 2015. La congiuntura negativa sembra esaurirsi e ha preso avvio il tanto atteso recupero. Basti pensare che nel 2015 in Italia il numero di transazioni normalizzate nel settore residenziale è passato dalle 95.455 del primo trimestre alle 127.553 del quarto trimestre, di cui oltre il 20% concentrate sul territorio Lombardo”. 
Di qui una riflessione improntata all’ottimismo: “I dati di mercato ci confermano che è tornato il desiderio di investire nell’ambito immobiliare, ma l’acquisto di una casa segue un processo delicato e articolato e il consumatore, indipendentemente dall’utilizzo che desidera farne, va accompagnato non solo nell’individuazione dell’immobile rispondente alle proprie esigenze, ma anche nella fornitura di servizi e garanzie che gli permettano di sentirsi tutelato”. 

Esigenze del cliente
In quest’ottica, Abitare Co. Fa proprie tali esigenze, integrando la sua offerta con servizi in grado di soddisfare le recenti necessità. Puntualizza ancora Crupi: “È importante fare una distinzione tra acquisto per uso abitativo e per investimento e creare un’offerta di servizi e garanzie ad hoc per soddisfare le specifiche esigenze. Per fare un esempio, al compratore che desidera investire nell’acquisto di una casa da mettere in affitto, offriremo una serie di garanzie per tutelarlo sia dal punto di vista qualitativo (es. ricerca di un affittuario che abbia determinati requisiti) che economico (es. garanzia locativa con copertura assicurativa e rischio locativo: perdita lavoro per dipendenti, perdite pecuniarie per mancato pagamento affitto e deposito cauzionale con assistenza legale)”. Conclude Crupi: “I cambiamenti strutturali ci hanno sicuramente agevolato, ma siamo certi che, una volta cavalcata quest’onda, per mantenere il trend crescente della domanda è fondamentale sgravare sempre più il cliente da tutta una serie di problemi o preoccupazioni legate all’acquisto e alla messa a reddito di una casa e ciò lo porrà nella condizione di investire sempre più nel mattone”.

Fattori di ripresa
Diversi i fattori che hanno contribuito alla ripresa, a partire dalla legge di Stabilità n. 208 del 28/12/2015 che ha definito che, per l’anno 2016, gli italiani proprietari di prima casa non devono pagare più IMU e TASI, indipendentemente dal reddito del contribuente. Non solo. Una grande spinta nel settore delle nuove costruzioni è stata favorita dalla possibilità di usufruire di una detrazione Irpef del 50% dell’Iva pagata (dal 1° gennaio 2016), per l’acquisto dall’impresa costruttrice fatto entro il 31 dicembre 2016 – fa fede l’atto notarile -, di unità immobiliari a destinazione residenziale, di classe energetica A o B. La detrazione dovrà essere ripartita in 10 anni. Ma non solo: detrazione del 50% del costo di costruzione del box e per le giovani coppie bonus mobili che in presenza di specifici requisiti permette di usufruire di un limite massimo di spesa usufruibile di € 16.000.

Altri benefici
Le novità non riguardano solo le nuove costruzioni ma anche gli interventi di ristrutturazione effettuati sulla casa a destinazione residenziale, per i quali è prevista una detrazione del 50% (fino ad un tetto massimo di euro 96.000) e sull’acquisto di mobili ed elettrodomestici (fino a euro 10.000), oltre alla possibilità di usufruire di un’IVA agevolata del 10% sui suddetti lavori. 
Un’ulteriore agevolazione per chi acquista per investimento è rappresentata dall’affitto a canone concordato. Alcune città italiane hanno infatti rinnovato gli accordi territoriali adottando, come alternativa ai contratti a canone libero, quelli a canone concordato, disciplinati dalla Legge numero 431 del 1998. Prendendo spunto dal famoso “equo canone”, l’affitto a canone concordato è in grado di tutelare sia il conduttore (tetto massimo per il canone da pagare e detrazioni fiscali, in base al reddito), sia il locatore (contratti più brevi e agevolazioni fiscali – riduzione della tassa di registro). Se ci si avvale di questa tipologia di contratto diminuisce la tassazione legata alla cedolare secca che passa al 10% per il quadriennio 2014-2017 e dal 2018 al 15%. 
È prevista inoltre, in caso di acquisto, costruzione o ristrutturazione di unità immobiliari da destinare alla locazione, una deduzione dell’Irpef del 20%. Possono beneficiarne le persone fisiche non esercenti attività commerciale che possono dedurre dal reddito complessivo risultante ai fini IRPEF il 20% delle spese sostenute dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2017, fino ad un massimo di 300.000 euro. Il beneficio fiscale va ripartito in 8 quote annuali.
I diversi cambiamenti dello scenario hanno portato il consumatore a rivalutare la casa come bene su cui investire, indipendentemente dal fine per il quale si acquista: abitativo o investimento.

IMPIANTI FOTOVOLTAICI SUI TETTI: QUANDO SERVE L’ACCATASTAMENTO AUTONOMO

Quarta puntata del nostro approfondimento on line sulla circolare 27/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha risposto ai quesiti della stampa specializzata sulle più svariate tematiche fiscali inerenti a vario titolo il settore abitativo e immobiliare: dalle agevolazioni sulla prima casa alla rendita degli imbullonati, passando per compravendite, locazioni, leasing abitativo e impianti eolici, fotovoltaici e di risalita. Il focus di oggi è dedicato all’accatastamento degli impianti fotovoltaici.

D. A seguito della procedura Docfa prevista dal comma 22 dell’articolo 1 della legge di Stabilità 2016 (per i cosiddetti “imbullonati”), con cui si procede alla deduzione dalla rendita del fabbricato della parte relativa all’impianto fotovoltaico insito sul tetto (non integrato), anche in riferimento a quanto chiarito dalla circolare 2/E del 2016, si deve procedere all’accatastamento individuale autonomo dell’impianto e, in caso positivo, a quali condizioni ciò avviene? 

R. Le disposizioni di cui all’art. 1, comma 22, della legge di Stabilità 2016 prevedono la possibilità, da parte degli intestatari catastali degli immobili a destinazione speciale e particolare censibili nelle categorie dei Gruppi D e E, di presentare atti di aggiornamento per la rideterminazione della rendita catastale degli immobili già censiti, al fine di escludere dalla stima “macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo”. Con riferimento agli impianti fotovoltaici, l’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 2/E del 1° febbraio 2016, ha precisato che tra gli elementi da escludere dalla stima rientrano, ad esempio, gli inverter e i pannelli fotovoltaici, ad eccezione di quelli integrati nella struttura e costituenti copertura o pareti di costruzioni. 

La possibilità di presentare atti di aggiornamento per la rideterminazione della rendita catastale degli immobili già censiti sussiste sia per gli impianti fotovoltaici autonomamente censiti in catasto nella categoria D/1 – Opifici, sia per gli impianti fotovoltaici costituenti pertinenza di unità immobiliari a destinazione diversa comunque censite nelle categorie dei Gruppi D e E. 

Quanto alla dichiarazione in catasto delle nuove realizzazioni, occorre preliminarmente osservare che, di norma, un qualsiasi cespite immobiliare, costituito dall’area, dal lastrico solare o dal tetto su cui si erge l’impianto produttivo di energia è dichiarato in catasto come unità immobiliare indipendente quando ordinariamente si riscontra per lo stesso autonomia funzionale e reddituale. Mentre l’autonomia reddituale, per gli impianti in questione, è ordinariamente verificata, l’autonomia funzionale va tecnicamente riscontrata, verificando gli elementi che ne caratterizzano la delimitazione, l’ordinaria accessibilità, ecc. 

Ai sensi dell’art. 1, comma 21, della legge di Stabilità 2016 e alla luce delle precisazioni fornite con circolare n. 2/E del 1° febbraio 2016 dell’Agenzia delle Entrate, a decorrere dal 1° gennaio 2016, per gli impianti fotovoltaici dichiarati autonomamente in catasto, vanno considerate, tra le componenti immobiliari oggetto di stima, il suolo (quando trattasi di impianti a terra), ovvero l’elemento strutturale (solaio, copertura) su cui sono ancorati i pannelli fotovoltaici (quando trattasi di impianti realizzati su costruzioni), gli eventuali locali tecnici che ospitano i sistemi di controllo e trasformazione e le sistemazioni varie, quali eventuali recinzioni, platee di fondazione, viabilità, ecc., posti all’interno del perimetro dell’unità immobiliare. 

Con specifico riferimento alle installazioni fotovoltaiche realizzate su edifici e su aree di pertinenza, comuni o esclusive, di fabbricati o unità immobiliari si precisa che non sussiste l’obbligo di accatastamento come unità immobiliari autonome, in quanto possono assimilarsi agli impianti di pertinenza degli immobili. Laddove tali istallazioni siano pertinenze di unità immobiliari a destinazione speciale e particolare, censite al catasto edilizio urbano nelle categorie dei Gruppi D e E, ai sensi dell’art. 1, comma 21, della legge di Stabilità 2016 e alla luce delle precisazioni fornite con la citata circolare n. 2/E del 1° febbraio 2016 dell’Agenzia delle Entrate, a decorrere dal 1° gennaio 2016, sussiste l’obbligo di dichiarazione di variazione da parte del soggetto interessato, per la rideterminazione della rendita dell’unità immobiliare di cui risulta pertinenza, allorquando le componenti immobiliari rilevanti ai fini della stima catastale di tale impianto ne incrementano il valore capitale di una percentuale pari al 15%.

CATASTO: COME OPERA LA REVISIONE DEI CLASSAMENTI DEGLI IMMOBILI

Terza puntata del nostro approfondimento on line sulla circolare 27/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha risposto ai quesiti della stampa specializzata sulle più svariate tematiche fiscali inerenti a vario titolo il settore abitativo e immobiliare: dalle agevolazioni sulla prima casa alla rendita degli imbullonati, passando per compravendite, locazioni, leasing abitativo e impianti eolici, fotovoltaici e di risalita. Il focus di oggi è dedicato ai processi di revisione della rendita catastale.


D. Poiché la categoria catastale discende dalla tipologia edilizia del fabbricato oltre che di quella dell’unità immobiliare, è corretto modificare la categoria catastale originaria nel caso in cui sul fabbricato e sulle unità immobiliari siano state eseguite esclusivamente opere di manutenzione ordinaria e straordinaria che non abbiano modificato i caratteri originari (prospetti, sagoma, impianti, distribuzione interna dei vani), ma solo conservato l’immobile? 

R. La categoria catastale dell’unità immobiliare dipende, di norma, dalle caratteristiche intrinseche del fabbricato che le ospita e dalla destinazione dell’unità, ordinariamente compatibile con dette caratteristiche. Del pari, le caratteristiche estrinseche, ed in particolare l’ubicazione e i servizi territoriali disponibili, ne determinano essenzialmente il livello di redditività (classe), che può ordinariamente modificarsi nel tempo. 
Nell’ambito dei processi di revisione parziale del classamento avviati, su istanza dei comuni, ai sensi dell’art. 1, comma 335, della legge n. 311 del 2004, viene operata, da parte degli Uffici competenti dell’Agenzia delle Entrate, una verifica generalizzata dei classamenti attribuiti a tutte le unità immobiliari ubicate in specifici contesti territoriali (microzone) in cui sia stato riscontrato un anomalo scostamento nei rapporti tra valori medi di mercato e valori medi catastali. Tale verifica, con le conseguenti revisioni dei classamenti delle unità immobiliari interessate, è finalizzata a perseguire una maggiore perequazione fiscale immobiliare nell’ambito del contesto territoriale analizzato. La revisione dei classamenti avviene con le modalità previste dall’art. 61 del DPR n. 1142 del 1949 (comparazione con le “unità tipo” che presentano destinazione e caratteristiche analoghe), ovvero con le modalità previste dall’art. 11, comma 1, del Dl n. 70 del 1988 (comparazione con unità già censite aventi analoghe caratteristiche). In tale contesto, la revisione della categoria è operata laddove quella originariamente assegnata sia inappropriata rispetto a quella già attribuita ad altre unità aventi medesime caratteristiche. 
Inoltre, in alcuni contesti, ove il quadro di qualificazione e classificazione e il prospetto delle tariffe non sia idoneamente popolato, è possibile procedere nel classamento per comparazione ai sensi dell’art. 11, comma 2, del menzionato Dl n.70 del 1988, ossia con riferimento al quadro di tariffa di altra zona censuaria del medesimo comune o di altro comune della medesima provincia che abbia analoghe caratteristiche socio-economiche e di tipologia edilizia. 
Si segnala, infine, che, laddove se ne ravvisasse la necessità, gli Uffici competenti dell’Agenzia delle Entrate possono promuovere, ai sensi dell’art. 64 del menzionato DPR n. 1142 del 1949, anche l’integrazione dell’originario quadro tariffario, al fine di includervi tipologie edilizie, destinazioni d’uso, o livelli di redditività (classi) originariamente non previsti.

L’ACCATASTAMENTO DELLE UNITÀ IMMOBILIARE IN CORSO DI COSTRUZIONE

Seconda puntata del nostro approfondimento on line sulla circolare 27/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha risposto ai quesiti della stampa specializzata sulle più svariate tematiche fiscali inerenti a vario titolo il settore abitativo e immobiliare: dalle agevolazioni sulla prima casa alla rendita degli imbullonati, passando per compravendite, locazioni, leasing abitativo e impianti eolici, fotovoltaici e di risalita. Il focus di oggi è dedicato ai fabbricati in corso di costruzione.

D. In base alla circolare 4/T del 2009 dell’Agenzia del Territorio le categorie catastali F/3 e F/4 sono necessariamente provvisorie, dai 6 ai 12 mesi, con possibilità di ottenere la proroga con la presentazione di apposita dichiarazione del proprietario circa la mancata ultimazione dell’immobile. Si tratta tuttavia di una prassi largamente disattesa, come testimonia il fatto che le unità censite in queste due categorie siano oltre un milione. In questo caso, quali margini di intervento ha il Comune per avviare un’attività di verifica? 

R. Il Comune ha facoltà di produrre sempre, e quindi anche per le unità immobiliari impropriamente censite nelle categorie F/3 – Unità in corso di costruzione ed F/4 – Unità in corso di definizione, segnalazioni al competente Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, nel rispetto delle procedure dettate dall’articolo 3, comma 58, della legge n. 662 del 1996 o dell’art. 1, comma 336, della legge n. 311 del 2004. 

Nel primo caso (legge n. 662/1996) trattasi di una generica segnalazione del comune finalizzata alla verifica di immobili il cui classamento risulti non aggiornato ovvero palesemente non congruo rispetto a fabbricati similari e aventi medesime caratteristiche. 

Nel secondo caso (legge n. 311/2004) trattasi di segnalazioni fondate su elementi concreti concernenti la sussistenza di situazioni di fatto non più coerenti con i classamenti catastali, per intervenute variazioni edilizie sugli immobili.

IMMOBILI E FISCO: DEFINIZIONE E INQUADRAMENTO DELLE UNITÀ COLLABENTI

Si apre oggi il nostro approfondimento on line sulla circolare 27/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha risposto ai quesiti della stampa specializzata sulle più svariate tematiche fiscali inerenti a vario titolo il settore abitativo e immobiliare: dalle agevolazioni sulla prima casa alla rendita degli imbullonati, passando per compravendite, locazioni, leasing abitativo e impianti eolici, fotovoltaici e di risalita. Il focus di oggi è dedicato ai fabbricati collabenti.

D. La nota 29439/2013 della Direzione centrale catasto e cartografia dell’Agenzia delle Entrate ha precisato che la categoria F/2 – Unità collabenti, priva di rendita catastale, non è ammissibile quando l’unità immobiliare è censibile in un’altra categoria o quando l’unità non è individuabile o perimetrabile. È corretto, quindi, iscrivere come F/2 un’abitazione con muri perimetrali e interni sostanzialmente integri, ma totalmente priva delle tegole, o un fabbricato produttivo con pilastri, travi e muri perimetrali integri, ma privo della copertura? 

R. Occorre preliminarmente evidenziare che l’attribuzione della categoria F/2 – Unità collabenti è regolamentata dal decreto del Ministro delle Finanze 2 gennaio 1998, n. 28, art. 3, comma 2, per quelle costruzioni caratterizzate da un notevole livello di degrado che ne determina una incapacità di produrre ordinariamente un reddito proprio. In particolare, il menzionato comma 2 prevede che tali costruzioni, ai soli fini dell’identificazione, “possono formare oggetto di iscrizione in catasto, senza attribuzione di rendita catastale, ma con descrizione dei caratteri specifici e della destinazione d’uso”. Per tali immobili sussiste, quindi, la possibilità e non l’obbligo dell’aggiornamento degli atti catastali. 

Con la nota n. 29439 del 2013, richiamata nel quesito posto, la Direzione centrale catasto e cartografia ha precisato che l’attribuzione della categoria F/2 non è ammissibile quando il fabbricato che si vuole censire risulta comunque iscrivibile in altra categoria catastale, o non è individuabile e/o perimetrabile. 

Per entrambe le fattispecie di immobili in esame – abitazione e fabbricato produttivo – quando lo stato di fatto non consente comunque l’iscrizione in altra categoria catastale, risulta attribuibile la destinazione F/2 – Unità collabenti, essendo soddisfatti i presupposti di individuazione e/o perimetrazione del cespite.

IMPOSTE SUGLI IMMOBILI: “DOPO IL TAX DAY DEL 16 GIUGNO, SI PENSI A DETASSAZIONE”

La tremenda scadenza fiscale di metà mese è ormai alle spalle, ma i suoi strascichi si fanno ancora sentire, soprattutto nei portafogli dei proprietari immobiliari. Così il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani testa, ha colto l’occasione per fare il punto della situazione e guardare in maniera costruttiva al futuro. Secondo il numero uno della Confederazione della proprietà, “Passato il 16 giugno, la contrapposizione tra chi ha voluto celebrare l’eliminazione della Tasi sulla prima casa e chi, invece, ha preferito rimarcare la giornata delle mille tasse, dovrebbe ora lasciare il posto a un’analisi realistica della situazione del settore immobiliare e delle sue esigenze. E da un esame obiettivo della realtà non può che discendere la consapevolezza della necessità di ulteriori interventi di detassazione per il comparto, soprattutto nei suoi elementi più fragili, come il non residenziale. Auspichiamo, allora, una seria riflessione, ed un confronto, sulle misure più adeguate – di carattere fiscale ma non solo – per affrontare in modo strutturale il dramma dell’incessante moltiplicarsi, in tutta Italia, di locali commerciali vuoti e abbandonati. Far finta di nulla non vuol dire solo danneggiare i proprietari di questi beni, ma anche rendersi complici di un impoverimento crescente e della inesorabile decadenza di migliaia di centri urbani un tempo vitali”.