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IL DISTACCO DAL CENTRALIZZATO: NORMATIVA E GIURISPRUDENZA IN CONDOMINIO

[A cura di: avvocato Gian Vincenzo Tortorici – pres. Centro Studi Anaci]

L’art. 1118, 4° comma c.c., modificato dalla riforma, prevede espressamente che “il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condòmini. In tal caso, il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma”. 

Si noti che gli squilibri di funzionamento che impedirebbero al condomino di operare il distacco devono essere “notevoli”, in modo da consentire all’autorità giudiziaria di disciplinare le singole fattispecie precludendo distacchi tecnicamente irrazionali e permettendo invece distacchi che siano osteggiati dagli altri condòmini per ragioni futili o emulative (che potrebbero celarsi dietro trascurabili esigenze “tecniche”); mentre l’aggravio di spesa può essere anche di modesto valore economico. 

La nuova disposizione ha suscitato l’interesse dei primi commentatori anche rispetto alle possibili limitazioni di tale normativa. In particolare, si pone la questione dell’ammissibilità dell’introduzione di un divieto regolamentare al distacco. Infatti, l’art. 1138 c.c., quarto comma, non è stato modificato o integrato dalla riforma e non include l’art. 1118 c.c., 4° comma, nell’elenco delle disposizioni che le norme del regolamento “in nessun caso possono derogare”. Ciò sarebbe indice dell’ammissibilità della deroga all’art. 1118, comma 4°, c.c .

Permane, comunque, la problematica concernente il secondo o il terzo condomino che intenda distaccarsi senza autorizzazione assembleare, che è sempre ammissibile, salvo quanto ut supra dedotto. In questi casi, qualora si accerti la sussistenza delle condizioni limitative allintervento, gli interessati non potranno provvedere al distacco. 

Si deve, peraltro, ricordare che il D.P.R. 2 aprile 2009 n. 59, concernente l’attuazione della direttiva 2002/911CE sul rendimento energetico in edilizia, stabilisce all’art. 4, comma 9°, che “in tutti gli edifici esistenti, con più di quattro unità abitative, e in ogni caso per potenze nominali del generatore di calore dell’impianto centralizzato maggiore o uguale a 100 kW […] è preferibile il mantenimento di impianti centralizzati laddove esistenti”. 

Altra possibile limitazione può derivare dalla circostanza che il Comune dove è ubicato l’immobile abbia stabilito nel proprio regolamento edilizio il divieto di distacco, considerato che la tendenza di molti Comuni è quella di incentivare gli impianti centralizzati di riscaldamento che hanno un impatto ambientale minore in termini di inquinamento. Ma anche le Regioni stesse, che in materia hanno una competenza legislativa concorrente con lo Stato, possono non recepire le disposizioni statali o addirittura disattenderle in toto, come si è già verificato

Da ultimo si deve annotare la procedura da adottarsi da parte di tutti. Il singolo condomino deve preventivamente segnalare la sua volontà, suffragandola con una perizia di parte, all’amministratore il quale, valutatane la fattibilità, può sia non eccepire alcunché, sia convocare un’assembla ad hoc, non essendovi obbligato, neppure con un riferimento testuale inerente ad una relazione ad essa, come avviene per altre fattispecie. Qualora il singolo condomino intervenga direttamente e, quindi, con opere inerenti all’impianto comune di riscaldamento, il condominio deve opporvisi, chiedendo anche la sospensione giudiziale dei lavori, con unazione cautelare ai sensi dellart. 1171 c.c ..

LA GIURISPRUDENZA

Come è noto, l’impianto centralizzato di riscaldamento rientra tra i beni di proprietà comune ex art. 1117 c.c. e ha da sempre posto in dottrina e in giurisprudenza due rilevanti questioni. 

1) La prima concerne la trasformazione dell’impianto centralizzato di riscaldamento in impianti autonomi unifamiliari a gas metano per la produzione di calore e acqua calda e sanitaria in ordine alla quale si applica la legge n. 10 del 9 gennaio 1991 che detta norme per l’attuazione del piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia. 

La normativa di riforma della disciplina del condominio, L. 220/2012, ha modificato il II comma dellart. 26 della legge de qua in quanto per la trasformazione dell’impianto centralizzato nelle così dette caldaiette unifamiliari ha elevato la maggioranza numerica ad un terzo dei presenti all’assemblea rappresentante almeno la metà del valore millesimale delledificio, ponendosi in contrasto, parrebbe, con il secondo comma del novellato art. 1120 c.c. che in tema di innovazioni finalizzate al risparmio energetico fissa il quorum deliberativo nella maggioranza dei condòmini presenti in assemblea rappresentante sempre la metà del valore dell’edificio. Sempre che il legislatore nell’art. 1120 c.c. non voglia individuare intendimenti diversi da quelli elencati nell’art. 8 della legge n. 10/1991 citata, il che allo stato attuale appare unincognita

2) L’altra questione inerisce, invece, alla problematica del diritto del condomino al distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato. 

Secondo l’orientamento giurisprudenziale di legittimità prevalente prima della riforma introdotta dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220, ciascun condomino aveva la facoltà di rinunziare all’utilizzo dei flussi termici derivanti dall’impianto di riscaldamento comune, distaccando le diramazioni da quest’ultimo connesse alla sua unità immobiliare senza necessità di ottenere un’apposita autorizzazione assembleare, purché provasse che dalla sua rinunzia e dal distacco, non derivano né un aggravio di spese per coloro che continuano a fruire del riscaldamento centralizzato, né uno squilibrio termico dell’intero edificio, pregiudizievole per la regolare erogazione del servizio” (ex multis Cass., 03/04/2012, n. 5331 e Cass., 30/06/2006, n. 15079). 

Nell’ipotesi in cui il condomino che volesse effettuare il distacco non fosse in grado di dimostrare tali elementi, era allora necessaria l’unanimità dei consensi dellintera compagine condominiale. Conseguentemente, il condomino distaccante, pur continuando a dover corrispondere le spese necessarie per la conservazione dell’impianto di riscaldamento centralizzato (che rimaneva di proprietà comune), sarebbe stato sollevato dal contribuire alle stesse per l’uso dell’impianto medesimo, eccettuata la fatti specie nella quale lassemblea imponesse un modesto rimborso dovuto alla eventuale dispersione di calore causata da tale operazione. 

Tale consolidata posizione della giurisprudenza, osteggiata da vari dissensi dottrinali (cfr. N. Izzo, Nota a Casso 29/09/2011, n. 19893, in Giust. Civ., 2012, p. 361 e ss.), si poneva in conformità ai principi che regolano la materia, ovvero all’art. 1123, comma 2, c.c. civ., che impone la ripartizione delle spese per il riscaldamento in proporzione alla superficie radiante di ciascuna unità immobiliare, così che, in caso di “chiusura dei rubinetti” dei radiatori, ovvero di completo distacco, nulla sarebbe dovuto, e all’art. 1120 c.c. che preclude che della cosa comune si faccia un uso (o un non uso) idoneo ad alterare il rapporto di equilibrio tra i comproprietari. 

Non si rientra nella fattispecie ut supra qualora il condominio non sia in grado di garantire al singolo condomino i gradi minimi di calore previsti dal D.P.R. 26 agosto 1993 n. 412; in questi casi; infatti, il condominio o effettua la manutenzione straordinaria indispensabile per porvi rimedio, o perfeziona una transazione conciliativa con il condomino, prevedendo eventualmente il distacco del suo impianto da quello centralizzato. 

GARANZIA, SOSPENSIONE, TRASPARENZA: TUTTE LE TUTELE RELATIVE AI MUTUI

Affitti, formule di compravendita, detrazioni fiscali garanzie sui mutui: sono alcune delle tematiche di cui si è parlato nei giorni scorsi nel seminario del Mef e dell’Abi dal titolo “Fare casa”.tali argomenti sono poi confluiti in una serie di interessanti e sintetiche schede illustrative. L’approfondimento che pubblichiamo oggi è dedicato a mutui e prestiti.

GARANZIA MUTUO 

Che cos’è. Il Fondo di garanzia per l’acquisto e la ristrutturazione della prima casa consente di richiedere mutui ipotecari fino a 250.000 euro avvalendosi delle garanzie statali per la metà dell’importo.

A chi è rivolto. A coloro che richiedono un mutuo, non superiore a 250mila euro, per l’acquisto o la ristrutturazione della prima casa non di lusso. Il mutuo deve essere erogato per il solo acquisto, o per l’acquisto e la ristrutturazione e/o accrescimento dell’efficienza energetica di un immobile localizzato in Italia che rispetti le seguenti caratteristiche: 

* deve essere adibito ad abitazione principale; 

* non deve rientrare nelle categorie catastali A1 (abitazioni signorili), A8 (ville) e A9 (castelli, palazzi); 

* non deve avere caratteristiche di lusso (vedi decreto del Ministero dei lavori pubblici del 2/8/1969). 

Quali benefici. Il Fondo offre garanzie statali pari al 50% della quota capitale del mutuo richiesto, facilitando così l’accesso al credito. È aperto a tutti, indipendentemente dall’età, ma prevede un tasso applicato al mutuo non superiore al Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM) pubblicato trimestralmente dal MEF ai sensi delle legge antiusura per: 

* giovani coppie (dove almeno uno dei due componenti non abbia superato i 35 anni); 

* giovani di età inferiore ai 35 anni titolari di un rapporto di lavoro atipico; 

* nuclei familiari monogenitoriali con figli minori; 

* conduttori di alloggi di proprietà degli IACP, comunque denominati. 

Come fare domanda. La domanda di accesso al Fondo va presentata direttamente alla Banca aderente all’iniziativa cui si richiede il mutuo, utilizzando l’apposita modulistica per la richiesta di accesso al Fondo di garanzia per la prima casa disponibile sul sito di CONSAP Spa, su quello del Dipartimento del Tesoro e delle Banche aderenti. L’elenco delle Banche ad oggi aderenti, in continuo aggiornamento, è disponibile sul sito di CONSAP Spa.

SOSPENSIONE MUTUI

Che cos’è. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e l’ABI mettono a disposizione due strumenti, complementari fra loro, che permettono di sospendere per un tempo determinato il pagamento delle rate del mutuo in caso si verifichino situazioni di temporanea difficoltà economica: 

* il Fondo MEF di solidarietà per i mutui prima casa; 

* l’Accordo per il credito ABI – Associazioni dei consumatori (che offre la possibilità di sospendere le rate non solo dei mutui ipotecari ma anche dei finanziamenti per il credito al consumo)

A chi è rivolto. Ai titolari di un mutuo per l’acquisto della prima casa non di lusso, che si trovino in situazioni di temporanea difficoltà economica. I due strumenti fanno riferimento ad eventi imprevisti di natura diversa, sempre connessi alla salute o al deteriorarsi della situazione lavorativa quali la morte, un grave infortunio, la perdita del posto di lavoro o la sospensione/riduzione dell’orario di lavoro. 

Quali benefici. Il Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa del MEF consente di beneficiare della sospensione fino a 18 mesi del pagamento dell’intera rata del mutuo (se non superiore a 250mila euro) per mutuatari con ISEE non superiore a 30.000 euro, in situazioni di temporanea difficoltà economica dovuta al decesso di uno dei titolari, ad un grave infortunio/handicap o alla perdita di lavoro. L’Accordo per il credito tra ABI e Associazioni dei consumatori permette invece la sospensione fino a 12 mesi della sola quota capitale per i mutui ipotecari sull’abitazione principale nei casi di sospensione del lavoro o riduzione temporanea dell’orario lavorativo.

Come fare domanda. Chi ha i requisiti per la sospensione deve rivolgersi direttamente alla Banca con cui ha contratto il mutuo. Per il Fondo di Solidarietà del MEF è previsto un apposito modulo di domanda che va presentato in Banca e che è disponibile sul sito del Dipartimento del Tesoro, di Consap Spa (società incaricata dal MEF della gestione di tutte le richieste di accesso al Fondo), e di ABI. 

Sul sito di ABI si trova il modulo di domanda per l’iniziativa di sospensione concordata tra ABI e Associazioni dei consumatori.

POLIZZE PRESTITI

Che cos’è. Il 30 novembre 2013 è stato sottoscritto un protocollo di intesa tra ABI, Assofin e 14 associazioni dei consumatori finalizzato a promuovere la diffusione di buone pratiche nell’offerta ai consumatori di polizze assicurative facoltative, ramo vita o miste (sia il ramo vita sia danni) – accessorie ai mutui e agli altri finanziamenti.

A chi è rivolto. A coloro che sottoscrivono una polizza assicurativa per tutelarsi dagli eventi che possono ridurre la capacità di poter rimborsare i mutui o i finanziamenti (perdita del posto di lavoro, morte, infortuni etc.). 

Quali benefici. L’accordo prevede che le banche e/o intermediari finanziari aderenti all’iniziativa offrano al cliente una serie di benefici quali: 

* il riconoscimento al consumatore di un periodo di 60 giorni dalla data di perfezionamento del contratto assicurativo per recedere liberamente dallo stesso; 

* l’invio al consumatore, dopo il perfezionamento del contratto, di una specifica lettera di benvenuto il cui fac-simile è riportato nel protocollo di intesa stesso. 

La documentazione viene redatta prestando particolare attenzione alla chiarezza e semplicità con l’inserimento: 

* nella documentazione precontrattuale e nel contratto di una frase con la quale si ricorda al cliente che la polizza offerta dalla banca/intermediario finanziario non è indispensabile al fine di ottenere il finanziamento; 

* nella documentazione precontrattuale, del costo complessivo del finanziamento con e senza polizza. 

Come fare domanda. Non c’è alcun bisogno di fare la domanda per ottenere questi benefici. L’elenco delle banche e degli Intermediari aderenti è pubblicato sul sito di ABI.

IL TERZO RESPONSABILE E I POTERI DELL’AVVOCATO NOMINATO DAL CONDOMINIO

[A cura di: Fulvio Graziotto – Studio Graziotto, www.studiograziotto.com]

È ammissibile la chiamata del terzo responsabile da parte del condominio se collegata all’oggetto della causa. E se non vi sono limiti specifici, la procura alle liti conferisce al difensore il potere di proporre tutte le domande che non eccedano l’ambito della lite originaria. È quanto sentenziato dalla Cassazione con la pronuncia 4909/2016.

IL CASO

A causa di infiltrazioni d’acqua dovute a negligente custodia del tetto in occasione di lavori di rifacimento commissionati dal condominio, quest’ultimo si rivaleva, per i danni subiti da alcuni condòmini, nei confronti della società appaltatrice, la quale proponeva appello, che veniva respinto.

La società propone ricorso in Cassazione, che lo rigetta.

LA DECISIONE

Nel primo motivo di ricorso, la società lamentava che l’amministratore del condominio «non era abilitato a nominare un difensore per agire e resistere in giudizio già in primo grado, in mancanza di autorizzazione dell’assemblea; che la procura alle liti, rilasciata al procuratore a margine del ricorso per decreto ingiuntivo, non lo legittimava a chiamare in causa un terzo; che tale carenza di potere rappresentativo era eccepibile dalla parte e rilevabile dal giudice in ogni stato e grado del giudizio».

La Sezione remittente ritiene fondata l’obiezione relativa alla procura alle liti rilasciata al difensore a margine del ricorso per decreto ingiuntivo, che non lo legittimava a chiamare in causa un terzo: «poiché la facoltà di chiamare in causa un terzo in garanzia impropria deve essere conferita espressamente al difensore nella procura stessa o nel contesto dell’atto cui essa accede (v., per tutte, Cass. 29 settembre 2009 n. 20825), sicché non può ritenersi compresa nella generica attribuzione di “ogni facoltà” nel mandato a richiedere l’emissione di un decreto ingiuntivo; resta pertanto da verificare se alla censura in esame la sentenza impugnata possa comunque resistere, sul fondamento dell’altra ratio decidendi su cui è basata: la preclusione dell’eccezione relativa al difetto di procura, in quanto formulata tardivamente».

Dopo aver osservato che l’indirizzo della giurisprudenza non è consolidato, con alcune decisioni «si è deciso che “il difensore munito di procura per una determinata controversia non può in base alla stessa effettuare la chiamata in garanzia di un terzo introducendo nel processo una nuova e distinta controversia che ecceda i limiti dell’originario rapporto litigioso, salvo che la parte abbia inteso autorizzarla a rappresentarla anche nel giudizio da promuovere mediante la chiamata in garanzia; al di fuori di questa ipotesi la conseguente nullità non può considerarsi sanata qualora il chiamato si costituisca in giudizio senza dedurre preliminarmente il vizio in questione”; la Sezione II ha rimesso la causa al Primo Presidente, che l’ha assegnata alle Sezioni Unite.

Tra le varie questioni sollevate, nel primo motivo la ricorrente lamentava che «la carenza di “ius postulandi” in capo al difensore si traduce in un difetto di legitimatio ad causam e ad processum, che come è noto costituisce un presupposto indefettibile per la valida costituzione del contraddittorio e per tale ragione il relativo difetto è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo fatti salvi gli effetti del giudicato».

La sezione remittente ritiene il motivo infondato per due ragioni: perché è «agevole osservare» che tale eccezione risulta «intrinsecamente smentita» in ragione del «tenore della procura ad litem rilasciata al legale del condominio (“… ogni facoltà”)» e, oltretutto, perché tardiva («in quanto “sollevata soltanto nella comparsa conclusionale di primo grado”, “con piena accettazione del contraddittorio svoltosi sino a quel momento”»).

Le Sezioni Unite ritengono che la causa debba essere decisa sulla base della prima ragione, e ne illustrano i motivi: «La procura alle liti è l’atto formale con il quale si attribuisce al difensore lo ius postulandi, il ministero di rappresentare la parte nel processo ( cfr. Cass., Sez. Un, 7/3/2005, n. 4814 ).

La procura ad litem ex art. 83 c.p.c. è negozio unilaterale processuale, formale ed autonomo (v. Cass., 23/11/1979, n. 6113 ), che investe della rappresentanza in giudizio il difensore e si distingue dal presupposto rapporto c.d. interno, il quale ha fonte nel contratto di prestazione d’opera professionale stipulato tra quest’ultimo e la parte – o chi per essa – ( v. Cass., 24/2/2010, n. 4489; Cass., 4/4/1997, n. 2910; Cass., 8/6/1996, n. 5336; Cass., 26/1/1981, n. 579; Cass., 6/12/1971, n. 3547), restando insensibile alla sorte del contratto di patrocinio ( v. Cass., 2/9/1997, n. 8388).

La legge non determina il contenuto necessario della procura, limitandosi a distinguere tra procura generale e speciale (art. 83, 2° co., c.p.c. ), e a stabilire che il difensore può compiere e ricevere, nell’interesse della parte, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati, mentre non può compiere atti che importano disposizione del diritto in contesa, se non ne ha ricevuto espressamente il potere ( art. 84 c.p.c. )».

Dopo aver richiamato precedenti decisioni si è al riguardo da queste Sezioni Unite posto quindi in rilievo che, come efficacemente sottolineato anche in dottrina, i poteri processuali risultano al difensore attribuiti direttamente dalla legge, con la procura la parte realizzando semplicemente una scelta ed una designazione, e non anche un’attribuzione di poteri, al cui riguardo la volontà della parte è pertanto irrilevante, potendo assumere invero rilievo esclusivamente al fine della eventuale limitazione dei poteri del procuratore derivanti dalla legge (v. Cass., Sez. Un., 14/9/2010, n. 19510. E già Cass., 13/7/1972, n. 2373); il Consesso afferma che «Alla procura alle liti, in assenza di specifica regolamentazione, si applica la disciplina codicistica sulla rappresentanza e sul mandato, avente carattere generale rispetto a quella processualistica» e «ivi ricompreso in particolare il principio generale posto all’art. 1708 c.c. secondo cui il mandato comprende tutti gli atti necessari al compimento dell’incarico conferito (v. Cass., 18/4/2003, n. 6264; Cass., 4/4/1997, n. 2910; Cass., 6/3/1979, n. 1392)».

Precisa che «La procura alle liti conferisce dunque al difensore il potere di proporre tutte le domande che non eccedano l’ambito della lite originaria».

Più specificamente, «In ordine alla chiamata di un terzo in causa, con particolare riferimento al rapporto di garanzia si è nella giurisprudenza di legittimità generalmente ritenuto il difensore del convenuto abilitato dalla procura conferita per resistere alla domanda attrice a chiamare in causa un terzo in garanzia c.d. propria (che si ha quando la causa principale e quella accessoria abbiano lo stesso titolo, ovvero quando ricorra una connessione oggettiva tra i titoli delle due domande: v. Cass., 16/4/2014, n. 8898; Cass., 29/07/2009, n. 17688; Cass., 24/01/2007, n. 1515 ), onde sollevare il proprio assistito dall’eventuale soccombenza nei confronti dell’attore ( v. Cass., 31/3/2000, n. 3928; Cass., 29/1/1991, n. 877; Cass., 14/4/1984, n. 2415 ), o comunque per esigenze difensive ( v. Cass., 17/5/1986, n. 3274)».

Nel sottolineare che la chiamata in causa del terzo in base ad una normale e generica procura originaria è ammissibile «qualora la presenza del medesimo costituisca un’esigenza della difesa nel processo, si è al riguardo in particolare sottolineato che allorquando il convenuto per risarcimento di danni abbia conferito il mandato alle liti con ogni più ampia facoltà di legge, ed abbia subito indicato quale unico responsabile un terzo, deve ritenersi che la sua reale volontà sia stata quella di conferire al patrono non solo il potere di chiamare in causa il terzo per soddisfare l’esigenza di difesa rispetto alla domanda risarcitoria dell’attore, ma anche il potere di proporre nei confronti del terzo la domanda di risarcimento dei danni, e ciò al fine evidente di conseguire, in un unico processo, la decisione su tutte le pretese (v., con riferimento a caso di scontro di autoveicoli, Cass., 22/7/1991, n. 2421)».

Rimane esclusa la possibilità di azioni fondate su un titolo diverso che estenda l’ambito della controversia: «Si è viceversa escluso che una siffatta procura consenta al difensore di esperire contro il terzo azioni fondate su un titolo autonomo e distinto, implicanti un’estensione dell’ambito della lite ( v. Cass., 16/3/2006, 5817; Cass., 17/5/1986, n. 3274. Cfr. altresì Cass., 26/7/2005, n. 15619; Cass., 7/4/2000, n. 4356; Cass., 7/2/1995, n. 1393; Cass., 24/3/1981, n. 1695; Cass., 12/5/1979, n. 2729; Cass., 26/3/1979, n. 1745; Cass., 13/10/1975, n. 3284)».

Spetta al giudice verificare l’estensione della procura: «La verifica della effettiva estensione della procura rilasciata al difensore si è affermato costituire un obbligo del giudice, a garanzia non tanto delle controparti quanto della stessa parte che l’ha rilasciata, perché la medesima non risulti esposta al rischio del coinvolgimento in un’ulteriore controversia non voluta, in ragione dell’autonoma iniziativa del proprio difensore (v. Cass., 22/11/1996, n. 10307)».

Per le Sezioni Unite, alla procura deve essere data un’interpretazione costituzionalmente orientata: «va osservato come dal principio affermato da queste Sezioni Unite in base al quale i poteri del difensore discendono direttamente dalla legge, la procura valendo solamente a realizzare la scelta e la designazione dell’avvocato e a far emergere la relativa (più o meno ampia) eventuale limitazione in base alla volontà della parte (v. Cass., Sez. Un., 14/9/2010, n. 19510), deve correttamente trarsene, quale ulteriore corollario, che la procura, ove risulti come nella specie conferita in termini ampi e comprensivi, in base a un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa processuale idonea a dare attuazione ai principi di tutela del diritto di azione e di difesa nonché di economia processuale (artt. 24 e 111 Cost.) deve intendersi come idonea ad attribuire al difensore il potere di esperire tutte le azioni necessarie o utili per il conseguimento del risultato a tutela dell’interesse della parte assistita».

OSSERVAZIONI

I poteri del difensore discendono direttamente dalla legge, e la procura vale solo a realizzare la scelta e la designazione dell’avvocato, e a far emergere la eventuale limitazione in base alla volontà della parte: se la procura è conferita in termini ampi (“con ogni facoltà”) deve intendersi idonea a ricomprendere anche la chiamata in causa del terzo basata sull’azione di garanzia c.d. “impropria”.

DISPOSIZIONI RILEVANTI

Codice di procedura civile

LIBRO I, TITOLO III – Delle parti e dei difensori


Art. 82 – Patrocinio

Davanti al giudice di pace le parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause il cui valore non eccede lire un milione.

Negli altri casi, le parti non possono stare in giudizio se non col ministero o con l’assistenza di un difensore. Il giudice di pace tuttavia, in considerazione della natura ed entità della causa, con decreto emesso anche su istanza verbale della parte, può autorizzarla a stare in giudizio di persona.

Salvi i casi in cui la legge dispone altrimenti, davanti al tribunale e alla corte d’appello le parti debbono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente; e davanti alla Corte di cassazione col ministero di un avvocato iscritto nell’apposito albo.

Art. 83 – Procura alle liti

Quando la parte sta in giudizio col ministero di un difensore, questi deve essere munito di procura.

La procura alle liti può essere generale o speciale, e deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata.

La procura speciale può essere anche apposta in calce o a margine della citazione, del ricorso, del controricorso, della comparsa di risposta o d’intervento, del precetto o della domanda d’intervento nell’esecuzione, ovvero della memoria di nomina del nuovo difensore, in aggiunta o in sostituzione del difensore originariamente designato. In tali casi l’autografia della sottoscrizione della parte deve essere certificata dal difensore. La procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su foglio separato che sia però congiunto materialmente all’atto cui si riferisce, o su documento informatico separato sottoscritto con firma digitale e congiunto all’atto cui si riferisce mediante strumenti informatici, individuati con apposito decreto del Ministero della giustizia. Se la procura alle liti è stata conferita su supporto cartaceo, il difensore che si costituisce attraverso strumenti telematici ne trasmette la copia informatica autenticata con firma digitale, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e trasmessi in via telematica.

La procura speciale si presume conferita soltanto per un determinato grado del processo, quando nell’atto non è espressa volontà diversa.

Art. 84 – Poteri del difensore

Quando la parte sta in giudizio col ministero del difensore, questi può compiere e ricevere, nell’interesse della parte stessa, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati.

In ogni caso non può compiere atti che importano disposizione del diritto in contesa, se non ne ha ricevuto espressamente il potere.

TUTTE LE DETRAZIONI DI CUI SI PUÒ FRUIRE SUI CANONI DI LOCAZIONE DELL’ALLOGGIO

[A cura di: Sicet] 
Ultima chiamata agli inquilini privati e pubblici per usufruire delle detrazioni d’imposta sull’affitto pagato. Questo attraverso la dichiarazione dei redditi che permette di recuperare importi variabili sulla base della tipologia del contratto d’affitto e del reddito posseduto. Una occasione da non sprecare visto il taglio dei sostegni agli inquilini nell’anno in corso che ha visto in particolare il mancato rifinanziamento del fondo di sostegno all’affitto da parte dello Stato. Contributo che veniva erogato ai conduttori con una alta incidenza canone/reddito e in difficoltà nel pagamento del canone. Una assenza che inciderà sulle famiglie più povere.Per gli inquilini che hanno un contratto a libero mercato (art.2 comma 1, legge 431/98), della durata di anni 4+4, vi è una detrazione di euro 300 con redditi inferiori a 15.493,71 euro. Oppure di 150 euro con un reddito tra i 15.493,72 e i 30.897,41 euro. Con il contratto di locazione agevolato o concordato (art.2 comma 3, legge 431/98) con durata di anni 3+2 è possibile una detrazione di euro 495,98 con un reddito inferiore a 15.493,71 euro che si riduce a 247,90 con reddito tra i 15.493,71 e i 30.897,41 euro. I giovani che hanno una età tra i 20 e i 30 anni ed in presenza di contratto d’affitto libero o concordato o transitorio e condizione di abitazione principale, possono usufruire di una detrazione di euro 991,60 per primi tre anni del contratto di locazione purché in presenza di un reddito inferiore ad euro 15.493,71. Detrazioni anche per studenti universitari fuori sede o per i loro genitori che hanno sostenuto il pagamento del canone per i figli a carico con il 19% del canone pagato. Sono considerati studenti fuori sede quelli che hanno la residenza ad almeno 100 chilometri dall’università frequentata. L’importo massimo è di 2.633 euro per studente. Anche i lavoratori dipendenti trasferiti da non oltre tre anni in un’altra sede di lavoro, distante almeno 100 chilometri dalla precedente residenza, ed in un’altra regione, possono usufruire di una detrazione di euro 991,60 per tre anni con reddito inferiore a 15,493,71 oppure di 495,80 se compreso tra 15.493,71 e 30.987,41 euro. Infine, gli inquilini delle abitazioni di edilizia residenziale pubblica (dei comuni o IACP, ALER, ATER ecc.) e quelli degli alloggi sociali privati hanno diritto ad una detrazione di imposta pari ad euro 900 con un reddito inferiore ad euro 15.493,71 oppure di euro 450 con reddito tra 15.493,71 e 30.897,41. Per quest’ultima detrazione è necessario fornire l’attestazione di alloggio sociale effettuata dall’ente gestore. Mentre per tutte le altre tipologie di affitto serve copia del contratto di locazione registrato e le ricevute del canone corrisposto.

LA FISCALITÀ IMMOBILIARE IN ITALIA? DISINCENTIVA L’ACQUISTO DI ABITAZIONI

[A cura di: Maria Rosaria Monsellato – Centro studi nazionale Appc]
Con la crisi finanziaria del 2008 si è assistito ad un’esponenziale crescita del debito pubblico e della disoccupazione. Per cercare di risolvere tali problematiche e stimolare la ripresa economica, si è cercato di individuare forme impositive compatibili con il consolidamento fiscale e che avessero un minor impatto sulla crescita, fermo restando il gettito in entrata.Sono state così analizzate le fonti delle entrate fiscali, al fine di individuare quelle che avessero una maggiore influenza sulla crescita economica. Si è così pervenuti ad una suddivisione tra imposte distorsive e meno distorsive, rilevando al contempo come quelle sul patrimonio risultassero maggiormente favorevoli. Dal quadro così delineato si è posto in essere uno spostamento della tassazione dai fattori produttivi al patrimonio immobiliare, anche in virtù del fatto che la base imponibile risulti essere più ampia, relativamente stabile e le aliquote ridotte rispetto a quelle applicate sul reddito.
Per disegnare un sistema di tassazione basato sul patrimonio immobiliare è necessario comprendere in quale veste viene valutata l’abitazione, vale a dire se rappresenta un bene di consumo o di investimento. Questo perché, in funzione della visione adottata ne viene definita l’imposizione.
Nel nostro Paese si è scelto di considerare la seconda opzione e, pertanto, si è scelto di tassarlo come un reddito da capitale, applicando una tassazione duale: proporzionale per il patrimonio immobiliare e progressiva per il i redditi da lavoro.
È necessario, poi, che le rendite catastali siano adeguate ai valori di mercato, poiché il non allineamento genera distorsioni, anche quando i valori della proprietà sono adeguati all’inflazione. Proprio per questo motivo è stata avviata la riforma del catasto che ha come fine ultimo la ridefinizione delle rendite.
Quanto sopra esposto è la risposta alle indicazioni fornite dalla Commissione Europea, la quale ha, altresì, raccomandato di ridurre le deduzioni ovvero i crediti di imposta per i mutui ipotecari, in quanto i regimi agevolativi creano distorsioni e riducono l’efficienza complessiva del sistema. Avere un sistema impositivo particolarmente vantaggioso ovvero del tutto assente potrebbe indurre un investimento in abitazioni superiore a quello ottimale, distraendo di fatto le risorse da investimenti in capitale produttivo.
Occorre precisare che, sebbene la CE abbia consigliato vivamente di ridurre le agevolazioni sull’acquisto degli immobili, nel nostro Paese la scelta di consentire la detrazione degli interessi passivi e, quindi, di incentivare l’acquisto della prima casa, potrebbe essere dettata dall’obiettivo di maggiore stabilità sociale e creazione di ricchezza.
Stante quanto sopra esposto, di fatto, a partire dal 2012 si è assistito ad un progressivo aumento della tassazione immobiliare, gravata da ben cinque categorie di imposte:
* imposte reddituali, il cui presupposto è il reddito prodotto dalla proprietà o dal possesso del bene;
* imposte di natura patrimoniale, il cui presupposto è la proprietà o il possesso del bene;
* imposte sui servizi pubblici resi ai proprietari di immobili;
* imposte sul trasferimento degli immobili a titolo gratuito;
* imposte sulle locazioni.
Nel contempo si osserva come contestualmente si sia assisitito ad un sistema di incentivi basati su agevolazioni fiscali per opere di ristrutturazione e risparmio energetico, implementate da parte dei proprietari. Sebbene queste non incidano in maniera significativa sul reddito disponibile delle famiglie (le detrazioni incidono maggiormente sui redditi bassi, essendo in misura fissa, benché sia da far presente che l’ammontare della somma da portare in detrazione risulti essere inferiore, proprio perché minore potrà essere l’esborso), di fatto rappresenteranno uno dei parametri in virtù dei quali si rivaluteranno le rendite catastali.
Da quanto detto emerge un quadro abbastanza chiaro che mira a disincentivare l’acquisto di immobili, soprattutto seconde case, e che sono agevolati i redditi alti e la grande proprietà a discapito dei redditi bassi e della piccola proprietà.  

MANUTENZIONE IN CONDOMINIO: NON SEMPRE LE SPESE VANNO RIPARTITE

Decoro architettonico oppure protezione di singolo appartamento? È questa la discriminante che permette di stabilire se la spesa di manutenzione di un’inferriata arrugginita, posta al piano terreno di un condominio, sia a carico del proprietario dell’immobile oppure vada ripartita tra tutti condomini dello stabile. La questione è stata posta da uno dei nostri spettatori, nell’ambito della rubrica legale del Tg del Condominio. Di seguito pubblichiamo la risposta fornita dall’avvocato Nunzio Costa, presidente dell’associazione Acap di Napoli.

Divisione spese di manutenzione

dipende da destinazione d’uso

D. Nel condominio che amministro le finestre delle unità immobiliari site al piano rialzato (in tutto quattro su ventisei) sono protette da inferriate metalliche. Ora sono coperte di ruggine e si tratta di procedere alla loro verniciatura. A mio parere la spesa deve essere sopportata soltanto dai proprietari delle unità del piano terra, ma un condomino (ovviamente proprietario di una di tali unità) sostiene che tale spesa deve essere spalmata su tutti i condòmini, in base ai rispettivi millesimi, per il fatto che il lavoro riguarda il “decoro dello stabile” nel suo insieme.

RISPONDE L’AVVOCATO N. COSTA

È indubbio che qualunque elemento architettonico e cromatico che concorra o contribuisca al raggiungimento di quell’aspetto che si configura come decoro del fabbricato è, in quanto tale, di possesso di tutto il condominio e, in tal senso, la sua manutenzione deve essere pagata da tutto il condominio. Ma nel caso di specie stiamo parlando di inferriare poste al piano terra e dunque è necessario comprendere alcuni aspetti. Innanzitutto se le inferriate siano a protezione degli appartamenti del piano terra, per cui, in questo caso la funzione prevalente dell’inferriata sarebbe quella di proteggere l’appartamento e quindi di proprietà esclusiva del proprietario dello stesso. Oppure se si tratta di inferriate a grate piccoline, che consentono il passaggio dell’aria e della luce, ma non la inspectio verso il fondo del vicino. In questo caso le inferriate sarebbero di proprietà del fondo e non dell’appartamento perché non consentirebbero l’affaccio prospettico del proprietario dell’appartamento e costituirebbero un mezzo per proteggere questo fondo. A questo punto bisogna capire se il fondo sia di proprietà di tutti i condòmini o abbia un proprietario esclusivo. Da quello che si può intendere dal quesito del lettore, il fondo apparterrebbe a tutti i condòmini e quindi non vi sarebbe bisogno di proteggere alcunché dall’inspectio. Ragion per cui ritengo che queste inferriate abbiano una maggiore funzione di protezione dell’appartamento e, in quanto tali, la spesa per la ritinteggiatura andrebbe effettivamente ritinteggiate dal proprietario dello stesso. Mi riserverei di effettuare un ulteriore sopralluogo per sciogliere gli ultimi dubbi sulla proprietà del fondo.

REGISTRAZIONE DEI CONTRATTI DI LOCAZIONE: SOLIDARIETÀ TRA INQUILINO E PROPRIETARIO

[A cura di: Ance] Confermata la piena solidarietà, tra locatore e conduttore, relativamente all’obbligo di registrazione e pagamento dell’imposta di registro per i contratti di locazione di immobili, anche alla luce delle disposizioni contenute nella legge di Stabilità 2016.
In caso di omessa o tardiva registrazione del contratto di locazione è confermata, altresì, la possibilità di avvalersi del ravvedimento operoso, mediante il pagamento della sanzione ridotta rispetto a quella ordinaria applicabile in caso di accertamento formale della violazione.
Queste alcune delle risposte fornite dall’Agenzia delle Entrate ai quesiti formulati dalla stampa specializzata. Come noto, l’art. 1, co. 59, della legge di Stabilità 2016, modifica la normativa civilistica delle locazioni di immobili ad uso abitativo, stabilendo l’obbligo per il locatore di provvedere alla registrazione del relativo contratto di locazione, nel termine perentorio di 30 giorni dalla data della stipula.
Attenzione: l’art. 1, co. 59, legge n. 208/2015, ha riscritto ex novo il testo dell’art. 13 della legge 431/1998. In particolare, al co. 1, viene previsto che il locatore:
– deve provvedere alla registrazione del contratto di locazione nel termine perentorio di 30 giorni dalla sottoscrizione;
– una volta avvenuta la registrazione, nei successivi 60 giorni, deve dare “documentata comunicazione” al conduttore, nonché all’amministratore del condominio.
Sul punto, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che tale modifica non ha rilievo e non produce effetti sulla normativa fiscale dei contratti di locazione, secondo cui:
* tutte le parti contraenti (locatore e conduttore) sono obbligate a richiedere la registrazione del contratto di locazione, redatto mediante scrittura privata non autenticata (art. 10, co. 1, lett. a, del D.P.R. n. 131/1986);
* ed entrambi sono solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta dovuta (art. 57, co. 1, del D.P.R. n. 131/1986).
Sul punto, si ricorda che sia l’obbligo di registrazione del contratto, che il pagamento della relativa imposta grava, altresì, in via solidale, anche nei confronti dell’agente immobiliare, laddove con la propria attività abbia partecipato alla conclusione del contratto (art. 10, co. 1, d-bis e 57, co. 1-bis, del D.P.R. n. 131/1986).
Inoltre, l’Agenzia delle Entrate, anche alla luce delle citate modifiche apportate dalla legge di Stabilità 2016, conferma l’applicabilità della disciplina sanzionatoria prevista nelle ipotesi di omessa o tardiva registrazione del contratto di locazione, nonché la possibilità per le parti di avvalersi dell’istituto del ravvedimento operoso.
Attenzione: l’art. 13 del D. Lgs. n. 472/1997, prevede l’istituto del ravvedimento operoso che consente di regolarizzare la propria posizione con il Fisco versando una sanzione ridotta (che varia in funzione dei giorni di ritardo) rispetto a quella ordinaria applicabile. Affinché il ravvedimento possa ritenersi perfezionato, occorre che l’Amministrazione Finanziaria non abbia proceduto a contestare qualsiasi procedura di accertamento della violazione commessa.

ENTRATE, CIRCOLARE OMNIBUS, SESTA PUNTATA: L’ACQUISTO DAL COSTRUTTORE

Di seguito, la sesta puntata dell’approfondimento relativo alla Circolare n. 20/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha fornito tutti i chiarimenti fiscali inerenti le prescrizioni introdotte dalla legge di Stabilità, ivi compresi quelli aventi ad oggetto la casa, il condominio e il comparto immobiliare. Il focus di oggi è dedicato alle detrazioni per l’acquisto di immobili residenziali dal costruttore.

ACQUISTO IMMOBILI RESIDENZIALI DAL COSTRUTTORE
Il comma 56, al fine di favorire la ripresa del mercato immobiliare prevede che “Ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, si detrae dall’imposta lorda, fino alla concorrenza del suo ammontare, il 50 per cento dell’importo corrisposto per il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto in relazione all’acquisto, effettuato entro il 31 dicembre 2016, di unità immobiliari a destinazione residenziale, di classe energetica A o B ai sensi della normativa vigente, cedute dalle imprese costruttrici delle stesse. La detrazione di cui al precedente periodo è pari al 50 per cento dell’imposta dovuta sul corrispettivo d’acquisto ed è ripartita in dieci quote costanti nell’anno in cui sono state sostenute le spese e nei nove periodi d’imposta successivi”.
Il riferimento all’impresa costruttrice, inteso in senso letterale, escluderebbe dall’ambito di applicazione della norma le cessioni poste in essere dalle imprese di ripristino o ristrutturatrici, posto che in altri contesti tali imprese sono espressamente equiparate alle imprese edili, come nel testo dell’art. 10, comma 1, n. 8 bis del DPR n. 633 del 1972, concernente il regime IVA delle cessioni di immobili.
Tenuto conto, tuttavia, della finalità della disposizione in esame, l’espressione può essere intesa nel senso ampio di “impresa che applica l’Iva all’atto del trasferimento”, considerando tale non solo l’impresa che ha realizzato l’immobile ma anche le imprese di “ripristino” o c.d. “ristrutturatrici” che hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all’articolo 3, comma 1, lettere c), d) ed f), del Testo Unico dell’edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.
Tale interpretazione risulta coerente con la ratio della norma, diretta a “equilibrare” il costo degli oneri fiscali delle cessioni di unità immobiliari di tipo abitativo soggette ad Iva rispetto alle medesime operazioni soggette all’imposta di registro. Infatti, le cessioni di unità immobiliari di tipo abitativo soggette ad Iva e poste in essere dalle imprese costruttrici danno luogo ad un livello di imposizione più elevata, sia perché soggette ad aliquote di imposta più alte rispetto alle aliquote previste per l’imposta di registro sia perché determinate su base imponibile differente.
La base imponibile Iva, infatti, è costituita dal corrispettivo, mentre la base imponibile relativa alle cessioni di immobili abitativi poste in essere da soggetti privati è, nella maggior parte dei casi, costituita dal valore catastale.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia a quanto precisato nella circolare n. 12 dell’8 aprile 2016, par. 7.1.

TIPOLOGIA DI IMMOBILI AGEVOLABILI – LA PERTINENZA
Relativamente alla tipologia di immobili agevolabili, la nuova detrazione presuppone l’acquisto, direttamente dall’impresa costruttrice, nel periodo compreso tra gennaio e dicembre 2016, di una unità immobiliare a destinazione residenziale di classe energetica A o B, a prescindere da ulteriori requisiti. Infatti, la norma non limita il beneficio all’acquisto dell’abitazione principale, né sono previste esclusioni per gli immobili c.d. di lusso.
Rispetto alle pertinenze, quali, ad esempio, posto auto, cantina etc., la norma non esplicita nulla circa l’estensione del beneficio fiscale anche a tali unità immobiliari. Al riguardo, in conformità all’orientamento ormai consolidato dell’Agenzia delle Entrate, si ritiene possa applicarsi il criterio dell’estensione del beneficio fiscale spettante all’unità abitativa anche alla pertinenza, a condizione che l’acquisto della pertinenza avvenga contestualmente all’acquisto dell’unità abitativa e l’atto di acquisto dia evidenza del vincolo pertinenziale (cfr. Circolare n. 24/E del 2004, circolare n. 108/MEF del 1996 e risoluzione n. 181 del 2008).

IL CUMULO CON ALTRE DETRAZIONI
Il comma 56 non contiene una specifica disposizione che vieti il cumulo della detrazione in commento con altre agevolazioni in materia di IRPEF. In mancanza di un esplicito divieto in tal senso, si deve ritenere possibile che il contribuente che acquisti un’unità immobiliare all’interno di un edificio interamente ristrutturato dall’impresa di costruzione possa beneficiare sia della detrazione del 50 per cento dell’IVA sull’acquisto, sia della detrazione spettante ai sensi dell’art. 16-bis, comma 3, del TUIR. Tale ultima detrazione si applica, anche per il 2016, con l’aliquota del 50 per cento e deve essere calcolata sul 25 per cento del prezzo di acquisto dell’immobile, e comunque entro un importo massimo di 96.000 euro, ed è ripartita in 10 quote costanti.
Restando, tuttavia, fermo il principio generale secondo cui non è possibile far valere due agevolazioni sulla medesima spesa, la detrazione di cui al citato art. 16-bis, comma 3 del TUIR, non può essere applicata anche all’IVA per la quale il contribuente si sia avvalso della detrazione ex art. 1, comma 56, della legge di stabilità per il 2016.
Ad esempio, un contribuente che acquista da un’impresa di ristrutturazione un’unità immobiliare, con le agevolazioni “prima casa”, all’interno di un fabbricato interamente ristrutturato, al prezzo di 200.000 euro + IVA al 4%, per un totale di 208.000 euro, avrà diritto:
– alla detrazione, spettante ai sensi dell’articolo 1, comma 56, della legge di stabilità, del 50 per cento dell’Iva pagata sull’acquisto dell’immobile. Tale detrazione è pari ad euro 4.000 (8.000 x 50%);
– alla detrazione, spettante ai sensi dell’art. 16-bis, comma 3, del TUIR, del 50 per cento calcolato sul 25 per cento del costo dell’immobile rimasto a suo carico. Tale detrazione è pari ad euro 25.500 [(208.000 – 4.000) x 25% = 51.000 x 50%].
Ad analoga conclusione si giunge anche nel caso di realizzazione di box pertinenziale, anche a proprietà comune, acquistato contestualmente all’immobile agevolato ai sensi della disposizione in commento, relativamente al quale spetta anche la detrazione di cui all’art. 16-bis, comma 1, lett. d) del TUIR pari al 50 per cento del costo di realizzazione documentato dall’impresa.
Ad esempio, un contribuente acquista da un’impresa costruttrice un’unità immobiliare, con le agevolazioni “prima casa”, e un box pertinenziale. Il costo complessivo dell’immobile, comprensivo della pertinenza è pari a 200.000 euro + IVA al 4%, per un totale di 208.000 euro. Il costo di realizzazione del box è pari a 10.000 euro più IVA pari a 400 euro.
Il contribuente avrà diritto:
– alla detrazione del 50 per cento dell’Iva sull’acquisto dell’immobile comprensivo della pertinenza, pari a 4.000 euro:
– alla detrazione, spettante ai sensi dell’art. 16-bis, comma 1, lett. d) del TUIR, sul costo di realizzazione del box al netto dell’Iva portata in detrazione riferita a tale costo, pari a 10.200 euro (10.400 euro – 200 euro). La detrazione è pari al 50 per cento di tale importo e cioè 10.200 euro * 50% = 5.100 euro.

TRATTAMENTO FISCALE DEGLI ACCONTI
Con riguardo all’IVA versata per l’acconto corrisposto nel 2015, si precisa che la detrazione IRPEF in commento, in vigore dal 1° gennaio 2016, prevede che l’acquirente possa considerare in detrazione il “50% dell’importo corrisposto per il pagamento dell’IVA in relazione all’acquisto” di unità immobiliari effettuato o da effettuare “entro il 31 dicembre 2016”.
Ne consegue che, ai fini della detrazione ed in applicazione del principio di cassa, è necessario che il pagamento dell’IVA avvenga nel periodo di imposta 2016. Pertanto non è possibile fruire della detrazione con riferimento all’Iva relativa agli acconti corrisposti nel 2015, anche se il rogito risulta stipulato nell’anno 2016.
(omissis)

TINTEGGIATURA CONDOMINIO: IN CASO DI CONTRASTO CONTA IL TESTO DELIBERATO

Tinteggiatura delle scale: l’amministratore su mandato dell’assemblea approva il preventivo della ditta più economica, ma un condomino non vuole pagare. Ha le sue ragioni? È il quesito posto da uno spettatore nell’ambito della rubrica legale del Tg del Condominio. Di seguito la risposta fornita dall’avvocato Nunzio Costa, presidente dell’associazione Acap di Napoli.

In caso di contrasto vale il testo deliberato
D. In un’assemblea è stato deciso, con la maggioranza richiesta, di procedere alla ritinteggiatura dell’androne del condominio. Nell’occasione è stato dato mandato all’amministratore di procedere all’individuazione della ditta ed è stato verbalizzato tale incarico con la seguente formula: “L’amministratore è incaricato di chiedere tre preventivi ad altrettante ditte e successivamente di assegnare la realizzazione del lavoro a quella delle tre che presenterà il preventivo più economico”.
Ciò è stato fatto dall’amministratore, ed i lavori sono stati portati a compimento dall’impresa che aveva presentato il preventivo più economico. Ora un condomino ha rifiutato di pagare la sua quota di spesa, sostenendo che l’amministratore ha abusato dei suoi poteri perché avrebbe dovuto convocare una seconda assemblea nel corso della quale sottoporre i tre preventivi ai condòmini, lasciando agli stessi la scelta della ditta. Ha ragione?

Risponde l’avvocato Nunzio Costa
Il punto è determinato dal documento approvato dall’assemblea, che è l’unico elemento scritto che abbiamo. Nell’ambito dei contratti, se questo contratto è nullo, inapplicabile, inefficace dobbiamo semplicemente avere riguardo all’interpretazione del dato letterale, ovvero al dato scritto. Per fare chiarezza sulla questione posta dallo spettatore bisogna fare riferimento agli articoli del codice civile relativi ai criteri di interpretazione dei contratti (artt. dal 1362 al 1370). Innanzitutto, dobbiamo fare riferimento a quanto è stato verbalizzato in assemblea, da cui si evince che è stato dato all’amministratore l’incarico di andare a verificare l’esistenza di tre preventivi e che, in base al loro importo, verrà assegnata la realizzazione del lavoro alla ditta che avrebbe presentato il preventivo più economico. Sempre nel quesito si evince che tale procedura, in effetti, è proprio quella che ha seguito l’amministratore. In altre parole, è stata data compiuta ed esatta applicazione, nonché esecuzione, al deliberato assembleare. Il fatto che il condomino si rifiuti di pagare prefigura una situazione di contrasto: se il condomino ritiene che l’amministratore non abbia eseguito correttamente il deliberato assembleare, ha facoltà di impugnare il provvedimento preso dall’amministratore ai sensi dell’art. 1133 del codice (quindi non basta il semplice rifiuto di pagare). Dal canto suo l’amministrazione, nei confronti del condomino che si rifiuta di pagare, ha l’ulteriore mezzo proprio di contrasto (diventato obbligatorio con la novella legislativa) di procedere con quelli che sono gli atti esecutivi, tra cui, appunto, il decreto ingiuntivo.

ENTRATE, CIRCOLARE OMNIBUS, QUINTA PUNTATA: VIDEOSORVEGLIANZA E CREDITO D’IMPOSTA

Di seguito, la quinta puntata dell’approfondimento relativo alla Circolare n. 20/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha fornito tutti i chiarimenti fiscali inerenti le prescrizioni introdotte dalla legge di Stabilità, ivi compresi quelli aventi ad oggetto la casa, il condominio e il comparto immobiliare. Il focus di oggi è dedicato al credito d’imposta per l’installazione di sistemi di videosorveglianza.

Credito d’imposta per videosorveglianza 

Il comma 982 della legge di Stabilità 2016 introduce un credito d’imposta spettante alle persone fisiche che sostengono – non nell’esercizio di attività di lavoro autonomo o di impresa – spese per l’installazione di sistemi di videosorveglianza digitale o allarme, nonché connesse a contratti stipulati con istituti di vigilanza, dirette alla prevenzione di attività criminali. Il credito d’imposta è riconosciuto ai fini dell’imposta sul reddito, nel limite massimo complessivo di 15 milioni di euro per ‘’anno 2016. I criteri e le procedure per l’accesso al beneficio e per il suo recupero in caso di illegittimo utilizzo, nonché le ulteriori disposizioni ai fini del contenimento della spesa complessiva entro il limite sopra indicato saranno definiti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.