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TETTO, GRONDAIE E PLUVIALI: LA GIURISPRUDENZA DIVISA SULLA RIPARTIZIONE DELLE SPESE

[A cura di: Rodolfo Cusano – pres. onorario Acap]

 

In un condominio il proprietario del lastrico solare si è
opposto alla ripartizione delle spese ex art. 1126 c.c. sostenendo che esso
riguarda solo i lastrici solari. Per cui si chiede: come si ripartiscono le
spese per la ricostruzione – riparazione del tetto, delle grondaie e delle
pluviali?

Le spese per la manutenzione, la
riparazione e la ricostruzione del tetto, e dei manufatti che lo compongono e
lo sostengono, nonché dei suoi accessori (es. gronde e pluviali), sono
sopportate da tutti i condòmini, in proporzione alle rispettive quote
millesimali, salva diversa previsione del regolamento di condominio (art. 1123,
1° co., c.c.).

Nel caso cui l’edificio abbia più tetti o
si componga di più corpi di fabbrica, strutturalmente e funzionalmente
autonomi, e le opere di riparazione riguardino taluno soltanto di questi tetti,
le spese relative sono sopportate, ai sensi dell’art. 1123, ult. co., c.c.,
sempre in base ai millesimi di proprietà, dai soli condòmini le cui unità
immobiliari siano coperte dal tetto da riparare e si trovino nella proiezione
verso il basso dei suoi lati. Analogo criterio opera nell’ipotesi in cui il
tetto copra una parte soltanto dell’edificio.

Può aversi l’ipotesi, poi, che il tetto, pur avendo funzione
di copertura dei piani sottostanti, sia di proprietà esclusiva o in uso
esclusivo di un condòmino: in tal caso, la spesa relativa alla sua manutenzione
va ripartita in base all’art. 1126 c.c., sì da gravare per 1/3 sul
titolare esclusivo del diritto di proprietà e per i restanti 2/3 sui condòmini
delle unità immobiliari a cui il tetto serva, in proporzione del piano o della
porzione di piano di ciascuno di essi.

Non possiamo non ricordare che recentemente la Cassazione,
con sentenza n. 27154 depositata il 22 dicembre 2014, ha operato un vero e
proprio cambio di indirizzo in ordine al riparto delle spese di riparazione
degli elementi considerati accessori del tetto. Infatti, la S.C.,
pronunciandosi sull’impugnativa da parte di alcuni condòmini della delibera
condominiale che aveva stabilito in ordine alla spesa per la manutenzione delle
gronde, la ripartizione secondo il criterio di cui all’art. 1126 c.c., anziché
in base a quello di cui all’art. 1125, 3° comma, c.c. ha stabilito che le
grondaie, così come i doccioni e i canali di scarico delle acque meteoriche del
tetto di uno stabile condominiale, svolgendo una funzione necessaria all’uso
comune sono parti comuni dell’edificio ai sensi dell’art. 1117 c.c. e pertanto
le spese necessarie per la loro riparazione, manutenzione o sostituzione vanno
ripartite tra tutti i condòmini.

“A prescindere dal fatto che la copertura del fabbricato sia
costituita da tetto a falda o da lastrico solare di proprietà esclusiva, ha
spiegato, infatti, la Corte, l’esistenza delle gronde “rimane indispensabile
per raccogliere e smaltire le acque piovane, poiché le stesse convogliano le
acque meteoriche dalla sommità dell’edificio fino a terra o a scarichi fognari
e svolgono quindi funzione che prescinde dal regime proprietario del terrazzo
di copertura, salva anche la facoltà di un uso più intenso che, compatibilmente
con il disposto del’art. 1102 c.c., possa farne il proprietario del terrazzo
stesso per suoi usi”.

Pertanto, ha concluso la S.C. accogliendo il ricorso e
cassando la sentenza della Corte d’Appello di Napoli, “la proprietà esclusiva
del lastrico o terrazzo dal quale provengano le acque che si immettono nei
canali non muta questo regime, giacché l’art. 1126 c.c. disciplina soltanto le
riparazioni o ricostruzioni del lastrico propriamente inteso e non di altre
parti dell’immobile, la cui esistenza è, per esso, indipendente da quella del
lastrico, salvo che altrimenti risulti espressamente dal titolo”.

Sul punto
esiste un contrasto di giurisprudenza che speriamo venga colmato al più presto
con la rimessione della questione alle Sezioni Unite della Cassazione.

 

CONFEDILIZIA: CONTESTA IL NUOVO ISEE: “PENALIZZA I PICCOLI PROPRIETARI IMMOBILIARI”

 

[A cura di: Corrado Sforza Fogliani – presidente
Confedilizia]

 

Il nuovo Isee – in vigore dal primo gennaio 2015 –
costituisce di fatto una nuova tassazione della casa, falsa e surrettizia, a
danno soprattutto dei piccoli proprietari, e cioè della stragrande maggioranza.
Infatti il calcolo del valore degli immobili deve ora essere effettuato sulla
base del loro valore quale definito ai fini Imu. Ciò comporta automaticamente
l’esclusione dalle prestazioni sociali agevolate di un alto numero di
proprietari di casa, che a tali prestazioni avevano invece diritto sulla base
del precedente indicatore, fondato sull’imponibile Ici. Come noto, infatti, ai
fini dell’Imu il valore delle abitazioni è stato elevato del 60% per effetto
dell’aumento – del tutto slegato dalla realtà e finalizzato solo ad acquisire
maggior gettito – dei moltiplicatori catastali. Insomma, con il nuovo Isee – ha
rilevato la Confedilizia, inascoltata dalla maggioranza tutta – numerosi
proprietari di casa, pur non avendo visto accresciuto il proprio tenore di
vita, che si è al contrario ridotto per far fronte alla pesante tassazione
costituita dall’Imu, perdono automaticamente il diritto ad usufruire di
prestazioni di natura sociale e assistenziale quali, ad esempio: assegni
familiari; assegni di maternità; riduzione delle rette degli asili nido;
riduzione del costo delle mense scolastiche; riduzione delle rette delle case
di cura per anziani; agevolazioni per utenze gas, telefono, elettricità;
esenzione per le prestazioni sanitarie; riduzione delle tasse universitarie.
Con l’effetto di accrescere la discriminazione nei confronti dell’investimento
immobiliare già insita nella componente patrimoniale dell’Isee.

CRONACA FLASH

Getta armi da finestra,

fermato dai carabinieri

Un ragazzo di 22 anni è stato arrestato dai carabinieri di Cosenza e posto ai domiciliari, con l’accusa di detenzione illegale di armi e munizioni. Nel corso di una perquisizione a casa del giovane, i militari lo hanno placcato mentre tentava di disfarsi di due pistole gettandole dalla finestra. I carabinieri hanno poi recuperato una pistola calibro 6,35, una calibro 9 con matricola abrasa e munizioni varie.


Droga e banconote false

nell’alloggio: arrestato

In provincia di Catanzaro i carabinieri hanno tratto in arresto e messo a domiciliari un uomo di 51 anni per detenzione illecita di droga a fini di spaccio e possesso di denaro falso. Durante la perquisizione effettuata dai militari, sono stati rinvenuti 80 grammi di marijuana, una banconota da 100 euro risultata contraffatta e un bilancino di precisione, prontamente sequestrati. 


Coltiva marija in casa

Cane poliziotto lo scopre 

La Guarda di Finanza di Ravenna ha arrestato un uomo di 43 anni che aveva creato un sistema ad hoc per la coltivazione di marijuana in casa. L’impianto era costituito da tubi in pvc perforati per ospitare le piantine di canapa indiana, con un temporizzatore di irrigazione e riciclo delle acque, sistemi di aerazione della camera buia e di illuminazione per creare l’effetto sole. I militari sono arrivati all’uomo grazie al fiuto di un labrador dell’unità cinofila di Ravenna, che lo ha puntato mentre passeggiava con un amico. 


Uccisa a martellate

per lite condominiale

Una lite condominiale sfociata in tragedia. È accaduto in provincia di Caserta. La vittima è una donna di 59 anni, una professoressa delle scuole superiori. L’uomo, di 51 anni, la ha presa a martellate togliendole così la vita. L’aggressore è stato poi fermato dalla polizia con l’accusa di omicidio.


Furti in alloggi: manette

anche per donna incinta

Una piccola banda, apparentemente insospettabile, si aggirava in una cittadina della provincia di Napoli per compiere una serie di furti in appartamenti. Due donne, di cui una in stato interessante, sono state arrestate dalla polizia. Gli agenti hanno recuperato anche alcuni monili in oro e argento, il cui valore è in corso di quantificazione. I poliziotti stanno indagando anche su altri furti commessi in zona.

CONDOMINIO: IL DECORO ARCHITETTONICO COME “PARTE COMUNE IMMATERIALE”

[A cura di: avv. Roberto Negro – Centro Studi APPC]


Si segnala, in quanto meritevole almeno di un breve esame della stessa, la sentenza della Corte Cass. Civ., Sex. II, n. 20985 del 6 ottobre 2014. Detta pronuncia faceva riferimento a  una fattispecie di installazione di impianto/i di condizionamento apposto/i nella facciata esterna di un condominio. La Suprema Corte ha ritenuto che il regime di disciplina dell’innovazioni ai sensi dell’art. 1120 cod. civ. fa sì che sia irrilevante una eventuale autorizzazione alle opere, nella specie condizionatori, in facciata esterna condominiale, da parte della autorità amministrativa, in quanto il rapporto tra condomino o condòmini esecutore/i dell’opera/e, non può incidere negativamente sulle posizioni soggettive degli altri condòmini. 

Ed infatti, una volta accertato il fatto che “il fabbricato aveva struttura e linee architettoniche residenziali ed era inserito in ambito paesaggistico protetto”, si poteva ritenere corretta l’applicazione dell’art. 1120 cod. civ. ritenendo costituire innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale e pertanto vietata non solo quella che alteri le linee architettoniche dell’edificio stesso, ma anche quella che, in ogni caso, viene a riverberarsi in maniera negativa “sull’aspetto estetico ed armonico dell’edificio condominiale”. 

Su tale premessa, aggiunge la Corte che i rapporti tra esecutore delle opere e la pubblica autorità non possono incidere negativamente “sulle posizioni soggettive”, degli altri condòmini, ai sensi dell’art. 1120 cod. civ. comma 2, essendo imprescindibile e necessaria la preservazione del “decoro architettonico” dell’edificio. 

La sentenza qui brevemente commentata indica l’importante principio per cui l’opera del condomino non può riverberarsi negativamente sull’insieme “dell’armonico aspetto dello stabile”. In definitiva, pare la Corte abbia ritenuto come una sorta di bene condominiale l’insieme architettonico di un edificio condominiale, applicando in maniera estesa i principi dell’art. 1120 c.c., nonché dell’art. 1102 c.c. Il decoro architettonico di un edificio è da salvaguardare pertanto come “bene primario” e viene così ad essere una sorta di parte comune “immateriale” dell’edificio condominiale; tale principio pare anche compatibile con una funzione di natura sociale della proprietà privata, ai sensi anche della normativa costituzionale in materia, e tenuto conto del generale principio di conservazione delle entità immobiliari in condominio nel loro profilo paesaggistico ed estetico e al fine di un corretto inserimento dell’edificio in condominio nell’ambiente e nella texture di tipo economico, paesaggistico e sociale in cui il condominio viene ad essere inserito.



LA DISDETTA DEL CONTRATTO DI LOCAZIONE: NORME, GIURISPRUDENZA E CASI PARTICOLARI

[A cura di: Paolo Ciri – delegato Uppi]


Si fa presto a dire “disdetto il contratto”. Prima di pensare di aver sciolto ogni legame sarà bene esaminare una serie di dettagli.

Ad esempio: da quando vale la disdetta del contratto di locazione o affitto? Dal giorno di spedizione o dal giorno di ricezione? La disdetta (atto unilaterale recettizio) ha valore dal momento in cui chi la riceve ne ha conoscenza, cioè da quando legge la lettera. L’articolo 1334 del Codice Civile, infatti, recita: “Gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati”. 

D’altra parte, la raccomandata, per il disposto dell’art. 1335 del Codice Civile, si presume letta il giorno stesso in cui è stata ritirata, benché si possa dare (ma è difficile) prova contraria. Va da sé che quando la disdetta viene data e ricevuta per “raccomandata a mano” la conoscenza è immediata, alla firma. Vi è poi la eventualità che la raccomandata non venga ritirata. In questo caso si ha per letta al giorno di compiuta giacenza, il trentesimo giorno dopo l’arrivo. Con lo svantaggio, per il soggetto che la ha ricevuta, di non conoscere nemmeno cosa ci fosse scritto. In merito vedasi Cassazione Civile n. 1188/2014,, n. 16327/2007, n. 6527/2003, n. 2847/1997.


LA DECORRENZA

Supponiamo, per esempio, che il termine di preavviso sia quello di legge, sei mesi. Dal giorno di ricezione, o di compiuta giacenza della raccomandata, passeranno sei mesi e poi il contratto sarà sciolto, sempre che la disdetta sia data validamente. Però, salvo diversa pattuizione, gli affitti si “acquistano” (e si pagano) a periodi mensili. Percui, se il sesto mese dalla ricezione scade oltre il termine mensile del contratto si dovrà pagare anche una ulteriore mensilità. Ad esempio, un contratto che decorre dal primo marzo e la cui disdetta arriva il giorno 6 giugno comporterà, nei fatti, il pagamento di sette mesi di preavviso: da giugno a dicembre compresi, perché i sei mesi decorrono dal 1° luglio, il “primo del mese” successivo alla ricezione. 


L’INDIRIZZO

Un problema a parte è quello della corretta individuazione dell’indirizzo del destinatario (domicilio contrattuale, legale o elettivo che sia). È bene individuarlo con precisione e correttezza nel contratto, ed individuare anche le alternative per il caso esso venga a mutare: questa è una possibilità offerta dall’articolo 141 del Codice di Procedura Civile. Ad esempio, molto spesso non si riesce a scrivere né a notificare all’inquilino che ha lasciato l’immobile locato, non conoscendone il domicilio attuale. In mancanza di specifiche clausole si rischia di scrivere ad un indirizzo non più valido, né giuridicamente né di fatto. Vedasi in proposito Cassazione Civile 10751/1991 o 6471/1987 o 17040/2003  o, infine,   2642/2013.


IL PERIODO

Per quanto riguarda il potere di dare validamente disdetta di un contratto di locazione o affitto “alla fine del periodo”, premettiamo che per “periodo” si intende il “gruppo” di anni per i quali ci si impegna. Ad esempio, il quadriennio nei contratti liberi, il primo triennio ed i successivi bienni per i concordati, la durata di sei anni ed i successivi gruppi di sei per i contratti commerciali (e 9 per gli alberghi). Questi tempi non si possono “limitare” nella vigenza della legge 392/79 (art. 79) mentre per quanto è ora regolamentato dalla 431/98 vale l’articolo 13 comma 3 che vieta di “derogare i limiti”, quindi, a rigore, anche di allungarli. Però la prassi e la giurisprudenza lo interpretano nel senso che la deroga è vietata se comprime i tempi, è tollerata se li espande, a beneficio dell’inquilino che si assicura il godimento per un periodo più lungo. Vero pure che queste logiche, in periodi di recessione e deflazioni, andrebbero riparametrate, ma, per ora, abbiamo ancora la mentalità che quelle leggi ispirò. La “allungabilità” della durata dei periodi dei contratti commerciali è confermata dalla disposizione di cui all’articolo 16-duodecies del D.L. 207/2008 convertito in legge 14/2009. Autorizza l’applicazione di una adeguamento Istat superiore al limite del 75% per qui contratti che prevedano periodi più lunghi del minimo di legge. 

Tutto ciò premesso chiariamo che l’inquilino può validamente dare disdetta alla scadenza di ciascun periodo di locazione. 


I GRAVI MOTIVI

In caso di gravi motivi l’inquilino può dare disdetta in ogni momento, ma con un anticipo, rispetto al rilascio, di sei mesi, come per legge. Ovviamente non significa, come volgarmente si dice, che l’inquilino non se ne può andare prima del decorso del sesto mese. Può andarsene, è chiaro, ma deve continuare a pagare i canoni fino alla scadenza del sesto mese dalla conoscenza della disdetta.

Ma quali sono i “gravi motivi”? Già nel 2005 la Cassazione diede una precisa definizione, che ancora oggi resiste, tanto è appropriata: Cassazione Sezione III, sent. n. 15620/ 2005: “I gravi motivi devono collegarsi a fatti estranei alla volontà del conduttore, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto”. Così poi anche Cassazione 5911/2011, 10980/1996, 260/91, 11466/92, 1098/94, 5328/2007, 12291/2014. Un elenco puramente esemplificativo: trasferimento della sede di lavoro, perdita del lavoro, condizioni di salute aggravatesi ed incompatibili con l’alloggio attuale, malattie di parenti stretti che richiedono un trasferimento per l’assistenza ed anche motivi meno tristi, come il fatto che nuove nascite allargano la famiglia e quindi l’alloggio non è più sufficiente. Secondo alcuni vale anche la inidoneità materiale o sanitaria dell’immobile. Ma io direi che qui siamo nel campo della risoluzione per inadempimento, posto che il locatore deve mantenere la cosa locata in stato da servire all’uso convenuto (art. 1575 c.c.).


LE DEROGHE

Contrattualmente, cioè con l’accordo di tutte le parti, si può derogare a questa modalità legale di disdetta da parte dell’inquilino: si può prevedere un termine più breve (ma non invece maggiore) e si può concedere il c.d. “recesso libero”. Cioè la possibilità di dare disdetta senza i gravi motivi. Anzi, a questo punto, senza motivo alcuno. Semplicemente per scelta. Ed è questa la modalità più praticata, nei fatti.

Il proprietario/locatore può dare disdetta solo alla scadenza del secondo periodo di locazione o dei successivi. Può darla anche alla fine del primo periodo, ma solo in casi eccezionali e tassativamente previsti dall’articolo 3 della legge 431/98. È bene utilizzare questa possibilità con cautela e correttezza, perché, in caso contrario, il danno da risarcire all’ex inquilino è, come minimo, 36 volte il canone di locazione. 


CASI PARTICOLARI

A volte la disdetta viene data da uno solo degli inquilini o da uno solo dei proprietari. La disdetta di un solo conduttore è valida se viene seguita dalla accettazione o da fatti concludenti degli altri. Se invece uno degli altri manifesta l’intenzione di proseguire il contratto, stante la obbligazione passiva solidale, la disdetta non è valida. L’altro inquilino (o gli altri) può proseguire il rapporto contrattuale, pagando l’intero canone. Può anche essere prevista la locazione di una parte esclusiva e delle parti comuni. E qui, allora, non saremo in presenza di un pluralità di inquilini, perché ogni contratto avrò un inquilino, probabilmente. Oppure può essere prevista la parziarietà della obbligazione del pagamento. Allora se un solo inquilino disdetta, gli altri rimarranno e pagheranno solo la loro quota. Ma questo caso è raro, nella prassi.

Dalla parte di proprietari invece si applica il principio del “consenso presunto e reciproco di ciascuno dei comproprietari all’atto di amministrazione compiuto dal singolo”. Vedasi Cassazione Civile n. 14772/2004,. n. 19929/2008, n. 8996/2005, n. 5077/2010. Ma l’atto di gestione di uno dei comproprietari si presume effettuato col consenso degli altri solo se gli altri non manifestano esplicitamente una volontà contraria. A quel punto, per dirimere la questione, non resta che una “assemblea di comunione”, simile a quella di condominio, ove si vada a votare secondo le proprie quote di proprietà (art. 1105 Codice Civile).


QUALI EFFETTI

In conclusione si noti che il momento preciso di validità della disdetta rileva per una serie di adempimenti, non solo nei rapporti proprietario/inquilino: operazioni di riconsegna, registrazione della risoluzione alla Agenzia delle Entrate, eventualmente cessazione della agevolazione Imu sui contratti concordati, disdetta della TAriffa RIfiuti, disdetta delle varie utenze, cambio della residenza, calcolo delle quote condominiali spettanti all’inquilino. 

DA ALLOGGIO A STUDIO: BISOGNA MODIFICARE LE TABELLE MILLESIMALI DEL CONDOMINIO?

[A cura di: avv. Rodolfo Cusano – pres. onorario Acap]

 

Nel fabbricato condominiale un avvocato ha trasformato la
sua abitazione in studio professionale. È tenuto alla modifica delle tabelle
millesimali a sua cura e sue spese? L’assemblea può costringerlo a ciò? Il
quesito, specifico, chiama in causa principi di portata generale.

Il vecchio testo dell’art. 69 Disp. Att. prevedeva che i
valori proporzionali dei vari piani o porzioni di piano possono essere riveduti
o modificati, anche nell’interesse di un solo condomino, nei seguenti casi:

* quando risulta che sono conseguenza di un errore;

* quando, per le mutate condizioni di una parte
dell’edificio, in conseguenza della sopraelevazione di nuovi piani, di
espropriazione parziale o di innovazioni di vasta portata, è notevolmente
alterato il rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di
piano.

Per cui, trattandosi di non rilevante modifica, si riteneva
che la semplice trasformazione da abitazione a studio non comportasse l’obbligo
della modifica delle tabelle millesimali.

A seguito della riforma del condominio, il nuovo testo
dell’articolo in esame specifica, ora, che:

1. i valori proporzionali delle singole unità immobiliari
espressi nella tabella millesimale possono essere rettificati o modificati
all’unanimità;

2. nei casi di seguito indicati, però, la revisione o la
modifica dei millesimi può essere deliberata dall’assemblea, anche nell’interesse
di un solo condomino, con il voto favorevole del 50% + 1 degli intervenuti, in
rappresentanza di almeno la metà del valore dell’edificio; ciò è possibile:

a) quando risulta che sono conseguenza di un errore;

b) quando, per le mutate condizioni di
una parte dell’edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di
superfici, di modificazione delle destinazioni d’uso o di incremento o
diminuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di 1/5 il valore
proporzionale dell’unità immobiliare anche di un solo condomino (in tal caso,
peraltro, il relativo costo è sopportato da chi ha dato luogo alla variazione);

Quindi, a seguito della riforma, il più generico riferimento
alla notevole alterazione è stato sostituito con il superamento dell’incremento
o diminuzione del valore proporzionale dell’appartamento per più di un quinto.
Per cui da oggi in poi occorrerà stabilire il valore dell’immobile e poi
decidere in base ai prezzi in comune commercio se la modifica ha dato oppure no
luogo ad un incremento di almeno il 20 per cento del prezzo dell’immobile. Ciò
può accadere ad esempio nel caso in cui il fabbricato sia ubicato in un luogo
molto centrale della città ed in una posizione favorevole alla nuova
destinazione: in genere ai piani bassi. Diciamo che sul punto è meglio però
dotarsi di una perizia tecnica di stima.

Non comporta modifiche della tabella millesimale, invece, il
frazionamento di un’unità immobiliare in più unità. In tale evenienza, infatti,
non si verifica alcuna delle condizioni previste dall’articolo 69 disp. att.
c.c., perché la somma delle nuove quote risulta uguale a quella precedente, per
cui si può procedere con una semplice operazione matematica al fine di
aggiornare le tabelle millesimali alle mutate condizioni dell’edificio.

 

 

RISTRUTTURAZIONI ED EFFICIENZA: COME OPERANO LE DETRAZIONI FISCALI IN CONDOMINIO

[A cura di: Andrea Cartosio – ist. naz. Tributaristi


 Questa disamina è tratta dal terzo capitolo delle guide fiscali realizzate per Italia Casa e Quotidianodelcondominio.it da Andrea Cartosio, tributarista in Ovada. La trattazione riguarda la materia delle detrazioni fiscali in condominio per i lavori di ristrutturazione ed efficienza energetica. La legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 23 dicembre 2014) di fatto non ha stravolto il precedente impianto normativo, poiché ha concesso nuovamente la proroga (al 31 dicembre 2015) della detrazione fiscale Irpef del 50%, con un tetto massimo di spesa per unità immobiliare pari a 96.000 euro. Inoltre, sono state prorogate le detrazioni per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici, prevedendo una detraibilità di spese documentate (dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2015), calcolata su un massimo di 10.000 euro.

Confermate anche le detrazioni del 65% per interventi antisismici in zone dove tale pericolo risulta rilevante. In aggiunta, la legge di stabilità 2015 ha previsto che dal 1° gennaio 2016 la detrazione relativa a lavori di ristrutturazione tornerà alla misura ordinaria del 36% con il limite di 48.000 euro per unità immobiliare, salvo ulteriore proroga.

Ecco le detrazioni in essere dal 1° gennaio 2015.


Ristrutturazione edilizia

Come già detto, queste detrazioni godono di uno sgravio fiscale Irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche) nella misura del 50%, con un limite di spesa pari a 96.000 euro per unità immobiliare. Qualora gli interventi di ristrutturazione edilizia siano realizzati su fabbricati adoperati ad uso promiscuo anche per l’attività di impresa, la succitata detrazione verrà ridotta nella misura del 50%. Nulla viene modificato in materia condominiale, poiché farà sempre fede la data del bonifico con cui l’amministratore ha effettuato il pagamento.

Gli interventi oggetto della detrazione per ristrutturazione edilizia, da intendersi genericamente come lavori di recupero del patrimonio edilizio esistente, sono:

* opere di manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici, nonché interventi mirati al loro restauro, al risanamento conservativo ed alla ristrutturazione edilizia (lavori di cui all’articolo 3, comma 1, lettere a), b), c), d) del D.P.R. 06/06/2001 n. 380;

* eliminazione delle barriere architettoniche;

* interventi di protezione mediante sistemi di allarme, installazione impianti di videosorveglianza, apposizione di inferriate alle finestre, sostituzione o posa di porte blindate per l’accesso alle unità abitative;

* installazione, sostituzione e rafforzamento di cancellate e recinzioni;

* adozione di vetri antisfondamento;

* montaggio di casseforti a muro.

Gli interventi di manutenzione ordinaria sono detraibili unicamente se realizzati su parti comuni condominiali, quindi non sono ammessi al beneficio fiscale se eseguiti nell’ambito di proprietà private. È data possibilità di usufruire della detrazione sulle spese di ristrutturazione inerente i settori sopra elencati a tutti i contribuenti gravati della contribuzione Irpef, ossia dall’imposta sul reddito delle persone fisiche, siano esse residenti o meno nel territorio dello Stato Italiano. Tali agevolazioni spettano a tutti i seguenti titolari di diritti reali di godimento sugli immobili:

* proprietari o nudi proprietari;

* titolari di diritto reale di godimento quale per esempio l’usufrutto;

* locatari e comodatari;

* soci di cooperative divise e indivise;

* imprenditori individuali per i soli immobili non facenti parte di beni strumentali o merce;

* soggetti indicati nell’art. 5 del TUIR;


Interventi ammessi

Tra gli interventi ammessi a fruire della detrazioni fiscale,spiccano i seguenti.

* Manutenzione ordinaria: interventi di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e necessari ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti, purché eseguiti su parti comuni condominiali identificate dall’art. 1117, commi 1,2 e 3, deliberati in assemblea, la cui ripartizione delle spese di norma verrà fatta su base millesimale;

* Manutenzione straordinaria: alcune tipologie dei lavori che seguono sono state fatte confluire in questa categoria d’intervento dal D.L. n. 133/2014, andando a modificare l’impianto normativo già esistente nel Testo Unico ed a titolo esemplificativo rientrano nella manutenzione straordinaria gli interventi appresso elencati:

a) rinnovamento o sostituzione di parti strutturali degli stabili;

b) realizzazione o integrazione di servizi tecnologici, igienico-sanitari;

c) frazionamento o accorpamento di unità immobiliari;

d) installazione ascensori e montascale;

e) sostituzione d’infissi;

f) rifacimento e costruzione di scale e rampe;

g) interventi mirati per il risparmio energetico.

* Risanamento e restauro conservativo: interventi mirati alla conservazione dell’unità immobiliare, come ad esempio:

a) eliminazione situazioni di pericolosità e degrado;

b) adeguamento delle altezze dei locali sottotetto rispetto alle volumetrie in essere;

c) apertura di finestre per areazione di locali.

* Ristrutturazione edilizia: vengono considerati tali gli interventi di maggiore invasività rispetto ai precedenti, che a lavori finiti possono generare un organismo edilizio totalmente o parzialmente diverso dall’originario.


Fruizione dei bonus

Per potere usufruire delle detrazioni fiscali, il singolo cittadino o il condominio, e per quest’ultimo il suo amministratore, dovranno effettuare i pagamenti tramite bonifico bancario o postale recante l’apposito riferimento normativo, come disciplinato dall’articolo 16-bis del D.P.R. n. 917/1986, con le modalità di cui al D.M. 18/02/1998 n° 41. Inoltre dovranno essere indicati il codice fiscale del soggetto interessato alle detrazioni e conseguentemente il codice fiscale/partita IVA della ditta e/o artigiano a cui sono stati affidati i lavori.

In caso di più proprietari di una stessa unità immobiliare oggetto d’intervento, qualora tutti vogliano godere delle detrazioni d’imposta, bisognerà effettuare il bonifico come appena descritto avendo l’accortezza di inserire tutti i codici fiscali dei beneficiari della detrazione. In fase di dichiarazione dei redditi, ciascun contribuente dovrà indicare i dati catastali identificativi dell’unità immobiliare e l’importo della detrazione di propria competenza per quota. Nel caso fosse il conduttore a godere di tali detrazioni, dovranno essere inseriti gli estremi dell’atto che lo lega all’unità immobiliare oggetto d’intervento. 

La documentazione attestante i lavori ammessi alla detrazione d’imposta dovrà essere conservata per tutta la durata di dieci anni. Gli interventi di recupero edilizio e le relative agevolazioni fiscali che godono di un benefit di detrazione pari al 65% non sono cumulabili. In caso si fosse in presenza d’intervento costituito da più lavorazioni rientranti in entrambe le casistiche, il contribuente dovrà scegliere quale beneficio fiscale utilizzare per ciascuna di esse.


Detrazioni in condominio

I condomini che sostengono le spese per gli interventi effettuati su parti comuni condominiali possono godere delle detrazioni fiscali. L’amministratore, come detto in precedenza, dovrà effettuare bonifici dedicati alle ristrutturazioni o alla riqualificazione energetica dal conto corrente condominiale recanti la dicitura analoga a quelli eseguiti dai privati. Inoltre, dovrà necessariamente inserire il codice fiscale proprio e del condominio, nonché la partita Iva dell’impresa. In caso di condomino-amministratore la procedura resta invariata.

Per fare in modo che i condòmini possano portare in detrazione le spese, l’amministratore dovrà rilasciare a ciascuno di essi presenti nell’intestazione del versamento dagli stessi effettuato al condominio per la corresponsione della propria quota, una certificazione dei pagamenti nella quale dovrà essere evidenziata l’unità immobiliare di pertinenza e la cifra effettivamente corrisposta. Per evitare problematiche in fase di certificazione, è buona norma da parte dell’amministratore portare a conoscenza i condòmini di tale esigenza, poiché chi non risulta come nominativo nel pagamento inoltrato al condominio non potrà usufruire delle detrazioni.

Esempio. A e B sono comproprietari di un’unità immobiliare sita nello stesso condominio ed entrambi vogliono usufruire delle detrazioni fiscali. Il versamento effettuato allo stabile è intestato solo al condominio A, senza che risulti il nominativo del condomino B. In tal caso l’amministratore dovrà rilasciare la certificazione del pagamento, ai fini della detrazione fiscale dell’importo versato, solo al condomino A. È importante che l’amministratore rilasci la certificazione esatta per non incorrere in prima persona in sanzioni e secondariamente per non indurre in errore il condomino al momento della dichiarazione dei redditi.

Novità introdotta dalla legge di stabilità 2015 è l’innalzamento della ritenuta d’acconto operata dalla banca/posta sulle fatture oggetto di pagamento; difatti non risulta più trattenuta la percentuale del 4%, ma dal 1° gennaio 2015 la trattenuta è pari all’8%. Tale ritenuta sarà certificata al fornitore entro il 28 febbraio dell’anno successivo dalla banca/posta, pertanto non dovrà essere inserita dal condominio nel modello della Certificazione Unica.


Vendita bene avente bonus

Talvolta può verificarsi il caso che l’immobile oggetto d’intervento di recupero edilizio sia alienato da parte del proprietario prima che sia trascorso l’intero periodo di fruizione della detrazione fiscale. In tal caso la ratio vuole che il diritto di godimento delle detrazioni non ancora utilizzate venga trasferito in capo al nuovo proprietario, salvo diversa pattuizione ante trasferimento di proprietà. Dunque ne consegue che, qualora il venditore voglia mantenere la possibilità di usufruire di tali detrazioni, al momento dell’atto dovrà specificarlo. 

In caso di conduttore o locatore che durante la locazione abbia sostenuto spese per il recupero edilizio, potrà continuare a conservare tale diritto anche se non più vigente il rapporto locativo. In caso di decesso del titolare della detrazione il diritto viene trasferito all’erede.


Iva su lavori detraibili

Un’ulteriore agevolazione è stata concessa al contribuente da parte dell’amministrazione finanziaria, ovvero è stata confermata l’applicabilità dell’Iva ridotta al 10%, nei limiti di cui all’articolo 7, comma 1, lettera b) della Legge n. 488/1999 per quel che concerne le cessioni di beni significativi, negli interventi citati nel D.M. del 29 dicembre 1999, atti al godimento delle detrazioni fiscali ovvero:

* sostituzione di infissi;

* interventi mirati alla sicurezza, allarmi, videocitofoni ecc…;

* installazione nuove caldaie;

* sanitari e rubinetteria da bagni;

* installazione ascensori o montacarichi;

* apparecchiature di condizionamento per il riciclo dell’aria.

ALLOGGIO IN CONDOMINIO: PARTI COMUNI NON POSSONO ESSERE ESCLUSE DA COMPRAVENDITA

[A cura di: avv. Paolo Ribero]


Nuovamente la Corte di Cassazione è stata chiamata a ribadire un principio – ormai consolidato – secondo cui l’art. 1117 C.C. non contiene un’elencazione tassativa ma solo esemplificativa delle cose comuni, essendo tali, salvo risulti diversamente dal titolo, anche quelle aventi un’oggettiva e concreta destinazione al servizio della cosa comune di tutte o di una parte soltanto delle unità immobiliari di proprietà individuale.

Con la sentenza n. 1680, depositata il 29 gennaio 2015, la Suprema Corte ha ribaltato una decisione della Corte di Appello di Palermo relativa alla possibilità di escludere nell’atto di compravendita di un appartamento la proprietà di alcune parti comuni. Il caso sottoposto alla Corte riguardava l’acquisto effettuato da un ottico di un locale al piano terra e di locali al piano superiore collegati dal dante causa con una scala interna in modo che i clienti non dovessero usufruire della scala condominiale: nell’atto d’acquisto veniva previsto che l’unità immobiliare compravenduta non avrebbe avuto accesso alla scala condominiale (accesso che era stato impedito con la costruzione di un muro).

La vertenza ha oggetto la nullità di detta clausola. 

Il Tribunale accertava la nullità della clausola ed il diritto dell’attore a ripristinare l’accesso al proprio immobile dal corridoio comune. Tale decisione veniva riformata dalla Corte d’Appello che riteneva che il titolo d’acquisto non includeva il corridoio e questo non era annoverato tra le parti comuni dall’art. 1117 c.c.

La Suprema Corte ha ravvisato errori nella decisione della Corte d’Appello ribadendo con la sentenza in esame (n. 1680/2015) che la giurisprudenza della Cassazione “ha chiarito già da tempo che l’art. 1117 c.c. non stabilisce una presunzione legale di comunione per le cose in esso indicate nei n. 1, 2 e 3, ma dispone che detti beni sono comuni a meno che non risultino di proprietà esclusiva in base a un titolo; e che il criterio d’individuazione delle cose comuni dettato da tale norma non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (Cass. S.U. n. 7449/93)”.

Da tale premessa è derivata l’affermazione che la clausola, contenuta in un contratto di vendita di un appartamento sito in un edificio in condominio, con cui sia esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune parti comuni dell’edificio stesso, “deve ritenersi nulla poiché con essa si intende attuare rinuncia di un condomino alle parti comuni, vietata dal capoverso dell’art. 1118 c.c. (Cass. N. 3309/77, Cass. 6036/95)”.

Si sostiene inoltre che se si considerasse valida la vendita che escluda un diritto condominiale, si inciderebbe sulle quote millesimali, in violazione del I comma dell’art. 1118. È pacifico in dottrina e giurisprudenza (Cass. 561/70) che in materia di determinazione del valore dei piani o delle porzioni di piano, da cui dipende la proporzione nei diritti e negli obblighi dei condòmini, l’assemblea dei condòmini non dispone di alcun potere. E pertanto ciò che non può disporre l’assemblea condominiale non può nemmeno essere realizzato da un singolo condomino, il quale, quindi, non può alienare la propria unità immobiliare separatamente dai diritti sulle cose comuni.

RENT TO BUY: IN UNA CIRCOLARE DELLE ENTRATE I PRIMI CHIARIMENTI FISCALI

Ufficializzata dallo Sblocca Italia, la formula del cosiddetto rent to buy era attesa, oltre che dalla prova dei fatti per valutarne efficacia e diffusione, anche e soprattutto da un più accurato inquadramento fiscale. Un passo avanti, in quest’ultima direzione, è stato fatto lo scorso 19 febbraio, quando l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la circolare n. 4/E fornendo chiarimenti sul regime applicabile, ai fini delle imposte dirette e indirette, ai nuovi contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili. Di seguito una sintesi dei contenuti della circolare a cura di Lucia Grifoni di Nuovo FiscoOggi (la rivista ufficiale delle Entrate).


Le novità secondo il codice civile. La circolare chiarisce che si tratta di una fattispecie contrattuale, diversa dalla locazione finanziaria, finalizzata a conferire al conduttore l’immediato godimento dell’immobile, rinviando al futuro il trasferimento della proprietà del bene, con imputazione di una parte dei canoni al corrispettivo del trasferimento. Questa tipologia contrattuale si caratterizza:

* per l’immediata concessione in godimento dell’immobile verso il pagamento di canoni;

* per il diritto del conduttore di acquistare il bene;

* per l’imputazione di una quota dei canoni a corrispettivo del trasferimento.


Il fisco segue gli step contrattuali. Particolare attenzione è stata rivolta dall’Agenzia alle tematiche che riguardano: 

* la quota di canone corrisposta per il godimento dell’immobile; 

* la quota di canone corrisposta come anticipazione del corrispettivo; 

* il successivo trasferimento dell’immobile; 

* le somme restituite in caso di mancata conclusione del contratto di compravendita.

Viene distinta la disciplina fiscale applicabile per il periodo del godimento dell’immobile (antecedente all’esercizio del diritto di acquisto), i cui canoni sono assimilati a quelli della locazione, dal successivo esercizio del diritto di acquisto da parte del conduttore e del trasferimento dell’immobile, con riguardo anche alla tipologia dei soggetti concedenti/venditori, operanti o meno in regime di impresa. L’Agenzia, inoltre, chiarisce il trattamento fiscale riservato alle ipotesi di mancato trasferimento dell’immobile e conseguente restituzione di tutti o parte degli acconti, sia quando non è stato esercitato il diritto di acquisto (comma 1-bis), sia quando il contratto si risolve per inadempimento da parte del concedente (comma 5).


Imposte sui redditi. Per il concedente che opera in regime d’impresa, nei periodi precedenti all’esercizio del diritto di acquisto rilevano solo i canoni di locazione (nel caso di immobili strumentali per natura o di beni merce) o quanto emerge dal confronto tra il canone di locazione e la rendita catastale (nel caso di immobili patrimonio), mentre non assumono rilevanza gli acconti, essendo un anticipo sul prezzo di vendita. Se il conduttore esercita il diritto di acquisto, emerge per il concedente titolare di reddito d’impresa un componente positivo di reddito. Se, invece, il conduttore non esercita il diritto di acquisto, assume rilevanza reddituale per il concedente (come componente positivo da assoggettare a tassazione) la sola quota di acconto versata durante la locazione dal conduttore e trattenuta dal concedente secondo gli accordi contrattuali.

In caso di risoluzione per inadempimento del concedente, assumono rilevanza nella determinazione del reddito d’impresa, come interessi passivi, i soli interessi legali che il proprietario è tenuto a corrispondere al conduttore. Nell’ipotesi di risoluzione per inadempimento del conduttore, si producono i medesimi effetti fiscali previsti in caso di mancato esercizio del diritto di acquisto. In particolare, il concedente assoggetta a tassazione la sola quota di acconto versata durante la locazione dal conduttore, che non deve essere a quest’ultimo restituita.

Per il proprietario/concedente che non opera in regime d’impresa, la quota dei canoni stabilita per il godimento è tassata come reddito fondiario derivante dalla locazione, cui è assimilato il godimento dell’immobile ed è determinata in base alle regole ordinarie. La quota dei canoni stabilita come acconto prezzo per il trasferimento non è tassata fino al periodo di imposta del trasferimento. In ogni caso, il proprietario/concedente può optare per la cedolare secca, se ne sussistono i presupposti.

Nel caso di esercizio del diritto di acquisto, il proprietario/concedente deve verificare se ha conseguito una plusvalenza imponibile quale reddito diverso in base alle regole ordinarie. Nel caso in cui il conduttore non eserciti tale diritto, la restituzione da parte del proprietario delle quote dei canoni imputata ad acconto prezzo non assume alcuna rilevanza reddituale, né per il proprietario né per il conduttore. Per il proprietario, la parte dell’acconto prezzo eventualmente trattenuta costituisce un reddito diverso, derivante dall’assunzione di “obblighi di permettere” (art.67, comma 1, lettera l, del Tuir), imponibile per un importo corrispondente a quanto trattenuto. Stesso trattamento è previsto per le somme eventualmente trattenute dal concedente a titolo di indennità, nell’ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore.


Il regime Iva. Se il concedente è un soggetto Iva, alle quote di canone imputate a godimento dell’immobile si applica la disciplina Iva prevista per i canoni di locazione, mentre le quote di canoni corrisposte a titolo di anticipazione del prezzo di cessione (acconti) seguono il trattamento Iva applicabile alle cessioni di immobili. Nel caso di esercizio del diritto di acquisto dell’immobile, il momento di effettuazione dell’operazione si verifica con il passaggio della proprietà e la base imponibile è determinata dal corrispettivo di vendita pattuito cui va sottratta la somma dei canoni (acconti) versati dall’acquirente.

In caso di omesso esercizio del diritto di acquisto e di conseguente restituzione al conduttore della quota versata a titolo di acconto sul prezzo, il proprietario emette una nota di variazione a favore del conduttore per gli importi restituiti. La nota di variazione per l’ammontare complessivo è emessa anche se una parte degli acconti viene trattenuta. Tuttavia, tale quota assume, comunque, natura di corrispettivo dovuto per l’esercizio (a titolo oneroso) del diritto riconosciuto al conduttore e, conseguentemente, deve essere assoggettata a Iva, con aliquota ordinaria. 

In caso di risoluzione per inadempimento del concedente, lo stesso deve restituire al conduttore tutti gli acconti sul prezzo incassati e, quindi, emette una nota di variazione. Se invece l’inadempimento è del conduttore, il concedente, se stabilito dal contratto, acquisisce interamente i canoni a titolo di indennità. Tali canoni, mutando la loro natura in penalità per inadempimento del conduttore, devono essere esclusi dall’applicazione dell’Iva mediante l’emissione di una nota di variazione.


Imposta di registro. Nel periodo precedente l’esercizio del diritto di acquisto da parte del conduttore, rileva sia la concessione in godimento dell’immobile da parte del proprietario a fronte del pagamento di un corrispettivo (una quota del canone) sia la quota di canone destinata, nella misura indicata nel contratto, ad acconti prezzo, per la vendita dell’immobile. La quota del canone corrisposta per il godimento è assimilata, ai fini dell’imposizione, ai canoni di locazione. L’imposta può essere assolta sul corrispettivo pattuito per l’intera durata del contratto ovvero sull’ammontare del canone relativo a ciascun anno. Diversamente, in relazione all’imposizione sugli acconti, l’imposta viene calcolata sull’ammontare complessivo dei corrispettivi pattuiti per l’intera durata del contratto.

Se il contratto di godimento rientra nel campo di applicazione dell’Iva, per i fabbricati abitativi, l’imposta di registro è dovuta nella misura proporzionale del 2% se il contratto è esente da Iva, in misura fissa, se invece il contratto è imponibile Iva. Per gli immobili strumentali, in deroga al principio di alternatività Iva/Registro, il contratto sconta l’imposta di registro in misura proporzionale dell’1%, indipendentemente dal regime Iva di imponibilità o di esenzione. Le quote di canone da imputare a corrispettivo di vendita sono assoggettate all’imposta di registro nella misura fissa di 200 euro. 

Se il contratto di godimento non rientra nel campo di applicazione dell’Iva, per il godimento trova applicazione l’imposta di registro nella misura proporzionale del 2%, mentre, per quanto attiene alla quota di canone da imputare a corrispettivo di vendita, trova applicazione l’imposta di registro nella misura del 3% (articolo 9 della tariffa, parte I, Tur) sull’importo complessivo degli acconti pattuiti. Esercitato il diritto all’acquisto da parte del conduttore, per il trasferimento dell’immobile si applicano le aliquote normalmente previste per i trasferimenti. Per la determinazione dell’imposta di registro da applicare in sede di trasferimento, l’Agenzia chiarisce inoltre che è applicabile la disciplina dettata dalla nota all’articolo 10 della tariffa, parte I, del Tur, secondo la quale dall’imposta di registro dovuta per il contratto definitivo deve essere scomputata quella corrisposta in relazione agli acconti prezzo. 

Infine, nel caso di mancato esercizio del diritto di acquisto da parte del conduttore ovvero di risoluzione del contratto per inadempimento, viene chiarito che non si dà luogo alla restituzione dell’imposta di registro corrisposta nella misura del 3%, applicata in relazione alla quota di canone assimilata ad acconti prezzo, anche nel caso in cui il concedente proceda alla restituzione di tali somme al conduttore.


CESSIONE DEL TERRENO CHE OSPITA CASE POPOLARI: CONFERMATO IL REGIME FISCALE DI FAVORE

[A cura di: Marcello Maiorino, Nuovo FiscoOggi – Agenzia delle Entrate]


La risoluzione 17/E delle Entrate, del 16 febbraio 2015, fornisce chiarimenti sull’applicabilità, agli atti riguardanti la cessione di aree già concesse in diritto di superficie agli assegnatari degli alloggi, del regime di favore previsto dall’articolo 32 del Dpr 601/1973: imposta di registro in misura fissa ed esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale.

Questa la fattispecie che dà lo spunto per i chiarimenti arrivati con il documento di prassi:

* alcuni contribuenti sono interessati alla stipula di una convenzione per il trasferimento in proprietà di un’area inclusa nel piano di zona consortile per l’edilizia economica e popolare

* la cooperativa cui aderiscono i contribuenti ha realizzato un fabbricato, assegnando ai soci la proprietà superficiaria degli alloggi

* il Comune, ancora proprietario dell’area di sedime, ha proposto la trasformazione del diritto di superficie in proprietà, sulla base dell’articolo 31, commi 45 e seguenti, della legge 448/1998.

Preliminarmente, facendo seguito alla specifica richiesta del contribuente, la risoluzione precisa che alla cessione dell’area su cui insiste il fabbricato non si può applicare il regime agevolativo per l’acquisto della prima casa (imposta di registro al 2% e imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di 50 euro ciascuna). Questo perché il legislatore ha espressamente individuato nelle “case di abitazione” gli immobili che possono beneficiare delle agevolazioni, escludendo l’applicabilità delle stesse anche agli atti di trasferimento delle aree su cui insiste il fabbricato. Del resto, in linea con la giurisprudenza della Cassazione, le norme recanti agevolazioni o benefici fiscali sono di stretta interpretazione e non sono estendibili a fattispecie non espressamente previste dal legislatore.

Ciò premesso, viene passata in rassegna la disciplina prevista dall’articolo 31 della legge 448/1998, il quale stabilisce, al comma 45, che i Comuni possono cedere in proprietà le aree comprese nei piani approvati in base alla legge 167/1962, già concesse in diritto di superficie ai sensi dell’articolo 35, comma 4, della legge 865/1971. L’articolo 3, comma 81, della legge 549/1995, prevede che gli atti e le convenzioni dei commi da 75 a 79 dello stesso articolo (disposizioni abrogate dall’articolo 31, comma 50, della legge 448/1998) sono soggetti a registrazione in misura fissa e non si considerano, ai fini Iva, operazioni svolte nell’esercizio di attività commerciali. Pertanto, fermandoci a tale disciplina, gli atti tramite i quali i Comuni cedono in proprietà le aree già concesse in diritto di superficie sconterebbero l’imposta di registro in misura fissa.

La fattispecie va però coordinata con i recenti interventi normativi che hanno interessato la materia dei trasferimenti immobiliari. In particolare, l’articolo 10, comma 4, del Dlgs 23/2011, ha previsto la soppressione di tutte le esenzioni e agevolazioni tributarie, anche se disposte da leggi speciali, con riferimento agli atti costitutivi o traslativi di diritti reali su immobili a titolo oneroso. Al riguardo, come già precisato con la circolare 2/2014, la dizione utilizzata dal legislatore è ampia, così da ricomprendere tutte le agevolazioni relative ad atti costitutivi o traslativi di diritti reali su immobili a titolo oneroso, riconducibili nell’ambito applicativo dell’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al Tur. Pertanto, in relazione agli atti di cessione di aree già concesse in diritto di superficie, stipulati a decorrere dall’1 gennaio 2014, ferma restando la qualificazione ai fini Iva, non trova più applicazione l’imposta fissa di registro, disposta dall’articolo 3, comma 81, della legge 549/1995.

Tuttavia, occorre tener conto del fatto che l’articolo 20, comma 4-ter, del Dl 133/2014, ha introdotto modifiche all’articolo 10, comma 4, del Dlgs 23/2011, la cui vigente formulazione stabilisce che “è altresì esclusa la soppressione delle esenzioni e delle agevolazioni tributarie riferite…”, tra l’altro, “…all’articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601”. Quest’ultima disposizione si applica anche agli atti di trasferimento della proprietà delle aree previste al titolo III della legge 865/1971 e agli atti di concessione del diritto di superficie sulle aree medesime. Nell’ambito dei primi sono inclusi i piani Peep, destinati all’edilizia economica e popolare (legge 167/1962): si tratta delle aree acquisite per esproprio dai Comuni, concesse in diritto di superficie per l’edificazione di case di tipo economico e popolare e dei relativi servizi urbani e sociali.

Tra gli atti di trasferimento riguardanti le aree in questione, possono essere ricondotti quelli attraverso cui si dispone (ai sensi dell’articolo 31, comma 45, legge 448/1998) la cessione, da parte dei Comuni, delle aree comprese nei piani approvati in base alla legge 167/1962, già concesse in diritto di superficie secondo l’articolo 35 della legge 865/1971; quest’ultimo stabilisce, infatti, che sulle aree comprese nei piani di edilizia economica e popolare, il Comune riconosce il diritto di superficie per la costruzione degli alloggi popolari.

La successiva cessione, in favore degli assegnatari degli immobili, delle aree sulle quali insistono i fabbricati già realizzati, già concesse in diritto di superficie, concretizza un atto connesso con l’atto di concessione del diritto di superficie e ascrivibile alla medesima ratio agevolativa sottesa all’impianto normativo dell’articolo 32 del Dpr 601/1973.

Inoltre, il corrispettivo delle aree cedute in proprietà è determinato dal Comune “…al netto degli oneri di concessione del diritto di superficie”, come previsto dal comma 48, dell’articolo 31, legge 448/1998.

Di conseguenza, gli atti con cui il Comune cede, agli assegnatari degli alloggi, l’area inclusa nel piano di zona consortile per l’edilizia economica e popolare situata nel territorio comunale, possono essere ricondotti tra gli atti attuativi dei piani di edilizia economica e popolare e, quindi, soggetti al regime di favore previsto dall’articolo 32 del Dpr 601/1973: imposta di registro in misura fissa ed esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale.