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Entro quando va esercitata l’azione possessoria contro il condominio?

  • Quotidiano Del Condominio
  • 28 settembre 2021

A Cura di: Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò

Con la sentenza n. 20007/2020, la Corte di Cassazione si è pronunciata sui termini entro i quali deve essere esperita l’azione possessoria contro il condominio.

Nella vicenda in esame, un condomino, mediante la collocazione di una sbarra, impediva ad alcune proprietarie di un edificio confinante di passare attraverso una stradella che collegava la proprietà delle stesse alla pubblica via. Le proprietarie, sostenendo di essere state spossessate dal condominio, si rivolgevano al Tribunale per domandare la reintegrazione nella disponibilità del viale di accesso posto sul retro del loro immobile, ma il giudice di prime cure non accoglieva la domanda.

La sentenza di primo grado veniva confermata dai giudici di merito, secondo i quali i testimoni escussi nel corso della causa avevano confermato la presenza di una catena di divieto di passaggio alla strada posta dal condominio molti anni prima del posizionamento della sbarra. La Corte territoriale riteneva che ciò fosse la prova che lo spossessamento era avvenuto da molto tempo e, di conseguenza, dichiarava le parti decadute dalla domanda.

A questo punto, il caso giungeva in Cassazione, davanti alla quale le proprietarie sollevavano i seguenti tre motivi:

  • in primo luogo, deducevano l’omesso esame circa un fatto decisivo, quanto all’epoca di collocazione della sbarra, che sarebbe stata apposta tra fine agosto ed inizio settembre del 2011, così che doveva intendersi precisato nel ricorso possessorio il termine dell’avvenuto spoglio;
  • in secondo luogo, deducevano l’omesso esame circa un fatto decisivo, quanto alla risultanza peritale che evidenziava come la strada, presente sin dal novembre 1973, costituisse l’unica via di accesso della proprietà alla pubblica via;
  • in terzo luogo, le ricorrenti denunciavano la violazione o falsa applicazione degli artt. 1129, 1130 e 1131 c.c., in relazione alla mancata prova della qualità dell’amministratore condominiale ed al difetto della legittimazione processuale dello stesso, in difetto di autorizzazione assembleare.

Gli Ermellini dichiaravano il ricorso inammissibile, precisando che “nel caso di spoglio o turbativa posti in essere con una pluralità di atti, il termine utile per l’esperimento dell’azione possessoria decorre dal primo di essi se quelli successivi, essendo strettamente collegati e connessi, devono ritenersi prosecuzione della stessa attività, decorrendo, altrimenti, dall’ultimo atto quando ogni atto – presentando caratteristiche sue proprie – si presta ad essere considerato isolatamente”.

Inoltre, secondo il Tribunale Supremo, “l’amministratore di condominio, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, può essere convenuto in giudizio per ogni azione vertente su fatti di spoglio o turbativa concernenti le parti comuni dell’edificio ed ha facoltà di proporre tutti i gravami che successivamente si rendano necessari in conseguenza della vocatio in ius, avendo l’amministratore, tra gli altri, anche il compito di compiere gli atti conservativi – tra i quali rientrano altresì quelli a tutela del possesso – dei diritti inerenti ai beni condominiali, e perciò trattandosi di controversia compresa nell’ambito delle sue attribuzioni ex art. 1130 c.c.”.

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