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ARCHIVIO DEL CONDOMINIO

Bonus sicurezza per l’installazione di impianti di videosorveglianza

L’Agenzia delle Entrate ha approfondito la questione legata al bonus sicurezza (o bonus videosorveglianza), attraverso un quesito posto da una contribuente su “La Posta di FiscoOggi”.
Nel caso di specie, una contribuente si è rivolta al Fisco spiegando che per motivi di sicurezza personale ha intenzione di installare nella propria abitazione una fotocamera con collegamento a un centro di vigilanza privato. A tal proposito, la contribuente ha chiesto se attraverso il pagamento con bonifico parlante è possibile detrarre le spese per l’installazione e per la vigilanza.
In risposta, l’Agenzia delle Entrate ha spiegato che l’installazione di fotocamere o cineprese collegate con centri di vigilanza privati rientra tra gli interventi che danno diritto alla detrazione Irpef del 50% delle spese per il recupero del patrimonio edilizio e, in particolare, tra i lavori finalizzati alla prevenzione del rischio del compimento di atti illeciti da parte di terzi.
Tale detrazione, cosiddetta anche bonus sicurezza o bonus videosorveglianza, fa quindi parte del bonus ristrutturazione e consente una detrazione del 50% sui lavori di:
• rafforzamento, sostituzione o installazione di cancellate o recinzioni murarie degli edifici;
• apposizione di grate sulle finestre o loro sostituzione;
• porte blindate o rinforzate;
• apposizione o sostituzione di serrature, lucchetti, catenacci, spioncini;
• installazione di rilevatori di apertura e di effrazione sui serramenti;
• apposizione di saracinesche;
• tapparelle metalliche con bloccaggi;
• vetri antisfondamento;
• casseforti a muro;
• fotocamere o cineprese collegate con centri di vigilanza privati;
• apparecchi rilevatori di prevenzione antifurto e relative centraline.
L’Agenzia delle Entrate ha chiarito, quindi, che il bonus videosorveglianza è applicabile solo per le spese sostenute per realizzare interventi sugli immobili, pertanto non è possibile portare in detrazione anche gli importi pagati all’istituto di vigilanza.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Chi paga le penali per il ritardo dei lavori in subappalto?

Nel parere 2355/2024 del 26 febbraio, l’Ufficio giuridico del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) ha risposto ad un quesito posto da un’impresa inerente al pagamento delle penali per il ritardo nei lavori affidati in un subappalto.

Nel caso di specie, un’impresa ha richiesto l’intervento del MIT in merito ad un ritardo nella consegna dei lavori, causato dal subappaltatore, chiedendo chiarimenti in merito al pagamento delle penali e alla ripartizione delle responsabilità.

Nello specifico, in merito al pagamento della penale, è stato chiesto se:
• la penale deve essere applicata ad entrambi i soggetti coinvolti nel ritardo (subappaltatore e appaltatore);
• se la penale possa essere detratta solo all’affidatario in sede di certificato di pagamento, pagando comunque senza ritardo il subappaltatore e rimettendo al rapporto tra gli operatori economici la compensazione intra-subcontratto.

In risposta, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha richiamato l’art. 126 del d.lgs. n. 36/2023 inerente alle penali nell’esecuzione del contratto, il quale prevede che: “I contratti di appalto prevedono penali per il ritardo nell’esecuzione delle prestazioni contrattuali da parte dell’appaltatore commisurate ai giorni di ritardo e proporzionali rispetto all’importo del contratto o delle prestazioni contrattuali”.

In caso di subappalto, al comma 6 dell’art. 119 del Codice dei Contratti Pubblici prevede una responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatore per le prestazioni oggetto del contratto di subappalto, fatta eccezione per i casi di cui all’art. 119, comma 11, lettere a) e c).

La norma, difatti, prevede che:
“La stazione appaltante corrisponde direttamente al subappaltatore ed ai titolari di sub-contratti non costituenti subappalto ai sensi del quinto periodo del comma 2 l’importo dovuto per le prestazioni dagli stessi eseguite nei seguenti casi:
a) quando il subcontraente è una micro impresa o piccola impresa;
b) in caso di inadempimento da parte dell’appaltatore;
c) su richiesta del subcontraente e se la natura del contratto lo consente”.

Pertanto, nei casi in cui di pagamento diretto al subappaltatore, se si rientra nelle sopracitate categorie, la penale andrà applicata esclusivamente al subappaltatore, altrimenti andrà applicata ad entrambi data la sussistenza della responsabilità solidale.

Quindi, di conseguenza, nel caso di un pagamento diretto al subappaltatore e per le ipotesi di cui all’art. 119, comma 11, lett. a) e c), la penale va applicata mediante decurtazione sull’importo dovuto al subappaltatore.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Condominio, amministratore e malfunzionamento della canna fumaria

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Contabilizzatori di calore e detrazioni fiscali

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I consumi involontari a carico di chi si stacca dall’impianto centralizzato

Vorrei sapere quali sono i costi del riscaldamento dell’impianto centralizzato a distribuzione orizzontale, in regime di comunione tra una sola parte dei condòmini di un palazzo, perché installato successivamente alla costruzione, che possono essere imputati a un condomino distaccato dalla caldaia?

Ipotizzando che il lettore utilizzi il termine “comunione” per indicare un condominio disciplinato dagli articoli 1117 e seguenti del Codice civile, e una comunione parziale all’interno di un condominio, trova applicazione l’articolo 9, comma 5, del Dlgs 102/2014.

Esso prevede che, quando gli edifici sono alimentati da teleriscaldamento o teleraffreddamento o da sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento, per la corretta suddivisione delle spese connesse al consumo di calore per il riscaldamento, al raffreddamento delle unità immobiliari e delle aree comuni, nonché per l’uso di acqua calda per il fabbisogno domestico, se prodotta in modo centralizzato, l’importo complessivo è suddiviso tra gli utenti finali attribuendo una quota di almeno il 50% agli effettivi prelievi volontari di energia termica.

Gli importi rimanenti possono essere ripartiti, a titolo esemplificativo e non esaustivo, secondo i millesimi, i metri quadrati o i metri cubi utili, oppure secondo le potenze installate.

La quota relativa ai consumi involontari – che deve essere accollata anche al condòmino distaccatosi e che può anche essere pari al 22% del consumo totale dell’impianto – è da calcolarsi in base a una diagnosi energetica (e non a forfait o mediante tabelle millesimali errate).

Quanto ai riparti già approvati, decorsi i termini per l’impugnazione della delibera non possono più essere contestati. In proposito l’articolo 1137 del Codice civile dispone che avverso alle deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condòmino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.

Se invece il lettore si riferisce a uno stabile in regime di comunione in senso tecnico/giuridico, cioè a un edificio disciplinato dagli articoli da 1100 a 1116 del Codice civile, non trova applicazione il Dlgs 102/2014, con la conseguenza che per la ripartizione delle spese occorrerà esaminare i titoli o eventuali accordi contrattuali.

In mancanza di specifiche pattuizioni, l’articolo 1101 del Codice civile stabilisce che le quote dei partecipanti alla comunione si presumono eguali. Il concorso dei partecipanti, tanto nei vantaggi quanto nei pesi della comunione, è in proporzione delle rispettive quote.

Le agevolazioni per la ristrutturazione di un fabbricato rurale

L’Agenzia delle Entrate torna sul tema dei bonus edilizi rispondendo ad un quesito posto da un contribuente attraverso “La Posta di FiscoOggi”.

Nel caso preso in esame, un contribuente si rivolge al Fisco spiegando che intende realizzare dei lavori di ristrutturazione edilizia su un immobile accatastato attualmente come fabbricato rurale, ma che al termine dei lavori sarà utilizzato come abitazione. A tal proposito il contribuente chiede, quindi, se può usufruire del bonus ristrutturazioni, ovvero la detrazione del 50% delle spese sostenute per l’intervento.

In risposta, l’Agenzia delle Entrate ha ricordato che gli interventi di ristrutturazione edilizia sono quelli volti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, così come chiarito all’articolo 31, comma 1, lettera d, della legge n. 457/1978.

Il Fisco continua spiegando che per tali interventi è possibile usufruire della detrazione del 50% delle spese sostenute, anche se eseguiti su un immobile non residenziale e a patto che vengano rispettati tutti i requisiti previsti dalla relativa normativa.

Per la concessione dell’agevolazione, inoltre, è necessario che nel provvedimento amministrativo che autorizza gli interventi di ristrutturazione, risulti in modo esplicito che gli stessi lavori comportano il cambio di destinazione d’uso dell’immobile ristrutturato, ovvero da fabbricato rurale ad abitativo.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Amministrare il patrimonio immobiliare

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Bonus colonnine elettriche: lo sportello per le domande di imprese e professionisti

Riaperto dal 15 marzo lo sportello dedicato all’invio delle richieste per il “bonus colonnine elettriche” per imprese e professionisti, iniziativa promossa dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) volta a incentivare l’acquisto e l’installazione di infrastrutture di ricarica per i veicoli elettrici.

Il MASE aveva messo in campo una dotazione iniziale pari a 87,5 milioni di euro, ma durante la prima apertura dello sportello, le richieste pervenute sono state inferiori alle risorse disponibili, pertanto, con oltre 70 milioni di euro ancora a disposizione, il MASE ha deciso di dare un ulteriore impulso alla diffusione delle colonnine elettriche in Italia, riaprendo la possibilità di inviare le richieste in modo da avere un numero maggiore di beneficiari.

La piattaforma, gestita da Invitalia, sarà operativa a partire dalle ore 12:00 del 15 marzo sino alle ore 17:00 del 20 giugno 2024, difatti, rispetto alla prima apertura durata un mese, in questo caso le imprese e i professionisti avranno a disposizione tre mesi di tempo per richiedere il bonus colonnine elettriche.

A tal proposito, il Ministro Gilberto Pichetto Fratin ha dichiarato: “Con la riapertura dello sportello vogliamo dare nuove opportunità di sviluppo della mobilità elettrica nel Paese, sostenuta in modo consistente dal PNRR e centrale per raggiungere gli obiettivi del PNIEC”.

Ricordiamo che il contributo economico inerente al bonus colonnine elettriche copre il 40% delle spese sostenute da professionisti e imprese successivamente al 4 novembre 2021. Tra le spese coperte dal bonus rientrano l’acquisto e l’installazione delle infrastrutture di ricarica, comprese le colonnine, gli impianti elettrici, le opere edili necessarie e gli impianti e i dispositivi per il monitoraggio.

Inoltre, il bonus copre anche le spese sostenute per la connessione alla rete elettrica e quelle per la progettazione, direzione lavori, sicurezza e collaudi, sino ad un massimo del 10% del costo totale per l’acquisto e la messa in opera.

Per maggiori informazioni in merito alle richieste, è possibile contattare Invitalia anche attraverso il numero verde gratuito 800 77 53 97.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Vetrate panoramiche amovibili in condominio

Per l’installazione di vetrate panoramiche amovibili, le cosiddette Vepa, oggi i permessi edilizi non servono più.

E’ però necessario rispettare con rigore il regolamento condominiale e il decoro architettonico.
Chiunque, dunque, oggi potrebbe istallare le Vepa scorrevoli per proteggere il proprio balcone: sia chi possiede un terrazzo all’attico, sia chi abita al pianterreno e dispone di una loggia.
Ma chi abita in un condominio è soggetto a ulteriori vincoli, rispetto a quelli richiesti dalla normativa edilizia.

La norma di legge che ha fatto rientrare le Vepa nel regime di attività edilizia libera, mentre prima erano soggette ai titoli abilitativi rilasciati dal Comune, infatti, è intervenuta solo sul Testo unico dell’edilizia. Ma non è intervenuta sui regolamenti condominiali, che possono prevedere – e spesso lo fanno – un regime diverso e più restrittivo.

Il regolamento condominiale
In particolare, il regolamento condominiale di natura contrattuale (quello approvato all’unanimità da tutti i condomini, anche mediante richiamo nei rispettivi atti di acquisto), è inderogabile, a meno che a modificarlo non intervenga una successiva delibera, approvata all’unanimità dei condomini dell’edificio.
Se il regolamento condominiale contrattuale contiene il divieto di chiudere i balconi con vetrate o con altri tipi di strutture ed infissi, non c’è nulla da fare: in questo caso il Decreto Aiuti non aiuta, perché sulla previsione generale di legge prevale la normativa regolamentare specifica che gli stessi condòmini si sono dati.
Infatti la compagine condominiale, per disciplinare i vari aspetti della vita in comune nell’edificio è sempre libera di adottare le regole che ritiene più opportune, anche quando sono più restrittive rispetto norme di legge che consentono di esercitare determinate facoltà.
La violazione del regolamento condominiale rappresenta un fatto grave, che tra l’altro consente al condominio di agire contro il trasgressore per il ripristino dei luoghi e il risarcimento dei danni.

Il decoro architettonico
Oltre alle disposizioni contenute nel regolamento di condominio, è necessario considerare l’impatto che l’installazione di una vetrata potrebbe avere sul decoro architettonico dell’edificio. Questo perché in condominio sono vietate le opere che possono ledere il decoro architettonico.
L’installazione di Vepa – che sono scorrevoli e non retrattili – può infatti incidere sul decoro architettonico dell’edificio, che consiste nell’insieme delle linee estetiche proprie della facciata.
Lart. 1122 del Codice civile impone di preservare il “decoro architettonico dell’edificio” in tutti i casi di innovazioni realizzate dal condomino sulle sue parti di proprietà esclusiva o individuale, come può essere il balcone, o il terrazzo. Infatti anche nel caso in cui non vi sia alcuna alterazione del decoro architettonico (così come anche della sicurezza e stabilità del fabbricato) la norma dispone che bisogna sempre dare notizia all’amministratore, il quale riferisce in assemblea alla prima occasione utile.
Lo stesso Decreto Aiuti bis dispone espressamente che le Vepa “devono avere caratteristiche tecnico-costruttive e profilo estetico tali da ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente e da non modificare le preesistenti linee architettoniche”.

La comunicazione all’amministratore
Per evitare problemi, è sempre consigliabile interpellare l’assemblea per conoscere il suo orientamento.
Non occorre che il condòmino interessato a installare la Vepa chieda appositamente la convocazione dell’assemblea, ma è sufficiente comunicare all’amministratore l’intenzione di installarla. Dare notizia all’amministratore è un obbligo, mentre l’intervento dell’assemblea è successivo ed eventuale.
Con l’occasione, sarebbe opportuno integrare la comunicazione all’amministratore con una dichiarazione di conformità della vetrata alle norme di legge, in base alla documentazione fornita dal produttore o dal venditore, e ove occorra allegando anche il progetto tecnico elaborato dall’installatore per garantire gli aspetti di stabilità e sicurezza della struttura amovibile e scorrevole.
In questo modo l’amministratore potrà informare l’assemblea in modo compiuto e difficilmente qualcuno solleverà obiezioni di fronte ad un progetto attestato nella sua regolarità e realizzato in modo conforme.

Mancata consegna della dichiarazione di conformità degli impianti

La dichiarazione conformità degli impianti è un documento obbligatorio. Si tratta di un documento che viene rilasciato al termine dei lavori dal responsabile dell’impresa, quindi dal tecnico specializzato che ha installato o apportato modifiche all’impianto.

Questo documento attesta che gli impianti installati rispettano rigorosamente le norme tecniche e di sicurezza stabilite dalla legge.

Rappresenta dunque una garanzia che gli impianti siano stati progettati, realizzati e verificati in modo da garantire la massima sicurezza e funzionalità, in conformità con le leggi e gli standard vigenti.

La dichiarazione di conformità è disciplinata dal dm 37/08, che stabilisce anche le sanzioni che possono essere applicate in caso di mancato rispetto degli obblighi relativi alla compilazione.

La mancata consegna della dichiarazione conformità degli impianti comporta infatti sanzioni amministrative che variano in base all’entità e alla complessità dell’impianto, al suo grado di pericolosità e ad altre circostanze oggettive e soggettive relative alla violazione.

Tali sanzioni ammontano a una somma che oscilla tra i 100 euro e i 1.000 euro.

Il certificato di conformità è obbligatorio in caso di installazione di un nuovo impianto; manutenzione straordinaria; modifica/ampliamento di un impianto già esistente.

Il certificato di conformità riguarda tutti gli impianti: elettrici, idrici, termici, a gas e antincendio.

L’obbligo della dichiarazione di conformità non si applica invece alla manutenzione ordinaria, che riguarda interventi di routine che vengono effettuati per garantire il corretto funzionamento dell’impianto, ma che non comportano modifiche significative alle sue caratteristiche.

La dichiarazione di conformità di un impianto deve essere rilasciata al termine dei lavori dal responsabile dell’impresa, quindi dal tecnico specializzato, che ha installato o apportato modifiche all’impianto.

La normativa stabilisce infatti, all’art. 7 del dm 37/08, che la dichiarazione deve essere rilasciata “al termine dei lavori, previa effettuazione delle verifiche previste dalla normativa vigente, e non può essere subordinata al pagamento dell’importo fatturato”.

La dichiarazione di conformità deve essere consegnata al committente dell’opera, che è tenuto a conservarla e a fornire una copia della stessa a chiunque utilizzi gli spazi o gli impianti oggetto della dichiarazione. Questo adempimento rientra tra le responsabilità dell’impresa installatrice.

La dichiarazione di conformità deve essere depositata, dall’impresa installatrice, presso lo Sportello Unico per l’Edilizia del Comune in cui si trova l’impianto entro 30 giorni dalla conclusione dei lavori, ma solo per gli edifici che sono già in possesso del certificato di agibilità.

Nel caso di nuove costruzioni, la dichiarazione di conformità costituisce un elemento essenziale da allegare al certificato di agibilità.

Lo Sportello Unico del Comune deve inoltrare una copia della dichiarazione di conformità alla Camera di Commercio competente per il territorio.

Eventuali violazioni accertate da parte delle imprese installatrici vengono comunicate alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura competente per territorio, che procede a registrare l’infrazione nell’Albo provinciale delle imprese artigiane o nel Registro delle imprese presso cui l’impresa inadempiente risulta essere iscritta, attraverso la redazione di un apposito verbale.