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compravendita

Vendita immobile oggetto di Superbonus 110%

Con la Risposta n. 157 del 17 luglio 2024 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito alcuni dubbi riguardo il calcolo della plusvalenza derivante dalla vendita di un immobile oggetto di interventi edilizi agevolati con il Superbonus 110%.

Nel caso di specie, un contribuente si è rivolto al Fisco spiegando di aver acquisito un immobile abitativo tramite usucapione con sentenza del tribunale del 2020. Successivamente il contribuente ha effettuato lavori di ristrutturazione sul suddetto immobile, agevolati attraverso Superbonus (ex articolo 119 del Decreto Legge 34/2020), esercitando l’opzione per la cessione parziale del credito corrispondente e utilizzando la restante parte della detrazione nella propria dichiarazione dei redditi.

Il contribuente ha spiegato all’Agenzia delle Entrate di aver intenzione di vendere l’immobile, terminata la ristrutturazione, ma prima che siano trascorsi i dieci anni dalla data di fine lavori, pertanto, chiede come debba essere calcolata la plusvalenza ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lett. b­bis), del Tuir.

Innanzitutto il Fisco, in risposta, ha richiamato il quadro normativo di riferimento, spiegando che l’art. 1, commi da 64 a 67, della legge di bilancio 2024, ha disciplinato una nuova ipotesi di plusvalenza immobiliare imponibile relativa alle cessioni d’immobili che sono stati oggetto d’interventi agevolati con Superbonus, conclusi da meno di 10 anni.

L’art. 67 del Tuir, come modificato dalla legge di bilancio 2024, prevede che sono considerati redditi diversi, tra gli altri, le plusvalenze realizzate mediante cessione onerosa di beni immobili sui quali sono stati effettuati lavori agevolati con il Superbonus, esclusi gli immobili acquisiti per successione o adibiti ad abitazione principale per la maggior parte dei 10 anni antecedenti alla cessione.

Il successivo art. 68 del Tuir prevede i criteri di calcolo delle plusvalenze, distinguendo vari casi, inoltre specifica che la plusvalenza è la differenza tra il corrispettivo percepito e il prezzo d’acquisto o il costo di costruzione del bene, aumentato di ogni altro costo inerente. Per gli immobili acquisiti tramite donazione, il prezzo di acquisto è quello sostenuto dal donante.

Nel caso di immobili oggetto di interventi agevolati con il Superbonus, se gli interventi si sono conclusi da non più di 5 anni, non si tiene conto delle spese relative ai lavori effettuati, qualora si sia fruito dell’agevolazione nella misura del 110% e siano state esercitate le opzioni di sconto in fattura o cessione del credito.

Nel caso in cui, invece, gli interventi agevolati si siano conclusi da più di 5 anni, nella determinazione dei costi inerenti al bene si tiene conto del 50% di tali spese, qualora si sia fruito dell’incentivo nella misura del 110% e siano state esercitate le opzioni di sconto in fattura o cessione del credito.

Per quanto concerne i medesimi immobili, acquisiti o costruiti, alla data della cessione, da oltre 5 anni, il prezzo di acquisto o il costo di costruzione, determinato ai sensi dei periodi precedenti, è rivalutato in base alla variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.

Nel caso preso in esame in cui l’immobile acquisito per usucapione e oggetto degli interventi da meno di 10 anni, la plusvalenza si determina sottraendo dal corrispettivo della vendita il valore dichiarato nella sentenza di usucapione, aumentato “dei costi inerenti al bene” escludendo le spese agevolate dal Superbonus per cui si è esercitata l’opzione di sconto in fattura o cessione del credito.

Il Fisco chiarisce che con la circolare n. 13/E del 13 giugno 2024 sono stati forniti ulteriori approfondimenti e chiarimenti in merito al calcolo della plusvalenza. Difatti la plusvalenza si realizza a seguito della cessazione a titolo oneroso di beni immobili oggetto di interventi agevolati conclusi da non più di 10 anni, indipendentemente dalla data di acquisto o costruzione del bene.

In relazione al calcolo della plusvalenza, non si considerano le spese relative ai lavori effettuati con agevolazioni solo se è stata applicata l’aliquota di detrazione al 110% ed è stata esercitata l’opzione di sconto in fattura o la cessione del credito.

Stando a quanto stabilito dall’Agenzia delle Entrate, nel caso preso in esame presentato dal contribuente la plusvalenza tassabile sarà la differenza tra il prezzo di vendita e il valore della sentenza di usucapione, aumentato dai “costi inerenti”. Da tale calcolo vengono, quindi, escluse le spese per gli interventi agevolati con detrazione al 110% e trattati secondo le opzioni esercitate.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Bonus Sicurezza 2024: cos’è e come funziona

Il Bonus Sicurezza è un’agevolazione introdotta con lo scopo di incentivare i cittadini a rendere più sicure le proprie abitazioni. Nello specifico, si tratta di una detrazione fiscale pari al 50% sulle spese sostenute per gli interventi di messa in sicurezza delle abitazioni.
Il Bonus Sicurezza è valido sino al 31 dicembre 2024 e riguarda i seguenti interventi:
• sostituzione di serrature obsolete con modelli più moderni e sicuri;
• installazione di sistemi di allarme (antifurto, telecamere di sorveglianza etc.);
• installazione di porte blindate;
• installazione di finestre con vetri antisfondamento e altri dispositivi di sicurezza;
• installazione di cancelli e recinzioni perimetrali.
La detrazione prevista del 50% si applica sull’importo totale delle spese sostenute per gli interventi citati fino ad un massimo di 96.000 euro per ogni unità immobiliare. Tale detrazione viene poi ripartita in 10 quote annuali di pari importo. Ciò significa che la metà della spesa effettuata verrà restituita sotto forma di detrazioni sulle tasse da versare, con cadenza annuale per 10 anni.
I soggetti che possono beneficiare del Bonus Sicurezza sono:
• i proprietari dell’immobile oggetto degli interventi;
• i titolari di diritti reali/personali di godimento (usufrutto, uso abitazione, superficie);
• l’inquilino o il comodatario;
• i soci di cooperative divise e indivise e i soci delle società semplici;
• gli imprenditori individuali, ma solo per gli immobili che non rientrano fra quelli strumentali o merce.
Inoltre, possono accedere all’agevolazione, ma solo a patto che sostengano le spese e risultino intestatari di bonifici e fatture:
• il familiare convivente del possessore o del detentore dell’immobile oggetto dell’intervento;
• il coniuge separato assegnatario dell’immobile intestato all’altro coniuge;
• il convivente more uxorio.
Chiaramente, per poter fruire dell’agevolazione è necessario che l’immobile risulti in regola con le normative urbanistiche.
Per poter richiedere l’agevolazione, al momento della dichiarazione dei redditi, è necessario presentare la documentazione relativa ai pagamenti effettuati da cui risultino il numero, la data e l’importo delle fatture, la causale del pagamento (incluso il riferimento all’articolo 16-bis del Dpr 917/1986), il codice fiscale del beneficiario della detrazione e il codice fiscale di chi ha effettuato i lavori.
Infine, per quanto riguarda i lavori svolti in condominio, oltre alla documentazione sopra citata, sarà necessario inserire anche il codice fiscale del condominio.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Lavori di ristrutturazione in condominio e percentuali di detrazione

ristrutturazione interni

L’Agenzia delle Entrate chiarisce alcuni dubbi relativi alle percentuali di detrazione che riguardano il bonus ristrutturazione per i lavori effettuati in condominio, soprattutto nei casi in cui i pagamenti e i lavori vengono svolti a cavallo di anni diversi, anni in cui sono state attuate delle modifiche normative inerenti all’agevolazione in oggetto.

Nel caso analizzato, un contribuente si è rivolto all’Agenzia delle Entrate, tramite La Posta di FiscoOggi, spiegando di voler alcuni chiarimenti in merito ai lavori di ristrutturazione condominiali. Il contribuente spiega che i versamenti che i condòmini effettuano nel 2024 al condominio saranno fatturati dalla ditta esecutrice in parte nel 2024 e in parte nel 2025.

Il contribuente ha, quindi, chiesto al Fisco se per le somme versate nel 2024 ma pagate e fatturate nel 2025 i condomini hanno diritto della detrazione del 50% o del 36%.

In risposta, l’Agenzia delle Entrate ha confermato che se non ci sarà una nuova proroga, la detrazione per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica degli edifici scenderà dal 1° gennaio 2025 dal 50% al 36%, così come stabilito dall’art. 16-bis del Tuir.

Per ciò che concerne i lavori di ristrutturazione effettuati sulle parti comuni degli edifici, l’aliquota dell’agevolazione dipende dall’anno di effettuazione del bonifico inoltrato dall’amministratore di condominio.

A tal proposito, infatti, il Fisco evidenzia che non hanno importanza le date in cui i singoli condomini versano le proprie quote, sulla base dei millesimi di proprietà, al condominio, poiché la data a cui far riferimento è solo quella del pagamento inoltrato dall’amministrazione condominiale.

A fronte di quanto appena detto, l’Agenzia delle Entrate ha concluso rispondendo al contribuente che i condomini potranno beneficiare del bonus ristrutturazione con aliquota al 50% per i bonifici che l’amministratore di condominio effettuerà nel corso del 2024.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Superbonus, la plusvalenza per chi vende prima dei dieci anni

Sono proprietario di un appartamento acquisito per successione nel 1961, che non è la mia abitazione principale. Abbiamo beneficiato del Superbonus con sconto fattura. In caso di vendita dell’appartamento sono tenuto a pagare la tassa sulla plusvalenza o sono esente, avendo acquisito l’immobile per successione oltre 60 anni fa?

La legge di bilancio 2024 ha previsto l’assoggettamento a tassazione delle plusvalenze realizzate con la cessione a titolo oneroso di beni immobili per i quali si è beneficiato del Superbonus con lavori conclusi da non più di 10 anni.

La norma non si applica però agli immobili acquisiti per successione – quindi lei non viene colpito dalla nuova norma – e a quelli che sono stati adibiti ad abitazione principale per la maggior parte dei dieci anni antecedenti la cessione o per la maggior parte del periodo se il possesso ha durata inferiore.
L’aliquota è del 26%, salvo opzione per la tassazione con le aliquote progressive Irpef, normalmente meno favorevole.

Bonus ristrutturazione: i conviventi di fatto possono ottenere la detrazione?

L’Agenzia delle Entrate torna sul tema del bonus ristrutturazione, in particolare sulla possibilità di usufruire di tale agevolazione da parte delle coppie di fatto.

Nel caso esaminato, una contribuente si è rivolta al Fisco, tramite “La Posta di FiscoOggi”, spiegando che in qualità di convivente di fatto, sosterrà le spese di ristrutturazione su un’abitazione acquistata dal compagno.

A tal proposito, la contribuente chiede se potrà usufruire dell’agevolazione prevista dall’articolo 16-bis del TUIR, anche se, al momento, lei e il suo compagno convivono in una casa diversa da quella oggetto di ristrutturazione. La contribuente specifica, infine, che la coppia è regolarmente registrata presso il Comune come “coppia di fatto”.

L’Agenzia delle Entrate, in risposta al quesito posto, ha spiegato che la normativa italiana dal 2016, in particolare l’art. 16-bis del TUIR, prevede che può richiedere la detrazione per il recupero del patrimonio edilizio, se sostiene le spese relative, anche il convivente di fatto del possessore o detentore dell’immobile oggetto degli interventi, anche in assenza di un contratto di comodato.

Tale agevolazione si applica alle spese sostenute per gli interventi effettuati su una delle abitazioni nelle quali si manifesta il rapporto di convivenza, anche se diversa dall’abitazione principale della coppia di conviventi.

Ciò nonostante è di fondamentale importanza rispettare il requisito della “stabile convivenza”. Per l’accertamento di tale requisito, la legge n.76 del 20/05/2016 definisce la “famiglia anagrafica” come l’unità che può essere dimostrata tramite i registri anagrafici comunali o, in alternativa, si può ricorrere all’autocertificazione, da rendere ai sensi dell’articolo 47 del Dpr n. 445/2000.

Ricordiamo che si intendono “conviventi di fatto” due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.

L’Agenzia delle Entrate, inoltre, evidenzia che è importante che lo status di convivenza sia già in essere al momento in cui si attiva la procedura o alla data di inizio dei lavori, ed è necessario che lo status di convivenza perduri durante tutto il periodo in cui si sostengono le spese ammesse in detrazione.

Pertanto, i documenti necessari che dovrà fornire il convivente che desidera fruire dell’agevolazione sono la registrazione anagrafica o l’autocertificazione che attesti lo status di convivenza e le ricevute, nonché la documentazione fiscale, relative alle spese sostenute.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Bonus edilizi: in vigore dal 1° settembre il Decreto Sanzioni

Dal 1° settembre 2024 è entrato in vigore il Decreto Legislativo 87/2024, cosiddetto “Decreto Sanzioni”, che era stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 28 giugno, rubricato “Revisione del sistema sanzionatorio tributario, ai sensi dell’articolo 20 della legge 9 agosto 2023, n. 111” e che apporta una revisione del sistema sanzionatorio tributario.

Nello specifico, il Decreto Sanzioni modifica la disciplina in ambito di sanzioni per compensazioni illecite o indebito, introducendo la distinzione tra “crediti non spettanti” e “crediti inesistenti”, con l’obiettivo di garantire una rigorosa distinzione normativa tra le due fattispecie, così da chiarire i diversi dubbi interpretativi emersi a riguardo.

Chiaramente, anche se tale norma si riferisce a tutti i crediti fiscali, è bene evidenziare che tra questi rientrano anche quelli collegati ai bonus edilizi, che in vari casi sono stati considerati inesistenti o non spettanti, e ciò ha portato a contenziosi tra committenti dei lavori, banche e imprese.

Il provvedimento fornisce, all’articolo 1, la definizione dei crediti non spettanti e dei crediti inesistenti. Difatti, per “crediti inesistenti” si intendono:
• i crediti per i quali mancano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella normativa di riferimento;
• i crediti per i quali i requisiti oggettivi e soggettivi sono oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici.
Per “crediti non spettanti” si intendono:
• i crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quelli fruiti in misura superiore a quella stabilita dalle norme di riferimento;
• i crediti che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito;
• i crediti utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi espressamente previsti a pena di decadenza.

In riferimento alle sanzioni tributarie, l’articolo 2 del D.lgs. 87/2024 stabilisce che per i crediti inesistenti la sanzione è pari al 70% del credito utilizzato in compensazione e tale sanzione può essere aumentata dalla metà al doppio, quindi fino al 140%, in caso vi siano comportamenti fraudolenti.

Per ciò che riguarda i crediti non spettanti la sanzione sarà del 25% del credito utilizzato in compensazione (fino al 31 agosto 2024 la sanzione prevista era pari al 30% del credito). Nel caso in cui il credito sia stato utilizzato violando le norme sulle modalità di utilizzo o senza i dovuti adempimenti amministrativi, ma la violazione viene rimossa entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi o gli adempimenti non causano la decadenza del credito, deve essere pagata una sanzione fissa di € 250.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Affitti brevi, nuove regole e istruzioni per l’uso sulla cedolare secca

indagine affitti

La Legge di Bilancio 2024 ha modificato il regime delle locazioni brevi, con alcune novità sia sul fronte delle regole di tassazione sia in relazione agli adempimenti per gli intermediari e le piattaforme online.
La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 10/E del 10 maggio 2024 analizza le novità introdotte, fornendo chiarimenti e istruzioni con un focus specifico anche in relazione alla nuova cedolare secca.
L’aliquota dell’imposta sostitutiva applicata ai redditi derivanti dagli affitti brevi è, a partire dal 1° gennaio 2024, pari al 26 per cento, e non più al 21 per cento, ferme restando le regole di maggior favore per chi concede in locazione per periodi inferiori a 30 giorni una sola unità immobiliare.
Per gli intermediari la ritenuta applicata ai compensi rimane invece pari al 21 per cento, e sarà quindi il contribuente a dover determinare l’imposta effettivamente dovuta, da versare entro i termini di pagamento delle imposte sui redditi.
Le regole operative arriveranno il prossimo anno, con la pubblicazione delle istruzioni relative al modello 730 e Redditi 2025.

Le modifiche
L’articolo 1, comma 63, della Legge di Bilancio 2024 modifica, dunque, il regime fiscale delle locazioni brevi disciplinato dall’articolo 4 del Dl n. 50/2017.
Sull’argomento, l’Agenzia delle Entrate ha già fornito indicazioni con la circolare n. 24/2017, che restano valide per quanto compatibili con le modifiche normative in commento.
Si ricorda che l’articolo 4 richiamato qualifica come locazioni brevi “i contratti di locazione d’immobili a uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali, stipulati da persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, direttamente o tramite soggetti che esercitano attività d’intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare”.
Resta fermo quanto previsto dall’articolo 1, comma 595, della legge n. 178/2020 secondo cui il trattamento tributario in commento è riconosciuto solo in caso di destinazione alla locazione breve di non più di quattro appartamenti per ciascun periodo d’imposta. Pertanto, in caso di superamento di tale limite, l’attività si presume svolta in forma imprenditoriale ai sensi dell’articolo 2082 del Codice civile, condizione che preclude l’applicazione del regime fiscale delle locazioni brevi.

Aliquota del 21% nel regime di cedolare secca
Con riferimento alle innovazioni apportate dalla Legge di Bilancio 2024, una prima modifica riguarda l’aliquota dell’imposta sostitutiva nella forma della cedolare secca applicabile ai redditi derivanti dai contratti di locazione breve.
L’aliquota è ora stabilita nella misura ordinaria del 26 per cento in luogo del 21 per cento. Contestualmente è riconosciuta al locatore la facoltà di usufruire dell’aliquota ridotta del 21 per cento relativamente ai redditi riferiti ai contratti di locazione breve stipulati per una sola unità immobiliare per ciascun periodo d’imposta, a scelta del contribuente. Tale unità immobiliare dovrà essere individuata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta d’interesse.
Con la circolare n. 10 del 10 maggio 2024, l’Agenzia precisa che la nuova disposizione trova applicazione a decorrere dalla data di entrata in vigore della Legge di Bilancio 2024 e, quindi, dal 1° gennaio 2024.
In definitiva, per l’applicazione dell’imposta sostitutiva nella misura del 26 per cento, rilevano i redditi derivanti dai contratti di locazione breve maturati pro-rata temporis (ossia in proporzione al tempo) in base all’articolo 26 del Tuir (rubricato “Imputazione dei redditi fondiari”), a partire dal 1° gennaio 2024, indipendentemente dalla data di stipula dei contratti e dalla percezione dei canoni, fatta salva, ovviamente, la facoltà di usufruire dell’aliquota ridotta del 21 per cento per i redditi derivanti dai contratti di locazione breve relativi a una unità immobiliare specificamente individuata dal contribuente in sede di dichiarazione dei redditi.

Portali, intermediari e Airbnb
Le modifiche introdotte non riguardano solo i locatori, ma anche gli intermediari e i portali telematici che gestiscono gli affitti brevi. Questi ultimi, in qualità di sostituti d’imposta, dovranno applicare una ritenuta d’acconto del 21 per cento sui redditi percepiti, indipendentemente dal regime fiscale del beneficiario.
Tale ritenuta si intende operata da questi soggetti sempre a titolo d’acconto. In precedenza, la ritenuta si intendeva operata a titolo di acconto solo nel caso in cui non fosse stata esercitata l’opzione per l’imposta sostitutiva nella forma della cedolare secca.
La circolare precisa, inoltre, che qualora i soggetti che esercitano attività d’intermediazione immobiliare, ovvero che gestiscono portali telematici, incassino o intervengano nel pagamento dei canoni, il contribuente è tenuto, per ciascun periodo d’imposta, a determinare l’imposta – ordinaria o sostitutiva – dovuta, e a versare l’eventuale saldo dell’imposta, ottenuto previo scomputo delle ritenute d’acconto subite, entro il termine per il versamento a saldo delle imposte sui redditi.
I dati dell’imposta dovuta, delle ritenute subite e dell’imposta a saldo sono indicati nella dichiarazione dei redditi.

Le regole per gli intermediari non residenti
Un aspetto particolare delle nuove disposizioni è dedicato agli intermediari non residenti, segnatamente in risposta alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 22 dicembre 2022, relativa al caso Airbnb. Gli intermediari che, pur non essendo residenti, dispongono di una stabile organizzazione in Italia e incassano canoni o corrispettivi legati agli affitti brevi, sono tenuti a rispettare gli obblighi di ritenuta e di trasmissione dei dati imposti dalla legislazione italiana.

Sostituzione vetri degli infissi: si può fruire del bonus ristrutturazioni?

Una contribuente si è rivolto all’Agenzia delle Entrate, tramite “La Posta di FiscoOggi”, poiché ha spiegato di voler sostituire solo i vetri degli infissi presenti nella propria abitazione. A tal proposito, la contribuente ha chiesto se in questo caso potrà usufruire della detrazione del 50% delle spese e se vi sono particolari condizioni per richiedere l’agevolazione.
In risposta, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che l’art. 16-bis del Tuir rubricato “Detrazione delle spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica degli edifici” alla lettera g) del comma 1, comprende tra gli interventi che possono ottenere il bonus ristrutturazioni 50% anche quelli finalizzati al contenimento dell’inquinamento acustico. Ovviamente si tratta di interventi che possono essere effettuati sia sulle singole unità immobiliari e sia sulle parti comuni di un edificio.
Tali interventi, seppur corrispondenti a lavori di manutenzione ordinaria, sono ammessi in detrazione anche se realizzati in assenza di opere edilizie propriamente dette, ad esempio la sostituzione dei vetri degli infissi.
L’Agenzia delle Entrate precisa che per poter usufruire dell’agevolazione fiscale, ovvero del bonus ristrutturazioni 50%, è necessario essere in possesso dell’idonea documentazione (scheda tecnica del produttore) che attesti l’abbattimento delle fonti sonore interne o esterne all’abitazione, nei limiti fissati dalla normativa, ovvero dalla legge quadro sull’inquinamento acustico (legge n. 447/1995).
Pertanto, per poter ottenere l’agevolazione è necessario che la scheda prodotto del costruttore attesti l’ottenimento dei parametri fissati dalla normativa di riferimento.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Doppi o tripli vetri per una maggiore efficienza energetica

Le caratteristiche dei vetri incidono notevolmente in termini di comfort abitativo e isolamento termico. Una casa con infissi nuovi realizzati con materiali isolanti e vetri resistenti è infatti notevolmente più efficiente dal punto di vista energetico.

E i vetri rappresentano un elemento fondamentale delle finestre. Infatti, oltre a garantire il passaggio della luce, proteggono l’ambiente dai rumori e dalle temperature esterne.

Pertanto, chi intende migliorare la classe energetica della propria abitazione e risparmiare sui costi delle bollette deve anche sostituire i vecchi infissi con modelli più moderni ed efficienti.

La dispersione di calore è la principale causa dei consumi eccessivi di molte famiglie. Se la casa non è ben isolata dal punto di vista termico, con cappotto e infissi di ultima generazione, ottenere una temperatura adeguata tra le mura domestiche sarà più costoso, sia mesi estivi sia in quelli invernali.

L’isolamento termico di un’abitazione passa anche, e soprattutto, dalla tipologia di vetri degli infissi: i doppi e tripli vetri, rispetto al vetro singolo, rappresentano la scelta migliore.

Quando si parla di “doppio vetro”, che ormai è uno standard consolidato per le finestre di nuova generazione, si intendono due lastre distinte divise da una camera d’aria. Lo spazio tra un vetro e l’altro di solito è riempito da gas argon. Le caratteristiche del doppio vetro consentono la riduzione delle dispersioni termiche, evitando che la temperatura interna di abbassi quando all’esterno ci sono temperature rigide e vento.

Sul mercato è presente anche il “triplo vetro”, costruito in maniera analoga ma con una lastra di vetro in più. La terza lastra aumenta l’isolamento termico e acustico rispetto al doppio vetro. Bisogna però considerare che ha un costo superiore e inoltre lascia filtrare meno luce.

Sia il doppio sia il triplo rappresentano comunque la scelta più adeguata per chi desidera migliorare l’isolamento energetico della propria casa.

Da ricordare, inoltre, che l’installazione dei doppi vetri è tra gli interventi agevolati dallo Stato mediante il cosiddetto “bonus infissi”. Questo tipo di intervento, infatti, rientra nel bonus casa o bonus Ristrutturazioni , l’agevolazione grazie alla quale detrarre il 50% della spesa in 10 anni e in 10 parti uguali.

Per usufruire del bonus Ristrutturazioni è necessario che il contribuente esegua sull’immobile interventi di manutenzione straordinaria, restauro conservativo o risanamento. Mentre, esclusivamente sulle parti comuni dell’edificio, quindi nei condomini, è possibile eseguire lavori di manutenzione. Questo vuol dire che la spesa per la sostituzione degli infissi e l’installazione dei vetri doppi o tripli è ancora più vantaggiosa, poiché metà della spesa complessiva si può recuperare tramite le detrazioni fiscali.

Vendere casa prima di cinque anni dall’acquisto

Si sente spesso dire che non si può vendere casa prima che siano trascorsi cinque anni dall’acquisto. Ma in realtà le cose non stanno in questo modo. Non si tratta infatti di un divieto, ma di una condizione per non perdere le agevolazioni fiscali delle quali si è eventualmente beneficiato in sede di stipula dell’atto di compravendita o donazione, il cosiddetto “bonus prima casa”. Pertanto, una volta decadute le agevolazioni, bisogna restituire al fisco tutte le imposte che non si erano versate prima, con le sanzioni.

Il cosiddetto “bonus prima casa” consiste in una agevolazione fiscale che spetta a chi compra o riceve in donazione un immobile. Comporta un netto taglio delle imposte che si dovrebbero altrimenti versare all’atto del rogito.

Si chiama “bonus prima casa” ma non è destinato necessariamente alla prima casa. L’importante è che il contribuente non possegga un altro immobile per il quale abbia già usufruito dell’agevolazione.
Per chi acquista da privato, il bonus prima casa consiste nelle seguenti agevolazioni:
– l’abbattimento dell’imposta di registro al 2% (anziché al 9%);
– il versamento dell’imposta ipotecaria e catastale in misura fissa, pari a 50 euro ciascuna (e non nelle misure rispettivamente del 2% e dell’1%).

Per chi acquista da una ditta, come un costruttore, le agevolazioni sono le seguenti:
– Iva al 4% (anziché al 10%);
– imposta ipotecaria e catastale pari a 200 euro ciascuna.

Per avere diritto al bonus prima casa è necessario:
– non essere proprietari (neanche per quote) di altra civile abitazione nel Comune ove si trova l’immobile che si acquista o si riceve in donazione. In caso contrario, esso va ceduto prima del nuovo rogito;
– non essere proprietari (neanche per quote) di un’altra abitazione, ovunque situata, per la quale sia stato in precedenza ottenuto il bonus prima casa. Diversamente è possibile cederla entro 1 anno dal nuovo rogito (si potrà così donarla o venderla);
– spostare la propria residenza entro 18 mesi dal rogito nel Comune ove si trova il nuovo immobile. Non è richiesto un trasferimento nella medesima via e numero civico ove si trova detta abitazione. Questo consente di comprare con il bonus prima casa anche un immobile da destinare a investimento. In alternativa, bisogna avere la sede di lavoro nel Comune medesimo;
– la casa che si acquista non deve essere di lusso, ossia accatastata nelle categorie A/1, A/8 o A/9.

Poiché scopo del bonus prima casa è quello di agevolare chi cerca un’abitazione ove vivere e non anche chi intende fare investimenti e guadagnare dalla rivendita, l’ultima condizione per avere il bonus è non rivendere casa prima di cinque anni. È un impegno che si assume al momento del rogito. Chi non lo rispetta sarà tenuto a versare le imposte che aveva risparmiato nel precedente atto di compravendita o donazione, maggiorate delle sanzioni pari al 30% e degli interessi maturati.
Pertanto:
– se è stata pagata l’imposta di registro al 2% invece del 9%, si dovrà versare la differenza;
– se è stato acquistato l’immobile da un’impresa con l’IVA agevolata al 4%, si dovrà restituire la differenza rispetto all’IVA ordinaria al 10% (o a 22% per immobili di lusso);
– se sono state pagate le imposte ipotecaria e catastale fisse (pari a 50 euro ciascuna per gli acquisti da privati o pari a 200 euro per quelli da ditta), si dovrà versare la differenza rispetto alle imposte ordinarie (che sono nella misura rispettivamente del 2% e dell’1%).

Come emerge dalla risposta ad interpello 441 /2022, l’Agenzia delle Entrate è ferma nel ritenere che la decadenza dal trattamento fiscale agevolato si verifica non solo in caso di cessione della piena proprietà, ma anche di costituzione dell’usufrutto. In tale circostanza si determina la decadenza dall’agevolazione fruita, limitatamente alla parte di prezzo corrispondente al diritto parziario. Ai fini fiscali, sul valore del diritto alienato va recuperata la differenza tra la tassazione agevolata e quella ordinaria, oltre alla sanzione e agli interessi.

Il divieto di rivendita vale anche quando questa riguarda solo una parte dell’immobile (ad esempio a seguito di frazionamento). In tale ipotesi il ricalcolo delle imposte avviene in modo proporzionato alla parte dell’abitazione ceduta.

L’ufficio delle imposte ha la possibilità di accertare se il contribuente ha rispettato le condizioni previste per ottenere l’agevolazione prima casa entro il termine di tre anni. Secondo la Cassazione (Sent. n. 20265/2018), tale termine decorre non dalla registrazione dell’acquisto dell’immobile, ma dallo scadere dell’anno successivo alla vendita.

Il contribuente che si accorge che non può o non vuole più rispettare l’impegno di non rivendere la casa prima di cinque anni, può evitare l’applicazione della sanzione del 30% comunicando tale intenzione all’Agenzia delle Entrate e dichiarandosi disponibile a pagare la differenza tra le imposte a suo tempo versate e quelle che avrebbe dovuto pagare in assenza delle agevolazioni sulla prima casa.

Tramite questa comunicazione, il contribuente evita di versare le sanzioni in misura piena ed ha la possibilità di usufruire del ravvedimento operoso. Si tratta della possibilità di sanare autonomamente la propria posizione, prima della notifica di azioni di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate
Per non decadere dal bonus prima casa, e quindi non dover né restituire le imposte risparmiate, né versare la sanzione del 30% con gli interessi, bisogna riacquistare, entro un anno dalla vendita, un altro immobile da destinare ad abitazione principale.

Un altro caso in cui non si decade dal bonus prima casa è quando l’immobile viene trasferito alla moglie o ai figli a seguito di un accordo di separazione o divorzio consensuale (Cassazione 22023/2017 e 8104/2017, Ag. Entrate risoluzione 80/2019).