Sono proprietario di un appartamento acquisito per successione nel 1961, che non è la mia abitazione principale. Abbiamo beneficiato del Superbonus con sconto fattura. In caso di vendita dell’appartamento sono tenuto a pagare la tassa sulla plusvalenza o sono esente, avendo acquisito l’immobile per successione oltre 60 anni fa?
La legge di bilancio 2024 ha previsto l’assoggettamento a tassazione delle plusvalenze realizzate con la cessione a titolo oneroso di beni immobili per i quali si è beneficiato del Superbonus con lavori conclusi da non più di 10 anni.
La norma non si applica però agli immobili acquisiti per successione – quindi lei non viene colpito dalla nuova norma – e a quelli che sono stati adibiti ad abitazione principale per la maggior parte dei dieci anni antecedenti la cessione o per la maggior parte del periodo se il possesso ha durata inferiore.
L’aliquota è del 26%, salvo opzione per la tassazione con le aliquote progressive Irpef, normalmente meno favorevole.
L’Agenzia delle Entrate torna sul tema del bonus ristrutturazione, in particolare sulla possibilità di usufruire di tale agevolazione da parte delle coppie di fatto.
Nel caso esaminato, una contribuente si è rivolta al Fisco, tramite “La Posta di FiscoOggi”, spiegando che in qualità di convivente di fatto, sosterrà le spese di ristrutturazione su un’abitazione acquistata dal compagno.
A tal proposito, la contribuente chiede se potrà usufruire dell’agevolazione prevista dall’articolo 16-bis del TUIR, anche se, al momento, lei e il suo compagno convivono in una casa diversa da quella oggetto di ristrutturazione. La contribuente specifica, infine, che la coppia è regolarmente registrata presso il Comune come “coppia di fatto”.
L’Agenzia delle Entrate, in risposta al quesito posto, ha spiegato che la normativa italiana dal 2016, in particolare l’art. 16-bis del TUIR, prevede che può richiedere la detrazione per il recupero del patrimonio edilizio, se sostiene le spese relative, anche il convivente di fatto del possessore o detentore dell’immobile oggetto degli interventi, anche in assenza di un contratto di comodato.
Tale agevolazione si applica alle spese sostenute per gli interventi effettuati su una delle abitazioni nelle quali si manifesta il rapporto di convivenza, anche se diversa dall’abitazione principale della coppia di conviventi.
Ciò nonostante è di fondamentale importanza rispettare il requisito della “stabile convivenza”. Per l’accertamento di tale requisito, la legge n.76 del 20/05/2016 definisce la “famiglia anagrafica” come l’unità che può essere dimostrata tramite i registri anagrafici comunali o, in alternativa, si può ricorrere all’autocertificazione, da rendere ai sensi dell’articolo 47 del Dpr n. 445/2000.
Ricordiamo che si intendono “conviventi di fatto” due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
L’Agenzia delle Entrate, inoltre, evidenzia che è importante che lo status di convivenza sia già in essere al momento in cui si attiva la procedura o alla data di inizio dei lavori, ed è necessario che lo status di convivenza perduri durante tutto il periodo in cui si sostengono le spese ammesse in detrazione.
Pertanto, i documenti necessari che dovrà fornire il convivente che desidera fruire dell’agevolazione sono la registrazione anagrafica o l’autocertificazione che attesti lo status di convivenza e le ricevute, nonché la documentazione fiscale, relative alle spese sostenute.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI
Dal 1° settembre 2024 è entrato in vigore il Decreto Legislativo 87/2024, cosiddetto “Decreto Sanzioni”, che era stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 28 giugno, rubricato “Revisione del sistema sanzionatorio tributario, ai sensi dell’articolo 20 della legge 9 agosto 2023, n. 111” e che apporta una revisione del sistema sanzionatorio tributario.
Nello specifico, il Decreto Sanzioni modifica la disciplina in ambito di sanzioni per compensazioni illecite o indebito, introducendo la distinzione tra “crediti non spettanti” e “crediti inesistenti”, con l’obiettivo di garantire una rigorosa distinzione normativa tra le due fattispecie, così da chiarire i diversi dubbi interpretativi emersi a riguardo.
Chiaramente, anche se tale norma si riferisce a tutti i crediti fiscali, è bene evidenziare che tra questi rientrano anche quelli collegati ai bonus edilizi, che in vari casi sono stati considerati inesistenti o non spettanti, e ciò ha portato a contenziosi tra committenti dei lavori, banche e imprese.
Il provvedimento fornisce, all’articolo 1, la definizione dei crediti non spettanti e dei crediti inesistenti. Difatti, per “crediti inesistenti” si intendono:
• i crediti per i quali mancano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella normativa di riferimento;
• i crediti per i quali i requisiti oggettivi e soggettivi sono oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici.
Per “crediti non spettanti” si intendono:
• i crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quelli fruiti in misura superiore a quella stabilita dalle norme di riferimento;
• i crediti che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito;
• i crediti utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi espressamente previsti a pena di decadenza.
In riferimento alle sanzioni tributarie, l’articolo 2 del D.lgs. 87/2024 stabilisce che per i crediti inesistenti la sanzione è pari al 70% del credito utilizzato in compensazione e tale sanzione può essere aumentata dalla metà al doppio, quindi fino al 140%, in caso vi siano comportamenti fraudolenti.
Per ciò che riguarda i crediti non spettanti la sanzione sarà del 25% del credito utilizzato in compensazione (fino al 31 agosto 2024 la sanzione prevista era pari al 30% del credito). Nel caso in cui il credito sia stato utilizzato violando le norme sulle modalità di utilizzo o senza i dovuti adempimenti amministrativi, ma la violazione viene rimossa entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi o gli adempimenti non causano la decadenza del credito, deve essere pagata una sanzione fissa di € 250.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI
La Legge di Bilancio 2024 ha modificato il regime delle locazioni brevi, con alcune novità sia sul fronte delle regole di tassazione sia in relazione agli adempimenti per gli intermediari e le piattaforme online.
La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 10/E del 10 maggio 2024 analizza le novità introdotte, fornendo chiarimenti e istruzioni con un focus specifico anche in relazione alla nuova cedolare secca.
L’aliquota dell’imposta sostitutiva applicata ai redditi derivanti dagli affitti brevi è, a partire dal 1° gennaio 2024, pari al 26 per cento, e non più al 21 per cento, ferme restando le regole di maggior favore per chi concede in locazione per periodi inferiori a 30 giorni una sola unità immobiliare.
Per gli intermediari la ritenuta applicata ai compensi rimane invece pari al 21 per cento, e sarà quindi il contribuente a dover determinare l’imposta effettivamente dovuta, da versare entro i termini di pagamento delle imposte sui redditi.
Le regole operative arriveranno il prossimo anno, con la pubblicazione delle istruzioni relative al modello 730 e Redditi 2025.
Le modifiche
L’articolo 1, comma 63, della Legge di Bilancio 2024 modifica, dunque, il regime fiscale delle locazioni brevi disciplinato dall’articolo 4 del Dl n. 50/2017.
Sull’argomento, l’Agenzia delle Entrate ha già fornito indicazioni con la circolare n. 24/2017, che restano valide per quanto compatibili con le modifiche normative in commento.
Si ricorda che l’articolo 4 richiamato qualifica come locazioni brevi “i contratti di locazione d’immobili a uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali, stipulati da persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, direttamente o tramite soggetti che esercitano attività d’intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare”.
Resta fermo quanto previsto dall’articolo 1, comma 595, della legge n. 178/2020 secondo cui il trattamento tributario in commento è riconosciuto solo in caso di destinazione alla locazione breve di non più di quattro appartamenti per ciascun periodo d’imposta. Pertanto, in caso di superamento di tale limite, l’attività si presume svolta in forma imprenditoriale ai sensi dell’articolo 2082 del Codice civile, condizione che preclude l’applicazione del regime fiscale delle locazioni brevi.
Aliquota del 21% nel regime di cedolare secca
Con riferimento alle innovazioni apportate dalla Legge di Bilancio 2024, una prima modifica riguarda l’aliquota dell’imposta sostitutiva nella forma della cedolare secca applicabile ai redditi derivanti dai contratti di locazione breve.
L’aliquota è ora stabilita nella misura ordinaria del 26 per cento in luogo del 21 per cento. Contestualmente è riconosciuta al locatore la facoltà di usufruire dell’aliquota ridotta del 21 per cento relativamente ai redditi riferiti ai contratti di locazione breve stipulati per una sola unità immobiliare per ciascun periodo d’imposta, a scelta del contribuente. Tale unità immobiliare dovrà essere individuata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta d’interesse.
Con la circolare n. 10 del 10 maggio 2024, l’Agenzia precisa che la nuova disposizione trova applicazione a decorrere dalla data di entrata in vigore della Legge di Bilancio 2024 e, quindi, dal 1° gennaio 2024.
In definitiva, per l’applicazione dell’imposta sostitutiva nella misura del 26 per cento, rilevano i redditi derivanti dai contratti di locazione breve maturati pro-rata temporis (ossia in proporzione al tempo) in base all’articolo 26 del Tuir (rubricato “Imputazione dei redditi fondiari”), a partire dal 1° gennaio 2024, indipendentemente dalla data di stipula dei contratti e dalla percezione dei canoni, fatta salva, ovviamente, la facoltà di usufruire dell’aliquota ridotta del 21 per cento per i redditi derivanti dai contratti di locazione breve relativi a una unità immobiliare specificamente individuata dal contribuente in sede di dichiarazione dei redditi.
Portali, intermediari e Airbnb
Le modifiche introdotte non riguardano solo i locatori, ma anche gli intermediari e i portali telematici che gestiscono gli affitti brevi. Questi ultimi, in qualità di sostituti d’imposta, dovranno applicare una ritenuta d’acconto del 21 per cento sui redditi percepiti, indipendentemente dal regime fiscale del beneficiario.
Tale ritenuta si intende operata da questi soggetti sempre a titolo d’acconto. In precedenza, la ritenuta si intendeva operata a titolo di acconto solo nel caso in cui non fosse stata esercitata l’opzione per l’imposta sostitutiva nella forma della cedolare secca.
La circolare precisa, inoltre, che qualora i soggetti che esercitano attività d’intermediazione immobiliare, ovvero che gestiscono portali telematici, incassino o intervengano nel pagamento dei canoni, il contribuente è tenuto, per ciascun periodo d’imposta, a determinare l’imposta – ordinaria o sostitutiva – dovuta, e a versare l’eventuale saldo dell’imposta, ottenuto previo scomputo delle ritenute d’acconto subite, entro il termine per il versamento a saldo delle imposte sui redditi.
I dati dell’imposta dovuta, delle ritenute subite e dell’imposta a saldo sono indicati nella dichiarazione dei redditi.
Le regole per gli intermediari non residenti
Un aspetto particolare delle nuove disposizioni è dedicato agli intermediari non residenti, segnatamente in risposta alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 22 dicembre 2022, relativa al caso Airbnb. Gli intermediari che, pur non essendo residenti, dispongono di una stabile organizzazione in Italia e incassano canoni o corrispettivi legati agli affitti brevi, sono tenuti a rispettare gli obblighi di ritenuta e di trasmissione dei dati imposti dalla legislazione italiana.
Una contribuente si è rivolto all’Agenzia delle Entrate, tramite “La Posta di FiscoOggi”, poiché ha spiegato di voler sostituire solo i vetri degli infissi presenti nella propria abitazione. A tal proposito, la contribuente ha chiesto se in questo caso potrà usufruire della detrazione del 50% delle spese e se vi sono particolari condizioni per richiedere l’agevolazione.
In risposta, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che l’art. 16-bis del Tuir rubricato “Detrazione delle spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica degli edifici” alla lettera g) del comma 1, comprende tra gli interventi che possono ottenere il bonus ristrutturazioni 50% anche quelli finalizzati al contenimento dell’inquinamento acustico. Ovviamente si tratta di interventi che possono essere effettuati sia sulle singole unità immobiliari e sia sulle parti comuni di un edificio.
Tali interventi, seppur corrispondenti a lavori di manutenzione ordinaria, sono ammessi in detrazione anche se realizzati in assenza di opere edilizie propriamente dette, ad esempio la sostituzione dei vetri degli infissi.
L’Agenzia delle Entrate precisa che per poter usufruire dell’agevolazione fiscale, ovvero del bonus ristrutturazioni 50%, è necessario essere in possesso dell’idonea documentazione (scheda tecnica del produttore) che attesti l’abbattimento delle fonti sonore interne o esterne all’abitazione, nei limiti fissati dalla normativa, ovvero dalla legge quadro sull’inquinamento acustico (legge n. 447/1995).
Pertanto, per poter ottenere l’agevolazione è necessario che la scheda prodotto del costruttore attesti l’ottenimento dei parametri fissati dalla normativa di riferimento.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI
Le caratteristiche dei vetri incidono notevolmente in termini di comfort abitativo e isolamento termico. Una casa con infissi nuovi realizzati con materiali isolanti e vetri resistenti è infatti notevolmente più efficiente dal punto di vista energetico.
E i vetri rappresentano un elemento fondamentale delle finestre. Infatti, oltre a garantire il passaggio della luce, proteggono l’ambiente dai rumori e dalle temperature esterne.
Pertanto, chi intende migliorare la classe energetica della propria abitazione e risparmiare sui costi delle bollette deve anche sostituire i vecchi infissi con modelli più moderni ed efficienti.
La dispersione di calore è la principale causa dei consumi eccessivi di molte famiglie. Se la casa non è ben isolata dal punto di vista termico, con cappotto e infissi di ultima generazione, ottenere una temperatura adeguata tra le mura domestiche sarà più costoso, sia mesi estivi sia in quelli invernali.
L’isolamento termico di un’abitazione passa anche, e soprattutto, dalla tipologia di vetri degli infissi: i doppi e tripli vetri, rispetto al vetro singolo, rappresentano la scelta migliore.
Quando si parla di “doppio vetro”, che ormai è uno standard consolidato per le finestre di nuova generazione, si intendono due lastre distinte divise da una camera d’aria. Lo spazio tra un vetro e l’altro di solito è riempito da gas argon. Le caratteristiche del doppio vetro consentono la riduzione delle dispersioni termiche, evitando che la temperatura interna di abbassi quando all’esterno ci sono temperature rigide e vento.
Sul mercato è presente anche il “triplo vetro”, costruito in maniera analoga ma con una lastra di vetro in più. La terza lastra aumenta l’isolamento termico e acustico rispetto al doppio vetro. Bisogna però considerare che ha un costo superiore e inoltre lascia filtrare meno luce.
Sia il doppio sia il triplo rappresentano comunque la scelta più adeguata per chi desidera migliorare l’isolamento energetico della propria casa.
Da ricordare, inoltre, che l’installazione dei doppi vetri è tra gli interventi agevolati dallo Stato mediante il cosiddetto “bonus infissi”. Questo tipo di intervento, infatti, rientra nel bonus casa o bonus Ristrutturazioni , l’agevolazione grazie alla quale detrarre il 50% della spesa in 10 anni e in 10 parti uguali.
Per usufruire del bonus Ristrutturazioni è necessario che il contribuente esegua sull’immobile interventi di manutenzione straordinaria, restauro conservativo o risanamento. Mentre, esclusivamente sulle parti comuni dell’edificio, quindi nei condomini, è possibile eseguire lavori di manutenzione. Questo vuol dire che la spesa per la sostituzione degli infissi e l’installazione dei vetri doppi o tripli è ancora più vantaggiosa, poiché metà della spesa complessiva si può recuperare tramite le detrazioni fiscali.
Si sente spesso dire che non si può vendere casa prima che siano trascorsi cinque anni dall’acquisto. Ma in realtà le cose non stanno in questo modo. Non si tratta infatti di un divieto, ma di una condizione per non perdere le agevolazioni fiscali delle quali si è eventualmente beneficiato in sede di stipula dell’atto di compravendita o donazione, il cosiddetto “bonus prima casa”. Pertanto, una volta decadute le agevolazioni, bisogna restituire al fisco tutte le imposte che non si erano versate prima, con le sanzioni.
Il cosiddetto “bonus prima casa” consiste in una agevolazione fiscale che spetta a chi compra o riceve in donazione un immobile. Comporta un netto taglio delle imposte che si dovrebbero altrimenti versare all’atto del rogito.
Si chiama “bonus prima casa” ma non è destinato necessariamente alla prima casa. L’importante è che il contribuente non possegga un altro immobile per il quale abbia già usufruito dell’agevolazione.
Per chi acquista da privato, il bonus prima casa consiste nelle seguenti agevolazioni:
– l’abbattimento dell’imposta di registro al 2% (anziché al 9%);
– il versamento dell’imposta ipotecaria e catastale in misura fissa, pari a 50 euro ciascuna (e non nelle misure rispettivamente del 2% e dell’1%).
Per chi acquista da una ditta, come un costruttore, le agevolazioni sono le seguenti:
– Iva al 4% (anziché al 10%);
– imposta ipotecaria e catastale pari a 200 euro ciascuna.
Per avere diritto al bonus prima casa è necessario:
– non essere proprietari (neanche per quote) di altra civile abitazione nel Comune ove si trova l’immobile che si acquista o si riceve in donazione. In caso contrario, esso va ceduto prima del nuovo rogito;
– non essere proprietari (neanche per quote) di un’altra abitazione, ovunque situata, per la quale sia stato in precedenza ottenuto il bonus prima casa. Diversamente è possibile cederla entro 1 anno dal nuovo rogito (si potrà così donarla o venderla);
– spostare la propria residenza entro 18 mesi dal rogito nel Comune ove si trova il nuovo immobile. Non è richiesto un trasferimento nella medesima via e numero civico ove si trova detta abitazione. Questo consente di comprare con il bonus prima casa anche un immobile da destinare a investimento. In alternativa, bisogna avere la sede di lavoro nel Comune medesimo;
– la casa che si acquista non deve essere di lusso, ossia accatastata nelle categorie A/1, A/8 o A/9.
Poiché scopo del bonus prima casa è quello di agevolare chi cerca un’abitazione ove vivere e non anche chi intende fare investimenti e guadagnare dalla rivendita, l’ultima condizione per avere il bonus è non rivendere casa prima di cinque anni. È un impegno che si assume al momento del rogito. Chi non lo rispetta sarà tenuto a versare le imposte che aveva risparmiato nel precedente atto di compravendita o donazione, maggiorate delle sanzioni pari al 30% e degli interessi maturati.
Pertanto:
– se è stata pagata l’imposta di registro al 2% invece del 9%, si dovrà versare la differenza;
– se è stato acquistato l’immobile da un’impresa con l’IVA agevolata al 4%, si dovrà restituire la differenza rispetto all’IVA ordinaria al 10% (o a 22% per immobili di lusso);
– se sono state pagate le imposte ipotecaria e catastale fisse (pari a 50 euro ciascuna per gli acquisti da privati o pari a 200 euro per quelli da ditta), si dovrà versare la differenza rispetto alle imposte ordinarie (che sono nella misura rispettivamente del 2% e dell’1%).
Come emerge dalla risposta ad interpello 441 /2022, l’Agenzia delle Entrate è ferma nel ritenere che la decadenza dal trattamento fiscale agevolato si verifica non solo in caso di cessione della piena proprietà, ma anche di costituzione dell’usufrutto. In tale circostanza si determina la decadenza dall’agevolazione fruita, limitatamente alla parte di prezzo corrispondente al diritto parziario. Ai fini fiscali, sul valore del diritto alienato va recuperata la differenza tra la tassazione agevolata e quella ordinaria, oltre alla sanzione e agli interessi.
Il divieto di rivendita vale anche quando questa riguarda solo una parte dell’immobile (ad esempio a seguito di frazionamento). In tale ipotesi il ricalcolo delle imposte avviene in modo proporzionato alla parte dell’abitazione ceduta.
L’ufficio delle imposte ha la possibilità di accertare se il contribuente ha rispettato le condizioni previste per ottenere l’agevolazione prima casa entro il termine di tre anni. Secondo la Cassazione (Sent. n. 20265/2018), tale termine decorre non dalla registrazione dell’acquisto dell’immobile, ma dallo scadere dell’anno successivo alla vendita.
Il contribuente che si accorge che non può o non vuole più rispettare l’impegno di non rivendere la casa prima di cinque anni, può evitare l’applicazione della sanzione del 30% comunicando tale intenzione all’Agenzia delle Entrate e dichiarandosi disponibile a pagare la differenza tra le imposte a suo tempo versate e quelle che avrebbe dovuto pagare in assenza delle agevolazioni sulla prima casa.
Tramite questa comunicazione, il contribuente evita di versare le sanzioni in misura piena ed ha la possibilità di usufruire del ravvedimento operoso. Si tratta della possibilità di sanare autonomamente la propria posizione, prima della notifica di azioni di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate
Per non decadere dal bonus prima casa, e quindi non dover né restituire le imposte risparmiate, né versare la sanzione del 30% con gli interessi, bisogna riacquistare, entro un anno dalla vendita, un altro immobile da destinare ad abitazione principale.
Un altro caso in cui non si decade dal bonus prima casa è quando l’immobile viene trasferito alla moglie o ai figli a seguito di un accordo di separazione o divorzio consensuale (Cassazione 22023/2017 e 8104/2017, Ag. Entrate risoluzione 80/2019).
Chiamata anche “tassa”, l’imposta di registro è un tributo che si versa per la registrazione degli atti. È infatti desinata a coprire i costi per la registrazione e per il tracciamento degli atti che hanno rilevanza pubblica.
Il tracciamento è necessario affinché l’atto, una volta registrato, non possa essere modificato, se non con la stessa procedura, sempre tracciata. Questo comporta, ad esempio, che è sempre possibile ricostruire la storia di un immobile e avere certezza sui proprietari e su eventuali diritti vantati da altri soggetti, come l’iscrizione di un’eventuale ipoteca.
L’imposta di registro è disciplinata dal Dpr 131 del 1986, e deve essere annoverata tra le imposte indirette.
L’imposta di registro può essere fissa o commisurata al valore dell’atto. Infatti per le diverse tipologie vi sono aliquote diverse.
Il campo di applicazione dell’imposta di registro è definito dall’articolo 2 del Dpr 131 del 1986, il stabilisce che si applica a:
– atti indicati nella tariffa, se formati per iscritto nel territorio dello Stato;
– ai contratti verbali indicati nell’articolo 3 comma 1 (li analizziamo a breve);
– operazioni delle società ed enti esteri indicate nell’art. 4;
– atti formati all’estero che comportano trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di altri diritti reali, anche di garanzia, su beni immobili o aziende esistenti nel territorio dello Stato e quelli che hanno per oggetto la locazione o l’affitto di tali beni.
L’articolo 3, comma 1, precisa che si applica l’imposta di registro ai contratti di locazione o di affitto di beni immobili esistenti nel territorio dello Stato, cessione risoluzioni e proroghe anche tacite degli stessi contratti.
Sempre in base all’articolo 3, l’imposta di registro si applica agli atti di trasferimento e di affitto di aziende esistenti nel territorio dello Stato e di costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento sulle stesse e relative cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite.
L’articolo 4 disciplina, invece, l’imposta di registro da applicarsi agli atti societari, ad esempio l’atto di costituzione di una società, trasferimento, cessione di un ramo e in genere gli atti che nel tempo modificano gli atti societari.
Ci sono atti per i quali è prevista la registrazione obbligatoria, si tratta di:
– i contratti di locazione;
– il trasferimento di immobili tra privati;
– il trasferimento di immobili destinati a prima casa;
– il trasferimento di terreni, anche quelli non edificabili ad imprenditori agricoli;
– la cessione e la locazione di aziende;
– la locazione di beni mobili.
Competente alla registrazione degli atti è l’ufficio del registro nella cui circoscrizione risiede il pubblico ufficiale obbligato a richiedere la registrazione.
Per l’imposta di registro non si può parlare di un sistema di calcolo unico, in quanto vi sono diverse modalità e diverse aliquote a seconda della tipologia dell’atto. In linea di massima l’importo da versare dipende dal valore dell’atto.
Ad esempio, ’imposta di registro per l’acquisto della casa varia in base al valore dell’immobile, al prezzo concordato e al fatto che il contratto di compravendita riguardi la prima casa, abitazione principale, o un immobile ulteriore.
Per il contratto di locazione, invece la differenza della base imponibile è data dalla tipologia di contratto: libero o a canone concordato, ma anche la natura del bene dato in locazione.
In particolare, in caso di acquisto della prima casa, l’imposta di registro è fissata con aliquota al 2%, questa può essere applicata su due diverse basi imponibili (a scelta del soggetto passivo): sistema prezzo-valore o in base al prezzo di acquisto dell’immobile.
Se l’immobile è acquistato da una società e quindi è soggetto a Iva, è necessario versare l’Iva al 4% e l’imposta di registro in misura fissa in 200 euro.
Se l’immobile acquistato non è prima casa, l’imposta di registro prevede l’applicazione di un’aliquota al 9%.
Per il contratto di locazione l’imposta di registro prevede un’aliquota al 2% applicata al canone fissato dai contraenti, con un minimo di 67 euro. Se si preferisce il canone concordato la base imponibile è abbattuta del 30%.
Per quanto riguarda i termini di scadenza, anche in questo caso molto dipende dalla tipologia di atto da registrare. In generale il termine per la registrazione dell’atto e il versamento è di 20 giorni. Nel caso di contratti di locazione o altri atti inerenti beni immobili, il termine è di 30 giorni. Per gli atti formati all’estero il termine generalmente è di 60 giorni.
In molti casi l’imposta viene versata per conto del soggetto passivo dal sostituto di imposta, cioè il notaio o altro pubblico ufficiale.
Il pagamento dell’imposta di registro può avvenire utilizzando il modello F24, lo stesso può essere utilizzato anche per versare eventuali sanzioni in caso di ritardo.
Per i contratti di locazione ed altri atti relativi ad immobili è stata attivata una procedura di registrazione telematica, che sostituisce la presentazione diretta all’Ufficio.
Nella maggior parte dei casi omettere il versamento dell’imposta di registro è impossibile perché l’adempimento è delegato ai sostituti che lo esercitano contestualmente alla registrazione dell’atto. Se non registro l’atto di compravendita di un immobile, lo stesso non ha validità, se non verso l’imposta di registro, non posso registrare l’atto.
Sono però frequenti i controlli del Fisco nei casi in cui l’importo sia calcolato sul valore del contratto/atto.
In caso di omissione di registrazione degli atti e quindi mancato versamento dell’imposta di registro, la sanzione applicata è varia dal 120% al 240% dell’imposta dovuta.
Nel caso in cui la richiesta di registrazione sia effettuata con un ritardo non superiore a 30 giorni, la sanzione amministrativa varia dal 60% al 120% delle imposte dovute, ma l’importo minimo è di 200 euro.
In caso di insufficiente versamento, oltre ad essere tenuti a versare le somme originariamente dovute, si applica una sanzione amministrative del 30% del maggiore importo dovuto.
Infine, è possibile provvedere anche al ravvedimento operoso con riduzione delle sanzioni.
È un fenomeno molto più diffuso di quanto si pensi, quello dell’“affitto in nero”, ovvero della mancata registrazione del contratto d’affitto.
Ma è anche una pratica che può portare a pesanti sanzioni a carico sia del proprietario dell’immobile, sia del suo affittuario.
Si tratta infatti di evasione fiscale. Proprio per questo il legislatore punisce questo diffusissimo fenomeno con multe esemplari.
In caso di omessa registrazione del contratto d’affitto, e quindi suo mancato inserimento nella dichiarazione dei redditi del proprietario dell’immobile, si rischia infatti di dover corrispondere dal 120 al 240% dell’imposta originariamente dovuta. Si rischiano inoltre accertamenti fiscali fino ai cinque anni precedenti all’omessa regolarizzazione.
L’affitto in nero si concretizza quando il proprietario dell’immobile e il suo inquilino si accordano per evitare la sottoscrizione del contratto previsto per legge. Proprietario e affittuario ricorrono a questo stratagemma per ottenere vantaggi quali:
– un canone d’affitto più vantaggioso per l’inquilino, che corrisponderà l’importo pattuito in contanti al fine di evitare i metodi di pagamento tracciati;
– il proprietario può eludere la tassazione vigente sulla locazione poiché, non esistendo un regolare contratto d’affitto, l’accordo non viene reso noto al Fisco.
Affittare un immobile senza registrarne il regolare contratto d’affitto, è di fatto evasione fiscale. La disciplina sulla locazione è infatti fortemente regolamentata in Italia, in particolare dalla Legge 431/98, sottoposta a revisione nel 2005 proprio per introdurre pesanti sanzioni nel tentativo di limitare il fenomeno degli affitti in nero.
A essere esposto maggiormente è il proprietario dell’immobile, sul quale penderanno le multe più gravose. Il locatore colto in flagrante può infatti ricevere diverse sanzioni:
– una sanzione dal 120 al 240% dell’imposta di registro dovuta se il contratto d’affitto non viene registrato o se viene registrato dopo i 30 giorni previsti per legge;
– una sanzione dal 60 al 120% dell’imposta non versata, se il reddito da locazione non è stato specificato in sede di dichiarazione dei redditi;
– una sanzione tra il 90 e il 180% dell’imposta dovuta, quando viene dichiarato un importo inferiore a quello sul quale ci si è effettivamente accordati per l’affitto;
– la scoperta di un accordo in nero espone il proprietario non solo alle sanzioni per l’anno in corso, ma a controlli fiscali da parte dell’Agenzia delle Entrare fino ai 5 anni precedenti.
Il proprietario che si espone con un affitto in nero, inoltre, rinuncia a tutte quelle tutele garantite dal un regolare contratto d’affitto. Infatti, in caso di morosità dell’inquilino moroso, il proprietario dell’immobile non potrà avvalersi delle procedure di sfratto, poiché il contratto non esiste.
Le conseguenze di un affitto in nero ricadono anche sull’inquilino. Scoperto un affitto in nero, infatti, l’Agenzia delle Entrate potrebbe richiedere all’inquilino di corrispondere le imposte omesse e le relative sanzioni: per quanto riguarda l’imposta di registro, sono le medesime che vengono applicate al proprietario.
Oltre ai rischi legati agli oneri fiscali, l’inquilino privo di contratto è ovviamente anche privo di tutele. Ad esempio, il proprietario potrebbe intimare la liberazione dei locali senza preavviso e senza il rispetto di nessuna scadenza normalmente prevista per legge. Inoltre, l’assenza del contratto impedisce di accedere ai bonus oggi disponibili per calmierare i costi degli affitti. Anche l’inquilino, infine, come il proprietario, scoperto l’affitto in nero potrebbe essere il bersaglio di controlli fiscali fino ai 5 anni precedenti.
Per regolarizzare un affitto in nero è sufficiente la registrazione di un regolare contratto d’affitto.