L’installazione di un ascensore su un’area condominiale, allo scopo di eliminare le barriere architettoniche, costituisce un’innovazione che, secondo l’articolo 2, comma 1, della legge 13/1989, può essere approvata dall’assemblea con la maggioranza prescritta dall’articolo 1120, secondo comma, del Codice civile (in riferimento all’articolo 1136, secondo comma, del Codice stesso, vale a dire con la maggioranza degli intervenuti che rappresenti metà del valore dei millesimi).
Se l’adunanza condominiale esprime delibera contraria oppure omette di pronunciarsi, il portatore di handicap può chiedere per iscritto che si esegua l’opera, la quale, trascorsi inutilmente tre mesi, può essere installata, a proprie spese, dal richiedente (articolo 2, comma 2, della legge 13/1989).
A parte qualche voce in contrasto (per esempio, la sentenza della Cassazione civile, sezione VI, del 14 settembre 2017, n. 21339), l’orientamento prevalente della Suprema Corte appare quello espresso dalla sentenza della seconda sezione civile 28 marzo 2017, n. 7938, per cui “la legge 13 del 1989, in materia di eliminazione di barriere architettoniche, costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici”.
Posto ciò, sempre secondo la medesima sentenza, neppure il regolamento condominiale che disponga regole per il rispetto del decoro architettonico può limitare l’installazione dell’ascensore. A maggior ragione non possono farlo i singoli condòmini, o le delibere assembleari.
In particolare, sempre la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che “nel verificare se una nuova opera costituisce una turbativa al godimento di un condòmino occorre verificare se questa è stata realizzata per eliminare barriere architettoniche ad un disabile residente nello stabile (fattispecie relativa all’abbattimento di un muro perimetrale per l’apertura di una porta d’ingresso di un ascensore)” (Cassazione civile, sezione II, sentenza12 aprile 2018, n. 9101).
I condòmini dissenzienti sono esonerati dalla spesa, in applicazione dell’articolo 1121 del Codice civile, perché l’ascensore è opera suscettibile di utilizzazione separata; tuttavia, possono successivamente farne uso partecipando ai costi.
Concludendo, l’installazione ex novo dell’ascensore non richiederà la maggioranza dell’assemblea dei condòmini, neppure per un apparecchio esterno all’edificio, e che i condòmini dissenzienti non sono obbligati a partecipare alla spesa.
Le spese per la sostituzione della pulsantiera si ripartiscono tra tutti i condòmini per millesimi di proprietà, a patto che il regolamento condominiale contrattuale, se esistente, non disponga diversamente.
Infatti il Codice civile, all’articolo 1123, comma 1, dispone che “le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza, sono sostenute dai condòmini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione”.
Nei cantieri edili un addetto perde la vita ogni due giorni. E in un caso su tre lavora in una realtà imprenditoriale diversa. Come l’installazione degli impianti, settore al quale si applica il contratto dei metalmeccanici come previsto dagli accordi sindacali tra le parti sociali.
A sottolinearlo è la Cgia di Mestre, che ha elaborato alcune statistiche sui morti sul lavoro. Dal report si evince che è il cantiere il luogo a maggior rischio. Questo perché le maestranze che esercitano l’attività edile ma non dispongono del contratto corrispondente non sono tenute a frequentare i corsi di formazione obbligatori previsti per gli edili. Ciò rende i lavoratori meno consapevoli e meno preparati ad affrontare i rischi e i pericoli che possono incorrere durante la giornata lavorativa.
I dati disponibili – per la Cgia – non consentono di «soppesare» quante imprese dell’edilizia applicano il contratto metalmeccanico al posto quello edile. Ma è evidente che nei cantieri accedono comunque troppi addetti che non hanno ricevuto un’adeguata formazione in materia di sicurezza.
Se tra le principali irregolarità riscontrate dall’Ispettorato del Lavoro durante l’attività di controllo emergono, in particolar modo, i ponteggi non ancorati correttamente, l’assenza di percorsi all’interno del cantiere dedicati ai mezzi e/o ai pedoni o la mancanza/inadeguatezza di dispositivi di protezione collettivi (parapetti, armature, barriere), vuol dire che il lavoro da fare in materia di prevenzione è ancora tantissimo.
Secondo la banca dati Inail, in Italia nel 2022 sono stati denunciati 1.208 incidenti mortali nei luoghi di lavoro, di cui 175 – praticamente uno ogni due giorni – hanno interessato il comparto delle costruzioni.
Tra i decessi avvenuti in questo settore ben 63 (ovvero il 36 per cento del totale), erano lavoratori del settore dell’installazione degli impianti. Un’incidenza, quest’ultima, che è aumentata notevolmente rispetto a quella registrata negli anni precedenti.
A livello territoriale le situazioni più critiche riguardano il Piemonte (65 per cento), la Liguria e l’Umbria (entrambe con il 50 per cento), la Lombardia con il 40,7 per cento e il Friuli-Venezia Giulia con il 40 per cento.
Senza contare, poi, la presenza endemica nel settore dell’edilizia dei lavoratori in nero. Lavoratori completamente sconosciuti al fisco, all’Inps e all’Inail che vengono pagati in contanti ogni fine settimana.
Secondo le stime dell’Istat, negli ultimi anni il fenomeno nel suo complesso è in calo, tuttavia gli irregolari presenti nell’edilizia ammonterebbero a 220.200. Segnaliamo, invece, che il tasso di irregolarità delle costruzioni nel 2021 (ultimo dato disponibile) era al 13,3 per cento: tra tutti i settori economici presenti nel Paese, solo l’Agricoltura con il 16,8 per cento e gli altri servizi alle persone (colf, badanti, cura della persona, etc.) con il 42,6 per cento presentavano un tasso superiore alle costruzioni.
In assenza di una diversa disposizione contenuta nel regolamento condominiale contrattuale, se esistente, si ritiene che il condòmino possa utilizzare l’ascensore anche per l’esecuzione di opere riguardanti la ristrutturazione di proprietà esclusive.
Sul tema specifico, si è espressa la Corte di Cassazione, con la sentenza 6 aprile 1982, n. 2117, secondo cui in condominio trova applicazione il principio ex articolo 1102 del Codice civile, “che consente al singolo condòmino di fare uso della cosa comune anche per un suo fine particolare, con conseguente possibilità di ritrarre dal bene una specifica utilità aggiuntiva rispetto a quelle generali ridondanti a favore degli altri condòmini, con il solo limite che non ne derivi una lesione del pari diritto spettante a questi ultimi”.
“Da tanto consegue – prosegue la sentenza – che in difetto di specifiche limitazioni stabilite dal regolamento di condominio, l’uso dell’ascensore per il trasporto di materiale edilizio può essere legittimamente inibito al singolo condòmino solo qualora venga concretamente e specificamente accertato che esso risulti dannoso, sia compromettendo la buona conservazione delle strutture portanti e del relativo abitacolo, sia ostacolando la tempestiva e conveniente utilizzazione del servizio da parte degli altri condòmini, in relazione alle frequenze giornaliere, alla durata e all’eventuale orario di esercizio del suddetto uso particolare, alle cautele adoperate per la custodia delle cose trasportate”.
Si segnala che anche la sentenza della Cassazione 6 febbraio 1098, n. 686, è di questo stesso tenore.
Detto questo, eventuali danni conseguenti ad un uso improprio dell’impianto saranno a carico del condòmino che sta effettuando i lavori di ristrutturazione.
Il concetto di “privacy” entra nell’ordinamento giuridico nazionale nel 1996, con la legge n. 675/1996, successivamente sostituita con l’attuale decreto legislativo n. 196/2003.
Quindi, già da molti anni, era necessario adeguarsi alle varie disposizioni e mettere in atto i diversi adempimenti previsti dalla normativa in materia di “privacy”, o meglio, in materia di “trattamenti dei dati personali”.
Ma è solo con il nuovo “Regolamento europeo per la protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei loro dati personali” (GDPR 679/16), approvato nel 2016 e divenuto operativo a decorrere dal 25 maggio 2018 che la materia “privacy” entra nella vita quotidiana in materia preponderante, riconoscendo per la prima volta l’importanza che la protezione dei dati personali riveste per la tutela delle persone fisiche.
Il 10 agosto dello stesso anno viene emanata la norma italiana di coordinamento tra il GDPR ed il D.Lgs. 196/2003, ossia il D.Lgs. 101/18 e con il quale, mediante l’abrogazione di diversi articoli della vecchia normativa e l’inserimento di alcuni nuovi, il Legislatore ha cercato di riempire alcuni degli spazi che il GDPR aveva lasciato vuoti, come ad esempio l’introduzione delle sanzioni penali.
E, come è ovvio che, se parliamo di tale argomento in questa rivista, la protezione dei dati personali riguarda anche il condominio, e i suoi attori.
Vediamo, quindi, preliminarmente, alcune definizioni generali fissate dal G.D.P.R. per poi calarle nella realtà condominiale, per iniziare a comprendere quali siano le incombenze che riguardano il condominio e quali siano gli attori protagonisti.
Le definizioni sono indicate nell’articolo 4, G.D.P.R.:
Trattamento: qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate ai dati personali o insiemi di dati personali, come la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l’adattamento o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’uso, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l’interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione.
Da un punto di vista pratico, costituiscono trattamento di dato personale:
• venire a conoscenza di un’informazione relativa ad un condomino
• comunicare un’informazione attinente ad un condomino ad un soggetto terzo
• inviare o ricevere un’e-mail
• il solo svuotamento di un cestino nello studio dell’amministratore di condominio
Dato personale: qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile (interessato). Si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale.
Come è noto, l’amministratori di condominio viene a conoscenza e gestisce nell’ambito della propria attività innumerevoli dati personali: nome e cognome, indirizzo, numero di telefono dei condomini, i dati dei fornitori sia dell’amministratore che del condominio, e molti altri.
Dato particolare: qualsiasi dato personale che riveli l’origine razziale ed etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, l’appartenenza sindacale, dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona.
Potrebbe accadere che l’amministratori di condominio debba trattare anche dati personali particolari, ad esempio, nel caso abbattimento delle barriere architettoniche, deve necessariamente conoscere dati personali relativi alla condizione di handicap di un condomino.
Titolare del trattamento: la persona fisica o giuridica, l’autorità pubblica, il servizio o altro organismo che, singolarmente o insieme ad altri, determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali; quando le finalità e i mezzi di tale trattamento sono determinati dal diritto dell’Unione o degli Stati membri, il Titolare del trattamento o i criteri specifici applicabili alla sua designazione possono essere stabiliti dal diritto dell’Unione o degli Stati membri.
All’interno del condominio che è il Titolare del trattamento: non che essere l’intera compagine condominiale, e quindi l’assemblea condominiale quale organo sovrano deputato a determinarne gli indirizzi operativi della vita condominiale
Il Titolare del trattamento decide quali dati personali debbano essere trattati, per quale motivo questi dati debbano esser trattati, le misure di sicurezza da applicare al trattamento.
L’amministratore di condominio deve essere identificato come Titolare del trattamento per tutti i dati personali relativi ai propri soggetti interessati, come ad esempio i propri fornitori o i propri dipendenti, mentre sarà da considerare “Responsabile del Trattamento” per tutti i dati relativi ai condomini, ai fornitori del condominio o ad eventuali dipendenti dello stesso (portieri, manutentori ecc.).
Responsabile del trattamento: la persona fisica o giuridica, l’autorità pubblica, il servizio o altro organismo che tratta dati personali per conto del Titolare del trattamento.
Nell’ambito del condominio, Responsabile del trattamento è l’amministratore, in qualità di rappresentante legale del condominio, che dovrà ricevere formale nomina in tal senso.
Anche perché, l’articolo 28, G.D.P.R. è categorico nell’affermate che il Responsabile deve essere incaricato con atto giuridico avente valore vincolante nello Stato membro o
secondo il diritto UE.
Come Responsabile del trattamento, l’amministratore dovrà:
• avere adeguata formazione in materia di trattamento dei dati personali;
• mettere in atto e mantenere delle misure di sicurezza tecniche e organizzative;
• autorizzare e formare gli addetti.
Soggetto interessato: la persona fisica, cui si riferiscono i dati personali
Nell’ambito condominiale, i soggetti interessati saranno gli stessi condomini, ma anche i dipendenti e i fornitori del condominio.
Ma non solo…..saranno anche il conduttore dell’appartamento, i terzi – persone fisiche – che, per qualsiasi motivo, vengano in contatto con il Condominio, come danneggiati, consulenti, soggetti ripresi dal sistema di videosorveglianza condominiale, e, chiaramente, anche lo stesso Amministratore, quale persona fisica i cui dati è necessario trattare ai fini della gestione del Condominio.
Vi sono poi tutti quei soggetti che lavorano alle dipendenze del Titolare o del Responsabile, i quali, in quanto incaricati da costoro di trattare dati personali nel contesto delle proprie mansioni lavorative, devono essere istruiti sul trattamento e sulla disciplina privacy dal Titolare o dal Responsabile.
Per quanto riguarda l’individuazione dei soggetti attivi nell’ambito del trattamento dei dati personali all’interno del condominio, è intervenuto anche il Garante della Privacy, con il c.d. “Vademecum del Palazzo” in una prima versione del 18 maggio 2066, debitamente modificata, il 10 ottobre 2013, a seguito dell’approvazione della Riforma del condominio avvenuta con legge n. 220/2012.
Nel primo Vademecum il Garante Privacy afferma che l’Amministratore deve essere considerato come Responsabile, mentre la compagine condominiale è il Titolare.
Nel secondo Vademecum, ribadendo tale concetto, il Garante aggiunge che l’Assemblea dei condòmini può nominare l’Amministratore come Responsabile (ma, come detto, è meglio che tale nomina venga comunque formalmente fatta).
Nella Relazione dell’attività svolta nel corso del 2019, il Garante Privacy si è invece così espresso:
“è stata colta l’occasione per confermare, in termini generali, quanto già indicato nel provvedimento 18 maggio 2006 in merito al trattamento di dati personali nell’ambito dell’amministrazione di condomini e per ribadire che le informazioni personali riferibili a ciascun partecipante possono essere trattate per la finalità di gestione ed amministrazione del condominio e che possono essere per tali ragioni condivise all’interno della compagine condominiale, tenendo anche conto che i condòmini devono essere considerati CONTITOLARI di un medesimo trattamento dei dati di cui l’amministratore, agendo in EVENTUALE veste di responsabile del trattamento, ha la concreta gestione”.
Da ultimo, al fine di confermare che anche il condominio è soggetto alla normata in materia di trattamento dei dati personali, e di identificare correttamente gli attori protagonisti, il Garante Privacy con il provvedimento del 6 aprile 2017, ha definito i ruoli del condominio e dell’amministratore:
“il condominio, in virtù della disciplina normativa che ne regola i vari aspetti, agisce per il tramite dell’amministratore formalmente designato dall’assemblea al quale sono a tal fine attribuiti specifici poteri di rappresentanza relativamente ai diversi aspetti che ne riguardano la gestione (cfr. art. 1131 c.c.), rispetto ai quali, peraltro, la designazione formale dello stesso quale responsabile del trattamento costituisce una mera eventualità (cfr. punto 2 del citato provv. dell´8 maggio 2006), dovendosi intendere che, in caso contrario, l’amministratore operi comunque per conto del condominio in virtù del rapporto di mandato presupposto…”
Per cui, in conclusione di questo primo approccio alla materia del trattamento dei dati personali da parte del condominio, alla luce della normativa analizzata, e dei vari interventi del Garante Privacy, non si può che confermare che anche il condominio è obbligato ad avere una c.d. “compliance privacy” debitamente aggiornata, e a premunirsi nel mettere in atto, se non ancora fatto, il più in fretta possibile, tutti gli adempimenti che la vigente normativa prevede in materia di protezione dei dati personali trattati, al fine di evitare importanti sanzioni amministrative che vengono periodicamente applicate dal Garante Privacy, nei confronti degli amministratori di condominio soggetti a procedimento ammnistrativo di controllo, a seguito di apposite segnalazioni, spesso provenienti proprio dai propri condomini.
Nei prossimi approfondimenti entreremo sempre più a fondo di tutte quelle che sono le competenze del condominio, dell’amministratore e di tutti i soggetti, che a qualunque titolo ruotano intorno ad esso, in materia di trattamento dei dati personali.
A cura di Dott. Marco MASSAVELLI – DPO e Consulente privacy per condomini
Nello studio n. 15-2024/T, il Notariato fa il punto sulle novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2024 in merito alle plusvalenze immobiliari a seguito di interventi che abbiano goduto del beneficio del Superbonus, proponendo limiti meno rigidi.
La Legge di Bilancio
Potrebbero incorrere in pesanti imposte coloro che vendono un immobile ristrutturato con il Superbonus prima che siano trascorsi 10 anni dalla fine dei lavori.
È quanto prevede la Legge di Bilancio 2024, stabilendo che si aggiungono tra i redditi diversi, ai sensi del Testo Unico sulle Imposte sui Redditi (TUIR), le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di immobili sui quali siano stati realizzati interventi agevolati dal Superbonus.
La plusvalenza da Superbonus
In campo economico, la plusvalenza fa riferimento al profitto ottenuto dalla vendita di un bene, come un immobile o un titolo, il cui valore è aumentato rispetto al momento dell’acquisto.
La plusvalenza, viene calcolata sulla differenza tra il ricavo della vendita e il valore d’acquisto, incrementato di eventuali spese correlate all’immobile ceduto.
In conformità con quanto previsto dal comma 64 della Legge di Bilancio 2024, per gli immobili diversi dall’abitazione principale e non ottenuti tramite successione sui quali sono stati effettuati interventi agevolati con il Superbonus al 110%, è prevista un’imposta sulla plusvalenza del 26% generata dalla loro vendita nei successivi 10 anni.
In altre parole, solo in due casi non sarebbe dovuta l’imposta, e cioè se l’immobile fosse ceduto attraverso una successione o quando si trattasse di abitazione principale.
In particolare, per il calcolo delle plusvalenze si stabilisce che queste siano costituite dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo d’imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo.
La Legge di Bilancio 2024 introduce due scenari:
• nel caso in cui gli interventi agevolati si siano conclusi entro i 5 anni, all’atto della cessione, non si terrà conto delle spese relative a tali interventi nella eventualità che il beneficiato abbia scelto la strada della cessione del credito o dello sconto in fattura;
• nel caso in cui gli interventi agevolati si siano conclusi da più di 5 anni, si terrà conto del 50% di tali spese qualora si sia beneficiato dell’incentivo al 110% e siano state esercitate le opzioni della cessione del credito o dello sconto in fattura.
La nuova imposizione fiscale, in vigore dal primo gennaio 2024, sembra estendersi a qualsiasi situazione in cui si sia usufruito del Superbonus, indipendentemente dalla sua percentuale (110%, 90%, 70% o 65%).
Ciò vale sia nel caso in cui la detrazione sia stata utilizzata direttamente nella dichiarazione dei redditi, sia nel caso in cui si sia optato per la cessione del credito o lo sconto sul corrispettivo.
La misura applicata agli immobili riqualificati con il Superbonus è stata concepita per scoraggiare operazioni speculative e garantire che le agevolazioni fiscali siano state effettivamente ed esclusivamente impiegate per migliorare l’efficienza energetica degli immobili.
Fino al 2023, le spese “sostenute” per la realizzazione dei lavori agevolati con il Superbonus erano deducibili dalla plusvalenza tassabile.
La ratio della nuova norma è non concedere più una doppia agevolazione: la realizzazione a costo zero di lavori che aumentano il valore dell’immobile e la vendita dell’immobile riqualificato senza il pagamento di una tassa sulla plusvalenza.
Esonero dell’imposta sulla plusvalenza Superbonus
Si ribadisce che sono previste due eccezioni all’imposta sulla plusvalenza da Superbonus:
• gli immobili ereditati per successione o donazione;
• gli immobili utilizzati come residenza principale dal venditore o dai suoi familiari per la maggior parte dei 10 anni precedenti la vendita, o per la maggior parte del periodo se inferiore ai dieci anni.
In caso di detrazione fiscale nella dichiarazione dei redditi, tutte le spese possono essere considerate.
Per gli immobili acquistati o costruiti da oltre cinque anni, il prezzo d’acquisto o il costo di costruzione è rivalutato in base all’indice Istat.
Il Notariato propone di limitare l’applicazione della plusvalenza
Nello studio n.15-2024/T, il Notariato fa il punto sulle novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2024 proprio in relazione alle plusvalenze immobiliari a seguito di interventi effettuati con i benefici del Superbonus, proponendo limiti meno rigidi.
“Sarebbe ragionevole considerare, ai fini della plusvalenza tassabile, solamente i lavori edilizi eseguiti direttamente sull’immobile tramite il Superbonus, escludendo gli interventi sulle parti comuni dello stabile”, spiegano i Notai.
Più in dettaglio, il Notariato propone di escludere dalla plusvalenza Superbonus anche:
• i lavori di manutenzione ordinaria e quelli qualificabili come edilizia libera;
• i lavori agevolati con un’aliquota inferiore al 110%;
• le vendite effettuate da chi non ha usufruito del Superbonus.
Secondo i Notai, dovrebbero generare una plusvalenza Superbonus solo:
• gli interventi che abbiano riguardato direttamente l’immobile (secondo questa interpretazione un lavoro sulle parti comuni non produce alcun effetto per il singolo appartamento);
• gli interventi edilizi trainanti e trainati di manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia eseguiti sul singolo immobile (esclusi, quindi, gli interventi di manutenzione ordinaria o più in generale realizzabili in edilizia libera);
• gli interventi che hanno usufruito della detrazione al 110% (e non quelli agevolati con l’aliquota al 90% o 70%);
• gli interventi agevolati con il Superbonus e realizzati direttamente dal proprietario (se il proprietario vendesse l’immobile, subirebbe una tassazione per lavori che non ha pagato e per i quali non ha usufruito di alcuna agevolazione).
Lo studio del Notariato si spinge oltre, offrendo altri esempi di interventi che non creano plusvalenza, come l’installazione di pompe di calore, l’eliminazione di piccole barriere architettoniche, la sostituzione delle finestre e delle strutture accessorie, l’installazione di pannelli solari, la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale.
Tramontata l’epoca del super incentivo al 110%, il sipario è calato anche sulle agevolazioni per l’abbattimento delle barriere architettoniche.
Le nuove regole prevedono infatti che le spese sostenute dal 30 dicembre 2023, per l’agevolazione al 75%, siano limitate agli interventi relativi a scale, rampe, ascensori e piattaforme elevatrici.
Dunque, sono stati esclusi gli infissi e i rifacimenti dei servizi igienici, ovvero due delle principali voci per le quali il bonus era stato chiesto.
Per quanto riguarda la cessione del credito o lo sconto in fattura, che prima erano ammessi senza vincoli, dal primo gennaio la possibilità è stata limitata ai condomini a prevalente destinazione residenziale e alle persone fisiche che rispettano determinati requisiti, quali: essere proprietario della villetta o del singolo appartamento oggetto dell’intervento (vale anche il diritto reale di godimento), averla scelta come abitazione principale e disporre di un reddito di riferimento familiare non superiore a 15 mila euro (questo limite, però, non è richiesto se nel nucleo famigliare è presente una persona con disabilità).
Il decreto “salva-spese” prevede un salvagente in base ai tempi in cui il proprietario o l’amministratore di condominio ha prenotato la vecchia versione del bonus barriere. È infatti salva la vecchia agevolazione per chi ha presentato il titolo abilitativo per i lavori entro il 29 dicembre 2023. Nel caso, invece, il titolo abitativo non sia richiesto, come con il cambio delle finestre o il rifacimento del bagno (a seconda dei Comuni), è fondamentale aver già iniziato i lavori entro quella data. La difficoltà è semmai quella di poter provare che i lavori sono stati avviati nei termini di legge. Può servire l’aver stipulato con il fornitore un accordo vincolante e aver versato un acconto entro il 29 dicembre. Ma, comunque sia, lo sconto in fattura e la cessione del credito non ci sono più.
Abito in condominio e vorrei installare una “Vepa” nel mio terrazzo, in modo da poter usufruire dell’ampio spazio a disposizione in modo più agevole e soprattutto più protetto dal freddo e dal vento anche nella stagione invernale. Devo avvertire l’amministratore di condominio e gli altri condòmini sulle mie intenzioni? Possono, in qualche modo, impedirmi di realizzare questa struttura, che sicuramente, oltre che spazi maggiormente vivibili mi garantirebbe un non certo trascurabile risparmio energetico?
Il 21 settembre del 2022 è entrato in vigore l’articolo 33-quater (Decreto Aiuti-Bis, convertito nel DL n. 142/2022), che semplifica e aggiorna l’articolo 6, comma 1, del Testo Unico Edilizia), inserendo le “Vepa”, ovvero le vetrate panoramiche amovibili, tra le opere in edilizia libera.
Questo vuol dire che gli spazi aperti esterni alla casa o rientranti, quali logge, balconi, verande, porticati etc., possono essere protetti con vetrate panoramiche amovibili Vepa senza necessità di autorizzazione comunale.
Con la sentenza n. 7024 emessa dal Consiglio di Stato il 9 agosto 2022, è stata confermata l’inclusione delle “Vepa” in edilizia libera, solo nei casi in cui vengano rispettati determinati parametri.
Per quanto riguarda il fronte condominiale, l’articolo 1120 del Codice civile tutela il decoro architettonico. La norma stabilisce che qualora un singolo condòmino o l’intero condominio, ritengano che la nuova installazione comprometta il decoro dell’edificio, possono rivolgersi ad un giudice al fine di ottenere la rimozione della struttura.
Dunque, anche se in realtà i condòmini non devono provvedere all’approvazione dell’installazione delle vetrate panoramiche amovibili, è sempre opportuno procedere con prudenza avvisando l’amministratore di condominio, che si occuperà di informare gli altri condomini, al fine di fornire ulteriori dettagli riguardo l’intervento.
Sicuramente, alla luce dell’opera richiesta, l’impresa che si dovrà occupare dell’installazione saprà darle le corrette indicazioni su come muoversi con il condominio.
Da parte nostra le possiamo consigliare di rivolgersi a professionisti del settore e in particolare all’Associazione Italiana Vetrate Panoramiche (Assvepa), il cui presidente, Vito Chirenti, è titolare dell’omonima azienda del comparto.