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Il familiare convivente può portare in detrazione le spese di ristrutturazione?

L’Agenzia delle Entrate torna sul tema delle detrazioni relative alle spese di ristrutturazione di un immobile sostenute da un familiare convivente e non direttamente dal proprietario.

Nel caso preso in esame, una contribuente scrive all’Agenzia delle Entrate attraverso “La Posta di FiscoOggi”, spiegando di essere la figlia convivente del proprietario di un immobile, attualmente non affittato, in cui sono stati realizzati lavori di ristrutturazione. A tal proposito, infatti, la contribuente spiega che inoltrerà a suo nome la comunicazione per lavori di manutenzione straordinaria (Cila).

Inoltre, avendo intenzione di portare in detrazione al 50% nei prossimi dieci anni (bonus ristrutturazioni) le spese che sosterrà per intero, la contribuente chiede al Fisco se il padre, proprietario dell’immobile, potrà mettere in affitto tale immobile dopo la ristrutturazione senza che lei perda il diritto all’agevolazione.

L’Agenzia delle Entrate, in risposta al quesito, ha ricordato che le agevolazioni per il recupero del patrimonio edilizio spettano anche al familiare convivente del possessore o detentore dell’immobile oggetto degli interventi.

A tal proposito, come già esplicitato nella Circolare n. 17/E, lo status di convivenza deve sussistere già al momento in cui si attiva la procedura (o alla data di inizio dei lavori) e deve sussistere al momento in cui si effettuano le spese ammesse in detrazione.

Sempre nella citata circolare viene precisato, inoltre, che la disponibilità dell’immobile e lo status di convivenza non è necessario che permangano per l’intero periodo di fruizione della detrazione, ciò significa che non è necessario che la convivenza duri per tutto il periodo di fruizione della detrazione, perciò il contribuente che ha sostenuto le spese di ristrutturazione ha diritto a fruire dell’agevolazione anche se la convivenza si interrompe prima dei 10 anni.

Di conseguenza, quindi, l’agevolazione spetta al convivente che sostiene le spese anche se i titoli abitativi sono intestati al proprietario dell’immobile e non al familiare che usufruisce dell’agevolazione. Inoltre, non è richiesto che l’immobile oggetto dei lavori sia adibito ad abitazione principale del proprietario o del familiare convivente.

Infine, facendo un quadro generale, per quanto concerne le detrazioni per la ristrutturazione edilizia, è bene ricordare che i soggetti che possono beneficiare della relativa agevolazione sono:
• proprietari o nudi proprietari;
• titolari di un diritto reale di godimento quali usufrutto, uso, abitazione o superficie;
• soci di cooperative a proprietà divisa e indivisa;
• imprenditori individuali, per gli immobili non rientranti fra i beni strumentali o beni merce;
• soggetti indicati nell’art. 5 del TUIR, che producono redditi in forma associata (società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice e soggetti a questi equiparati, imprese familiari), alle stesse condizioni previste per gli imprenditori individuali;
• detentori (locatari, comodatari) dell’immobile;
• familiari conviventi;
• coniuge separato assegnatario dell’immobile intestato all’altro coniuge;
• conviventi more uxorio;
• futuro acquirente (nel caso in cui detenga il possesso dell’immobile, il compromesso sia stato registrato ed esegua gli interventi previsti a proprio carico).

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Bonus mobili: si può ottenere se non si effettua la ristrutturazione?

Un contribuente si è rivolto all’Agenzia delle Entrate ponendo un quesito attraverso la Posta di FiscoOggi inerente alla fruizione del bonus mobili.

Nel caso analizzato, il contribuente ha spiegato al Fisco di aver avviato degli interventi di manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio nel quale è proprietario di due unità abitative sulle tre totali. I lavori realizzati nelle parti comuni riguardano il rifacimento dell’intonaco e la pittura interna del vano scale, si tratta quindi di interventi che non necessitano di alcun titolo edilizio.

Premesso ciò, il contribuente ha chiesto all’Agenzia delle Entrate se può fruire del bonus mobili per l’acquisto di alcuni arredi destinati ad una delle due unità abitative di cui è proprietario.

In risposta, l’Agenzia delle Entrate ha spiegato che quando si effettua un intervento di recupero del patrimonio edilizio sulle parti condominiali di edifici residenziali, compresi gli interventi di manutenzione ordinaria, i condòmini hanno diritto a fruire del bonus mobili, ciascuno in base alla propria quota e solo se i beni acquistati sono destinati ad arredare tali parti comuni.

Difatti, il bonus mobili non è riconosciuto a coloro che, invece, acquistano mobili ed elettrodomestici da destinare all’arredo della propria unità immobiliare. Ciò detto, quindi, il contribuente non potrà fruire dell’agevolazione richiesta.
A tal proposito è utile ricordare che la Circolare n. 29 del 2013 dell’Agenzia delle Entrate in merito all’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici ha specificato, al paragrafo 3.2, che i contribuenti in questione devono sostenere “ulteriori spese documentate”, rispetto a quelle sostenute per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, per “l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici, finalizzati all’arredo dell’immobile oggetto di ristrutturazione”.

Inoltre, la normativa inerente al bonus mobili stabilisce che al fine di ricevere l’agevolazione è necessario che si svolgano alcuni interventi quali:
• interventi di manutenzione straordinaria, restauro conservativo e ristrutturazione edilizia su singole unità abitative;
• interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria sulle parti comuni degli edifici residenziali;
• ricostruzione o ripristino di un immobile danneggiato da eventi calamitosi;
• restauro, risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia eseguiti da imprese di costruzione che venderanno l’immobile entro 18 mesi dal termine dei lavori.

Pertanto, la correlazione tra interventi edili e l’acquisto di mobili ed elettrodomestici per fruire della relativa agevolazione, è necessaria, anche se va specificato che gli interventi realizzati non devono obbligatoriamente qualificarsi come ristrutturazione edilizia ai sensi del Testo Unico edilizia (DPR n. 380/2001).

Infine, è importante ricordare che il bonus mobili, ovvero la detrazione Irpef del 50% per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici destinati ad arredare un immobile oggetto di interventi di recupero del patrimonio edilizio, è calcolata su un massimale di € 8.000 per l’anno 2023 e di € 5.000 per l’anno 2024.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Cedolare secca 2024, tre diverse aliquote per la tassazione degli affitti

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Piattaforma cessione crediti per i bonus non utilizzabili

Disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate, a partire dal 1° dicembre 2023, una nuova funzionalità nella “Piattaforma cessione crediti” per i crediti inutilizzabili.

Il servizio, messo a punto da Agenzia delle Entrate e Sogei, deve essere utilizzato dall’ultimo cessionario, in caso di esercizio delle opzioni per la cessione del credito e dello sconto in fattura (articolo 121, comma 1, lettere a) e b), del Dl n. 34/2020), per comunicare all’Agenzia delle Entrate che i crediti edilizi non sono utilizzabili per un evento diverso dalla scadenza dei termini.

In un provvedimento del direttore dell’Agenzia del 23 novembre 2023 il contenuto e le modalità di invio della comunicazione.

La norma che ha definito tale onere è l’articolo 25 del Dl n. 104/2023.

La disposizione prevede che l’ultimo cessionario del credito, in caso di esercizio delle opzioni per lo sconto in fattura o cessione del credito, ha l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate i bonus inutilizzabili, cioè quelli per i quali non sussistono i presupposti costitutivi, entro 30 giorni dal momento in cui è venuto a conoscenza dell’evento che ha determinato la mancata fruizione.

Il nuovo servizio web prevede l’indicazione delle rate dei crediti inutilizzabili. Nel dettaglio, il cessionario deve comunicare:
• per i crediti tracciabili, il numero di protocollo telematico della comunicazione originaria (prima cessione o sconto in fattura) da cui sono derivate le rate;
• per i crediti non tracciabili, i dati significativi della comunicazione originaria (numero di protocollo telematico, codici fiscali del cedente titolare della detrazione e del fornitore/primo cessionario) da cui sono derivate le rate.

In entrambi i casi, è indicata anche la data in cui l’attuale cessionario che effettua la comunicazione è venuto a conoscenza dell’evento che ha determinato la non utilizzabilità del credito.
La comunicazione è accolta se il cessionario dispone di credito residuo sufficiente per la tipologia di credito indicata e la relativa rata annuale. In tal caso la stessa comunicazione ha efficacia immediata e i crediti non risulteranno più nella sua disponibilità.

Sismabonus acquisti e remissione in bonis: ultimi chiarimenti dal Fisco

Il Sismabonus acquisti è una detrazione Irpef dedicata all’acquisto di immobili antisismici realizzati da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare, attraverso interventi di demolizione o ricostruzione di edifici siti in zone sismiche 1, 2 e 3, con lo scopo di ridurre il rischio sismico. Difatti, a fruire di tale detrazione del 75% o dell’85% del prezzo di acquisto sino a un massimo di 96.000 euro non è chi commissiona gli interventi antisismici, ma chi acquista l’immobile.

L’Agenzia delle Entrate è tornata sul tema tramite la Risposta n. 467/2023 del 24/11/2023. Nel caso specifico un’impresa di costruzione e ristrutturazione immobiliare ha acquistato un’area in zona classificata a rischio sismico “3” con dei fabbricati da demolire e ricostruire, con ampliamento volumetrico, in modo da realizzare così un nuovo complesso immobiliare.

L’impresa prosegue spiegando che lo scopo finale è quello di vendere gli appartamenti con il Sismabonus acquisti, praticando lo sconto in fattura agli acquirenti che opteranno per tale possibilità.

La suddetta impresa ha stipulato un contratto preliminare di compravendita di immobile da costruire avente ad oggetto un appartamento, un vano cantina e un posto auto, facenti parte del complesso immobiliare in corso di edificazione, nonché la vendita degli arredi indicati nel relativo capitolato.

In merito all’intervento descritto, però, non è stata depositata l’asseverazione da redigere secondo l’allegato B prevista dal DM 58/2017. Tale asseverazione è fondamentale per far sì che l’acquirente possa fruire del Sismabonus acquisti e deve essere consegnata dall’impresa stessa al momento della richiesta o della presentazione del titolo abitativo.

Ciò premesso, gli istanti si sono rivolti all’Agenzia delle Entrate per chiedere:
• se tutte le unità immobiliari potranno beneficiare del Sismabonus acquisti e dello sconto in fattura, posto che la volumetria del nuovo complesso edificato sarà superiore rispetto a quella dell’edificio preesistente;
• se è possibile beneficiare del Sismabonus acquisti nel caso in cui l’impresa presenti in ritardo l’asseverazione prevista, avvalendosi della remissione in bonis;
• chi sia il soggetto tenuto al versamento della sanzione dovuta per la remissione in bonis e a quanto ammonta tale sanzione;
• se è possibile fruire anche dell’agevolazione “bonus mobili”.

L’Agenzia delle Entrate, in risposta al caso di specie, ha in primis chiarito che è possibile fruire del Sismabonus acquisti anche nel caso in cui vi sia un ampliamento volumetrico dell’edificio preesistente, pertanto anche se le unità immobiliari saranno più numerose rispetto a quelle dell’edificio demolito, ciò è ininfluente, pertanto tutti gli acquirenti di tutte le unità immobiliari potranno richiedere la citata agevolazione.

Per quanto concerne la remissione in bonis, il Fisco ha ricordato che l’articolo 2, comma 1, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, ha introdotto questa “particolare forma di ravvedimento operoso (c.d. remissione in bonis) volto ad evitare che mere dimenticanze relative a comunicazioni ovvero, in generale, ad adempimenti formali non eseguiti tempestivamente precludano al contribuente, in possesso dei requisiti sostanziali richiesti dalla norma, la possibilità di fruire di benefici fiscali o di regimi opzionali.”

La remissione in bonis prevede una sanzione pari a 250 euro e prevede che i documenti vengano presentati entro i termini della prima dichiarazione dei redditi in cui esercitare il diritto a beneficiare della detrazione della prima quota costante dell’agevolazione.

Inoltre, nel caso in cui si scelga di optare per lo sconto in fattura o la cessione del credito, la remissione in bonis è consentita se i documenti mancanti sono integrati prima della comunicazione con cui il contribuente mette al corrente l’Agenzia della propria scelta.

Nel caso esaminato e alla luce di quanto detto, dato che l’acquirente non ha ancora inviato all’Agenzia delle Entrate alcuna comunicazione in merito allo sconto in fattura, l’impresa potrà presentare tardivamente l’asseverazione necessaria che avrebbe dovuto presentare contestualmente al titolo abilitativo, pagando la relativa sanzione prevista appunto dall’istituto di remissione in bonis, in modo che l’acquirente possa poi richiedere il Sismabonus acquisti.

Difatti, il Fisco dichiara: “la sanzione risulta a carico del soggetto su cui ricadeva l’obbligo di presentarla tempestivamente o al quale lo stesso è riconducibile (oltre che materialmente possibile), nel caso di specie la società costruttrice promittente venditrice. L’ asseverazione non riguarda un singolo appartamento o cespite da alienare, ma l’intero complesso realizzato, risultando dunque unica per tutti gli immobili compravenduti. A fronte di un unico adempimento omesso da sanare, unica è la relativa sanzione da versare.”

Per quanto riguarda il quesito inerente alla possibilità di fruire anche del bonus mobili, l’Agenzia ha spiegato che in linea generale coloro che fruiscono del Sismabonus acquisti possono richiedere anche il bonus mobili, il quale è riconosciuto per i contribuenti che fruiscono della detrazione di cui all’articolo 16­bis del TUIR (bonus ristrutturazioni), disciplina da cui discendono anche il Sismabonus e il Sismabonus acquisti. Difatti “La circolare n. 17/E del 2023 chiarisce che, poiché tra gli interventi di recupero del patrimonio edilizio indicati alle lettere b), c) e d) dell’articolo 3 del TUE sono compresi anche quelli finalizzati alla riduzione del rischio sismico, il ”bonus mobili” spetta anche ai contribuenti che fruiscono del ”sismabonus” e del ”Superbonus” di cui al comma 4 dell’articolo 119 del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. decreto Rilancio).”

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Intervento di riqualificazione energetica e bonifico errato: chiarimenti dal Fisco

L’Agenzia delle Entrate è tornata sul tema degli errori nei bonifici per le detrazioni fiscali rispondendo ad un quesito posto da una contribuente attraverso “La posta di FiscoOggi”.

Nel caso specifico, una contribuente spiega di aver realizzato nel 2023 interventi di efficientamento energetico (ecobonus) nell’ambito di una ristrutturazione edilizia della propria abitazione. Nella causale del bonifico parlante per le agevolazioni fiscali è stato indicato “L449 Art. 16bis DPR 917/1986 (L449) Ristrutturazione edilizia”, anziché “L296 Legge 296/06 Riqualificazione energetica”.

Sostanzialmente, la norma che è stata indicata come riferimento è quella inerente al bonus ristrutturazioni, mentre la norma da indicare era quella inerente all’Ecobonus.

La contribuente si rivolge al Fisco, quindi, per chiedere se nella dichiarazione dei redditi del 2024 può comunque detrarre le spese come riqualificazione energetica, ovvero al 65% o se invece, dato l’errore, avrà diritto alla detrazione al 50%, quella relativa al bonus ristrutturazioni.

In risposta l’Agenzia delle Entrate ha ricordato che la Circolare n.17/E del 26 giugno 2023 ha chiarito che nel caso in cui, per mero errore materiale, sia stato indicato nel bonifico il riferimento normativo inerente agli interventi di recupero del patrimonio edilizio, anziché quello relativo all’ecobonus, l’agevolazione può comunque essere riconosciuta senza necessità di ulteriori adempimenti da parte del contribuente.

Ciò significa, quindi, che in presenza di tutte le condizioni e dei requisiti previsti dalla normativa che prevede la detrazione con aliquota al 65% delle spese sostenute, gli eventuali errori commessi nella causale del bonifico non pregiudicano la possibilità di fruire dell’agevolazione.

A tal proposito ricordiamo che l’ecobonus sarà in vigore sino al 31 dicembre 2024, pertanto per fruire di tale agevolazione è necessario che le spese per gli interventi di efficientamento energetico vengano sostenute entro tale data. La detrazione varia dal 50% al 65% a seconda del tipo di intervento effettuato ed è applicabile solo per i lavori di riqualificazione energetica effettuati su unità immobiliari ed edifici già esistenti.

Per quanto concerne i lavori realizzati su edifici condominiali, la detrazione riconosciuta potrà essere del 70% a patto che i lavori interessino almeno il 25% dell’involucro, o potrà arrivare sino al 75% se con l’intervento vi sarà un miglioramento della prestazione energetica estiva e invernale. Nel caso in cui si eseguano congiuntamente anche interventi antisismici, l’ecobonus potrà arrivare all’80 o all’85% delle spese sostenute.

A cura Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Imu 2023, guida alla tassa sulla casa

L’Imu, Imposta municipale unica, è una patrimoniale dovuta dai possessori di fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli. Il pagamento dell’imposta, però, non è sempre dovuto perché per il suo calcolo bisogna tenere conto di diverse variabili e alcune esenzioni.

Istituita nel 2011, l’Imu ha subito nel tempo diverse modifiche, alcune introdotte in via temporanea nel periodo dell’emergenza pandemica Covid, che oggi non sono più operative.
L’imposta, che è di competenza dei Comuni, non si paga sull’abitazione principale, almeno per il momento, ma è dovuta quando la prima casa rientra tra quelle di lusso.
Sono numerose poi le esenzioni e le agevolazioni Imu.

I soggetti obbligati a pagare l’Imu 2023 sono:
– i proprietari di fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli;
– titolari di diritti reali di godimento (usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie;
– il concessionario di aree demaniali;
– il locatario di immobili in leasing;
– il coniuge a cui viene assegnata la casa coniugale a seguito di separazione legale (ma solo nel caso di abitazione “di lusso”).

Non paga nulla il possessore di un solo immobile adibito ad abitazione principale, definita come la sede della residenza anagrafica del contribuente e del proprio familiare. L’esenzione si applica anche alle pertinenze di categoria catastale C2, C6 e C7.

Anche nel 2023 è stata confermata la “disciplina di sfavore” prevista per le prime case di lusso: per gli immobili di categoria catastale A1, A8 e A9 l’Imu è dovuta anche se è il solo immobile posseduto e vi si ha la residenza.

Sono considerati immobili assimilati ad abitazione principale e quindi esenti:
– entrambi gli immobili dei coniugi con doppia residenza;
– le unità immobiliari delle cooperative a proprietà indivisa adibite ad abitazione principale dei soci assegnatari;
– unità immobiliari delle cooperative a proprietà indivisa destinate a studenti universitari assegnatari, anche in assenza della residenza anagrafica;
– i fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali;
– la casa familiare assegnata al genitore affidatario dei figli;
– un solo immobile non locato, posseduto dai soggetti appartenenti alle Forze armate, alle Forze di polizia, al personale dei Vigili del fuoco nonché a quello appartenente alla carriera prefettizia.
Con propria delibera, inoltre, i Comuni possono assimilare a prima casa l’unità immobiliare non locata posseduta da anziani e disabili ricoverati in case di cura o di riposo.

Oltre alle esenzioni totali, l’Imu 2023 prevede anche agevolazioni e riduzioni.
È confermata la riduzione del 50% per la casa concessa in comodato d’uso gratuito tra genitori e figli. La stessa agevolazione si applica anche agli immobili riconosciuti inagibili e inabitabili da una perizia dell’ufficio tecnico comunale. La riduzione del 50% si applica sulla base imponibile.
Per le abitazioni concesse in locazione con canone concordato, l’Imu è ridotta al 75%. In questo caso la riduzione si applica all’aliquota del Comune. Il contribuente ha dunque una riduzione del 25% sull’Imu dovuta.

Le aliquote Imu sono di due tipi:
– ordinaria, pari allo 0,86%. Il Comune può aumentarla fino all’1,06% o diminuirla in determinate condizioni;
– ridotta (per l’abitazione principale di lusso e per le pertinenze), pari allo 0,5% (aumentabile dello 0,1%).
Tramite delibera comunale, però, i sindaci possono anche decidere di ridurre l’aliquota, fino ad azzerarla.

Sono poi previste ulteriori aliquote, introdotte dalla legge di Bilancio 2020:
– 0,1% per i fabbricati rurali strumentali;
– 0,1% (con possibilità di aumento fino allo 0,25%) per gli immobili merce non locati dalle imprese costruttive;
– 0,76% per i terreni agricoli (con possibilità di aumento fino all’1,06% o di diminuzione fino all’azzeramento);
– 0,76% per i fabbricati D.
I comuni possono però annullare completamente, con apposita delibera del consiglio comunale, l’imposizione di tale fattispecie.

L’Imu 2023 può essere pagata mediante:
– bollettino postale compatibile col modello F24;
– modello F24 (i codici tributo sono stati istituiti dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 29/2020);
– la piattaforma PagoPA.

Due sono le scadenze da ricordare:
– la prima rata (acconto Imu) è quella del 16 giugno 2022;
– la seconda rata (saldo Imu) è quella del 16 dicembre 2022.

Agevolazioni Tari sulla seconda casa

Sulla seconda casa utilizzata soltanto in alcuni mesi dell’anno, ad esempio per le vacanze, sono previste delle esenzioni sulla Tari, la tassa sui rifiuti. Chi ha una seconda casa non abitata per buona parte dell’anno può quindi richiedere uno sconto al Comune.

L’agevolazione è però possibile soltanto a determinate condizioni. In particolare, dimostrando che nella casa non ci vive nessuno.

A fornire preziose indicazioni per dimostrare l’utilizzo dell’abitazione soltanto per pochi mesi all’anno è la Commissione Tributaria di Massa Carrara, con la sentenza n. 182 del gennaio 2017.

Secondo la Commissione Tributaria di Massa Carrara, il calcolo della Tari sulle seconde case deve essere effettuato in base alla quantità di rifiuti prodotti e il Comune non può calcolare la tassa per i non residenti allo stesso modo previsto per i residenti.

Alla base della pronuncia della CTP vi è il principio stabilito dalla direttiva UE n. 2008/98/CE, secondo cui “chi inquina paga”. Pertanto, chi ha una seconda casa utilizzata soltanto per le vacanze non produce la stessa quantità di rifiuti di un residente che vive la propria abitazione quotidianamente.

Secondo questo principio, quindi, la Tari sulla casa di un non residente utilizzata soltanto durante le vacanze dovrà essere ridotta, tenuto conto della quantità di rifiuti prodotta per i mesi di permanenza nell’immobile.

Al contribuente che aveva presentato ricorso contro l’importo troppo elevato della Tari e contro gli avvisi di pagamento inviati dal Comune, la Commissione ha disposto l’applicazione di uno sconto del 30%.

Il contribuenti ha però dovuto fornire idonea dimostrazione dell’utilizzo della casa soltanto in determinati mesi dell’anno.

In merito a cosa fare nel caso in cui la Tari sia addebitata anche su una seconda casa non abitata si sono espressi più volte sia il MEF sia la Corte di Cassazione, stabilendo che per provare che la casa è disabitata è possibile:
– dimostrare che nell’abitazione non sono attive le utenze di luce, gas e acqua;
– dimostrare che l’immobile non è arredato.

Gli ultimi chiarimenti sono stati forniti dal MEF che, nel corso di un interpellanza parlamentare dello scorso dicembre 2017, ha richiamato la sentenza della Cassazione n. 8383/2013 sostenendo che “solo l’assenza di arredi e di allacci ai servizi a rete permetterebbe di escludere totalmente gli immobili considerati dalla Tari”.