Il MEF risponde alla interrogazione parlamentare del 20 aprile 2022 n 5-07902 sulla “Disciplina dell’IMU applicabile ai componenti del medesimo nucleo familiare”. Nell’interrogazione si chiedevano chiarimenti sulla esenzione dall’IMU per i coniugi con doppia residenza.
In sintesi l’interrogazione enunciava quanto segue: l’art 5-decies del DL n 146/2021 modificando il comma 741 dell’art 1 della legge n. 160 del 2019 (legge di Bilancio 2020), ha stabilito che «Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in comuni diversi, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile, scelto dai componenti del nucleo familiare».
La disposizione ha inteso superare l’orientamento della Corte di Cassazione secondo cui veniva negato il beneficio dell’esenzione ad ambedue i coniugi che si trovavano nella fattispecie in esame. I Comuni stanno infatti inviando avvisi di accertamento per gli anni 2017-2021, in linea con l’interpretazione della Corte di cassazione.
Con comunicazione del 24 marzo 2022 la Corte di Cassazione ha reso noto di avere sollevato dinanzi a sé stessa la questione di legittimità costituzionale con riferimento alla disposizione di cui all’art 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, che disconosce il diritto all’esonero dal versamento dell’imposta municipale propria sulla prima casa se uno dei componenti del nucleo familiare ha fissato la residenza in un Comune diverso.
Tanto premesso, gli interroganti hanno chiesto quali disposizioni il Governo intenda attivare in attesa della decisione della Corte.
Il MEF, in merito all’esenzione dall’IMU nel caso di coniugi con doppia residenza e quindi doppia abitazione, ha precisato che: “l’art 1 comma 741 della legge n. 160 del 2019 (come modificato dall’art 5-decies del decreto-legge n. 146 del 2021) non ha natura interpretativa e, quindi, retroattiva, ma al contrario innovativa e, pertanto, può trovare applicazione solo per l’avvenire. Infatti la disposizione di cui al decreto-legge n. 146 del 2021 è stata introdotta proprio per escludere, per il futuro, l’incertezza interpretativa ingenerata negli anni pregressi dalla norma originaria e che la portata applicativa della nuova definizione di abitazione principale”. Con riferimento al periodo pregresso 2017-2021, trova applicazione la disciplina previgente, secondo cui alla luce dell’orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione, «nel caso in cui non è unico il riferimento alla residenza anagrafica e alla dimora abituale del nucleo familiare, l’esenzione non spetta in nessun caso».
Il MEF ha specificato che, sulla base di questo indirizzo interpretativo, si giustifica la notifica di avvisi di accertamento da parte dei comuni fino all’anno d’imposta 2021.
In merito al comunicato della Cassazione si legge che «la Corte dubita della legittimità costituzionale – in relazione agli art 3, 31, e 53 Costituzione – del riferimento alla residenza anagrafica e alla dimora abituale non solo del possessore dell’immobile (com’era nella versione originaria dell’IMU) ma anche del suo nucleo familiare. In tal modo, quest’ultimo potrebbe diventare un elemento di ostacolo all’esenzione per ciascun componente della famiglia che abbia residenza anagrafica ed effettiva dimora abituale in un immobile diverso».
Nella risposta alla interrogazione il MEF conclude evidenziando che, tale impostazione della Corte dovrebbe indurre i Comuni ad adottare un atteggiamento di cautela nelle attività di accertamento dell’IMU dovuta per gli anni 2017/2021, tenuto conto che una declaratoria di illegittimità dell’accennata disposizione da parte della Corte Costituzionale renderebbe illegittima l’azione di recupero dell’imposta posta in essere dai Comuni stessi.
FONTE: articolo visto su Fisco e Tasse
“Il Superbonus 110% deve essere esteso di un anno. Portare il termine per finire i lavori dal 30 giugno 2022 al 30 settembre, come proposto dal Ministro Franco, è utile ma non basta. Occorre prorogarlo di un anno, come Uncem chiede da tempo. La scadenza per effettuare gli interventi edilizi deve essere portata al 30 giugno 2023.
E per favore, non chiamiamole più ‘villette’.
È una definizione impropria per migliaia di immobili compresi nelle categorie catastali A/2 Abitazioni di tipo civile, A/3 Abitazioni di tipo economico, A/4 Abitazioni di tipo popolare, A/5 Abitazioni di tipo ultrapopolare, A/6 Abitazioni di tipo rurale, A/7 Abitazioni in villini, A/11 Abitazioni ed alloggi tipici dei luoghi. Il superbonus va esteso a tutti questi, siano prima o seconda casa. Non sono ville o villette. Sono case singole, anche nelle città, gran parte nei paesi, in stati di conservazione che richiedono interventi efficaci e urgenti, incentivati. Si intervenga piuttosto portando, dal 2023 al 2026, il bonus per interventi di efficientamento energetico e antisismici al 90%, soglia già utile e positiva, chiedendo per tutti gli immobili del Paese una ‘carta di identità’ chiara e al pari di altri Stati europei”.
Lo afferma Marco Bussone, Presidente nazionale Uncem.
COMUNCATO STAMPA UNCEM
La legge prevede che l’utente abbia diritto allo sconto Tari nel caso in cui i cassonetti siano posizionati lontano da casa. E’ quanto dispone il comma 657 della Legge 147/2013. Uno sconto dovuto, in quanto la lontananza del punto di raccolta costringe il residente a portare personalmente la spazzatura presso il più vicino centro, obbligandolo in molti casi a servirsi della propria auto. In questi casi è possibile ottenere uno sconto del 60% sulla Tari.
È il regolamento del Comune a stabilire quale sia la distanza oltre la quale scatta la riduzione della Tari.
Si tratta dunque di uno sconto Tari obbligatorio, derivante direttamente dalla legge, che il Comune non può negare. Per ottenerlo bisogna però prestare un’apposita domanda al Comune.
La normativa prevede, oltre agli sconti “obbligatori”, altri sconti facoltativi sulla Tari, che sono rimessi alla discrezionalità dei singoli Comuni.
Si tratta in particolare delle riduzioni della tassa per le abitazioni con unico occupante. Dello sconto per le abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale o altro uso limitato e discontinuo; delle agevolazioni per i locali diversi dalle abitazioni e per le aree scoperte adibite ad uso stagionale o ad uso non continuativo, ma ricorrente. E ancora, per le abitazioni occupate da soggetti che risiedano o abbiano la dimora, per più di 6 mesi all’anno, all’estero. Infine, per i fabbricati rurali ad uso abitativo. Il Comune può inoltre deliberare ulteriori riduzioni ed esenzioni.
FONTE: La Legge per tutti
La risoluzione della compravendita prevista da un contratto con clausola di riserva di proprietà, determinando la regressione del bene originariamente ceduto, costituisce un nuovo contratto e deve essere assoggettata all’imposta proporzionale di registro con applicazione dell’aliquota prevista per i trasferimenti immobiliari in quanto la vendita con riserva causa l’immediato trasferimento del bene (Cassazione, n. 1868/2022)
Il fatto
La vicenda amministrativa portata all’attenzione della Corte suprema ha quale presupposto il regime di tassazione, ai fini dell’imposta di registro, del contratto di vendita con riserva di proprietà nella particolare ipotesi di retrocessione del bene, originariamente ceduto (nel caso di specie, un’azienda), a seguito di mancato versamento del prezzo pattuito.
L’impostazione adottata dall’Agenzia, nell’ipotesi posta al suo controllo, era di assoggettare tale transazione (e le sue vicende modificative) a imposta di registro in misura proporzionale in luogo di quella ritenuta applicabile da controparte, ovverosia in misura fissa.
L’avviso di liquidazione impugnato con ricorso dinanzi la Ctp di Genova vedeva soccombente l’ufficio il quale, impugnata la decisione dei primi giudici, si vedeva respinto il proprio gravame da parte della Ctr Liguria.
La decisione
Il ricorso per Cassazione veniva proposto dall’Agenzia delle entrate sulla scorta di un unico motivo di doglianza in ragione della ritenuta commessa violazione dell’articolo 27 del Dpr n.131/1986 (Testo unico imposta di registro).
Al riguardo, i giudici di legittimità, con l’ordinanza n. 1868 del 21 gennaio 2022 in commento, hanno ritenuto meritevoli di accoglimento le ragioni erariali e, quindi, manifestamente fondato il motivo di ricorso, accogliendone nel merito le motivazioni e condannando le parti convenute al ristoro delle spese di giudizio.
La Cassazione ha, in via preliminare, richiamato il disposto di cui al citato articolo 27 in correlazione a una precedente pronuncia della stessa Corte (cfr sentenza n. 5075/1998) con la quale veniva stabilito che in virtù della norma in argomento “le vendite con riserva di proprietà non sono considerate sottoposte a condizione sospensiva, il che significa che ai fini della legge di registro, diversamente dalla disciplina civilistica, il contratto in questione produce l’immediato trasferimento della proprietà all’acquirente”.
In applicazione di detto principio di natura generale, il contratto, con il quale le parti sciolgono la vendita con riserva di proprietà in conseguenza del mancato pagamento del prezzo, non rappresenta, ai fini dell’imposta di registro, un atto ricognitivo dell’effetto risolutivo, ma costituisce esso stesso un nuovo contratto, con la diretta conseguenza di annullare quello originario e gli effetti da questo prodotti determinando la retrocessione del cespite interessato a favore del primo proprietario.
In conclusione, la Cassazione, con l’ordinanza in commento non ha inteso discostarsi dall’insegnamento rinveniente dalla richiamata pronuncia n. 5075/1998 ritenendo, pertanto, che nell’ipotesi di risoluzione di un contratto di vendita con la clausola di riserva di proprietà, l’atto successivo con il quale viene stabilita la risoluzione di detto passaggio, determinando la regressione del bene oggetto del contratto risolto, deve essere necessariamente assoggettato all’imposta proporzionale di registro con applicazione dell’aliquota prevista per i trasferimenti immobiliari, in quanto, ai fini della legge sull’imposta di registro, la vendita con riserva di proprietà causa l’immediata produzione dell’effetto traslativo della proprietà in capo al soggetto beneficiario.
FONTE: https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/risoluzione-contratto-riserva-limposta-registro-e-proporzionale
Corte di Cassazione, Ordinanza 5940 del 23 febbraio 2022
Con l’ordinanza 5940 del 23 febbraio 2022, la Corte di Cassazione è intervenuta in tema di sconto sulla Tari. Secondo quanto precisato, i contribuenti hanno diritto a pagare la tassa sui rifiuti in misura ridotta se il servizio non viene svolto regolarmente o non viene svolto affatto.
Nell’ordinanza viene sottolineato che, nel caso in cui l’attività di raccolta non venga effettuata fino dove ha sede l’azienda e la stessa è costretta a richiedere un servizio sostitutivo privato, la tassa non è dovuta integralmente.
Si tratta, per i Giudici di legittimità, di “riduzioni cosiddette tecniche, chiamate a regolare situazioni in cui si realizza una contrazione del servizio, e quindi dei costi per il suo espletamento, per motivi oggettivi e a favore di una pluralità indistinta e generalizzata di utenti, i cui presupposti operativi sono dettagliatamente disciplinati dalla legge”.
La Cassazione ha poi sottolineato che “una misura massima della tariffa applicabile, rispettivamente 20% e 40%, graduabile in ribasso, consente di affermare che tali riduzioni siano obbligatorie e che, al verificarsi delle indicate situazioni oggettive che vanno a incidere sul presupposto impositivo, spettino ope legis”.
Al contribuente interessato spetta il compito di dimostrare che sussistono i presupposti normativi per avere diritto alla riduzione di quanto dovuto. Lo sconto sulla Tari spetta a prescindere dalla previsione nel regolamento comunale. Si tratta infatti “di un temperamento della tassazione a fronte di un servizio di raccolta che non viene svolto in modo completo nel territorio comunale”.
Il Comune calcola l’ammontare della Tari dovuta dal contribuente e invia l’avviso di pagamento. La base di calcolo della TARI è la superficie calpestabile, quindi i metri quadrati netti misurati al filo interno delle murature. Per l’utente è importante sapere che se la raccolta dei rifiuti non viene effettuata si ha diritti ad ottenere lo sconto.
In particolare, lo sconto sulla Tari viene riconosciuto in favore di quelle zone urbane in cui la raccolta non viene effettuata da molto tempo. La legge (comma 656 Legge 147/2013) prevede uno sconto dell’80% qualora ricorra una delle seguenti ipotesi:
• mancato svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti: si pensi a un Comune che non abbia ancora affidato l’appalto ad una società per la raccolta dei rifiuti o ai numerosi casi di disfunzioni interne organizzative;
• effettuazione del servizio in grave violazione della disciplina di riferimento: è l’ipotesi in cui non viene rispettata la raccolta differenziata o in cui la raccolta avviene a singhiozzo;
• interruzione del servizio per scioperi o per altri motivi sindacali, o per imprevedibili impedimenti organizzativi.
Secondo la Cassazione, non basta il semplice fatto che per uno o due giorni non passi il camion dei rifiuti: vi deve piuttosto essere un «grave e perdurante disservizio», anche se non dipendente da colpa del Comune. Quello che rileva è infatti la disfunzione protratta nel tempo.
Inoltre è necessario che, dalla mancata raccolta, derivi un danno o anche un semplice pericolo alla salute delle persone o all’ambiente. Tale situazione deve essere certificata dall’autorità sanitaria, ossia dall’Asl.
In tali casi, dunque, per ottenere lo sconto sulla tassa rifiuti non bisogna dimostrare di aver subito un effettivo danno o di aver dovuto tenere le finestre chiuse a causa dei cattivi odori; né bisogna munirsi di fotografie che ritraggono i topi presenti in strada o attorno all’edificio. E’ sufficiente una certificazione dell’Asl o di altre autorità sanitarie da cui si evinca lo stato di pericolo, anche solo potenziale, per la salute pubblica. Insomma è sufficiente che servizio di raccolta della spazzatura non rispetti i basilari elementi che dovrebbero caratterizzarlo, indipendentemente da eventuali responsabilità del Comune.
Il contribuente sarà quindi tenuto a pagare solo il 20% della Tari. Si tratta di uno sconto obbligatorio, che il Comune non può negare.
Non sarà certo il Comune a chiedere di sua spontanea volontà l’importo in misura ridotta. L’istanza dovrà provenire dal cittadino ed essere indirizzata all’ufficio tributi del Comune. La domanda può essere presentata in carta semplice e spedita con raccomandata a.r, oppure consegnata a mani o inviata tramite Pec.
FONTE: La Legge per tutti
Il Superbonus è precluso quando l’abitazione, oggetto degli interventi agevolati, non ha la completa proprietà delle utenze e non è, quindi, “funzionalmente indipendente”. L’ultima versione della norma di riferimento, infatti, pone la condizione che un’unità immobiliare possa ritenersi tale, solo se dotata di almeno tre impianti di proprietà esclusiva.
Il nuovo comma 1-bis dell’articolo 119 del Dl “Rilancio”, ritoccato dalla legge di bilancio 2021, in particolare afferma che “un’unità immobiliare può ritenersi “funzionalmente indipendente” qualora sia dotata di almeno tre delle seguenti installazioni o manufatti di proprietà esclusiva: impianti per l’approvvigionamento idrico; impianti per il gas; impianti per l’energia elettrica; impianto di climatizzazione invernale”.
È il fulcro della risposta n. 810 del 15 dicembre, indirizzata al proprietario di un appartamento situato in un complesso turistico residenziale, suddiviso in edifici separati, che ospitano fino a otto appartamenti ciascuno, tutti con accesso indipendente. In particolare, l’istante, nonostante gli impianti di acqua, energia elettrica e gas fossero di proprietà dell’abitazione solo fino al contatore e di proprietà condivisa con il complesso turistico, per la tratta che va dal contatore a monte verso l’allaccio condominiale, riteneva di poter fruire comunque dell’agevolazione.
L’Agenzia non ha condiviso.
Dopo aver premesso che il Superbonus spetta, tra l’altro, anche sugli interventi, sia trainanti sia trainati, effettuati “su unità immobiliari residenziali funzionalmente indipendenti e con uno o più accessi autonomi dall’esterno site all’interno di edifici plurifamiliari e relative pertinenze”, ha aggiunto che la nozione di “funzionalmente indipendente” è ben specificata nel comma 1-bis dell’articolo 119. Inoltre, le “unità immobiliari funzionalmente indipendenti e con uno o più accessi autonomi dall’esterno, situate all’interno di edifici plurifamiliari”, alle quali la norma fa riferimento, vanno individuate verificando la contestuale sussistenza del requisito della “indipendenza funzionale” e dell’“accesso autonomo dall’esterno”, a nulla rilevando, a tal fine, che l’edificio plurifamiliare di cui tali unità immobiliari fanno parte sia costituito o meno in condominio.
Tanto premesso, considerato che le utenze sono solo parzialmente di proprietà, l’unità abitativa in questione non può essere ritenuta “funzionalmente indipendente”. Ne consegue che all’istante, in relazione agli interventi ammissibili che intende realizzare sull’unità immobiliare, sita all’interno del complesso residenziale, è precluso l’accesso al Superbonus.
FONTE: FiscoOggi
Può usufruire della detrazione Irpef relativa al bonus facciate anche il contribuente che intende mettere a nuovo soltanto la superficie esterna corrispondente alla sua abitazione e non l’intera facciata dell’edificio che ospita, oltre al suo appartamento, altre unità abitative appartenenti a terzi. Irrilevante la circostanza che si tratti di un condominio minimo, ferma restando, ai fini della fruizione del bonus facciate per interventi effettuati sulle parti comuni di un edificio in condominio, la necessità di conservare ed esibire la copia della delibera assembleare di approvazione dell’esecuzione dei lavori nonché la ripartizione delle spese tra i condomini in base alla tabella millesimale o ai diversi criteri previsti dal codice civile.
È quanto chiarisce l’Agenzia delle entrate con la risposta n. 838 del 21 dicembre 2021.
Il contribuente che sottopone il quesito possiede, insieme alla moglie, un appartamento situato in un fabbricato composto anche da altre abitazioni appartenenti a terzi, mai costituito formalmente in condominio. L’istante, come già fatto da alcuni degli altri proprietari, intende effettuare il restyling esclusivamente sulla porzione di facciata che interessa la sua unità immobiliare e chiede se può usufruire, per tali interventi, della detrazione del 90% prevista dalla legge di bilancio 2020, anche se l’intervento interesserebbe solo un perimetro ristretto e non l’intera facciata dell’edificio. Inoltre, il contribuente sostiene che, trattandosi di lavori su parti comuni del fabbricato e in assenza di un condominio formalmente costituito, invece della delibera assembleare di approvazione all’esecuzione dei lavori, sia sufficiente l’invio, tramite raccomandata, di una comunicazione di avvio della ristrutturazione ai proprietari delle altre unità immobiliari, con inizio degli interventi dopo trenta giorni dal ricevimento delle raccomandate senza opposizione.
L’argomento “bonus facciate”, introdotto dall’articolo 1, commi da 219 a 224 della legge di bilancio 2020, con lo scopo di restituire bellezza e conservare i centri abitati provvisti di determinate caratteristiche, è stato oggetto di molti documenti di prassi con cui l’Amministrazione finanziaria ha definito le linee generali di applicazione della detrazione del 90% o ha risposto a quesiti specifici. Anche in questo caso, l’Amministrazione, preliminarmente, ricorda i contenuti della misura agevolativa e i requisiti per usufruirne.
In particolare, la circolare n. 2/2020 ha chiarito quali sono gli interventi agevolabili (vedi articolo “Bonus facciate”: è arrivata l’ora della circolare con i chiarimenti”). In estrema sintesi, la detrazione può essere applicata per il consolidamento, il ripristino, il miglioramento e il rinnovo degli elementi che costituiscono la struttura opaca verticale della facciata stessa e anche la mera pulitura e tinteggiatura della superficie, il rinnovo degli elementi costitutivi dei balconi, degli ornamenti e dei fregi nonché i lavori riconducibili al decoro urbano come quelli riferiti alle grondaie, ai pluviali, ai parapetti, ai cornicioni e alla sistemazione di tutte le parti impiantistiche che insistono sulla parte opaca della facciata di edifici esistenti.
Niente sconto Irpef, invece, per gli interventi effettuati sulle facciate interne degli stabili a meno che non siano visibili dalla strada o da suolo a uso pubblico. Esclusa anche la sostituzione di vetrate, infissi, grate, portoni e cancelli.
Come anticipato, obiettivo principale della norma è incentivare la realizzazione di opere finalizzate alla conservazione e al decoro dei nostri centri urbani, soprattutto di importanza storica favorendo, altresì, il miglioramento dell’efficienza energetica dei fabbricati.
Nel caso dell’interpello in esame, l’istante vuole essere sicuro di poter usufruire della detrazione del 90% anche se l’intervento che va a realizzare riguarda non tutta la facciata del fabbricato, ma soltanto la porzione relativa alla sua abitazione.
L’Agenzia, considerata la ratio dell’agevolazione, ritiene che il contribuente possa beneficiare della detrazione anche se il rinnovamento è circoscritto all’area della sua unità immobiliare e, dunque, a risolvere un problema localizzato su una parte della facciata e non dell’intera superficie visibile dall’esterno dello stabile.
Quanto alla possibilità di inviare, ai fini della detrazione, una comunicazione di avvio dei lavori ai proprietari delle altre unità immobiliari – in assenza di un condominio formalmente costituito, in luogo della delibera assembleare di approvazione all’esecuzione dei lavori -, l’Agenzia richiama i chiarimenti forniti con la circolare n. 7/2021. Al riguardo, il documento di prassi ha precisato che ai fini del bonus facciate, per gli interventi eseguiti sulle parti comuni di un condominio, è necessario conservare ed esibire la copia della delibera assembleare di approvazione dell’esecuzione dei lavori nonché la ripartizione delle spese tra i condomini in base alla tabella millesimale o ai diversi criteri applicabili. È irrilevante, dunque, che il condominio non sia formalmente costituito, considerato che, come ribadito dalla stessa circolare, secondo una consolidata giurisprudenza, la nascita del condominio si determina automaticamente, senza che sia necessaria alcuna deliberazione, nel momento in cui più soggetti costruiscano su un suolo comune o quando l’unico proprietario di uno stabile ne ceda a terzi piani o porzioni di piano in proprietà esclusiva, frazionando, di fatto, la proprietà.
Del resto, spiega ancora l’Amministrazione, anche per il “condominio minimo”, composto cioè da non più di otto condòmini, valgono le norme civilistiche generali per tale tipo di comunità, con eccezione degli articoli 1129 e 1138 del codice civile riguardanti, rispettivamente, la nomina dell’amministratore e il regolamento di condominio (necessario in caso di più di dieci condomini).
FONTE: FiscoOggi
La Tari, acronimo di Tassa sui Rifiuti, è l’imposta destinata a finanziare i costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. Come spiega il sito del MEF, “è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte suscettibili di produrre i rifiuti medesimi”.
La TARI è corrisposta in base a tariffa commisurata ad anno solare.
La tariffa è composta da una parte fissa, determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, e da una parte variabile, rapportata alle quantità di rifiuti conferiti. La tariffa è inoltre articolata nelle fasce di utenza domestica e non domestica (attività produttive o industriali).
Per quanto riguarda le utenze domestiche, la parte fissa è determinata in base alla superficie e alla composizione del nucleo familiare. Mentre la parte variabile è rapportata alla quantità di rifiuti indifferenziati e differenziati specificata per kg, prodotta da ciascuna utenza.
La quota fissa è calcolata moltiplicando la superficie dell’alloggio sommata a quella delle relative pertinenze per la tariffa unitaria corrispondente al numero degli occupanti, mentre la quota variabile è costituita da un importo rapportato al numero degli occupanti che va sommato alla parte fissa.
FONTE: La Legge per tutti
Se la “prima casa” è inabitabile, l’agevolazione può andare al bis: la ripetizione è possibile quando l’immobile viene dichiarato inagibile dall’autorità competente, a causa della sopravvenuta carenza dei requisiti igienico sanitari, strutturali, impiantistici e di sicurezza antincendio.
L’oggettiva e assoluta inidoneità dell’immobile pre-posseduto, acquistato con il bonus “prima casa”, risultante da idonea documentazione e indipendente dalla volontà del contribuente, conduce a ritenere che il beneficio può essere ripetuto per l’acquisto di un nuovo immobile.
Questo in quanto, come sottolineato nella risoluzione n. 107/2017, il verificarsi di “un impedimento oggettivo, non prevedibile e tale da non poter essere evitato che ha comportato l’impossibilità per il contribuente di continuare ad utilizzare l’immobile acquistato per finalità abitative”, può superare le rigide condizioni poste dalla norma che presidia alla fruizione del beneficio (Nota II-bis, articolo 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al Dpr n. 131/1986). Lo afferma l’Agenzia delle entrate con il principio di diritto n. 1 del 17 marzo 2022.
Tra i vincoli fissati dal legislatore alla fruizione dell’agevolazione “prima casa”, infatti figurano, tra l’altro, la titolarità di altra casa di abitazione nello stesso Comune del nuovo acquisto, ovvero di altra casa di abitazione acquistata con le agevolazioni, indipendentemente dal luogo in cui essa è ubicata. Al riguardo, come chiarito nella circolare n. 38/2005, l’intento del legislatore è evitare il duplice godimento dell’agevolazione “prima casa” che si realizzerebbe – all’atto del secondo acquisto – laddove l’agevolazione sia stata già goduta in precedenza dal medesimo contribuente per un immobile di cui risulti ancora titolare.
Tanto detto, l’Agenzia conferma che, se l’immobile pre-posseduto viene dichiarato inagibile dall’autorità competente, a causa della sopravvenuta carenza dei requisiti igienico sanitari, strutturali, impiantistici e di sicurezza antincendio, indipendentemente dalla volontà del titolare, la possibilità di fruire nuovamente del beneficio “prima casa” sull’ acquisto di una nuova abitazione è concessa fino a quando permane la dichiarazione di inagibilità dell’immobile e, naturalmente, nel rispetto di tutte le altre condizioni previste dalla norma di riferimento.
FONTE: FiscoOggi