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Superbonus 90%: modalità di erogazione per prime case e redditi bassi

Con il DM del 31 luglio 2023 sono state definite le modalità di erogazione del Fondo messo in campo dal Governo e destinato ai proprietari che hanno un basso reddito di riferimento e che hanno realizzato lavori agevolati con il Superbonus 90%.
Il 25 agosto, nella Gazzetta Ufficiale, è stato il DM del Ministero e delle Finanze del 31 luglio 2023 con oggetto “Definizione dei criteri e delle modalità per l’erogazione del contributo relativo alle spese sostenute per gli interventi di efficienza energetica, sisma bonus, fotovoltaico e colonnine di ricarica di veicoli elettrici” attraverso il quale sono state stabilite le modalità di erogazione del contributo a fondo perduto destinato alle persone con basso reddito che hanno realizzato lavori agevolati con il Superbonus 90%.
Il DL Aiuti-quater ha introdotto il Superbonus al 90% per le abitazioni unifamiliari adibite a prima casa in cui il proprietario abbia un “reddito di riferimento” fino a 15.000 euro. Per tale agevolazione è stato istituito un Fondo ad hoc pari a 20 milioni di euro per il 2023, il quale verrà erogato per le spese sostenute fino al 31 ottobre 2023.
I requisiti per accedere al Superbonus al 90% sono i seguenti:
a) il richiedente deve avere un reddito di riferimento non superiore a 15.000 euro;
b) il richiedente è titolare di diritto di proprietà o di diritto reale di godimento sull’unità immobiliare oggetto dell’intervento o, per gli interventi effettuati dai condomini, sull’unità immobiliare facente parte del condominio;
c) l’unità immobiliare è adibita ad abitazione principale del richiedente.
Quando si parla di reddito di riferimento, questo si determina dividendo la somma dei redditi complessivi posseduti dalle parti del nucleo familiare di riferimento, nell’anno precedente a quello di sostenimento della spesa, per il numero di parti stesse.
In fase di richiesta dell’agevolazione, il richiedente dovrà indicare l’importo del contributo richiesto che non potrà essere superiore al 10% delle spese ammesse. Il Fondo serve, quindi, a rimborsare della quota rimanente coloro che hanno fruito del Superbonus 90%.
Per quanto concerne l’entità del contributo, questa sarà calcolata sull’ammontare complessivo dei contributi richiesti, pertanto qualora l’ammontare delle richieste superasse i 20 milioni di euro messi a disposizione dal Governo, i richiedenti otterranno una somma inferiore a quella richiesta. Inoltre, l’erogazione del contributo seguirà l’ordine cronologico delle date del primo bonifico effettuato dai richiedenti.
Ricordiamo che per ottenere tale contributo è necessario inviare la richiesta all’Agenzia delle Entrate entro il 31 ottobre 2023.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Se l’inquilino non paga il canone di locazione si può evitare il pagamento delle imposte

Il canone di locazione rappresenta una delle poche tipologie di reddito per le quali si applica il principio di competenza e non il principio di cassa. Questo implica che gli introiti derivanti dal canone di locazione devono essere generalmente indicati nella dichiarazione dei redditi dell’anno in cui gli stessi maturano e non in quella in cui sono effettivamente riscossi.
Questa particolare norma può generare dei problemi dovuti a imposte da versare su redditi non riscossi e che non sempre si riescono a incassare.
Vediamo quindi cosa può fare il locatore nel caso in cui si trovi di fronte un inquilino che non paga il canone per non dichiarare le somme nel 730/2023 e quindi per evitare di pagare imposte su canoni non percepiti.
L’articolo 25 del Tuir ( decreto 917 del 1986) definisce redditi fondiari quelli derivanti da terreni e fabbricati. Ne consegue che i canoni di locazione devono essere annoverati in tale categoria.
L’articolo 26 del Tuir prevedeva che i redditi fondiari concorressero, indipendentemente dalla percezione (principio di cassa), a formare il reddito complessivo dei soggetti titolari di immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale.
Allo stesso tempo stabiliva che i redditi derivanti da canoni di locazione non dovevano essere dichiarati nel caso in cui nel frattempo fosse stato concluso un procedimento giurisdizionale di convalida dello sfratto. In Italia questa procedura richiede molto tempo, di conseguenza il locatore si ritrovava a dover pagare anche per anni imposte su canoni di locazione effettivamente mai riscossi. In merito a questi importi era stabilito che tali versamenti fossero da considerare come credito di imposta e se effettivamente non riscossi potevano essere utilizzati in compensazione al termine del procedimento di convalida di sfratto.
Questa disciplina è sembrata al legislatore eccessivamente penalizzante per il locatore, soprattutto nel periodo di emergenza Covid, quando gli inquilini morosi sono aumentati e i locatori si sono trovati ad affrontare difficoltà economiche non di poco conto.
Proprio per evitare distorsioni, si è provveduto con il decreto legge 34/2019, decreto Crescita, art. 3 quinquies, a modificare tali norme.
Ora, in tema di canone da locazione, continua a trovare applicazione il principio di competenza e non il principio di cassa. La modifica importante riguarda però i tempi. Infatti per far valere nel modello 730 del 2023 la morosità dell’inquilino, non occorre più attendere la conclusione del procedimento di convalida dello sfratto, ma basta dimostrare la mancata percezione degli introiti con l’ingiunzione di pagamento o ingiunzione di sfratto per morosità.
Questa norma trova applicazione per le mensilità non percepite a partire dal primo gennaio 2020, data di entrata in vigore della norma in oggetto.
Il nuovo testo dell’articolo 26 del Tuir recita: “I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito, purché la mancata percezione sia comprovata dall’intimazione di sfratto per morosità o dall’ingiunzione di pagamento”.
Sebbene non debbano essere dichiarati gli importi dei canoni di locazione maturati dopo l’ingiunzione di pagamento o ingiunzione di sfratto per morosità, nella dichiarazione 730/2023 deve comunque essere dichiarata la rendita catastale dell’immobile.
Per evitare di pagare le imposte sui canoni di locazione non percepiti, è necessario indicare nel modello 730/2023 nei righi B1-B6, colonna 7 (casi particolari) il codice 4. Se nello stesso anno una parte dei canoni sono stati percepiti, nella colonna 6 devono essere indicate le somme percepite, mentre nella colonna 7 il codice 4.

La riforma fiscale 2023 in pillole

La Legge delega per la riforma fiscale (legge 111 del 9 agosto 2023) è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 189 del 14 agosto 2023 ed è entrata in vigore lo scorso 29 agosto. Il Governo ha ora 24 mesi di tempo per adottare decreti legislativi per attuare quanto previsto dalla legge e rendere effettiva la riforma fiscale.
La legge delega affronta diversi aspetti che andranno ad incidere sulla vita dei contribuenti: dalla riforma dell’Irpef alle regole che cambieranno l’interpello, fino al complessivo riordino del sistema fiscale italiano.

La legge delega per la riforma fiscale
La legge delega si suddivide in 23 articoli compresi in cinque diversi Titoli che nello specifico prevedono:
– Titolo I: in questa parte sono comprese le linee generali della legge delega e il calendario in base al quale saranno realizzate. Prevede inoltre i criteri secondo i quali sarà riformato lo statuto del contribuente che si focalizza in modo particolare sulle regole del nuove interpello.
– Titolo II: la parte che si incentra in modo particolare sui tributi.
– Titolo III: in questa parte della legge delega ci si concentra sull’adempimento spontaneo e sulle sanzioni.
– Titolo IV si concentra sui principi sui quali si fonderà il riordino della normativa tributaria.
– Titolo V enuncia i criteri che porteranno alla riorganizzazione delle norme fiscali.

I dieci cambiamenti più significativi

– 1) Detassazione della tredicesima e degli straordinari
Una misura volta ad aumentare il potere di acquisto dei lavoratori dipendenti con reddito più basso è la detassazione della tredicesima, degli straordinari e dei premi di produttività. Queste voci, fino a una certa soglia di reddito, non saranno più soggette a tassazione ordinaria ma sostitutiva (si è parlato del 15%).

– 2) Riforma dell’Irpef
Uno dei punti più importanti della riforma fiscale è la riduzione delle aliquote Irpef, sempre nel rispetto del principio di progressività sancito dalla Costituzione. Il primo passo dovrebbe essere quello di passare, nel progetto di transizione verso la flat tax, dalle attuali quattro aliquote e scaglioni, a tre scaglioni di reddito e tre aliquote Irpef già dal prossimo anno.

– 3) Versamenti degli autonomi
La legge delega per i versamenti dei lavoratori autonomi prevede la progressiva introduzione del cambiamento del carico fiscale fino ad arrivare ai versamenti mensili degli acconti e dei saldi. Questa formula potrebbe portare all’eliminazione del saldo di giugno e dell’acconto di novembre. Inoltre i lavoratori autonomi potranno rateizzare l’acconto di novembre.

– 4) Superbollo e multe
La riforma fiscale prevede il graduale superamento del superbollo nell’ottica del riordino delle tasse automobilistiche. Anche le multe (non solo per violazioni del codice della strada) dovrebbero cambiare, mediante addebito diretto in banca per pagare l’importo con una riduzione del dovuto.

– 5) Superamento dell Irap e novità per l’Ires
La delega fiscale prevede un graduale superamento dell’Irap, che potrebbe essere sostituita dal un’altra imposta calcata con le stesse regole dell’Ires. Quest’ultima, invece, è destinata ad essere ridotta sugli utili reinvestiti (anche per nuove assunzioni) o divisi per partecipazione dei dipendenti.

– 6) Revisione iva
L’Iva subirà una revisione, mediante la razionalizzazione del numero delle aliquote secondo i criteri stabiliti dall’Ue per cercare di omogeneizzare soprattutto i beni e i servizi primari.

– 7) Concordato biennale
Un passaggio importante della riforma fiscale riguarda il concordato biennale per partite Iva e piccole e medie imprese. Il Fisco, infatti, calcolerà le imposte dovute sui redditi per il biennio successivo. Ovviamente si tratta di una sorta di scommessa ma chi la accetta non riceverà contestazioni in caso di guadagni maggiori e avrà fin da subito la certezza degli importi che dovrà versare.

– 8) Nuove regole per i pignoramenti
Le intenzioni dell’esecutivo sono quelle di velocizzare il processo di riscossione e di superare il ruolo per arrivare ad ottenere le somme. Per questo motivo potrebbe cambiare anche il pignoramento.

– 9) Cedolare secca per gli esercenti
Il regime della cedolare secca potrà essere esteso anche per le locazioni di immobili non adibiti ad uso abitativo. Questo significa che potrà essere utilizzato anche qualora il conduttore sia chi esercita attività di impresa, arti o professioni o nel caso sia un esercente.

– 10) Riduzione delle sanzioni
Per quanto riguarda le sanzioni, quelle penali verranno alleggerite soprattutto se si è colpevoli di dichiarazioni infedeli. Infatti se il contribuente collabora e comunica preventivamente l’esistenza del rischio fiscale, non sarà soggetto al reato penale.

Imu, ravvedimento operoso entro il 28 settembre

Coloro che entro il 30 giugno 2023 non avessero presentato la dichiarazione Imu 2021 e 2022, data ultima per la presentazione, possono regolarizzare la propria situazione entro il 28 settembre con ravvedimento operoso.
Entro questa data bisogna presentare la dichiarazione Imu non trasmessa a giugno, versando nel contempo la sanzione minima prevista per l’omessa dichiarazione. Sanzione che con il ravvedimento operoso è ridotta a un decimo del minimo, dal momento che ci si ravvede entro 3 mesi. Si dovrà versare anche l’eventuale imposta dovuta, se la dichiarazione si presenta per un aumento dell’imposta e non per una riduzione, gravata dai relativi interessi.
La dichiarazione Imu deve essere presentata obbligatoriamente quando si verificano delle modifiche che danno luogo ad una determinazione diversa dell’imposta dovuta di cui il Comune non è a conoscenza. La dichiarazione va presenta entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui si sono verificate le variazioni in questione o in cui è iniziato il possesso degli immobili ed ha effetto anche negli anni successivi. Non deve essere, quindi, presentata ogni anno, ma solo quando si verificano modifiche che determinano nuovamente un cambiamento dell’imposta dovuta.
La dichiarazione Imu, quindi, serve per stabilire l’importo dell’imposta dovuta, ma anche le eventuali detrazioni spettanti sulla stessa.
Si tratta, pertanto, di una dichiarazione che non deve essere presentata indistintamente da tutti coloro che possiedono immobili, ma solo da coloro per i quali sono intervenute delle variazioni.
Un esempio di presentazione della dichiarazione Imu per riduzione di imposta può essere dato dal seguente elenco:
– fabbricati di interesse storico o artistico;
– fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati;
– dei terreni agricoli o terreni posseduti e condotti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola;
– immobili concessi in uso gratuito a figli e genitori.

Superbonus 110 per cento: chi può mantenere la maxi aliquota anche senza CILAS

In alcuni casi è possibile continuare a mantenere la maxi aliquota del superbonus 110 per cento anche senza CILAS, la comunicazione di inizio lavori asseverata superbonus. La possibilità è stata prevista dalla Legge di Bilancio 2023, che ha indicato alcune eccezioni alla riduzione di aliquota dal 110 per cento al 90 per cento a partire dal 1° gennaio 2023.
Possono continuare a beneficiare dell’agevolazione al 110 per cento gli interventi di demolizione e ricostruzione degli edifici per i quali al 31 dicembre 2022 è stata presentata la richiesta di acquisizione del titolo abilitativo. Lo stesso vale, per la stessa tipologia di interventi edilizi, per le opere incominciate prima dell’introduzione dell’obbligo di presentazione della CILAS, per continuare a poter utilizzare la cessione del credito e lo sconto in fattura.

Dunque, in linea di massima nell’anno in corso possono continuare a beneficiare della maxi agevolazione nella forma originaria stabilita dal decreto Rilancio gli interventi effettuati su villette e unifamiliari che al 30 settembre del 2022 hanno realizzato il 30 per cento dei lavori. Con il decreto Omnibus la scadenza del 30 settembre 2023 è passata al 31 dicembre prossimo. Tuttavia deve essere stata presentata la CILAS nei tempi stabiliti dalla legge.
Lo stesso vale anche per i condomini, a cui alla presentazione della CILAS si affiancano specifiche regole anche in merito alla data della delibera assembleare di approvazione degli interventi.
Le deroghe sono state inizialmente previste dal decreto Aiuti quater. Per mantenere la percentuale del 110 per cento bisogna soddisfare i seguenti requisiti:
– presentazione della CILAS entro il 25 novembre 2022;
– delibera assembleare che abbia approvato l’esecuzione dei lavori, adottata in data precedente al 25 novembre 2022;
– presentazione dell’istanza di acquisizione del titolo abilitativo entro il 31 dicembre 2022, per gli interventi di demolizione e ricostruzione. Quest’ultimo è uno dei casi che permette di beneficiare dell’agevolazione al 110 per cento anche senza aver presentato la CILAS.
A prevederlo è il comma 894 dell’articolo 1 della Legge di Bilancio 2023, così come chiarito anche dalla circolare numero 13 del 13 giugno 2023 dell’Agenzia delle Entrate.

In deroga rispetto alla disciplina generale, per gli interventi di demolizione e ricostruzione si potrà beneficiare dell’aliquota al 110 per cento anche senza aver presentato la CILAS. Tale caso rientra, infatti, tra quelli per cui non è disposto l’obbligo. Tuttavia, la natura dell’atto di autorizzazione degli interventi edilizi può essere giustificata esclusivamente dall’ufficio tecnico comunale di competenza.
Negli altri casi è necessaria la presentazione della CILAS, sia per evitare la riduzione dell’agevolazione dal 110 per cento al 90 per cento, sia per continuare a poter scegliere le opzioni di fruizione indiretta prevista dall’articolo 121 del decreto Rilancio.
In questo caso si applicano le regole previste dall’articolo 2 del decreto Cessioni, che stabilisce il generale divieto di cessione del credito e di sconto in fattura per il superbonus e per gli altri bonus edilizi.
Lo stesso articolo, come riformulato al termine dell’iter della legge di conversione, prevede una deroga per i casi in cui risulti già presentata la comunicazione di inizio lavori asseverata al 17 febbraio 2023.

Nel caso in cui gli interventi siano avviati prima del 5 agosto 2021, per i quali non si applica il comma 13-ter dell’articolo 114 del DL 34/2020, viene considerata come equivalente alla presentazione della CILAS la richiesta dei titoli abilitativi allora in vigore.
A chiarirlo è stata la sottosegretaria al Ministero dell’Economia e delle Finanze, Lucia Albano, nel corso dell’interrogazione a risposta immediata che si è tenuta presso la Commissione Finanze della Camera dei deputati il 13 settembre scorso.
La CILAS deve in ogni caso essere presentata entro il 16 febbraio 2023, nei casi in cui la presentazione è richiesta.
Nell’ipotesi di altri titoli urbanistici abilitativi, si deve fare riferimento alla data di presentazione del differente titolo, sulla base della normativa al momento in vigore.

Fonte: Informazione Fiscale

Bonus verde, la detrazione è attiva fino al 31 dicembre 2024

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Superbonus e certificazione Soa

Agenzia Entrate

Per i contratti stipulati dal 21 maggio 2022 al 31 dicembre 2022, la certificazione “Soa” necessaria alle imprese dal 1° gennaio 2023, per lavori superiori a 516mila euro, ai fini del “Superbonus”, può risultare acquisita entro il 1° gennaio 2023 e non necessariamente al momento della sottoscrizione del contratto.
È quanto precisa la faq pubblicata lo scordo 17 febbraio 2023, sul sito dell’Agenzia delle entrate.
La risposta è sollecitata dalla richiesta di chiarimenti relativa all’applicazione della norma (articolo 10-bis del Dl n. 21/2022) in vigore dal 21 maggio 2022, secondo cui, per il riconoscimento degli incentivi fiscali previsti dagli articoli 119 e 121 del decreto “Rilancio”, a decorrere dal 1° gennaio 2023 e fino al 30 giugno 2023, l’esecuzione dei lavori di importo superiore a 516mila euro deve essere affidata a imprese:
• provviste, al momento della sottoscrizione del contratto di appalto o di subappalto, della occorrente certificazione Soa;
• che, al momento della sottoscrizione del contratto di appalto o di subappalto, documentano al committente o all’impresa subappaltante l’avvenuta sottoscrizione di un contratto finalizzato al rilascio dii tale certificazione.
L’Agenzia al riguardo precisa che “Secondo un’interpretazione sistematica della norma che tenga conto del fatto che l’onere della “condizione SOA” decorre dal 1° gennaio 2023, si può ritenere che, per i contratti stipulati a decorrere dal 21 maggio 2022 al 31 dicembre 2022, le imprese, ai fini della fruizione degli incentivi fiscali di cui agli articoli 119 e 121 del d.l. n. 34 del 2020, possano acquisire la “condizione SOA” entro il 1° gennaio 2023 e non necessariamente al momento della sottoscrizione del contratto”.
La faq specifica, inoltre, che secondo quanto previsto dal comma 2 dell’articolo 10-bis richiamato, dal 1° luglio 2023, per usufruire del Superbonus, l’esecuzione dei lavori di importo superiore a 516mila euro deve essere affidata necessariamente alle imprese in possesso, al momento della sottoscrizione del contratto di appalto o di subappalto, della suddetta certificazione Soa.

https://www.fiscooggi.it/rubrica/attualita/articolo/superbonus-e-condizione-soa-lobbligo-ha-tempi-differenziati

Bonus mobili: ottomila euro per il 2023

Per il 2023 l’importo della spesa per il bonus mobili è di 8mila euro. La Legge di Bilancio 2023 ha infatti alzato la soglia dei 5mila euro previsti inizialmente per l’anno in corso. Per il 2022 il bonus ammontava invece a 10 mila euro.
Per le spese sostenute per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici sarà possibile, quindi, richiedere una detrazione Irpef del 50 per cento nel limite di 8mila euro.
I beneficiari del bonus mobili 2023, pertanto, potranno usufruire di un rimborso massimo del valore di 4mila euro, che sarà ripartito in dieci quote annuali di pari importo, attraverso la presentazione della dichiarazione dei redditi. Dal 2024, poi, il limite scenderà a 5.000 euro.
Per beneficiare del bonus e ottenere il rimborso bisogna specificare le spese sostenute nella dichiarazione dei redditi (modello 730 o modello Unico).
Come ribadito anche dall’Agenzia delle Entrate, l’acquisto dei mobili per i quali si intende richiedere il bonus può avvenire prima del pagamento delle spese per la ristrutturazione dell’immobile, a patto che i lavori siano già avviati.
È possibile richiedere il bonus per l’acquisto di:
• mobili e arredi come letti, armadi, cassettiere, librerie, scrivanie, tavoli, sedie, comodini, divani, poltrone, credenze, materassi, apparecchi di illuminazione;
• grandi elettrodomestici di classe non inferiore alla A per i forni; alla E per le lavatrici, le lavasciugatrici e le lavastoviglie; alla F per i frigoriferi, i congelatori e le apparecchiature per le quali sia prevista l’etichetta energetica. Vi rientrano anche apparecchi di cottura, stufe elettriche, forni a microonde, piastre riscaldanti elettriche, apparecchi elettrici di riscaldamento, radiatori elettrici, ventilatori elettrici, apparecchi per il condizionamento.
La detrazione è riconosciuta per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici connessa alle seguenti attività:
• manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia su singoli appartamenti (per esempio, tinteggiatura di pareti e soffitti, sostituzione di pavimenti, sostituzione di infissi esterni, rifacimento di intonaci interni non danno diritto al bonus);
• ricostruzione o ripristino di un immobile danneggiato da eventi calamitosi, se è stato dichiarato lo stato di emergenza;
• restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia, riguardanti interi fabbricati, eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie che entro 18 mesi dal termine dei lavori vendono o assegnano l’immobile;
• manutenzione ordinaria,
• manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia su parti comuni del condominio.

Vendere la prima casa senza perdere i benefici fiscali

Acquistare un’abitazione usufruendo delle agevolazioni per la prima casa espone ad un rischio: quello di perdere il diritto al bonus nel caso si decida di rivendere l’immobile prima che siano decorsi cinque anni dall’acquisto. A meno che, nell’anno successivo, non venga acquistata un’altra prima casa. Oppure che la vendita non sia stata determinata da mutate condizioni economiche, ovvero da situazioni di “forza maggiore” che hanno imposto la cessione dell’immobile, ad esempio per l’impossibilità di pagare il mutuo.
L’agevolazione prima casa consiste in un bonus che spetta una tantum all’atto dell’acquisto. In particolare, l’acquirente può scontare l’Iva al 4% anziché al 10%; oppure, nel caso di acquisto da privato, l’imposta di registro al 2% anziché al 9% nel caso in cui:
– la casa non rientra tra le abitazioni di lusso (ossia nelle categorie A/1, A/8 o A/9);
– la casa è ubicata nello stesso Comune di residenza del contribuente (il quale ha 18 mesi dal rogito per completare il trasferimento della residenza) o del luogo ove questi lavora;
– il contribuente non ha altre abitazioni nello stesso Comune (che altrimenti andrebbero cedute prima del rogito);
– il contribuente non ha un’abitazione acquistata in precedenza con il bonus prima casa (diversamente ha un anno di tempo per venderla o donarla).
Per evitare fini speculativi, la legge subordina il bonus prima casa al divieto di rivendere l’immobile nei primi 5 anni dall’acquisto. Diversamente si perdono i benefici fiscali e il contribuente è tenuto a:
– versare le imposte risparmiate all’atto dell’acquisto (ossia la differenza tra quanto pagato a titolo di IVA o imposta di registro e quanto invece avrebbe dovuto pagare);
– versare una sanzione del 30% su tale importo.
La decadenza dell’agevolazione prima casa nel caso di vendita prima dei cinque anni dall’acquisto è soggetta ad una eccezione: il contribuente non perde l’agevolazione, e non è neppure soggetto al pagamento delle sanzioni, se entro un anno dalla vendita acquista o riceve in donazione un’altra casa da adibire ad abitazione principale, sempre che si tratti di “prima casa”.
Nel caso in cui, invece, il contribuente non possa riacquistare una nuova proprietà, ad esempio sopravvenute impossibilità economiche, per evitare di dover “risarcire” il bonus ottenuto a sua volta, è necessario presentare, prima che sia decorso l’anno dalla vendita, un’apposita istanza all’Agenzia delle Entrate presso il quale è stato registrato l’atto di compravendita, manifestando che non si intende procedere ad alcun nuovo acquisto. Con l’istanza si chiede la riliquidazione dell’imposta. L’Ufficio notifica apposito avviso di liquidazione dell’imposta dovuta e degli interessi a decorrere dalla stipula dell’acquisto senza irrogare le sanzioni. Si dovrà quindi corrispondere la differenza tra l’imposta dovuta e quella versata all’epoca, ma si evita la sanzione del 30%.
Se invece il contribuente lascia trascorrere il termine di 12 mesi senza acquistare un nuovo immobile, oppure comunicare all’Agenzia delle Entrate di non voler più fruire dell’agevolazione, si verifica la decadenza dai benefici “prima casa” goduti. In questo caso, il contribuente dovrà versare non solo la differenza delle imposte, ma anche la sanzione del 30%. Se però non gli è ancora stato notificato un atto di liquidazione o un avviso di accertamento, può avvalersi del ravvedimento operoso e ottenere la riduzione delle sanzioni.

Il nuovo pavimento è agevolabile se è nuovo anche l’impianto di riscaldamento

Le spese per la demolizione del pavimento, e quelle relative alla sua sostituzione con posa in opera, sono detraibili ai fini dell’ecobonus in quanto strettamente connesse all’installazione dell’impianto radiale a pavimento, a condizione che tale opera sia parte di un più complessivo intervento sull’impianto di riscaldamento, implicante la sostituzione del generatore di calore (circolare 28/E/2022).

Rispettata questa condizione, tali spese possono rientrare nel massimale di detrazione ecobonus previsto per la sostituzione dell’impianto di climatizzazione invernale, pari a 30mila euro (articolo 14, Dl 63/2013) con aliquota di detrazione al 65 per cento, rappresentando plafond di detrazione a sé stante rispetto al separato massimale di spesa di 96mila euro, ex articolo 16-bis del Tuir (Dpr 917/1986), per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente, agevolati al 50 per cento.
Viceversa, qualora l’intervento di collocazione dell’impianto radiale a pavimento non si connetta a un intervento agevolato con ecobonus, ma solo a uno di recupero del patrimonio edilizio esistente, la relativa spesa sarà detraibile al 50 per cento, in quanto parte del massimale di spesa di 96mila euro.

La comunicazione all’Enea delle informazioni relative ai lavori effettuati, compreso quello concernente l’impianto radiale a pavimento, è dovuta in ogni caso, sia che si fruisca della detrazione ecobonus al 65% sia che si fruisca della detrazione al 50% prevista dal citato articolo 16-bis (essendo opera che attiene a profili di risparmio energetico), con la precisazione che, nel primo caso, tale adempimento è condizione di spettanza della detrazione, mentre nel secondo caso la sua eventuale omissione non determina il venire meno della detrazione spettante, essendo previsto solo in funzione di monitoraggio (circolare 28/E/2022, pagina 22, e risoluzione 46/E/2019).