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Piattaforma cessione crediti per i bonus non utilizzabili

Disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate, a partire dal 1° dicembre 2023, una nuova funzionalità nella “Piattaforma cessione crediti” per i crediti inutilizzabili.

Il servizio, messo a punto da Agenzia delle Entrate e Sogei, deve essere utilizzato dall’ultimo cessionario, in caso di esercizio delle opzioni per la cessione del credito e dello sconto in fattura (articolo 121, comma 1, lettere a) e b), del Dl n. 34/2020), per comunicare all’Agenzia delle Entrate che i crediti edilizi non sono utilizzabili per un evento diverso dalla scadenza dei termini.

In un provvedimento del direttore dell’Agenzia del 23 novembre 2023 il contenuto e le modalità di invio della comunicazione.

La norma che ha definito tale onere è l’articolo 25 del Dl n. 104/2023.

La disposizione prevede che l’ultimo cessionario del credito, in caso di esercizio delle opzioni per lo sconto in fattura o cessione del credito, ha l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate i bonus inutilizzabili, cioè quelli per i quali non sussistono i presupposti costitutivi, entro 30 giorni dal momento in cui è venuto a conoscenza dell’evento che ha determinato la mancata fruizione.

Il nuovo servizio web prevede l’indicazione delle rate dei crediti inutilizzabili. Nel dettaglio, il cessionario deve comunicare:
• per i crediti tracciabili, il numero di protocollo telematico della comunicazione originaria (prima cessione o sconto in fattura) da cui sono derivate le rate;
• per i crediti non tracciabili, i dati significativi della comunicazione originaria (numero di protocollo telematico, codici fiscali del cedente titolare della detrazione e del fornitore/primo cessionario) da cui sono derivate le rate.

In entrambi i casi, è indicata anche la data in cui l’attuale cessionario che effettua la comunicazione è venuto a conoscenza dell’evento che ha determinato la non utilizzabilità del credito.
La comunicazione è accolta se il cessionario dispone di credito residuo sufficiente per la tipologia di credito indicata e la relativa rata annuale. In tal caso la stessa comunicazione ha efficacia immediata e i crediti non risulteranno più nella sua disponibilità.

Sismabonus acquisti e remissione in bonis: ultimi chiarimenti dal Fisco

Il Sismabonus acquisti è una detrazione Irpef dedicata all’acquisto di immobili antisismici realizzati da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare, attraverso interventi di demolizione o ricostruzione di edifici siti in zone sismiche 1, 2 e 3, con lo scopo di ridurre il rischio sismico. Difatti, a fruire di tale detrazione del 75% o dell’85% del prezzo di acquisto sino a un massimo di 96.000 euro non è chi commissiona gli interventi antisismici, ma chi acquista l’immobile.

L’Agenzia delle Entrate è tornata sul tema tramite la Risposta n. 467/2023 del 24/11/2023. Nel caso specifico un’impresa di costruzione e ristrutturazione immobiliare ha acquistato un’area in zona classificata a rischio sismico “3” con dei fabbricati da demolire e ricostruire, con ampliamento volumetrico, in modo da realizzare così un nuovo complesso immobiliare.

L’impresa prosegue spiegando che lo scopo finale è quello di vendere gli appartamenti con il Sismabonus acquisti, praticando lo sconto in fattura agli acquirenti che opteranno per tale possibilità.

La suddetta impresa ha stipulato un contratto preliminare di compravendita di immobile da costruire avente ad oggetto un appartamento, un vano cantina e un posto auto, facenti parte del complesso immobiliare in corso di edificazione, nonché la vendita degli arredi indicati nel relativo capitolato.

In merito all’intervento descritto, però, non è stata depositata l’asseverazione da redigere secondo l’allegato B prevista dal DM 58/2017. Tale asseverazione è fondamentale per far sì che l’acquirente possa fruire del Sismabonus acquisti e deve essere consegnata dall’impresa stessa al momento della richiesta o della presentazione del titolo abitativo.

Ciò premesso, gli istanti si sono rivolti all’Agenzia delle Entrate per chiedere:
• se tutte le unità immobiliari potranno beneficiare del Sismabonus acquisti e dello sconto in fattura, posto che la volumetria del nuovo complesso edificato sarà superiore rispetto a quella dell’edificio preesistente;
• se è possibile beneficiare del Sismabonus acquisti nel caso in cui l’impresa presenti in ritardo l’asseverazione prevista, avvalendosi della remissione in bonis;
• chi sia il soggetto tenuto al versamento della sanzione dovuta per la remissione in bonis e a quanto ammonta tale sanzione;
• se è possibile fruire anche dell’agevolazione “bonus mobili”.

L’Agenzia delle Entrate, in risposta al caso di specie, ha in primis chiarito che è possibile fruire del Sismabonus acquisti anche nel caso in cui vi sia un ampliamento volumetrico dell’edificio preesistente, pertanto anche se le unità immobiliari saranno più numerose rispetto a quelle dell’edificio demolito, ciò è ininfluente, pertanto tutti gli acquirenti di tutte le unità immobiliari potranno richiedere la citata agevolazione.

Per quanto concerne la remissione in bonis, il Fisco ha ricordato che l’articolo 2, comma 1, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, ha introdotto questa “particolare forma di ravvedimento operoso (c.d. remissione in bonis) volto ad evitare che mere dimenticanze relative a comunicazioni ovvero, in generale, ad adempimenti formali non eseguiti tempestivamente precludano al contribuente, in possesso dei requisiti sostanziali richiesti dalla norma, la possibilità di fruire di benefici fiscali o di regimi opzionali.”

La remissione in bonis prevede una sanzione pari a 250 euro e prevede che i documenti vengano presentati entro i termini della prima dichiarazione dei redditi in cui esercitare il diritto a beneficiare della detrazione della prima quota costante dell’agevolazione.

Inoltre, nel caso in cui si scelga di optare per lo sconto in fattura o la cessione del credito, la remissione in bonis è consentita se i documenti mancanti sono integrati prima della comunicazione con cui il contribuente mette al corrente l’Agenzia della propria scelta.

Nel caso esaminato e alla luce di quanto detto, dato che l’acquirente non ha ancora inviato all’Agenzia delle Entrate alcuna comunicazione in merito allo sconto in fattura, l’impresa potrà presentare tardivamente l’asseverazione necessaria che avrebbe dovuto presentare contestualmente al titolo abilitativo, pagando la relativa sanzione prevista appunto dall’istituto di remissione in bonis, in modo che l’acquirente possa poi richiedere il Sismabonus acquisti.

Difatti, il Fisco dichiara: “la sanzione risulta a carico del soggetto su cui ricadeva l’obbligo di presentarla tempestivamente o al quale lo stesso è riconducibile (oltre che materialmente possibile), nel caso di specie la società costruttrice promittente venditrice. L’ asseverazione non riguarda un singolo appartamento o cespite da alienare, ma l’intero complesso realizzato, risultando dunque unica per tutti gli immobili compravenduti. A fronte di un unico adempimento omesso da sanare, unica è la relativa sanzione da versare.”

Per quanto riguarda il quesito inerente alla possibilità di fruire anche del bonus mobili, l’Agenzia ha spiegato che in linea generale coloro che fruiscono del Sismabonus acquisti possono richiedere anche il bonus mobili, il quale è riconosciuto per i contribuenti che fruiscono della detrazione di cui all’articolo 16­bis del TUIR (bonus ristrutturazioni), disciplina da cui discendono anche il Sismabonus e il Sismabonus acquisti. Difatti “La circolare n. 17/E del 2023 chiarisce che, poiché tra gli interventi di recupero del patrimonio edilizio indicati alle lettere b), c) e d) dell’articolo 3 del TUE sono compresi anche quelli finalizzati alla riduzione del rischio sismico, il ”bonus mobili” spetta anche ai contribuenti che fruiscono del ”sismabonus” e del ”Superbonus” di cui al comma 4 dell’articolo 119 del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. decreto Rilancio).”

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Intervento di riqualificazione energetica e bonifico errato: chiarimenti dal Fisco

L’Agenzia delle Entrate è tornata sul tema degli errori nei bonifici per le detrazioni fiscali rispondendo ad un quesito posto da una contribuente attraverso “La posta di FiscoOggi”.

Nel caso specifico, una contribuente spiega di aver realizzato nel 2023 interventi di efficientamento energetico (ecobonus) nell’ambito di una ristrutturazione edilizia della propria abitazione. Nella causale del bonifico parlante per le agevolazioni fiscali è stato indicato “L449 Art. 16bis DPR 917/1986 (L449) Ristrutturazione edilizia”, anziché “L296 Legge 296/06 Riqualificazione energetica”.

Sostanzialmente, la norma che è stata indicata come riferimento è quella inerente al bonus ristrutturazioni, mentre la norma da indicare era quella inerente all’Ecobonus.

La contribuente si rivolge al Fisco, quindi, per chiedere se nella dichiarazione dei redditi del 2024 può comunque detrarre le spese come riqualificazione energetica, ovvero al 65% o se invece, dato l’errore, avrà diritto alla detrazione al 50%, quella relativa al bonus ristrutturazioni.

In risposta l’Agenzia delle Entrate ha ricordato che la Circolare n.17/E del 26 giugno 2023 ha chiarito che nel caso in cui, per mero errore materiale, sia stato indicato nel bonifico il riferimento normativo inerente agli interventi di recupero del patrimonio edilizio, anziché quello relativo all’ecobonus, l’agevolazione può comunque essere riconosciuta senza necessità di ulteriori adempimenti da parte del contribuente.

Ciò significa, quindi, che in presenza di tutte le condizioni e dei requisiti previsti dalla normativa che prevede la detrazione con aliquota al 65% delle spese sostenute, gli eventuali errori commessi nella causale del bonifico non pregiudicano la possibilità di fruire dell’agevolazione.

A tal proposito ricordiamo che l’ecobonus sarà in vigore sino al 31 dicembre 2024, pertanto per fruire di tale agevolazione è necessario che le spese per gli interventi di efficientamento energetico vengano sostenute entro tale data. La detrazione varia dal 50% al 65% a seconda del tipo di intervento effettuato ed è applicabile solo per i lavori di riqualificazione energetica effettuati su unità immobiliari ed edifici già esistenti.

Per quanto concerne i lavori realizzati su edifici condominiali, la detrazione riconosciuta potrà essere del 70% a patto che i lavori interessino almeno il 25% dell’involucro, o potrà arrivare sino al 75% se con l’intervento vi sarà un miglioramento della prestazione energetica estiva e invernale. Nel caso in cui si eseguano congiuntamente anche interventi antisismici, l’ecobonus potrà arrivare all’80 o all’85% delle spese sostenute.

A cura Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Imu 2023, guida alla tassa sulla casa

L’Imu, Imposta municipale unica, è una patrimoniale dovuta dai possessori di fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli. Il pagamento dell’imposta, però, non è sempre dovuto perché per il suo calcolo bisogna tenere conto di diverse variabili e alcune esenzioni.

Istituita nel 2011, l’Imu ha subito nel tempo diverse modifiche, alcune introdotte in via temporanea nel periodo dell’emergenza pandemica Covid, che oggi non sono più operative.
L’imposta, che è di competenza dei Comuni, non si paga sull’abitazione principale, almeno per il momento, ma è dovuta quando la prima casa rientra tra quelle di lusso.
Sono numerose poi le esenzioni e le agevolazioni Imu.

I soggetti obbligati a pagare l’Imu 2023 sono:
– i proprietari di fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli;
– titolari di diritti reali di godimento (usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie;
– il concessionario di aree demaniali;
– il locatario di immobili in leasing;
– il coniuge a cui viene assegnata la casa coniugale a seguito di separazione legale (ma solo nel caso di abitazione “di lusso”).

Non paga nulla il possessore di un solo immobile adibito ad abitazione principale, definita come la sede della residenza anagrafica del contribuente e del proprio familiare. L’esenzione si applica anche alle pertinenze di categoria catastale C2, C6 e C7.

Anche nel 2023 è stata confermata la “disciplina di sfavore” prevista per le prime case di lusso: per gli immobili di categoria catastale A1, A8 e A9 l’Imu è dovuta anche se è il solo immobile posseduto e vi si ha la residenza.

Sono considerati immobili assimilati ad abitazione principale e quindi esenti:
– entrambi gli immobili dei coniugi con doppia residenza;
– le unità immobiliari delle cooperative a proprietà indivisa adibite ad abitazione principale dei soci assegnatari;
– unità immobiliari delle cooperative a proprietà indivisa destinate a studenti universitari assegnatari, anche in assenza della residenza anagrafica;
– i fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali;
– la casa familiare assegnata al genitore affidatario dei figli;
– un solo immobile non locato, posseduto dai soggetti appartenenti alle Forze armate, alle Forze di polizia, al personale dei Vigili del fuoco nonché a quello appartenente alla carriera prefettizia.
Con propria delibera, inoltre, i Comuni possono assimilare a prima casa l’unità immobiliare non locata posseduta da anziani e disabili ricoverati in case di cura o di riposo.

Oltre alle esenzioni totali, l’Imu 2023 prevede anche agevolazioni e riduzioni.
È confermata la riduzione del 50% per la casa concessa in comodato d’uso gratuito tra genitori e figli. La stessa agevolazione si applica anche agli immobili riconosciuti inagibili e inabitabili da una perizia dell’ufficio tecnico comunale. La riduzione del 50% si applica sulla base imponibile.
Per le abitazioni concesse in locazione con canone concordato, l’Imu è ridotta al 75%. In questo caso la riduzione si applica all’aliquota del Comune. Il contribuente ha dunque una riduzione del 25% sull’Imu dovuta.

Le aliquote Imu sono di due tipi:
– ordinaria, pari allo 0,86%. Il Comune può aumentarla fino all’1,06% o diminuirla in determinate condizioni;
– ridotta (per l’abitazione principale di lusso e per le pertinenze), pari allo 0,5% (aumentabile dello 0,1%).
Tramite delibera comunale, però, i sindaci possono anche decidere di ridurre l’aliquota, fino ad azzerarla.

Sono poi previste ulteriori aliquote, introdotte dalla legge di Bilancio 2020:
– 0,1% per i fabbricati rurali strumentali;
– 0,1% (con possibilità di aumento fino allo 0,25%) per gli immobili merce non locati dalle imprese costruttive;
– 0,76% per i terreni agricoli (con possibilità di aumento fino all’1,06% o di diminuzione fino all’azzeramento);
– 0,76% per i fabbricati D.
I comuni possono però annullare completamente, con apposita delibera del consiglio comunale, l’imposizione di tale fattispecie.

L’Imu 2023 può essere pagata mediante:
– bollettino postale compatibile col modello F24;
– modello F24 (i codici tributo sono stati istituiti dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 29/2020);
– la piattaforma PagoPA.

Due sono le scadenze da ricordare:
– la prima rata (acconto Imu) è quella del 16 giugno 2022;
– la seconda rata (saldo Imu) è quella del 16 dicembre 2022.

Agevolazioni Tari sulla seconda casa

Sulla seconda casa utilizzata soltanto in alcuni mesi dell’anno, ad esempio per le vacanze, sono previste delle esenzioni sulla Tari, la tassa sui rifiuti. Chi ha una seconda casa non abitata per buona parte dell’anno può quindi richiedere uno sconto al Comune.

L’agevolazione è però possibile soltanto a determinate condizioni. In particolare, dimostrando che nella casa non ci vive nessuno.

A fornire preziose indicazioni per dimostrare l’utilizzo dell’abitazione soltanto per pochi mesi all’anno è la Commissione Tributaria di Massa Carrara, con la sentenza n. 182 del gennaio 2017.

Secondo la Commissione Tributaria di Massa Carrara, il calcolo della Tari sulle seconde case deve essere effettuato in base alla quantità di rifiuti prodotti e il Comune non può calcolare la tassa per i non residenti allo stesso modo previsto per i residenti.

Alla base della pronuncia della CTP vi è il principio stabilito dalla direttiva UE n. 2008/98/CE, secondo cui “chi inquina paga”. Pertanto, chi ha una seconda casa utilizzata soltanto per le vacanze non produce la stessa quantità di rifiuti di un residente che vive la propria abitazione quotidianamente.

Secondo questo principio, quindi, la Tari sulla casa di un non residente utilizzata soltanto durante le vacanze dovrà essere ridotta, tenuto conto della quantità di rifiuti prodotta per i mesi di permanenza nell’immobile.

Al contribuente che aveva presentato ricorso contro l’importo troppo elevato della Tari e contro gli avvisi di pagamento inviati dal Comune, la Commissione ha disposto l’applicazione di uno sconto del 30%.

Il contribuenti ha però dovuto fornire idonea dimostrazione dell’utilizzo della casa soltanto in determinati mesi dell’anno.

In merito a cosa fare nel caso in cui la Tari sia addebitata anche su una seconda casa non abitata si sono espressi più volte sia il MEF sia la Corte di Cassazione, stabilendo che per provare che la casa è disabitata è possibile:
– dimostrare che nell’abitazione non sono attive le utenze di luce, gas e acqua;
– dimostrare che l’immobile non è arredato.

Gli ultimi chiarimenti sono stati forniti dal MEF che, nel corso di un interpellanza parlamentare dello scorso dicembre 2017, ha richiamato la sentenza della Cassazione n. 8383/2013 sostenendo che “solo l’assenza di arredi e di allacci ai servizi a rete permetterebbe di escludere totalmente gli immobili considerati dalla Tari”.

L’acquisto di crediti fiscali non crea reddito tassabile

Il professionista che acquista crediti fiscali collegati ai bonus edilizi ad un prezzo inferiore rispetto al loro valore, per utilizzarli in compensazione, beneficia di un differenziale positivo che non costituisce reddito tassabile.

Il chiarimento arriva dall’Agenzia delle Entrate, nella risposta 472/2023, su sollecitazione di uno studio di commercialisti.

Uno studio di commercialisti si è infatti rivolto all’Agenzia precisando l’intenzione di acquistare crediti di imposta relativi al Superbonus da un contribuente che ha sostenuto le spese agevolate nel 2022 e che ora vorrebbe cedere tali crediti. I crediti non sono correlati allo svolgimento di prestazioni professionali né da parte dello studio né dei singoli associati. Per l’acquisto dei crediti fiscali, lo studio pagherà un prezzo inferiore rispetto al valore dei crediti. I commercialisti hanno quindi chiesto se la differenza tra il valore del credito e il prezzo pagato genera reddito imponibile.

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 472 del 30 novembre 2023 ha ricordato che, in base all’articolo 1 del Testo unico imposte sui redditi (Dpr 917/1986), il presupposto impositivo si basa sul possesso di redditi in denaro o in natura.

Sempre in base al Tuir, le associazioni professionali costituite tra persone fisiche sono soggette alla stessa disciplina fiscale prevista per le società semplici. Questo significa che le associazioni professionali non possono svolgere attività d’impresa e che il reddito imponibile, costituito dalla somma delle singole categorie di reddito indicate dall’articolo 5 del Tuir, deve essere imputato in capo a ciascun socio.

Riguardo al Superbonus, l’Agenzia ha spiegato che il legislatore ha inteso riconoscere ai contribuenti un’agevolazione, sotto forma di detrazione dall’imposta lorda, di ammontare superiore ai costi sostenuti senza, tuttavia, prevedere alcuna rilevanza reddituale del differenziale positivo riferibile al Superbonus (pari al 10% delle spese medesime).

Sulla cessione del credito, l’Agenzia ha ricordato che la normativa sui bonus edilizi prevede il suo utilizzo in compensazione, con la stessa ripartizione in quote annuali adottata con la detrazione, e che l’eventuale quota di credito d’imposta non utilizzata nell’anno non può essere usufruita negli anni successivi e non può essere richiesta a rimborso.

Per capire la rilevanza reddituale del differenziale positivo creato dall’operazione di acquisto dei crediti fiscali, l’Agenzia ha analizzato le varie tipologie reddituali, come ad esempio i redditi da capitale e quelli da lavoro autonomo.

L’Agenzia è quindi arrivata alla conclusione che, vista l’assenza di una norma specifica sulla rilevanza reddituale di queste somme e che esse non sono riconducibili ad alcuna categoria di reddito prevista dal Tuir, il differenziale positivo tra l’importo nominale del credito e il prezzo di acquisto non genera reddito imponibile.

Imu ridotta in caso di comodato d’uso gratuito di un immobile

In vista della scadenza ormai vicina con il saldo dell’Imu, il 16 dicembre, è bene ricordare che nel caso in cui si disponga di un’immobile concesso in comodato d’uso gratuito a genitori o figli è possibile beneficiare di un’importante riduzione dell’imposta.

Il comodato gratuito
Il comodato gratuito è a tutti gli effetti un contratto, attraverso il quale una parte si impegna a consegnare all’altra un bene mobile o immobile, affinché ne usufruisca per un periodo circoscritto e ne faccia un uso specifico. Colui che riceve il bene ha l’obbligo di restituirlo.
Nella maggior parte dei casi il comodato è un contratto gratuito. Per la sua redazione può essere scelta la forma verbale o quella scritta. Nel secondo caso deve essere registrato entro trenta giorni dalla data dell’atto. Quando si opta per il contratto verbale, invece, è necessario registrarlo solo quando viene enunciato in un altro atto sottoposto a registrazione.
L’Imu deve essere sempre versata dal proprietario dell’immobile, anche quando dovesse decidere di darlo in comodato d’uso gratuito. Ma in determinate circostanze ha diritto ad ottenere una riduzione dell’aliquota Imu al 50%. A spiegare nel dettaglio quali sono i casi in cui la base imponibile dell’imposta viene dimezzata è l’articolo 1, comma 747 delle Legge n. 160/2019: è possibile ottenere questa agevolazione se un immobile viene concesso in comodato d’uso gratuito ai parenti in linea retta. La riduzione del 50% della base imponibile dell’Imu non spetta, però, per gli immobili che sono classificati nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, anche quando vengono concessi in uno comodato d’uso gratuito ai parenti in linea retta entro il primo grado.
Fatta eccezione per il caso appena descritto, è necessario che l’immobile venga adibito ad abitazione principale. La riduzione di applica nel caso in cui:
– venga registrato il contratto di comodato;
– il comodante sia proprietario di un solo immobile dato in comodato. Oltre a questo può possederne un altro adibito ad abitazione principale. Le unità abitative non devono essere classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9;
– il comodante deve risiedere anagraficamente nello stesso comune dove è situato l’immobile dato in comodato.
La riduzione della base imponibile Imu può essere applicata anche quando – in seguito alla morte del comodatario – l’immobile venga destinato dal coniuge di quest’ultimo ad abitazione principale. Perché sia possibile continuare ad usufruire dell’agevolazione è necessario che ci siano dei figli minori.

Altri casi di riduzione Imu
I pensionati residenti all’estero non possono più beneficiare dell’esenzione Imu dal 2020. Nel 2022, la riduzione è passata al 37,5%, mentre prima era al 50%. È possibile ottenere la riduzione dell’imposta per un solo immobile posseduto in Italia e non essere residenti titolari di pensione estera. Inoltre l’immobile non deve essere locato o concesso in comodato d’uso gratuito.
Hanno diritto ad una riduzione del 25% dell’Imu i proprietari che concedono in locazione a canone concordato l’immobile: in questo caso si paga solo il 75% di quanto dovuto. Per la casa che viene affittata a canone libero, invece, è previsto il pagamento dell’intero importo dell’Imu, che è sempre a carico del proprietario.
Spetta la riduzione della base imponibile Imu al 50% per gli immobili dichiarati inagibili e per quelli storici.

Ereditare un immobile abusivo

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Agevolazioni prima casa e nuda proprietà

L’agevolazione prima casa spetta anche per l’acquisto della nuda proprietà di un immobile, a patto però che vengano rispettati i requisiti previsti dalla legge. Tra questi, quello che l’acquirente deve avere residenza nel Comune in cui acquista la casa o deve trasferirla entro 18 mesi dall’acquisto agevolato. In alternativa deve dimostrare che la propria sede di lavoro è situata nel Comune in cui acquista l’immobile.

Dunque, l’agevolazione prima casa spetta anche per l’acquisto della nuda proprietà, ovvero l’acquisto della proprietà privata senza il temporaneo diritto reale di godimento del bene cui è relativa. Dunque, non si dispone immediatamente dell’immobile ma lo stesso sarà a disposizione al verificarsi di determinate condizioni stabilite nel contratto di vendita, che spesso coincidono con la morte dei precedenti venditori usufruttuari.

Per rientrare nell’agevolazione devono essere rispettate le seguenti condizioni:
– l’acquirente non deve essere titolare esclusivo o in comunione col coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del Comune in cui è situato l’immobile da acquistare;
– l’immobile deve trovarsi nel Comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui lo stesso svolge la propria attività;
– l’acquirente non deve avere la titolarità, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale, dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata da egli stesso o dal coniuge con i benefici “prima casa”.

L’acquirente, all’atto dell’acquisto, deve dichiarare il rispetto dei requisiti appena citati, quindi anche dell’eventuale cambio di residenza.

La condizione relativa alla residenza potrebbe creare qualche problema di tipo organizzativo e logistico nel caso in cui si voglia beneficiare dell’agevolazione prevista per l’acquisto della nuda proprietà della prima casa.

Il codice civile, all’articolo 43, definisce la residenza come il luogo in cui la persona ha la dimora abituale.
La residenza si lega quindi strettamente al luogo in cui si vive e si abita. Sebbene quindi l’acquirente abbia titolo per cambiare residenza, dal punto di vista pratico la condizione contrattuale di acquisto della nuda proprietà potrebbe prevedere che l’usufrutto per i venditori possa durare più di 18 mesi.

Tale condizione contrasterebbe con la dichiarazione dell’acquirente del rispetto dei requisiti previsti, all’atto dell’acquisto (escluso il caso in cui il Comune sia lo stesso in cui il soggetto svolge la propria attività).

Restano dunque alcuni problemi sul piano pratico per beneficiare delle agevolazioni in questione, che prevedono i seguenti vantaggi:.
– riduzione dell’IVA dal 10 per cento al 4 per cento per i contribuenti che acquistano casa direttamente dall’impresa costruttrice, pagando in misura fissa 200 euro per imposta ipotecaria e catastale;
– acquisti per successioni o donazioni con imposta ipotecaria e catastale in misura fissa, ovvero 200 euro;
– imposta di registro al 2 per cento, per gli acquisti da privati. Il bonus prima casa, in tali condizioni, permetterà di pagare l’imposta in oggetto sul valore catastale dell’immobile, sulla base del principio prezzo/valore. L’imposta catastale e ipotecaria previste sono dell’importo di 50 euro;
– credito d’imposta per i soggetti che vendono e riacquistano casa entro 12 mesi usufruendo delle agevolazioni. Gli stessi hanno la possibilità di sottrarre l’imposta da pagare con quella già pagata per l’acquisto della precedente abitazione.

Il pignoramento della prima casa

Il pignoramento immobiliare è l’atto con cui un creditore espropria forzatamente un bene immobile di proprietà di un debitore insolvente.
In un momento difficile quale quello attuale, è bene ricordare che anche la prima casa è pignorabile. In particolare, è sempre possibile il pignoramento della prima casa quando il debito è di natura privata (una banca, un’azienda o una persona fisica). Quando invece il debito è di natura erariale, ed è dunque da corrispondere all’Agenzia delle Entrate, esistono dei limiti che impediscono il pignoramento della prima casa.

Il pignoramento degli immobili
Il pignoramento è il primo atto esecutivo con il quale prende avvio l’espropriazione forzata di un immobile, con il fine di bloccare il bene del debitore per soddisfare il diritto di credito del procedente.
Il creditore, o i creditori, per procedere con il pignoramento immobiliare della prima casa o di altri beni immobili, devono:
– essere in possesso di un titolo esecutivo: un documento che consente di accertare il diritto di credito (può essere una sentenza, un decreto ingiuntivo, un assegno o una cambiale);
– notificare al debitore l’atto di precetto: l’invito a pagare il debito entro 10 giorni;
– effettuare l’iscrizione dell’ipoteca: questo passaggio non è obbligatorio, ma consente al creditore di rifarsi sull’immobile anche nel caso in cui venga trasferito a terzi;
– notificare all’Ufficiale Giudiziario il pignoramento entro 90 giorni dall’atto di precetto.
Avviare la procedura di pignoramento comporta costi molto elevati per il creditore e, pertanto, risulta piuttosto improbabile che la prima casa venga pignorata in caso di debiti poco elevati.

La prima casa è pignorabile
In tanti regna la convinzione che la prima casa non sia pignorabile. Ma non è così. L’unico limite al pignoramento della prima casa è che il debito sia di natura erariale, e che dunque il soggetto creditore sia l’Agenzia delle Entrate. Negli altri casi la prima casa è sempre pignorabile: la prima casa è pignorabile in caso di debiti privati, ovvero debiti maturati nei confronti di banche, aziende o persone fisiche. Non esiste alcuna garanzia di impignorabilità della prima casa neppure se nell’abitazione ci sono minorenni o invalidi: nel caso di pignoramento della prima casa da parte di privati non esistono né limiti né tutele.
Nel caso del pignoramento della prima casa cointestata al coniuge, il pignoramento da parte del privato si effettua sull’intero immobile cointestato, non solo sulla quota che appartiene al debitore. Il comproprietario dell’immobile avrà diritto a una percentuale della somma ricavata dalla vendita della casa, equivalente al suo diritto di proprietà.

Il pignoramento da parte dell’Agenzia delle Entrate
Per quanto riguarda l’impignorabilità della prima casa, la Cassazione ha stabilito, nel 2015, la validità di alcune condizioni per il divieto di pignorabilità dell’unico immobile di proprietà del debitore attraverso il Decreto-legge n. 69/2013. Secondo questa legge, l’Agenzia delle Entrate non può pignorare la prima casa quando:
– è l’unico immobile di proprietà del debitore (il debitore non deve essere titolare, neanche per quote, di altri immobili);
– è l’immobile dove il debitore ha residenza anagrafica;
– è un immobile accatastato come abitazione civile;
– l’immobile non è qualificabile come bene di lusso (secondo le indicazioni del decreto ministeriale del 2 agosto 1969).
Nel caso in cui il debitore abbia possesso (anche solo per quote) di un secondo immobile, e questo secondo immobile non sia sufficiente a coprire il debito, il pignoramento della prima casa da parte dell’Agenzia delle Entrate può avvenire solo a condizione che:
– il debito complessivo sia pari o superiore ai 120.000 euro;
– il valore totale delle proprietà immobiliari del debitore sia pari o superiore a 120.000 euro;
– sia stata notificata al debitore la possibilità di rateizzare l’importo dovuto.
Nel caso in cui il debito sia inferiore ai 120.000 euro, ma superiore ai 20.000 euro, l’Agenzia delle Entrate non può pignorare la prima casa, ma può effettuare l’iscrizione dell’ipoteca.