Diminuisce in Italia la produzione di rifiuti, ma aumenta la tassa. Secondo il più recente rapporto Ispra-Utilitalia, nel 2022 l’immondizia conferita dai cittadini è calata dell’1,8% rispetto all’anno prima, mentre la raccolta differenziata nazionale ha superato il 65%.
Contemporaneamente però, secondo uno studio Uil di oggi, la spesa media destinata alla tassa sui rifiuti (Tari) per le famiglie italiane ha subito un notevole incremento dal 2018 al 2023, pari al 9,69%. E solo per il 2023, l’aumento è stato dell’1,66% rispetto al 2022.
In particolare, tra il 2022 e il 2023, ben 51 città capoluogo di provincia su 109 hanno registrato una crescita della tassa. In termini assoluti, una famiglia di quattro persone residente in un’abitazione di 80 metri quadri e con reddito Isee pari a 25mila euro, ha pagato, in media, 331 euro per la tassa sui rifiuti nel 2023, rispetto ai 302 euro versati nel 2018.
Questo aumento è stato più evidente nelle regioni meridionali, dove la spesa media è salita a 395 euro, rispetto ai 363 euro del 2018. Nel Nord Est, invece, l’importo medio è passato da 248 euro nel 2018 a 272 euro nel 2023, sottolinea lo studio del Servizio Fisco e Previdenza della Uil, che ha analizzato le delibere di 109 capoluoghi di provincia.
Non è stato possibile includere le previsioni per il 2024, poiché molti Comuni non hanno ancora approvato le nuove tariffe o pubblicato i relativi provvedimenti.
Con i dati allo scorso anno Pisa detiene il primato del costo maggiore, con una media annuale di 545 euro per famiglia. Seguono Brindisi (518 euro), Genova (508), Latina e Napoli (495), Pistoia (492), Catania (475), Trapani (472), Messina (470) e Taranto (469). Invece a Belluno, nel 2023 le famiglie hanno pagato decisamente meno per la Tari, con una spesa media annua di 178 euro, confermandosi così come la città più virtuosa in assoluto. Seguono Novara con 183 euro, Pordenone con 186 e Brescia con 187. Anche Ascoli Piceno ha una spesa media di 187 euro, mentre Macerata e Trento si attestano entrambe a 189 euro, Fermo 191 euro, Mantova 192 euro e Vercelli chiude con 197 euro.
Fra le città metropolitane, a Genova ha la tassa rifiuti più alta con 508 euro all’anno a famiglia. Torino e Firenze sono a metà classifica rispettivamente con 335 e 334 euro. A Bologna la tassa rifiuti più bassa tra le città considerate, con 228 euro a famiglia.
Comprare casa è il sogno di tutte le coppie che iniziano un’avventura di vita insieme. Capita però, con sempre maggiore frequenza, che le cose non vadano per il meglio e che occorra separarsi. In caso di divorzio, che fine fanno le eventuali agevolazioni prima casa per l’acquisto dell’immobile?
Per comprenderlo analizziamo insieme due diverse situazioni: un caso pratico che ha fatto scuola nella giurisprudenza tributaria recente ed un altro caso analizzato da un documento di prassi pubblicato dall’Agenzia delle Entrate.
Innanzitutto, è bene precisare che non decade dall’agevolazione prima casa il contribuente che, dopo aver acquistato l’immobile con l’agevolazione, lo vende ad un terzo prima del decorso del termine quinquennale in ragione degli accordi stipulati in sede di separazione consensuale o di divorzio. È questo l’importante principio di diritto confermato dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza numero 7966/2019.
Agevolazioni fiscali prima casa coppia sposata: cosa succede con il divorzio?
La Commissione Regionale accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto da un contribuente avverso un avviso di liquidazione emesso per la revoca delle agevolazioni relative all’acquisto della prima casa.
Nel caso in esame il contribuente aveva ceduto l’immobile di proprietà prima dello scadere del quinquennio in ragione degli accordi stipulati in sede di separazione consensuale dal coniuge e, per questo, l’Ufficio ne revocava i benefici in termini di imposta di registro.
I giudici d’appello avevano accolto le motivazioni dell’amministrazione finanziaria evidenziando che il venir meno del beneficio non contrastava con le disposizioni con cui i coniugi erano pervenuti alla separazione.
Di diverso avviso i giudici della Corte di Cassazione, che hanno accolto il ricorso del contribuente chiudendo definitivamente il caso.
A parere dei giudici di legittimità è corretto il richiamo invocato dal contribuente all’esenzione prevista dall’articolo 19 della legge 74/1987 che esenta dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio”.
Con specifico riferimento all’agevolazione “prima casa” i giudici di Piazza Cavour hanno richiamato il principio per cui “il trasferimento dell’immobile prima del decorso del termine di cinque anni dall’acquisto, se effettuato in favore del coniuge in virtù di una modifica delle condizioni di separazione, pur non essendo riconducibile alla forza maggiore, non comporta la decadenza dai benefici fiscali, attesa la ratio dell’art. 19 della I. n. 74 del 1987, che è quella di favorire la complessiva sistemazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi in occasione della crisi, escludendo che derivino ripercussioni fiscali sfavorevoli dagli accordi intervenuti in tale sede”.
Dunque, l’esenzione prevista dalla norma ha la ratio di agevolare la sistemazione dei rapporti patrimoniali in essere tra coniugi in occasione di una separazione o di un divorzio e tale principio si applica anche nell’ipotesi in cui il trasferimento dell’immobile acquistato con le agevolazioni prima casa sia effettuato a favore di un terzo diverso dal coniuge.
Così disponendo il Legislatore ha voluto tutelare gli atti stipulati in sede di separazione – o divorzio – risiedendo la causa di tali atti “nello spirito di sistemazione, in occasione dell’evento di separazione consensuale, dei rapporti patrimoniali dei coniugi sia pure maturati nel corso della convivenza matrimoniale”
In quest’ottica, la ripresa fiscale da parte dell’Ufficio erariale si tradurrebbe di fatto in una nuova imposta su un trasferimento immobiliare avvenuto in esecuzione dell’accordo tra coniugi, in palese contrasto con l’obiettivo della richiamata disposizione di esenzione.
Da qui il rigetto delle motivazioni dell’Ufficio che, con la revoca dell’agevolazione, ha considerato la cessione a terzi dell’immobile estranea alla negoziazione globale dei rapporti coniugali conseguenti alla separazione, in netto contrasto con il principio evocato dalla Corte di legittimità.
Bonus prima casa, separazione e nuovo acquisto: solo la vendita della quota salva le agevolazioni
Il tema è molto delicato ed in questa sede appare opportuno citare anche un documento di prassi molto interessante, ovvero la risposta all’interpello numero 634/2021 dell’Agenzia delle Entrate.
Nel documento viene spiegato cosa succede se uno dei due coniugi in comunione dei beni dopo la separazione acquista un secondo immobile applicando nuovamente le imposte in misura ridotta.
Sotto la lente di ingrandimento ci sono quindi il meccanismo agevolativo del bonus prima casa che permette l’applicazione dell’imposta di registro del 2 per cento, anziché del 9 per cento, sul valore catastale dell’immobile, e delle imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di 50 euro.
In seguito alla separazione consensuale tra i coniugi, è stato stabilito che la casa familiare possa essere usata dal marito fino al 2026.
A novembre 2020 la moglie ha acquistato una nuova abitazione, adibita a residenza propria e dei propri figli, chiedendo di poter beneficiare di nuovo delle agevolazioni e, come previsto in caso di secondo acquisto, si è impegnata ad alienare la propria quota della casa ex coniugale entro il termine di un anno previsto dal comma 4-bis, della Nota II-bis, all’articolo 1, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
Tra il dire e il fare, però, c’è di mezzo il mare. Non sembra, infatti, possibile mantenere la parola data dal momento che l’ex marito non ha intenzione di acquistare la sua quota ed è improbabile immaginare una vendita a terzi di una sola parte dell’immobile.
Senza la vendita del primo immobile, però, si verifica una decadenza dai benefici con la conseguenza e la necessità di procedere con il pagamento delle imposte di registro, ipotecarie e catastali nella misura ordinaria sul secondo e della relativa sanzione.
La contribuente si rivolge all’Agenzia delle Entrate per verificare la possibilità di ricevere un particolare trattamento alla luce dei fatti: la conservazione del bonus prima casa o la non applicazione della sanzione con il pagamento della sola differenza tra misura ordinaria e misura agevolata delle imposte dovute per il secondo acquisto.
La contribuente ritiene infatti di avere la mera titolarità di una quota di un’abitazione che non può utilizzare. In altre parole, sostiene di avere un immobile non idoneo a soddisfare le esigenze abitative.
Ma per l’Agenzia delle Entrate, che si esprime sul punto con la risposta all’interpello numero 634 del 30 settembre 2021, non c’è ragione che tenga: o procede all’alienazione della sua quota o decade dall’agevolazione, non esiste una terza via.
“Considerata la titolarità in capo all’istante del diritto di proprietà di altra casa di abitazione, acquistata con le agevolazioni in esame, lo stesso dovrà procedere alla alienazione della quota in sua proprietà della casa pre-posseduta, al fine di non incorrere nella decadenza dall’agevolazione fruita per il secondo acquisto”.
La linea rigida adottata dall’Amministrazione finanziaria ha le sue basi nella normativa di riferimento, richiamata nel documento che chiarisce le regole per l’applicazione del bonus prima casa nelle ipotesi di separazione e acquisto di una nuova abitazione da parte di uno dei coniugi. A regolare l’accesso alle agevolazioni è la Nota II bis, posta in calce all’ articolo 1 della Tariffa, Parte I, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
La possibilità di versare le imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura ridotta è offerta in linea generale a chi dichiara di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni in questione.
Ma la norma prevede anche un’eccezione: chi ha già acquistato un’abitazione con il bonus prima casa, ha la possibilità di comprare un altro immobile alle stesse condizioni a patto che la casa già posseduta sia venduta entro un anno dal nuovo acquisto.
In ogni caso se non si rispetta questa regola nei tempi stabiliti, si decade dal beneficio fruito per il secondo acquisto e bisogna versare le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, insieme a una sanzione pari al 30 per cento delle stesse imposte e gli interessi.
Come sottolinea l’Agenzia delle Entrate, anche nel caso analizzato è necessario procedere con l’alienazione della quota dell’immobile acquistato beneficiando delle agevolazioni.
“Tenuto conto che le disposizioni di cui alla citata Nota II-bis hanno natura agevolativa e, quindi, non sono suscettibili di interpretazione che ne estenda la portata applicativa ad ipotesi non espressamente contemplate, non si condivide la presunta inidoneità dell’immobile in oggetto pre-posseduto a soddisfare quelle esigenze abitative, quale elemento rilevante per impedire l’applicazione della citata disposizione di legge che prevede, tra l’altro, la decadenza dal beneficio fiscale in esame”. Non è previsto alcun trattamento particolare.
https://www.informazionefiscale.it/agevolazioni-prima-casa-divorzio-separazione
Nel 2022 ho ereditato da mia madre i due sesti di un immobile, dopo averne già ereditato un sesto da mio padre nel 2003. La parte restante è pervenuta a mio fratello con le stesse modalità. L’immobile è una seconda casa ed è locato a terzi. Ora entrambi vorremmo cedere le nostre quote a una società immobiliare. Vorrei sapere se la plusvalenza generata dalla cessione, che avviene prima dei 5 anni dall’acquisizione da parte nostra, è soggetta a tassazione? Visto che per adeguare l’immobile sono state utilizzate le agevolazioni previste dal Superbonus, tale plusvalenza è soggetta ad ulteriore tassazione?
L’acquisizione dell’unità abitativa per successione ereditaria costituisce una esimente prevista dall’articolo 67, comma 1, lettera b, del Tuir (Dpr 917/1986), in funzione della quale l’eventuale plusvalenza realizzata in seguito alla vendita non è soggetta a prelievo d’imposta, neppure nell’evenienza in cui la durata del possesso sia inferiore a cinque anni.
È fissato al 31 dicembre 2025, il termine ultimo per richiedere il bonus colf e badanti.
La misura varata può contare su un budget di 10 milioni di euro per il 2024 e di 39,9 milioni per il 2025.
Il bonus garantirà un sostegno concreto al settore domestico, prevedendo un’esenzione totale sia dai versamenti contributivi INPS, sia da quelli assicurativi INAIL, fino a un massimo di 3.000 euro annui per beneficiario.
Il bonus colf e badanti 2024 rappresenta dunque una significativa opportunità per i datori di lavoro domestico, offrendo un esonero completo dal versamento dei contributi previdenziali.
Questa misura, inserita nel contesto del decreto Pnrr dell’ultimo trimestre e attuata con il supporto del programma ‘Giovani, donne e lavoro 2021-2027‘, mira a facilitare l’assistenza domestica e a migliorare le condizioni lavorative nel settore.
I requisiti per accedere al bonus sono specifici e mirano a sostenere le fasce più vulnerabili della popolazione.
I beneficiari devono essere anziani di età superiore agli 80 anni con un ISEE non superiore a 6.000 euro all’anno.
Gli altri criteri includono:
– avere un’invalidità riconosciuta dall’INPS;
– essere percettori dell’indennità di accompagnamento;
– avere un contratto di lavoro domestico regolare con la colf o la badante.
L’agevolazione è quindi indirizzata a sostenere non solo gli anziani bisognosi ma anche a incentivare la regolarizzazione e la stabilizzazione del lavoro domestico, contribuendo positivamente all’economia e al benessere sociale.
Il pagamento del canone Rai può essere evitato in alcune situazioni di cittadine e cittadini che possono beneficiare dell’esenzione.
Così come per gli anni passati, anche nel 2024 sono tenuti a pagare il canone Rai tutti coloro che possiedono in casa un televisore oppure un apparecchio che consente la ricezione dei canali televisivi.
L’importo della tassa annuale per l’abbonamento nel 2024 è di 70 euro, e anche per quest’anno sarà addebitato direttamente sulla bolletta dell’energia elettrica.
Non tutti però sono obbligati al pagamento e anche nel 2024 sono in vigore specifici esoneri, con scadenze diverse a seconda dei soggetti e della richiesta.
L’importo in bolletta scende a 70 euro
La Legge di Bilancio 2024 ha ridotto da 90 a 70 euro il costo annuale del canone. Questa riduzione rappresenta la prima fase della “riforma” del canone e delle regole di pagamento della tassa. L’Italia, infatti, su richiesta della Commissione Europea, è tenuta a revisionare le regole con l’obiettivo di rendere più trasparenti le bollette dell’energia elettrica.
L’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 1/2024 ha fatto il punto delle novità introdotte e fornito le nuove tabelle per il pagamento a rate. Per le utenze già attive l’addebito avverrà in 10 rate da 7 euro ciascuna. Per le nuove utenze le rate sono differenziate sulla base della data di attivazione.
Gli obbligati e gli esonerati
Sono tenuti a pagamento della tassa del canone Rai tutte le persone che possiedono in casa una televisione oppure un apparecchio in grado di ricevere il segnale televisivo.
Non c’è alcuna differenza se il televisore viene effettivamente utilizzato o meno. Infatti l’azienda precisa: “Trattandosi di un’imposta sulla detenzione dell’apparecchio, il canone deve essere pagato indipendentemente dall’uso del televisore o dalla scelta delle emittenti televisive”.
Gli apparecchi per cui risulta obbligatorio il pagamento della tassa sono:
– Ricevitori TV fissi;
– Ricevitori TV portatili;
– Ricevitori TV per mezzi mobili;
– Ricevitori radio fissi;
– Ricevitori radio portatili;
– Ricevitori radio per mezzi mobili;
– Terminale d’utente per telefonia mobile dotato di ricevitore-radio/TV (esempio cellulare DVB-H);
– Riproduttore multimediale dotato di ricevitore radio/TV (per esempio, lettore mp3 con radio FM integrata)
– Videoregistratore dotato di sintonizzatore TV;
– Chiavetta USB dotata di sintonizzatore radio/TV;
– Scheda per computer dotata di sintonizzatore radio/TV;
– Decoder per la TV digitale terrestre;
– Ricevitore radio/TV satellitare;
– Riproduttore multimediale, dotato di ricevitore radio/TV, senza trasduttori (per esempio, Media Center dotato di sintonizzatore radio/TV).
Gli apparecchi esenti sono invece:
– PC senza sintonizzatore TV,
– monitor per computer,
– casse acustiche,
– videocitofoni.
Viene esentato dal pagamento chi dichiara di non avere alcun televisore in casa: non deve avere apparecchi in nessuna delle abitazioni ad uso domestico residenziale in cui è attiva un’utenza elettrica a suo nome.
Le altre categorie per cui si applica l’agevolazione sono:
– gli anziani con più di 75 anni con un reddito inferiore a 8.000 euro;
– i militari delle Forze Armate Italiane: ospedali militari, Case del soldato e Sale convegno dei militari delle Forze armate. Attenzione però: se un membro delle Forze Armate si trova in un appartamento privato situato all’interno di una struttura militare non è esonerato dal pagamento del canone;
– i militari di cittadinanza straniera appartenenti alle Forze Nato;
– gli agenti diplomatici e consolari: solo per quei Paesi per cui è previsto lo stesso trattamento per i diplomatici italiani;
– i rivenditori e negozi in cui vengono riparate TV.
Esenzione anziani over 75 anni
L’esenzione dal canone Rai 2024 per gli anziani si applica a tutti i contribuenti in possesso di specifici requisiti, senza novità rispetto agli anni passati:
– almeno 75 anni d’età;
– reddito non superiore a 8.000 euro.
Ai fini dell’esenzione dal canone Rai 2024, il limite di reddito va considerato calcolando sia le somme percepite dal soggetto richiedente sia dal coniuge.
Inoltre, questa si applica solamente nel caso in cui l’anziano non conviva con altri soggetti titolari di reddito proprio, oltre al coniuge. Sono esclusi dal requisito gli anziani che hanno assunto collaboratori domestici, colf o badanti.
Per poter beneficiare dell’esonero dal pagamento del canone Rai 2024 in bolletta, gli interessati devono presentare la domanda tenendo conto della data di compimento dei 75 anni. I richiedenti che intendono presentare la domanda per l’esonero annuale, infatti, devono aver compiuto i 75 anni d’età entro il 31 gennaio 2024.
Nel caso in cui il requisito d’età dovesse essere raggiunto entro il 31 luglio 2024, invece, l’esonero spetterà solo per il secondo semestre. Chi compie i 75 anni dopo questa data potrà richiedere l’esonero dal 2025.
Chi ha già inviato la domanda l’anno scorso non dovrà inviarla di nuovo.
Disdetta per chi non ha TV in casa
Chi non ha una televisione in casa e, quindi, non usufruisce del servizio può essere esonerato dal pagamento del canone Rai 2024.
Il possesso di una TV è assunto per tutti gli intestatari di utenza ad uso domestico residenziale, è però possibile presentare la richiesta per la disdetta.
Anche in questo caso sarà necessario presentare la domanda all’Agenzia delle Entrate.
Pertanto, possono disdire l’abbonamento alla televisione ed evitare di pagare il canone Rai tutti i contribuenti che non possiedono apparecchio televisivi in casa anche se sono intestatari di utenze di energia elettrica per uso domestico residenziale.
Chi ha intenzione di cancellare l’abbonamento alla televisione e smettere di pagare il canone Rai nel 2024 perché non ha una TV in casa, dovrà presentare l’apposito modulo di domanda entro specifiche scadenze.
Per beneficiare dell’esonero per tutto l’anno, la richiesta va presentata entro il 31 gennaio dell’anno di riferimento, quindi in questo caso del 2024.
Nel caso in cui si saltasse la scadenza, sarà comunque possibile usufruire dell’esonero, ma solamente per il secondo semestre dell’anno. In questo caso la domanda va inviata entro il 30 giugno 2024. La domanda inviata oltre tale data darà diritto all’esonero per il 2025.
La domanda di esonero dal pagamento in bolletta del canone Rai 2024 deve essere presentata direttamente dal soggetto a cui è intestata l’utenza elettrica.
Esenzione canone Rai 2024 e nuova utenza
Chi dovesse attivare una nuova utenza elettrica durante l’anno senza possedere anche un apparecchio per la ricezione del segnale televisivo potrà comunque presentare la domanda di esonero dal pagamento del canone Rai 2024.
Potrà farlo entro la fine del mese successivo a quello di attivazione della fornitura. Così facendo il canone Rai non sarà addebitato in bolletta.
In caso contrario sarà possibile presentare domanda di rimborso.
Esenzione per la seconda casa
Il canone Rai 2024 non deve essere pagato sulla seconda casa. Il pagamento, infatti, va effettuato una sola volta per ogni nucleo familiare in cui è presente una fornitura elettrica.
L’esonero dal versamento dei 70 euro di canone si applica, quindi, anche nel caso in cui nella stessa famiglia due soggetti fossero titolari di due bollette. Per disdire l’abbonamento, anche in questo caso, bisogna presentare il modello di domanda secondo le modalità ordinarie.
Per ulteriori dettagli, si consiglia di seguire le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate.
Informazione Fiscale
Il legislatore ritiene che tra le spese che possono beneficiare di agevolazioni fiscali ci siano quelle per l’affitto di un immobile adibito ad abitazione principale.
Sono gli inquilini che stipulano contratti di locazione di immobili adibiti ad abitazione principale a poter usufruire del rimborso Irpef.
Pertanto nel Modello 730/2024 è possibile portare in detrazione le spese sostenute durante il 2023 per il canone di locazione.
La detrazione viene riconosciuta e graduata in relazione all’ammontare del reddito complessivo.
La scadenza entro la quale inviare il modello 730/2024 è il 30 settembre. Dal 30 aprile 2024 è però già disponibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate la dichiarazione precompilata.
Il canone di locazione può essere portato in detrazione anche con il modello Redditi Persone Fisiche, che per il 2024 deve anch’esso essere presentato con scadenza 30 settembre.
I contratti di locazione per cui è possibile ottenere un rimborso Irpef delle spese effettuate sono i seguenti:
– Detrazione per gli inquilini di alloggi adibiti ad abitazione principale;
– Detrazione per gli inquilini di alloggi adibiti ad abitazione principale locati con contratti in regime convenzionale (cedolare secca);
– Detrazioni per contratti stipulati da giovani di età compresa tra i 20 e i 31 anni non compiuti;
– Lavoratori dipendenti che trasferiscono la residenza per motivi di lavoro.
L’esenzione dall’Imposta municipale unica (Imu) si applica agli immobili di enti pubblici o privati, che non abbiano come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali e solamente qualora negli stessi venga svolta esclusivamente attività di assistenza sociale o altra attività a questa equiparata dal legislatore (articolo 7, comma 1, lettera i), del Dlgs n. 504/1992.
È quanto ha stabilito, accogliendo le tesi dell’Amministrazione finanziaria, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, con la sentenza n. 5782/2023.
Facendo applicazione di tale principio, i giudici di merito partenopei hanno respinto un appello proposto dall’Istituto autonomo per le case popolari della provincia di Caserta, non riconoscendo il diritto all’esenzione dall’Imu, per gli alloggi concessi in locazione da parte dello Iacp, in considerazione del carattere economico dell’attività di locazione commerciale che è da riconoscere ai medesimi immobili, pur se connotata anche dalla funzione assistenziale degli stessi.
Il caso, il primo ricorso e l’appello
Con apposito avviso di accertamento, un Comune della provincia casertana richiedeva, all’ Istituto autonomo per le case popolari della provincia di Caserta, il pagamento dell’Imu non versata per gli alloggi di proprietà gestiti dall’Istituto stesso e dati in affitto, dietro corrispettivo, ai cittadini rientranti in un’apposita graduatoria.
Avverso l’atto impositivo, lo Iacp ricorreva dinanzi la Commissione tributaria di primo grado di Caserta, evidenziando l’illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato, per la violazione della normativa in tema di esenzione Imu per gli immobili dello Iacp, in quanto da reputarsi come abitazioni principali e relative pertinenze non di lusso con caratteristiche di “alloggi sociali” come definiti dal decreto ministeriale del 22 aprile 2008.
Chiamati a pronunciarsi sulla questione, i giudici tributari di primo grado respingevano il ricorso dello Iacp e confermavano la legittimità dell’avviso di accertamento emesso dall’Amministrazione finanziaria. In particolare, i magistrati casertani hanno chiarito come l’esenzione non poteva essere riconosciuta allo Iacp, in quanto gli immobili da questo gestiti non potevano equipararsi a quelli aventi caratteristiche di “alloggi sociali” e ciò anche in considerazione del fatto che il legislatore aveva volutamente disciplinato diversamente le due fattispecie. Inoltre, sostenevano i giudici di primo grado, essendo già normativamente prevista una detrazione di 200 euro sull’aliquota ordinaria, deve ritenersi che il legislatore abbia inteso prevedere una imposizione specifica per gli immobili Iacp, indipendentemente dal fatto che possano o meno essere qualificati come “alloggi sociali”.
Avverso tale decisione, l’Istituto decideva di proporre appello dinanzi la competente Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, anche in considerazione del fatto che, nel frattempo, la Corte di cassazione, con sentenza n. 23680/2020, aveva espressamente riconosciuto e definito gli immobili detenuti dallo Iacp della provincia di Caserta quali alloggi sociali.
La decisione dei giudici tributari di appello
Con la sentenza n. 5782 del 20 ottobre 2023, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, definitivamente pronunciandosi nel merito della questione, ha respinto l’appello dello Iacp, confermando la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato.
Innanzitutto, i giudici napoletani hanno chiarito come l’invocata sentenza (Cassazione n. 23680/2020), pur pronunciata tra le medesime parti e sul medesimo tributo, non possa trovare applicazione nel caso in questione. La pronuncia dei giudici romani, infatti, nell’affermare testualmente, che “l’esenzione dalla imposta municipale propria per i fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali, non è subordinata all’onere della presentazione della dichiarazione, attestante il possesso dei requisiti e contenente gli identificativi catastali degli immobili, prevista dall’art. 2, comma 5-bis, del decreto legge 31 agosto 2013, n. 102, convertito con modificazioni dalla l. 28 ottobre 2013, n. 124”, altro non fa che sancire solo la differenza ontologica tra beneficio alla detrazione e beneficio all’esenzione totale dal pagamento, per cui solo nel primo caso è previsto dalla legge che venga presentata apposita dichiarazione.
Tale decisione dei giudici di piazza Cavour non può, quindi, essere ritenuta risolutiva della questione sottoposta al vaglio dei giudici tributari campani.
Sono, invece, altre, hanno sottolineato i magistrati di merito, le pronunce della suprema Corte alle quali bisogna fare riferimento per decidere sull’appello proposto dallo Iacp. In particolare, le decisioni nn. 19875/2021 e 20135/2019, con le quali è stato precisato, che l’esenzione dal pagamento dell’imposta prevista dall’articolo 7, lettera i), del Dlgs n. 504/1992, richiamato dagli articoli 13 del Dl n. 201/2011 e 9 del Dlgs n. 23/2011, per quanto concerne gli immobili gestiti dagli Iacp, “opera alla duplice condizione dell’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore e dell’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito, escludendo che il beneficio possa spettare in caso di utilizzazione indiretta, pur se assistita da finalità di pubblico interesse”.
Dunque, hanno affermato i giudici campani, affinché gli immobili degli Iacp possano fruire dell’esenzione dal pagamento dell’Imu occorre che vi sia la compresenza di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività a queste equiparate, e di un requisito soggettivo costituito, a sua volta, dallo svolgimento di tali attività da parte di un ente pubblico o privato, che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali.
E di questi requisiti, hanno proseguito i giudici di secondo grado, sicuramente sono sprovvisti gli immobili concessi in locazione a terzi, i cui canoni di affitto, seppur calmierati e inferiori a quelli di mercato, sono volti a remunerare il capitale investito, rendendo evidente il carattere economico dell’attività svolta.
Non sono, infatti, assimilabili, hanno precisato ulteriormente i giudici tributari, i corrispettivi tenui o modesti (quali quelli da riconoscersi ai canoni di locazione degli immobili gestiti dallo Iacp) con la diversa fattispecie del corrispettivo meramente simbolico, unica tipologia in grado di escludere completamente il rapporto sinallagmatico sussistente, invece, nel caso di corrispettivi modesti o calmierati.
Tanto premesso, definitivamente pronunciandosi nel merito, i magistrati tributari campani hanno affermato che allo Iacp non compete l’esenzione dall’Imu sugli immobili concessi in locazione abitativa, in quanto l’attività di carattere sociale svolta per legge dallo stesso Istituto non vale a escludere che quella svolta nel concedere in locazione le unità abitative a sua disposizione, sia pure a un canone locativo moderato o convenzionato, in quanto parametrato alla situazione economica dell’assegnatario, sia una vera e propria attività di mercato di carattere economico.
A cura di Fisco Oggi
L’Agenzia delle Entrate ha approfondito la questione legata al bonus sicurezza (o bonus videosorveglianza), attraverso un quesito posto da una contribuente su “La Posta di FiscoOggi”.
Nel caso di specie, una contribuente si è rivolta al Fisco spiegando che per motivi di sicurezza personale ha intenzione di installare nella propria abitazione una fotocamera con collegamento a un centro di vigilanza privato. A tal proposito, la contribuente ha chiesto se attraverso il pagamento con bonifico parlante è possibile detrarre le spese per l’installazione e per la vigilanza.
In risposta, l’Agenzia delle Entrate ha spiegato che l’installazione di fotocamere o cineprese collegate con centri di vigilanza privati rientra tra gli interventi che danno diritto alla detrazione Irpef del 50% delle spese per il recupero del patrimonio edilizio e, in particolare, tra i lavori finalizzati alla prevenzione del rischio del compimento di atti illeciti da parte di terzi.
Tale detrazione, cosiddetta anche bonus sicurezza o bonus videosorveglianza, fa quindi parte del bonus ristrutturazione e consente una detrazione del 50% sui lavori di:
• rafforzamento, sostituzione o installazione di cancellate o recinzioni murarie degli edifici;
• apposizione di grate sulle finestre o loro sostituzione;
• porte blindate o rinforzate;
• apposizione o sostituzione di serrature, lucchetti, catenacci, spioncini;
• installazione di rilevatori di apertura e di effrazione sui serramenti;
• apposizione di saracinesche;
• tapparelle metalliche con bloccaggi;
• vetri antisfondamento;
• casseforti a muro;
• fotocamere o cineprese collegate con centri di vigilanza privati;
• apparecchi rilevatori di prevenzione antifurto e relative centraline.
L’Agenzia delle Entrate ha chiarito, quindi, che il bonus videosorveglianza è applicabile solo per le spese sostenute per realizzare interventi sugli immobili, pertanto non è possibile portare in detrazione anche gli importi pagati all’istituto di vigilanza.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI