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Il mistero dell’uso esclusivo su parti comuni. Un commento dell’Avv. Andrea Marostica sulla recente sentenza delle Sezioni Unite.

Avv. Andrea Marosticawww.avvocatoandreamarostica.it

I fatti di causa e i gradi di merito.

I comproprietari in regime di comunione di un edificio procedevano nel 1980 allo scioglimento della comunione medesima sull’immobile; sorgeva così ipso iure et facto la situazione di condominio. A seguito della divisione, uno dei comproprietari diveniva proprietario esclusivo di un negozio posto al piano terra con l’uso esclusivo della porzione di corte antistante. Nel 1983 questi procedeva all’alienazione ad altro soggetto del negozio unitamente all’uso esclusivo dell’area cortilizia.

I proprietari esclusivi delle altre unità immobiliari situate nel condominio convenivano in giudizio il nuovo proprietario del negozio, chiedendo al giudice di accertare, oltre al resto, che tale soggetto si era appropriato della porzione di corte antistante il detto negozio senza che ciò fosse giustificato da un titolo valido. Il Tribunale rigettava la domanda. Gli attori proponevano dunque appello, gravame che veniva però respinto dalla Corte territoriale.

Il ricorso per cassazione e l’assegnazione alle Sezioni Unite.

Gli altri proprietari proponevano dunque ricorso per cassazione. A motivo del ricorso osservavano, oltre al resto, che la Corte d’appello aveva errato nell’escludere che con l’atto di divisione del 1980 i comproprietari avessero costituito in favore del proprietario esclusivo del negozio un diritto reale di uso dell’antistante porzione cortilizia; venuto ad esistenza il condominio con l’atto di divisione, infatti, l’intera corte circostante il fabbricato aveva acquisito la natura di parte comune, con attribuzione al proprietario del negozio di un diritto reale di uso della porzione antistante il negozio medesimo; ma, non essendo stata pattuita l’alienabilità di questo diritto d’uso, la cessione di esso nel 1983 ad altro soggetto doveva reputarsi nulla, in forza del disposto dell’art. 1024 c.c..

La Seconda Sezione della Corte di Cassazione disponeva la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, vertendo la lite su una questione di particolare importanza: la natura dell’uso esclusivo in ambito condominiale.

La controversa nozione di uso esclusivo di parti comuni.

Prima di addentrarsi nella questione evidenziata, occorre individuare con precisione la fattispecie in esame. Con l’espressione “uso esclusivo di parti comuni” si fa riferimento alla situazione giuridica nella quale l’uso di una parte di proprietà comune a tutti i condomini viene attribuito in via esclusiva ad uno solo dei condomini. Si osservi fin da ora che in questo modo si realizza uno scollamento tra la titolarità del diritto e la possibilità di fruire del contenuto di tale diritto: infatti, il diritto di proprietà spetta a tutti i condomini, ma l’uso, ovvero il servirsi della cosa al fine di trarne le utilità che questa è in grado di offrire, spetta ad uno soltanto.

La clausola con la quale viene attribuito ad un singolo condomino l’uso esclusivo di una parte comune nasce nella prassi negoziale, riverberando solo in seguito il proprio eco nella giurisprudenza. Nel mondo giuridico, ogni qualvolta la mutevole realtà fattuale proponga una fattispecie inedita all’attenzione del giurista, la prima preoccupazione di questi è la sua corretta qualificazione giuridica; preoccupazione alla quale egli cerca rimedio vedendo se, tra le mises di cui dispone (le fattispecie legali astratte dell’ordinamento), gli riesce di trovarne una che calzi al nuovo venuto, a volte a costo di stiracchiarla un pò. Nel caso dell’uso esclusivo di parti comuni, immediatamente all’interprete viene alla mente il diritto reale di uso, disciplinato dagli artt. 1021 e ss. c.c..

Tuttavia, nonostante la diffusione del fenomeno, non risulta che, prima di Cass. civ., 16 ottobre 2017, n. 24301, la giurisprudenza abbia mai chiaramente preso posizione sul fondamento della configurabilità di un c.d. diritto reale di uso esclusivo di una parte comune e sulla sua natura. Come ricordato dalle Sezioni Unite che qui si annotano, sono molti i dubbi che questa nozione solleva: l’attribuzione ad un condomino di un diritto di uso esclusivo si risolve forse nell’attribuzione a lui della proprietà solitaria sulla porzione? Può, e se sì come, il diritto di uso esclusivo di una parte comune armonizzarsi con la regola basilare dettata dall’art. 1102 c.c. (applicabile al condominio in forza del rinvio dell’art. 1139 c.c.), secondo cui ciascun condomino può servirsi della cosa comune? Tale diritto di uso esclusivo ha natura di diritto reale atipico?

Il novum di Cass. civ., 16 ottobre 2017, n. 24301.

Cass. civ., 16 ottobre 2017, n. 24301 ha ritenuto che l’uso esclusivo di parti comuni non rientri nell’alveo del diritto reale d’uso, bensì consista in una deroga alla regola del pari uso della cosa comune da parte di tutti i condomini di cui all’art. 1102 c.c..

Se, infatti, l’art. 1117 c.c. consente che, al momento di costituzione del condominio, alcune delle parti altrimenti comuni possano essere sottratte alla presunzione di comunione per essere attribuite in proprietà esclusiva ad alcuno dei condomini, allora a fortiori è possibile, nella medesima sede costitutiva del condominio, che le parti convengano l’uso esclusivo di una parte comune in favore di uno o più condomini; la parte conserva la sua natura comune, giacché l’attribuzione dell’uso esclusivo costituisce soltanto deroga da parte dell’autonomia privata al disposto dell’art. 1102 c.c., che consente ai partecipanti di fare uso della cosa comune secondo il loro diritto.

Da questa ricostruzione vengono poi tratte ulteriori conseguenze. Anzitutto (il che è particolarmente rilevante in ambito notarile) l’uso esclusivo di parti comuni, non essendo un diritto reale d’uso non non mutua i limiti di durata, trasferibilità e modalità di estinzione di quello, pertanto è trasferibile unitamente all’unità immobiliare alla quale accede. Inoltre, l’uso esclusivo di parti comuni così ricostruito non contrasta con il numero chiuso dei diritti reali e con il divieto per l’autonomia privata di crearne di nuovi.

La posizione di Cass. civ. Sez. Unite, 17 dicembre 2020, n. 28972.

La Corte di Cassazione nella sua composizione più autorevole rilegge in chiave critica il precedente del 2017 appena ricordato, muovendo dall’osservazione che l’uso, quale sintesi di facoltà e poteri, costituisce parte essenziale del contenuto intrinseco, caratterizzante, del diritto di comproprietà, è cioè nucleo essenziale del suo contenuto. L’art. 1102 c.c. ne ribadisce ulteriormente il carattere pregnante, laddove istituisce l’obbligo del partecipante di non impedire agli altri “di farne parimenti uso secondo il loro diritto“.

Certo, l’uso della cosa comune può assumere caratteri differenziati rispetto alla regola della indistinta paritarietà (si pensi all’uso frazionato ed all’uso turnario), ma mai la differenziazione dell’uso della cosa comune può arrivare a svuotare il diritto di alcuni condomini del proprio contenuto in termini di facoltà di godimento, sì da ridurlo a vano simulacro.

Le Sezioni Unite escludono fermamente che la creazione di un atipico diritto reale di uso esclusivo, tale da svuotare di contenuto il diritto di comproprietà, possa essere il prodotto dell’autonomia negoziale. Vi sono di ostacolo i principi del numerus clausus dei diritti reali e della tipicità di essi: in forza del primo solo la legge può istituire figure di diritti reali; per effetto del secondo i privati non possono incidere sul contenuto, snaturandolo, dei diritti reali che la legge ha istituito. È pur vero, ricorda la Pronuncia in commento, che parte (minoritaria) della dottrina afferma che i principi anzidetti sono dogmi da considerare ormai vanificati sotto la pressione delle nuove esigenze del traffico giuridico, le quali imporrebbero una sorta di pari dignità dei diritti reali e dei diritti di credito. Ma la Suprema Corte, reggendo saldamente i principi generali, evidenzia la fallacia dell’idea di diritti reali creati per contratto, sulla base della considerazione che il sistema, dopo aver minuziosamente tipizzato e regolato gli iura in re aliena, pone al centro della disciplina del contratto l’art. 1372 c.c., che limita gli effetti di esso alle parti, con la precisazione che solo la legge può contemplare la produzione di effetti rispetto ai terzi: escludendo così in radice che il contratto, se non sia la legge a stabilirlo, possa produrre effetti destinati a riflettersi nella sfera di soggetti estranei alla negoziazione, ciò che invece si verificherebbe se i privati potessero negozialmente dare vita a diritti caratterizzati dai connotati della realità.

Viene così rimarcata la differenza, dal punto di vista sostanziale e contenutistico, tra il diritto reale d’uso e un diritto personale di godimento, che va colta proprio nella ampiezza ed illimitatezza del primo, conformemente ai caratteri generali del diritti reali, rispetto alla multiforme atteggiabilità del secondo, che proprio in ragione della natura obbligatoria e non reale del rapporto giuridico prodotto può essere diversamente regolato dalle parti nei suoi aspetti di sostanza e di contenuto.

L’uso esclusivo di parti comuni: quid juris?

Le Sezioni Unite affermano dunque il principio di diritto secondo il quale “la pattuizione avente ad oggetto la creazione del c.d. “diritto reale di uso esclusivo” su una porzione di cortile condominiale, costituente come tale parte comune dell’edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, tale da incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall’art. 1102 c.c., è preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicità di essi“.

Esclusa la validità della costituzione di un diritto reale di uso esclusivo di una parte comune dell’edificio, in ambito condominiale, sorge il problema della sorte del titolo negoziale che, invece, tale costituzione abbia contemplato.

Una possibilità è che il c.d. diritto di uso esclusivo sia in realtà diritto di proprietà esclusiva. Vero è che i criteri di ermeneutica impongono di fare riferimento anzitutto al senso letterale delle parole, senso che, nel caso dell’impiego della formula “diritto di uso esclusivo”, depone senz’altro contro l’interpretazione dell’atto come diretto al trasferimento della proprietà; ma è anche vero che il dato letterale, pur di fondamentale rilievo, non è mai, da solo, decisivo.

Un’altra possibilità è che il c.d. diritto di uso esclusivo, sussistendone i presupposti normativamente previsti, sia in realtà da ricondurre nel diritto reale d’uso di cui all’art. 1021 c.c..

Avv. Andrea Marosticawww.avvocatoandreamarostica.it

Tecnologia 5G, i risvolti in campo condominiale. Intervista all’Avv. Michele Zuppardi

Telefonia cellulare, tecnologia mobile di quinta generazione e internet delle cose. E’ questo il nuovo mondo “wireless” che si sta affacciando  sulle nostre città, meglio conosciuto come 5G e ancora non proprio digerito – né davvero compreso – da una utenza rimasta troppo “potenziale” e oltremodo timorosa perchè spaventata dalle mille tesi e congetture che invadono stampa, social e salotti mondani.

Chi pensava che in tempo di Covid-19 e smart-working si sarebbe registrata una spinta decisiva verso l’accoglimento di questa nuova frontiera è rimasto deluso, tant’è che da più parti – mentre persistono atteggiamenti dubbiosi su una connettività spesso giudicata “estrema” – si è sottolineato, dati alla mano, che l’Italia è rimasta ferma al terz’ultimo posto nella graduatoria dei paesi europei.

Come stanno veramente le cose? E perchè tanta preoccupazione? La redazione di Italia Casa ha intervistato sull’argomento l’avvocato Michele Zuppardi, giornalista, articolista giuridico e attento studioso di una materia che nel breve periodo coinvolgerà un numero impressionante di edifici con inevitabili risvolti anche in campo condominiale.

Avvocato Zuppardi, ma c’e’ proprio bisogno del 5G per rimanere al passo con l’innovazione tecnologica?

Molti credono erroneamente, purtroppo, che l’obiettivo principale degli operatori del settore sia quello di migliorare le performances delle nostre chiacchierate sui telefoni cellulari, senza aver compreso – invece – che da tempo è in atto una nuova era degli strumenti wireless finalizzata ad apportare un determinante salto di qualità sulla loro capacità di collegarsi attraverso l’utilizzo di onde millimetriche di alta frequenza.

Ci spieghi meglio

Tecnicamente parlando, si tratta di riconvertire la diffusione dei più conosciuti ripetitori giganti che assicurano la tenuta delle macrocelle anche per diversi chilometri, favorendo l’installazione di antenne più piccole – ma molto ravvicinate – al fine di collegare tra loro le cosiddette small cells, mini aree ricomprese fra una decina e qualche centinaio di metri, rispettivamente catalogate in celle indoor e outdoor.

Un’antenna per ogni edificio, dunque…

Praticamente si, e ciò in quanto il 5G utilizza onde elettromagnetiche che hanno una frequenza talmente elevata da non riuscire ad oltrepassare i muri degli edifici e dunque – a maggior ragione –  i tanti ostacoli presenti nelle città, tenuto conto – per rendere meglio l’idea –  che persino la pioggia e le foglie sono capaci di assorbirle impedendone la “resa” necessaria al funzionamento dell’ ”internet delle cose”.

E se le assemblee condominiali decidessero di opporsi?

Credo che il problema non avrà motivo di esistere, visto che sin dalla costituzione del  comitato Alleanza italiana Stop 5G, nato per richiedere la moratoria della sperimentazione del nuovo standard di telecomunicazioni, sono state numerose le ordinanze dei Sindaci dirette a impedire l’evoluzione del relativo programma di diffusione ed oggi è intervenuta addirittura una legge che blocca – di fatto – tali iniziative dei Comuni.

Si riferisce al famoso decreto semplificazioni, vero?

Si, la norma è quella, e prevede che gli Enti civici possono senz’altro adottare regolamenti per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, ma il tutto escludendo la possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione di reti di qualsiasi tipo in aree generalizzate del territorio.

Ma Lei, avvocato, che idea si è fatto sulla pericolosità del 5G?

Mi limito, per ora, a ricordare la posizione del professore Alessandro Polichetti dell’Istituto Superiore di Sanità, il quale afferma che la proliferazione delle antenne “non dovrebbe comportare aumenti generalizzati delle esposizioni in quanto le ridotte dimensioni delle small cells comporteranno delle potenze di emissione più basse”, fermo restando che “gli studi epidemiologici e sperimentali non suggeriscono l’esistenza di rischi a lungo termine”.

Cosa immaginare, allora, per il prossimo futuro?

I colossi Huawei ed  Ernest & Young ritengono che nei prossimi tre lustri questo delicato e ancora incompreso settore potrebbe apportare al Pil italiano un impatto più che positivo, quantificato in circa ottanta miliardi di euro, su cui pende però la scure dei ritardi e con essa il rischio di forte depauperamento delle ghiotte potenzialità dell’affare. La questione è dunque di non poca importanza, e ritengo possa senz’altro meritare l’approfondimento che avrò il piacere di firmare per la rivista cartacea Italia Casa in uscita nel prossimo mese di febbraio 2021, alla cui condivisione invito sin d’ora tutti i nostri lettori.

 

Avv. Michele Zuppardi avvocato civilista cassazionista, giornalista pubblicista e formatore di lungo corso, ha fondato l’omonimo studio legale agli inizi degli anni 90 nella città di Taranto, dove vive e lavora. Collaboratore di numerose testate giornalistiche a diffusione locale e nazionale, negli ultimi anni si è particolarmente dedicato all’approfondimento di temi giuridici condominiali . E’ approdato in qualità di coordinatore editoriale alla casa editrice specializzata di settore “LibriCondominio.it”. Ideatore e coordinatore della collana editoriale “Litigare, ma non troppo”, edita da Libricondominio.

 

 

Utenze domestiche e conti correnti in rosso. Dal 1° gennaio più facile diventare “cattivi pagatori”

L’anno nuovo parte con una sgradita sorpresa per le famiglie e le imprese: cambiano le regole per la gestione dei conti ‘in rosso’: gli addebiti automatici non saranno più consentiti, infatti, se i clienti non avranno sufficienti disponibilità liquide sui loro depositi bancari. C’è il rischio, pertanto, di un improvviso stop ai pagamenti di utenze, stipendi, contributi previdenziali, rate di finanziamenti.

Con l’entrata in vigore delle nuove norme dettate dall’autorità bancaria europea, l’istituto di credito, dopo tre mesi di mancati pagamenti da soli 100 euro, deve segnalare il cliente alla centrale rischi e di classificare tutta la sua esposizione come “crediti malati”.

Dal primo gennaio chi ha il conto corrente “scoperto” corre il rischio di risultare immediatamente “moroso” nei confronti di vari soggetti, tra cui aziende che forniscono energia elettrica, gas, acqua, telefono.

Le banche potranno sospendere automaticamente i Rid, ossia lo strumento che ci permette di addebitare sul conto corrente le utenze.

Il nuovo sistema potrebbe mettere a rischio il conto corrente delle imprese e delle famiglie, che potrebbero esporre le famiglie al rischio di risultare inadempienti a causa della crisi innescata dal coronavirus. Poca flessibilità, dunque, nei pagamenti che sino ad oggi hanno permesso alle famiglie di dilazionare i pagamenti di utenze o altri adempimenti, come possono essere gli stipendi e i contributi previdenziali.

Secondo il vicepresidente di Unimpresa, Salvo Politino, con queste nuove regole  “c’è il rischio di una fortissima stretta al credito, conseguenza inevitabile delle segnalazioni alla centrale rischi e della riclassificazione degli affidamenti della clientela in caso di piccoli arretrati“.

Insomma, una vera e propria mazzata sui conti correnti dei piccoli risparmiatori: chi risulterà moroso, non avrà vita facile.

Una norma quella dell’Eba che appare iniqua e lesiva dei diritti dei consumatori, specie in questo momento in cui milioni di famiglie versano in difficoltà economiche, e basta una spesa imprevista per portare a sconfinamenti sul conto – afferma il presidente di Consumerismo, Luigi Gabriele15 milioni di famiglie sono a tutti gli effetti a rischio insolvenza a causa di queste nuove regole, e migliaia di imprese rischiano il default. Per tale motivo rivolgiamo un appello al Governo, affinché intervenga per sanare questo squilibrio e impedire che utenti e imprese diventino cattivi pagatori anche per pochi euro di scoperto”.

Decreto Milleproroghe. La nuova proroga del blocco degli sfratti, non convince tutti.

Giorni molto convulsi, quelli appena passati, tra approvazione della legge di Bilancio e “Mes sanitario”, il Parlamento tratta il destino delle future generazioni. In questo contesto  il Consiglio dei Ministri nella seduta n. 86 del 23 dicembre 2020, su proposta del Presidente Giuseppe Conte, ha approvato un decreto-legge recante disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi (decreto-legge cosiddetto “milleproroghe”.)

Il decreto Mille proroghe prevede una nuova proroga del blocco degli sfratti. La norma individua la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili anche ad uso non abitativo fino al 30 giugno 2021 ma, si legge nel testo,  «limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti di rilascio conseguenti all’adozione del decreto di trasferimento di immobili pignorati ed abitati dal debitore e dai suoi familiari».

Questo è quanto riportato nella bozza del decreto Milleproroghe esaminata in Consiglio dei Ministri che, con questa norma, se pur nella versione provvisoria, ha deciso di fermare le procedure esecutive per morosità, sia di affitti abitativi sia commerciali, sia quelle per pignoramento.

La posizione di Confedilizia.

La scelta avanzata  vede in totale disaccordo il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, che ha etichettato  il provvedimento come “un atto irresponsabile”. In un suo comunicato precisa: “l’ultima bozza del decreto Milleproroghe contiene il prolungamento sino al 30 giugno 2021 del blocco degli sfratti per morosità, in atto già da quasi un anno Si tratta di una decisione da irresponsabili, che si deve anche a sindacati degli inquilini interessati all’ideologia anziché alla salvaguardia dell’affitto”.

Secondo il presidente di Confedilizia, con questa decisione, si corre il rischio di consolidare ulteriormente delle situazioni di conclamata illegalità già esistenti. “In sostanza, si fa carta straccia delle decisioni dei giudici che hanno stabilito – spesso dopo anni e anni di contenzioso – di restituire ai proprietari i loro immobili e si legittimano situazioni di illegalità consolidate”.

A farne le spese sono solo i proprietari degli immobili, a cui è stato comunque richiesto il pagamento delle tasse sulla casa. “Il tutto, senza alcun risarcimento per le vittime di questa vera e propria requisizione (ma per monopattini et similia i soldi si trovano) e dopo aver chiesto loro persino di pagare l’Imu”.

Le associazioni degli inquilini

Di tutt’altro avviso sono le associazioni degli inquilini: SUNIA, SICET, UNIAT ed Unione Inquilini  che salutano positivamente “la proroga prevista nella bozza del DL Milleproroghe, facendo leva sulla grave crisi sanitaria, economica e sociale in cui non  bisogna esasperare i conflitti”. In un comunicato congiunto inoltre precisano che “è ideologica la ricerca del conflitto, non certo la presa d’atto che nella tragedia il paese vive. Occorre uno sforzo per attenuare e non accendere ulteriormente il disagio e la tensione sociale. Nessuno ha vinto, ma con la ripresa degli sfratti avrebbero perso ragionevolezza e buon senso”.

Le precisazioni di Solo Affitti sul Decreto Ristori

In questo contesto di opinioni contrapposte, ci pare opportuno riportare anche le affermazioni di  Silvia Spronelli, CEO di Solo Affitti S.p.A, che riferendosi al recente provvedimento Decreto Ristori, ha precisato che quest’ultimo,  se pur ha previsto uno sconto sugli affitti e blocco degli sfratti, non contiene nessuna agevolazione sull’IMU.

Silvia Spronelli, sottolinea come il mancato pagamento dei canoni di locazione da parte degli affittuari ricada completamente sulle spalle del proprietario di casa, che, nonostante il mancato incasso, dovrà pagare per intero l’IMU. “Crediamo che, alla luce dei nuovi provvedimenti e del mutato scenario del mercato immobiliare, sia necessario prevedere all’interno della legge di stabilità un irrobustimento dei fondi per il sostegno agli inquilini in vista della fine del blocco sfratti. In questo senso, il buon funzionamento del canone concordato può aiutare gli inquilini a sostenere i canoni di locazione, ed è quindi opportuno che le associazioni di categoria aggiornino i valori velocemente.Non bisogna, però, ignorare la situazione dei proprietari di immobili, che avevano investito nell’acquisto di case e appartamenti, e ora si ritrovano talvolta non solo a non avere più una rendita, ma a doverci pagare comunque le imposte. Sarebbe, pertanto, opportuno introdurre garanzie ulteriori anche per questa categoria, almeno in questa fase.
Un provvedimento che va ad aggiungersi al blocco degli sfratti, che va ad interessare anche quegli inquilini morosi che avevano ricevuto l’ingiunzione ben prima dell’inizio della pandemia. Prendere una casa in affitto, dunque, potrebbe rivelarsi ancora più vantaggioso per il prossimo anno, grazie a questi strumenti che si sommano ad un generale calo del prezzo medio degli affitti del 7,5%, come evidenziato dai dati di Solo Affitti S.p.A.

Un Natale in condominio, tra party a distanza e concerti a numero chiuso

Volge al termine un anno a dir poco particolare, intriso di divieti, timori e preoccupazioni.

Un Natale, dove il bene casa è stato rimesso al centro e il condominio è diventato un punto di incontro e non più di solo scontro.

Alla richiesta di non viaggiare, la casa è quindi diventata l’unica certezza dove trascorrere le festività rinunciando alle consuete vacanze in posti esotici. Gli edifici sono diventati il luogo di nuovi riti e abitudini.  Il pianerottolo il punto di scambio dei doni, il portone la “zona franca” degli incontri, il cortile il piccolo campo sportivo dei bambini. In questo contesto, anche l’amministratore di condominio ha cercato di rendere più piacevole la convivenza in condominio. Gli spazi comuni,  si sono trasformati in luoghi per festeggiare in completa sicurezza.

 

Insomma, un condominio tra party a distanza con i vicini e concerti a numero chiuso: un nuovo Natale che nessuno si aspettava di vivere.

 

In questo periodo, molto complicato, soprattutto per i liberi professionisti, la redazione del quotidiano del condominio ha voluto essere al fianco dei suoi lettori realizzando una serie di webinar e arricchendo il palinsesto informativo con nuove sezioni di notizie realizzate ad hoc.

Un’informazione attenta, puntuale e precisa, sempre al fianco degli amministratori di condominio e di tutti gli operatori del settore edile.

Nella tempesta scatenata dall’emergenza epidemiologica, abbiamo cercato di mantenere la barra dritta, selezionando notizie e informazioni volte a dare certezza e chiarezza a tutti i professionisti.

Ringraziandovi per la fiducia, la redazione vi dà appuntamento al 4 gennaio 2021. Durante la pausa natalizia, il quotidiano verrà aggiornato, se pur in modalità ridotta.

Cercheremo di essere al Vostro fianco, anche durante le festività.

Buon Natale a tutto Voi dalla redazione del Quotidiano del Condominio.

 

Anci: semplificare la burocrazia. Per il bonus 110% basta comunicare gli estremi del titolo edilizio

«Crediamo che il bonus del 110% sia una linea strategica per lo sviluppo ambientale del comparto edilizio nonché una leva fondamentale per la ripresa economica, proprio per questo riteniamo indispensabile tagliare alcuni aspetti burocratici che possono ammazzarlo. Esiste un emendamento dell’Anci che semplifica molto questo strumento e che è indispensabile venga approvato se non si vuole far morire le pratiche nelle lungaggini della ricerca di documentazione».

Con queste parole si appellano al governo Mario Occhiuto, delegato Anci per l’Urbanistica e sindaco di Cosenza, Stefano Lorusso, presidente della commissione urbanistica Anci e consigliere del Comune di Torino, e gli assessori all’urbanistica del Comune di Milano, Pierfrancesco Maran, Roma, Luca Montuori, Bari, Giuseppe Galasso, e Rimini, Roberta Frisoni.

«La documentazione attualmente necessaria – continuano gli amministratori locali impegnati nell’Anci – prevede ricerche che, soprattutto negli archivi delle grandi città, richiedono un lasso di tempo che va dai 6 ai 12 mesi per essere reperite: così si mette a rischio l’effettivo accesso agli investimenti. Non solo, questa laboriosa ricerca concentra integralmente il lavoro degli archivi dell’edilizia delle città su queste pratiche, bloccando di fatto tutta l’attività ordinaria che è altrettanto decisiva per la ripresa economica del nostro Paese».

I delegati dell’Anci aggiungono: «L’emendamento proposto da Anci taglia la burocrazia e rappresenta la salvezza dell’eco-bonus: ne consente la reale attuazione e non impatta sul proseguo del resto delle attività edilizie. Non approvare l’emendamento, invece, vorrebbe implicitamente dire che l’obiettivo è ridurre le possibilità di portare a buon fine progetti di efficientamento energetico, perché molti rimarrebbero impigliati nelle maglie della burocrazia»

Per il bonus basta comunicare «gli estremi del titolo edilizio»
La proposta di modifica proposta dall’Anci punta a sblindare alcune prescrizioni del testo unico edilizia. In particolare si propone di sostituire il comma 13-ter dell’articolo 119 del Decreto rilancio n.34 introdotto dal Dl Agosto per introdurre alcune semplificazioni negli adempimenti dei tecnici incaricati dal condominio.

Il testo dell’Anci prevede che «In deroga alle disposizioni di cui all’articolo 49 del Decreto del Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001, n. 380 ed ai soli fini di accesso alle agevolazioni fiscali, le asseverazioni dei tecnici abilitati in merito agli immobili che beneficiano degli incentivi disciplinati dal presente articolo sono riferite esclusivamente all’indicazione degli estremi del titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione ovvero del titolo richiesto o rilasciato in sanatoria. Per gli immobili iniziati prima del 1 settembre 1967 in luogo della licenza edilizia l’asseverazione attesta che l’opera risulti iniziata entro tale data». «In ogni caso – si legge in un’altra parte del testo – l’eventuale presenza di difformità edilizie non determina la revoca o la decadenza dell’agevolazione fiscale ai sensi dell’articolo 49 del Decreto del Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001, n. 380».

Servitù di passaggio in condominio: non basta un varco in un muro

Non sono sufficienti una strada preesistente o un varco in un muro a determinare la servitù di un cortile condominiale a favore del fondo limitrofo, il quale, per essere considerato dominante, dovrebbe vantare opere poste in essere al preciso fine di dare accesso attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante. È il principio di diritto richiamato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 31305 del 29 novembre 2019, di cui riportiamo un estratto.

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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. II civ., ord. 29.11.2019,
n. 31305
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Rilevato che:

  • il presente giudizio di legittimità trae origine dal ricorso notificato il 24 dicembre 2014 da C.F. e C.C. avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna con cui, in totale riforma della sentenza del Tribunale di Reggio Emilia, era stata respinta la loro domanda di accertamento dell’intervenuta usucapione della servitù di passaggio pedonale a favore del fondo di loro proprietà ed a carico dell’area di cortile condominiale del Condominio … (mapp. 448 per accedere sulla via Roma);
  • la corte d’appello in accoglimento della gravame proposto dal Condominio, argomentava che il giudice di primo grado era incorso nell’errore di aver ritenuto sussistenti opere visibili e permanenti sensi dell’articolo 1061 cod. civ. mentre, in realtà, alcun tracciato e segno rivelava l’assoggettamento dell’area condominiale al fondo di proprietà degli attori;
  • la cassazione della sentenza d’appello è chiesta con ricorso affidato a due motivi, illustrati da memoria ex art. 380-bis.1, cod. proc. civ., cui resiste il Condominio con controricorso, pure illustrato da memoria ex art. 380-bis.1. cod. proc. civ..

Considerato che:

  • con il primo motivo i ricorrenti denunciano in relazione all’articolo 360, comma 1, n.3, cod. proc., la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1061 cod. civ. per avere la corte territoriale erroneamente applicato il principio di diritto alla situazione concreta come emersa dall’istruttoria;
  • i ricorrenti deducono, in particolare, che l’elemento fattuale dal quale evincere la specifica destinazione del segno e dell’opera all’esercizio della servitù – come richiesto dall’articolo 1061 co. civ. – consisteva nel varco tra il fondo condominiale e quello servente, per il passaggio tra i due fondi (mappale 449 e 448) e posto sicuramente dal 1960, ed in un viottolo di acciottolato e porfido utilizzato per accedere alla via pubblica;
  • osservano, ancora, i ricorrenti come il passaggio da parte di altre persone non sminuirebbe la portata dell’utilizzo dei titolari del fondo dominante e delle opere destinate al loro passaggio;
  • il motivo appare inammissibile per più ragioni;
  • in primo luogo, perché difetta di specificità dal momento che richiama documenti (il rogito del 1960 ed il decreto del Pretore di Reggio Emilia del 1995) di cui non trascrive il testo né indica ove gli stessi possono essere rinvenuti (cfr. Cass. 14107/2017; id. 26174/2014);
  • in secondo luogo, perché, come previsto dall’art.360-bis cod. proc. civ., la corte d’appello ha deciso applicando l’art. 1061 cod. civ. conformemente alla costante giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 2994/2004;21597/2007; 7004/2017) e il ricorso in esame non prospetta argomenti per modificare l’orientamento consolidato;
  • detto orientamento è stato anche di recente confermato dalla sentenza n. 25355/2017 in cui la Corte ha ribadito che non è sufficiente l’esistenza di una strada ed un percorso idoneo allo scopo, ma è essenziale che essi mostrino di essere stati posti in essere al preciso fine di dare accesso attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante, ossia è necessario un “quid pluris”, rispetto alla mera esistenza di un percorso o di una strada che dimostri la loro specifica destinazione all’esercizio della servitù;
  • nel caso di specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, nel rigettare la domanda di usucapione di una servitù di passaggio attraverso un fondo, aveva escluso che la semplice presenza di un’apertura nella recinzione di un fondo fosse univocamente preordinata all’esercizio dell’invocata servitù;
  • si tratta di una precisazione che evidenzia la coerenza dell’argomentazione della corte bolognese, secondo la quale la presenza del varco fra il fondo servente quello dominante non è sufficiente ad integrare la visibilità ed univocità dell’asservimento a favore di quest’ultimo perché, nel caso di specie, detto varco, presente da sempre ed utilizzato indistintamente e con le medesime modalità anche da tutti gli abitanti del paese per raggiungere la via pubblica, non risultava realizzato per la specifica utilità del fondo pretesamente dominante e, pertanto, non rivelava alcuna specifica strumentalità all’esercizio della servitù di passaggio per cui è causa;

(omissis)

  • l’inammissibilità di tutti i mezzi, comporta l’inammissibilità del ricorso;
  • in applicazione del principio di soccombenza, i ricorrenti vanno condannati alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente nella misura liquidata in dispositivo;

(omissis)

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente e liquidate in euro 5.200, di cui 200 per spese, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.

Tutti pazzi per acquistare un immobile in Grecia

Tutti pazzi – anche in Italia – per il mercato immobiliare greco. È quanto emerge dall’indagine condotta da Immobiliare.it, secondo cui la crisi economica che negli ultimi anni ha coinvolto il Paese ellenico ha avuto importanti conseguenze anche sul mattone; in particolare, le ottime possibilità di investimento in un mercato in sofferenza hanno attratto acquirenti dall’estero, italiani compresi. Risultato: nonostante i prezzi siano ora in risalita in tutte le principali località, comprare casa in Grecia sembra rimanere un trend in costante aumento nel nostro Paese.

Confrontando i propri numeri con quelli del portale immobiliare greco Spitogatos.gr, Immobiliare.it ha registrato nell’ultimo anno un incremento delle ricerche immobiliari dall’Italia pari al 31,6%.

Chi compra cosa e dove

Pur di accaparrarsi un immobile di prestigio in una delle zone più ambite del Mediterraneo si è disposti ad investire cifre considerevoli, tanto che il budget medio dei potenziali acquirenti italiani ammonta a circa 500mila euro. L’obiettivo degli acquirenti italiani è quello di trovare un’abitazione fronte mare e in buono stato. Dall’analisi, emerge inoltre la presenza di una nicchia di buyers che preferisce comprare terreni in campagna o ruderi per poter edificare ville di lusso con la collaborazione di architetti di fiducia.

Per quanto riguarda le zone della Grecia più gettonate nelle ricerche dall’Italia, al primo posto dei desideri ci sono le isole Cicladi, molto amate per trascorrervi le vacanze. Al secondo posto si trovano le più vicine località della costa ionica, Corfù e Cefalonia in particolare. Al terzo gradino del podio c’è il Peloponneso, con un picco di preferenze concentrate a Messenia, Elafonisos e Methana.

Le quotazioni

Se nella costa ionica i potenziali acquirenti italiani non devono scontrarsi con molta concorrenza, visto che dall’estero in questa zona si registra l’interesse solo degli inglesi, nelle Cicladi l’offerta è nettamente inferiore alla domanda. Nell’arcipelago infatti, oltre a quelle provenienti dall’Italia, confluiscono le ricerche di americani, inglesi, cinesi, tedeschi e francesi. Non è un caso che sia Santorini la meta più cara fra quelle predilette dagli italiani (3.466 euro/mq) e una di quelle in cui nell’ultimo anno si sono registrati gli aumenti di prezzo maggiori, pari al 18,2%.

Il record della crescita dei valori immobiliari, nella top ten delle ricerche dall’Italia, spetta però a Cefalonia, dove in dodici mesi i prezzi sono aumentati di oltre il 26%.

Nelle dieci mete più ambite dai potenziali acquirenti italiani, nel corso dell’ultimo anno, si è registrato un incremento medio dei prezzi al metro quadro superiore al 10%. Il costo richiesto ai nostri connazionali si aggira attorno ai 2.000 euro/mq.

Occhio alle occasioni

Ma la Grecia non è solo meta per “paperoni”: le occasioni di risparmio per chi cerca una casa sul mare ellenico non mancano e, puntando su località meno inflazionate dal turismo, come l’isola del Dodecaneso Karpathos o Messenia, nel Peloponneso, ci si possono assicurare costi medi inferiori ai 1.500 euro/mq.

Di seguito la top10 delle località dove si concentrano le ricerche dagli utenti italiani che guardano agli immobili in vendita in Grecia, il prezzo medio €/mq richiesto e la sua variazione rispetto a un anno fa:

Abusi edilizi in condominio: chi denuncia non può restare ignoto

Il condomino che subisce un sopralluogo nel suo immobile ha diritto di conoscere gli autori degli esposti o delle segnalazioni, anche nel caso in cui gli accertamenti abbiano dato esito negativo. È la decisione assunta dal Tar della Liguria con la sentenza 510/2019, di cui riportiamo un estratto.

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T.A.R. Liguria

Sez. I, sent. n. 510/2019

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Fatto e diritto

In data 10 dicembre 2018, personale del Comune di Genova eseguiva un sopralluogo presso l’unità immobiliare di proprietà del ricorrente sita in via ….

All’esito del sopralluogo, veniva esclusa la sussistenza di irregolarità edilizie con la relazione prot. n. 433333 del 14 dicembre 2018.

Avendo informalmente appreso che l’attività di controllo aveva tratto impulso da un esposto di privati, l’interessato chiedeva l’ostensione di tale atto e degli eventuali allegati con istanza presentata al Comune di Genova in data 15 gennaio 2019.

Il Comune respingeva l’istanza con provvedimento del 31 gennaio successivo, poiché “l’esposto svolge un ruolo meramente sollecitatorio rispetto ad una funzione” che la pubblica amministrazione “deve comunque generalmente esercitare, indipendentemente da segnalazioni private”.

Nella motivazione del diniego, si fa anche riferimento ad un “costante orientamento giurisprudenziale, condiviso dalla Civica Avvocatura, secondo il quale gli esposti in materia di abusivismo edilizio non sarebbero ostensibili” e si rileva che l’acquisizione dell’esposto non sarebbe giustificata neppure dalla pendenza di una causa civile con il condominio, attesa la sufficienza del verbale di sopralluogo ad attestare la regolarità urbanistico-edilizia dell’immobile.

L’interessato ha impugnato il diniego di accesso con ricorso notificato il 1° marzo 2019 e depositato il successivo 7 marzo, sollevando specifiche contestazioni in ordine ai motivi su cui esso fonda.

Resiste il Comune di Genova che, dando lealmente atto dell’esistenza di difformi orientamenti giurisprudenziali in materia, argomenta in favore dell’opzione che esclude l’ostensibilità di un esposto da cui non sarebbe evincibile alcun elemento utile di conoscenza, salvo il nome del denunciante.

Le parti in causa hanno depositato memorie di replica a sostegno delle rispettive tesi.

Il ricorso è stato chiamato all’udienza camerale del 8 maggio 2019 e trattenuto in decisione.

La questione inerente alla sussistenza di un diritto di accesso agli esposti in materia di abusivismo edilizio (e, più in generale, agli atti di impulso che abbiano dato origine a verifiche, ispezioni o altri procedimenti di accertamento di illeciti a carico di privati) ha dato luogo a soluzioni giurisprudenziali non univoche.

Secondo un primo orientamento, il diniego di accesso a tali atti è legittimo in quanto non incide sul diritto di difesa del soggetto che, a fronte dell’intervenuta notifica del verbale conclusivo dell’attività ispettiva, non avrebbe alcun interesse a conoscere il nome dell’autore dell’esposto (cfr., fra le ultime, T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 17 ottobre 2018, n. 772).

Tale conclusione appare condivisibile laddove sussista una particolare esigenza di tutelare la riservatezza dell’autore della segnalazione, come nel caso delle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva che, qualora divulgate, potrebbero comportare azioni discriminatorie o indebite pressioni da parte del datore di lavoro (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 24 novembre 2014, n. 5779).

Al di fuori di tali particolari ipotesi, la tutela della riservatezza non può assumere un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato dei soggetti che abbiano assunto iniziative comunque incidenti nella sfera giuridica di terzi: il principio di trasparenza che informa l’ordinamento giuridico ed i rapporti tra consociati e pubblica amministrazione si frappone, infatti, ad una soluzione che impedisca all’interessato di conoscere i contenuti degli esposti e i loro autori, anche nel caso in cui i conseguenti accertamenti abbiano dato esito negativo.

Occorre anche considerare che, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza della pubblica amministrazione, l’esposto costituisce un presupposto dell’attività ispettiva, sicché il suo autore perde il controllo di un atto uscito dalla sua sfera volitiva per entrare nella disponibilità dell’amministrazione.

Per tali ragioni, la presentazione di un esposto non può considerarsi un fatto circoscritto al suo autore e all’Amministrazione competente all’avvio di un eventuale procedimento, ma riguarda direttamente anche i soggetti comunque incisi in qualità di “denunciati” (Cons. Stato, sez. VI, 25 giugno 2007, n. 3601).

Merita di essere condiviso, quindi, il prevalente orientamento giurisprudenziale, secondo cui il nostro ordinamento, ispirato a principi democratici di trasparenza e responsabilità, non ammette la possibilità di “denunce segrete”: colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a partire dagli atti di iniziativa e di preiniziativa quali, appunto, denunce, segnalazioni o esposti (omissis).

Sulla base delle suesposte argomentazioni, stante la fondatezza nel merito del ricorso, deve disporsi l’annullamento del gravato provvedimento di rigetto dell’istanza di accesso documentale, con contestuale ordine al Comune di Genova di esibire al ricorrente, mediante estrazione di copia, l’esposto che ha dato origine al menzionato sopralluogo presso il suo immobile e la documentazione ad esso eventualmente allegata, entro il termine di giorni venti dalla comunicazione o, se antecedente, dalla notificazione della presente sentenza.

In ragione delle accennate oscillazioni giurisprudenziali, le spese di lite possono essere compensate per la metà, rimanendo regolate per il resto secondo il principio della soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, previo annullamento dell’impugnato provvedimento di diniego, ordina al Comune di Genova di consentire al ricorrente, nei termini e con le modalità di cui in motivazione, il richiesto accesso documentale.

Condanna l’Amministrazione resistente al pagamento, in favore del ricorrente, della metà spese di lite, in tal misura liquidate nell’importo di € 1.000 oltre accessori di legge, compensandole per la residua metà.

Non commette diffamazione il condomino che preannuncia una causa

Non commette diffamazione il condomino che dichiara di non essere tenuto a concorrere alle spese per il pagamento dell’onorario all’avvocato e insinua che la delibera è stata presa “in conflitto di interessi”. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 10389/2019, di cui riportiamo un estratto.

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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. V pen., sent. n. 10389/2019
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Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza impugnata il Giudice di pace di Napoli ha assolto V.G. dal reato di diffamazione, in danno di C.D., riconoscendo l’operatività della causa di non punibilità di cui all’art. 598 cod. pen..

2. Avverso detta pronuncia ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, articolando un motivo con il quale denuncia violazione di legge, deducendo che l’art. 598 cod. pen. si applica a scritti e discorsi pronunciati dinanzi alla autorità giudiziaria non a missive che preannunciano l’intenzione di promuovere una causa civile.

Considerato in diritto

  1. La questione giuridica posta con il ricorso è fondata, tuttavia deve essere rilevata di ufficio, ex art. 129 comma 2 cod. proc. pen., l’insussistenza del fatto.
  2. Secondo il capo di imputazione e la sentenza, l’imputata ha inviato al querelante C.D., all’avv. D.A. e a un terzo condomino una lettera raccomandata contenente espressioni del seguente tenore: “per aver promosso una lite …in spregio di una delibera assembleare autorizzavi … non ricevendo alcuna dichiarazione liberatoria dell’avv. D.A. darò corso giudiziale all’accertamento della responsabilità di entrambi i destinatari della presente … stante il palese conflitto di interessi dei destinatari della presente con la tutela dell’intera compagine condominiale”.
    È vero che in tal caso la causa di non punibilità di cui all’art. 598 cod. pen. non può trovare applicazione, in quanto la stessa attiene agli scritti difensivi in senso stretto (da ultimo Sez. 5, n. 39486 del 06/07/2018), tuttavia emerge ictu oculi l’insussistenza del reato di diffamazione.
    La missiva non ha alcun contenuto lesivo della dignità o della onorabilità delle persone offese (profilo del tutto ignorato dal ricorso) poiché manifesta soltanto il convincimento dell’imputata di non essere tenuta a concorrere alle spese condominiali per il pagamento dell’onorario all’avv. D.A. (cfr. pag. 2 sentenza impugnata). Le espressioni utilizzate non esorbitano nei toni e sono funzionali allo scopo perseguito.
  3. Discende l’annullamento della sentenza senza rinvio, perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.