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SE I CONDÒMINI SONO DISTURBATI DA CANI CHE ABBAIANO E PORTE CHE SBATTONO

L’attitudine dei rumori a disturbare il riposo delle persone non deve essere necessariamente accertata mediante perizia o consulenza tecnica, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali le testimonianze dei condòmini. È il principio di diritto richiamato dalla Cassazione con l’ordinanza 28409/2017 relativa a una vicenda di rumori molesti in condominio.

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CORTE DI CASSAZIONE

Sez. VII pen., ord. n. 28409/2017

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RITENUTO 

* che il Tribunale di Massa, con sentenza del 28 febbraio 2011, ha affermato la penale responsabilità di T.B. in ordine al reato di cui all’art. 659 cod. pen. (reato commesso ed accertato in Massa nel mese di aprile 2009); 

* che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione – tramite il proprio difensore – l’imputato, denunziando l’insussistenza del reato e lamentando violazione della legge processuale penale e manifesta illogicità della motivazione per avere il Tribunale affermato la penale responsabilità sulla base di una superficiale ed incompleta valutazione del materiale probatorio, attraverso argomentazioni manifestamente illogiche; 

* che, contrariamente all’assunto difensivo, il giudice di merito ha valorizzato, ai fini dell’affermazione di responsabilità, il complessivo materiale probatorio acquisito agli atti processuali; 

* che, nella specie (riguardante rumori provenienti dal continuo abbaiare di cani nelle ore notturne all’interno della abitazione ove gli stessi si trovavano e dall’urto continuo di tapparelle con disturbo permanente dei residenti nel condominio), sono stati accertati sulla base delle numerose e concordi testimonianze acquisite, rumori molesti insopportabili e continui cagionati dal frequente ed incontrollato abbaiare dei cani in ore notturne lasciati soli nell’assenza del proprietario dell’appartamento, nonché dallo sbattere di continuo di porte, finestre ed inferriate dell’abitazione: rumori tutti ascrivibili al T.B., che, solo dopo essere stato convocato dal Questore di Lucca reso edotto di quanto sopra dall’Amministratore del condominio cui si erano rivolti, esasperati, numerosi condòmini, nonché altri condòmini di edificio limitrofo per fare cessare i rumori molesti, ha modificato il proprio comportamento; 

* che è consolidato l’orientamento di questa Corte in materia di configurabilità del reato di cui all’art. 659 cod. pen. nel senso che l’attitudine dei rumori a disturbare il riposo o le occupazioni delle persone non deve essere necessariamente accertata mediante perizia o consulenza tecnica, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti, sì che risulti oggettivamente superata la soglia della normale tollerabilità (omissis); 

* che le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio e dell’attribuzione dello stesso alla persona dell’imputato non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata; 

* che le considerazioni svolte dalla difesa del ricorrente in ordine alla dichiarazioni dei testi sono sostanzialmente di tipo fattuale e come tali inammissibili in sede di legittimità; 

* che il ricorso, conseguentemente, va dichiarato inammissibile e, poiché la inammissibilità non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, non può tenersi conto di eventuali cause di estinzione del reato intervenute successivamente alla pronuncia della decisione impugnata (omissis); 

– che, a norma dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000. 

P.Q.M. 

Dichrara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 1.000 alla Cassa delle Ammende. 

CRONACA FLASH DALLA CASA E DAL CONDOMINIO

La cantina va a fuoco

In tre in ospedale

Un uomo di 67 anni, residente in un condominio in provincia di Alessandria, è rimasto gravemente ferito a seguito di un incendio divampato nella sua cantina. Il 67enne è stato trasportato al Cto di Torino con ustioni di secondo e terzo grado sul 30% del corpo. A soccorrerlo sono stati due condòmini, rimasti leggermente intossicati nel tentativo di spegnere le fiamme con un idrante. Sul posto sono arrivati tempestivamente anche i vigili del fuoco, che hanno estinto il rogo e verificato le condizioni di sicurezza dell’edificio. Sono in corso le indagini per accertare le cause dell’incendio. 

Tragedia domestica: 

bimbo muore folgorato

Aveva poco più di due anni il bambino rimasto ucciso dopo aver infilato un oggetto metallico nella presa di corrente. La tragedia è avvenuta in un appartamento alle porte di Parma, dove il piccolo viveva insieme alla madre, il padre e la sorellina. Da una prima ricostruzione dei fatti risulta che in casa, assieme al minore, si trovasse soltanto la madre. Purtroppo però non si era accorta che il figlio aveva preso una frusta del frullatore per poi infilarla nella presa elettrica. Sbalzato all’indietro per la potente scossa, ha perso subito conoscenza ed è stato trasportato all’ospedale, dove è spirato poco dopo. Sotto shock la mamma, è stata colpita da un malore. 

Lite per il cane

con lame e bastoni

Un giovane di 24 anni, residente al piano terra di una palazzina di Vicenza, ha deciso di affrontare i vicini di casa rumorosi arrampicandosi lungo la parete esterna del condominio, armato di una mezzaluna da cucina. Motivo: il cane degli inquilini del primo piano che non smetteva di abbaiare nonostante fosse passata la mezzanotte. Quando i padroni dell’animale si sono accorti del 24enne hanno chiamato la polizia, riprendendo la scena col cellulare. All’arrivo delle forze dell’ordine gli animi si erano calmati, ma a riaccendere la lite ci ha pensato il fidanzato della figlia del padrone del cane, giunto sul posto con un bastone. A quel punto gli agenti l’hanno bloccato e denunciato. 

Spacciatore seriale

Vendeva droga da casa

Sequestrati trenta grammi di cocaina, tre di hashish, due di marijuana e tremila euro in contanti: questo il risultato del blitz messo in atto dai carabinieri di un comune in provincia di Perugia presso l’abitazione di un 40enne, arrestato. Durante la perquisizione della casa è stato trovato anche un bilancino elettronico e tutto il necessario per il confezionamento delle dosi. A seguito delle indagini è emerso che l’uomo, dedito allo spaccio, nonostante il recente trasferimento nella zona in poco tempo, era diventato un punto di riferimento per i tossicodipendenti della città. Per questo motivo il giudice ha deciso di disporne la custodia in carcere.

Furto in casa con riscatto

Quattro persone nei guai

È stata sgominata la banda di topi d’appartamento che circa un anno fa aveva messo a segno un colpo record da 250mila euro, svaligiando un’abitazione in provincia di Foggia. Il lauto bottino, composto da oggetti d’oro, denaro contante e titoli di credito, era stato poi oggetto di una trattativa tra le vittime del furto, che volevano recuperare il malloppo, e i malviventi. L’accordo raggiunto, però, non ha soddisfatto i legittimi proprietari che hanno deciso di rivolgersi ai carabinieri. Grazie alle intercettazioni telefoniche sono finiti in manette in quattro, tutti residenti nella zona e ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di estorsione aggravata e ricettazione in concorso. 

CASA “DI LUSSO”: NIENTE SANZIONI PER FALSE DICHIARAZIONI ANTE 2014

[A cura di: Ance Foggia]

Esclusione dalle sanzioni in caso di decadenza dai benefici “prima casa” ai fini dell’imposta di Registro, nell’ipotesi di acquisto, prima del 2014, di un’abitazione di lusso secondo i criteri del previgente D.M. 2 agosto 1969. Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione della Sentenza 11 maggio 2017, n. 11621, in materia di applicabilità dei benefici fiscali “prima casa”, ai fini dell’imposta di Registro (cfr. l’art. 1 della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. 131/1986.).

In particolare, il caso di specie riguarda la compravendita di un’abitazione effettuata nel 2001, relativamente alla quale l’acquirente aveva fruito dei benefici “prima casa” ai fini dell’imposta di Registro (aliquota allora pari al 3%, anziché 9%), nonostante l’unità immobiliare avesse le caratteristiche c.d. “di lusso”, secondo i criteri del previgente D.M. 2 agosto 1969. Come noto, infatti, fino al 31 dicembre 2013 le agevolazioni fiscali (ai fini IVA e Registro) correlate all’acquisto di abitazioni da destinare a “prima casa”, trovavano applicazione unicamente a condizione che l’immobile fosse qualificato come “non di lusso”, sempre in base al predetto D.M. 2 agosto 1969.

Proprio con riferimento alle caratteristiche di tali abitazioni, il regime è cambiato dal 1° gennaio 2014 e la definizione “di lusso” è stata sostituita dall’accatastamento delle stesse nelle categorie A1 (abitazioni di tipo signorile), A8 (abitazioni in ville) ed A9 (castelli e palazzi con pregi artistici e storici). In sostanza, dal 2014 le agevolazioni “prima casa” (ai fini IVA e Registro) vengono riconosciute per l’acquisto di abitazioni accatastate nelle categorie diverse da A1, A8 ed A9, secondo un criterio puramente catastale.

Nella sentenza n. 11621/2017 la Cassazione, nel confermare la decadenza dai benefici “prima casa”, ha stabilito l’applicabilità dell’imposta di Registro nella misura ordinaria, sul presupposto che l’abitazione acquistata nel 2001 presentava le caratteristiche “di lusso” secondo i criteri del D.M. 2 agosto 1969, allora in vigore. Diversamente, è stata esclusa l’applicabilità della sanzione, proprio in considerazione dell’intervenuta modifica normativa che ha cancellato l’oggetto della falsa dichiarazione resa a suo tempo dal contribuente, relativa ai requisiti “non di lusso” dell’abitazione. In pratica, la Cassazione ha ritenuto che, nel caso di specie, è stato addirittura superato il principio del favor rei in materia di sanzioni amministrative per violazioni tributarie (cfr. l’art. 3, co. 2, del D. Lgs. 472/1997) poiché è cambiata proprio la disciplina sostanziale a cui è correlata la sanzione. 

In linea generale, si ricorda che la sanzione applicabile in caso di decadenza dai benefici “prima casa”, ai fini dell’imposta di Registro è pari al 30% dell’imposta ordinaria. Infatti, a prescindere dalla circostanza che la violazione sia stata commessa in passato, l’applicabilità della sanzione, ove non ancora versata, deve essere valutata tenendo conto del regime fiscale ad oggi in vigore, con la conseguenza che il comportamento che avrebbe dato luogo alla sanzione non appare più rilevante, poiché riferito a “parametri normativi non più vigenti” (ossia i requisiti “non di lusso”, ora sostituiti dal criterio catastale).

Il principio espresso dalla Cassazione, secondo il quale la sanzione è stata esclusa in osservanza del nuovo criterio catastale che individua le abitazioni “di lusso”, può essere invocato anche ai fini IVA, nell’ipotesi di acquisto di abitazioni “di lusso” da imprese di costruzioni, effettuato prima del 13 dicembre 2014, in presenza di verifiche fiscali volte ad accertare la decadenza dai benefici “prima casa”.

EREDITA TERRENO E LO RENDE EDIFICABILE: C’È PLUSVALENZA TASSABILE A FINI IRPEF

[A cura di: Emiliano Marvulli – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate]

La vendita di un terreno sul quale, dopo l’acquisto, sono state realizzate opere intese a renderlo edificabile, che ne hanno aumentato il valore, genera sempre una plusvalenza tassabile ai fini Irpef, anche nell’ipotesi in cui il bene sia pervenuto al contribuente a seguito di successione mortis causa. Questo il principio ribadito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 13071 del 24 maggio 2017.

IL FATTO

L’amministrazione finanziaria notificava nei confronti di un contribuente un avviso di accertamento, contenente la determinazione di una plusvalenza derivante dalla cessione di un terreno di proprietà, sul quale erano state realizzate attività edificatorie. Avverso l’atto impositivo il contribuente proponeva prima ricorso in Commissione tributaria provinciale – parzialmente vinto con la riduzione alla metà del maggior reddito accertato – e, successivamente, dinanzi alla Commissione regionale, che lo accoglieva in toto, con conseguente annullamento dell’avviso di accertamento.

L’amministrazione finanziaria proponeva ricorso alla Commissione tributaria centrale, che lo rigettava sulla base del principio per cui non può ravvisarsi una plusvalenza in capo a un soggetto “che abbia ricevuto il bene, oggetto di realizzazione edificatoria, a titolo successorio”. L’amministrazione finanziaria, quindi, ha impugnato tale decisione dinanzi alla Corte di cassazione sulla base di due motivi. I giudici della Corte hanno accolto il principale motivo di impugnazione e hanno cassato con rinvio la sentenza.

LA DECISIONE

La questione posta all’attenzione dei giudici di legittimità ruota attorno alla corretta qualificazione e determinazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di terreni, su cui sono state realizzate attività edificatorie, nella particolare ipotesi di acquisto per successione. In tutti i gradi del giudizio, i giudici di merito hanno escluso la qualificazione di plusvalenza imponibile perché, essendo stato acquisito l’immobile per successione mortis causa, non si genererebbe mai una plusvalenza tassabile in capo al contribuente.

I giudici della suprema Corte di cassazione hanno ribaltato il giudizio di merito e hanno accolto le doglianze dell’amministrazione finanziaria, che lamentava violazione dell’articolo 76, comma 3, del Dpr 597/1973 (vigente ratione temporis), contenente le disposizioni sui redditi derivanti da operazioni speculative. Secondo il citato articolo 76, è sempre fatta “con intenti speculativi, senza possibilità di prova contraria, l’esecuzione di opere intese a rendere edificabili i terreni inclusi in piani regolatori o in programmi di fabbricazione, e la successiva vendita anche parziale dei terreni”. Sulla base di tale principio, pertanto, il realizzo di una plusvalenza derivante dalla cessione di un terreno, su cui sono state realizzate opere edificatorie che ne hanno aumentato il valore, costituisce reddito tassabile ai fini delle imposte dirette, quand’anche il bene sia pervenuto al contribuente per successione o per divisione ereditaria.

Infatti, sulla scia di una precedente decisione assunta dai giudici di legittimità, la Corte ha ribadito che, “quando tra il momento dell’acquisto e quello dell’alienazione siano state compiute attività e operazioni intese ad aumentare il valore dei beni così pervenuti”, si genera, comunque, materia imponibile in capo al cedente, indipendentemente dalle modalità di acquisizione del cespite. In tale prospettiva, non può essere accolta la posizione delle Commissioni tributarie che, sulla base di un’erronea interpretazione del citato articolo 76, hanno affermato di voler privilegiare l’interpretazione restrittiva che porta a escludere, in ogni caso, l’esistenza di una plusvalenza tassabile “ove il bene sia pervenuto al contribuente a seguito di successione mortis causa”.
 

LA DIFESA IN GIUDIZIO DELLE DELIBERE IMPUGNATE? COMPETE ALL’AMMINISTRATORE

Rientra nelle attribuzioni dell’amministratore la difesa in giudizio delle delibere impugnate indipendentemente dal loro oggetto. Se non è stata l’assemblea a deliberare la lite ai sensi dell’art. 1132 c.c., il condomino dissenziente soggiace alla regola maggioritaria e, in tal caso, può solo ricorrere all’assemblea contro i provvedimenti dell’amministratore o al giudice contro la successiva delibera dell’assemblea.

Il riferimento è alla sentenza n. 7095/2017 della Corte di Cassazione. Di seguito la vicenda.

IL CASO

Il Tribunale annullava una delibera condominiale condannando il condominio alle spese di giudizio. In virtù del vincolo di solidarietà passiva, un condomino aveva anticipato anche la quota di un’altra condomina, verso la quale aveva in seguito attivato azione di regresso. Quest’ultima adiva il Giudice di Pace per condannare l’amministratore del condominio al risarcimento dei danni, per non aver provveduto a convocare ritualmente l’assemblea e per non aver comunicato la pendenza della lite. 

Il Giudice di Pace condannava l’amministratore, il quale appellava la decisione, riformata dal Tribunale. La condomina ricorre per la cassazione della decisione di appello, ma la Suprema Corte rigetta il ricorso.

LA DECISIONE

La Cassazione ha dapprima esaminato l’appellabilità della sentenza del Giudice di Pace: “Sull’appellabilità delle sentenze pronunciate dal giudice di pace questa Corte ha avuto modo di affermare che per stabilire se la sentenza sia stata pronunciata secondo equità, e sia quindi appellabile solo nei limiti di cui all’art. 339, comma terzo, c.p.c., occorre avere riguardo non già al contenuto della decisione, ma al valore della causa, da determinarsi secondo i principi di cui agli artt. 10 e ss. c.p.c., e senza tenere conto del valore indicato dall’attore ai fini del pagamento del contributo unificato. Pertanto, ove l’attore abbia formulato dinanzi al giudice di pace una domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro inferiore a millecento euro (e cioè al limite dei giudizi di equità c.d. “necessaria”, ai sensi dell’art. 113, comma secondo, c.p.c.), accompagnandola però con la richiesta della diversa ed eventualmente maggior somma che “sarà ritenuta di giustizia”, la causa deve ritenersi – in difetto di tempestiva contestazione ai sensi dell’art. 14 c.p.c. – di valore indeterminato, e la sentenza che la conclude sarà appellabile senza i limiti prescritti dall’art. 339 c.p.c. (Cass. n. 9432/12; v. anche, non massimata, Cass. n. 10921/13). 

In altra occasione, invece, è stato ritenuto che qualora l’attore, oltre a richiedere una somma specifica non superiore a euro 1.032,91, abbia anche concluso, in via alternativa o subordinata, per la condanna del convenuto al pagamento di una somma maggiore o minore da determinarsi nel corso del giudizio, siffatta ultima indicazione, pur non potendosi reputare mera clausola di stile, non può, tuttavia, ritenersi di per sé sola sufficiente a dimostrare la volontà dello stesso attore di chiedere una somma maggiore – ed ancor meno una somma superiore ad euro 1032,91 – in assenza di ogni altro indice interpretativo idoneo ad ingenerare quanto meno il dubbio che le circostanze dedotte siano potenzialmente idonee a superare il valore espressamente menzionato e, in particolare, quello entro il quale è ammessa la decisione secondo equità (Cass. n. 24153/10)”.

Nel caso specifico, la domanda chiedeva la condanna dell’amministratore “al pagamento in favore dell’attrice della somma di euro 238,21 per il risarcimento dei danni; e/o comunque, anche diversamente qualifìcata la domanda, (la condanna del) convenuto al pagamento della somma maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia oltre interessi come per legge ivi compresi quelli sugli interessi scaduti ex art. 1283 c. c. e svalutazione oltre al risarcimento di tutti i danni e/o le spese a qualsiasi titolo dovute, patrimoniali, dirette o indirette, presenti e future, nessuno escluso nella misura che verrà provata in corso in causa e/o equitativamente liquidata nei limiti della competenza del giudice adito”.

Il Collegio ha ritenuto che la causa fosse di valore indeterminato fino al limite di valore del Giudice di Pace: “L’ampia latitudine della pretesa risarcitoria, dichiaratamente aggiuntiva rispetto al solo importo di euro 238,21, e l’espressa volontà di ottenere anche quanto eccedente tale somma purché entro il limite della competenza generale del giudice adito, lasciano intendere che nel caso in esame la parte attrice abbia inteso superare consapevolmente i limiti del giudizio di equità c.d. necessaria del giudice di pace. Con la conseguenza che, non essendo stato contestato il valore così dichiarato, la causa deve ritenersi di valore indeterminato fino al limite della competenza per valore del giudice di pace (a nulla rilevando, per il premesso riferimento alla domanda e non al decisum, che la sentenza del primo giudice avesse riconosciuto in favore dell’attrice il solo importo di euro 238,21)”.

Passando quindi a esaminare i due motivi di ricorso, la Suprema Corte li ritiene entrambi infondati.

La Cassazione precisa che “la difesa in giudizio delle delibere dell’assemblea impugnate da un condomino rientra nelle attribuzioni dell’amministratore, indipendentemente dal loro oggetto, ai sensi dell’art. 1131 c.c.”. Il collegio ha escluso che ricorresse l’ipotesi di cui all’art. 1132, primo comma, c.c.: “tale ultima disposizione, tesa a mitigare gli effetti della regola maggioritaria che informa la vita del condominio, consente al singolo condomino dissenziente di separare la propria responsabilità da quella degli altri condòmini in caso di lite giudiziaria, in modo da deviare da sé le conseguenze dannose di un’eventuale soccombenza. Dunque, ove non sia stata l’assemblea a deliberare la lite attiva o passiva ai sensi del predetto art. 1132 c.c., il condomino dissenziente soggiace alla regola maggioritaria. In tal caso egli può solo ricorrere all’assemblea contro i provvedimenti dell’amministratore, in base all’art. 1133 c.c., ovvero al giudice contro il successivo deliberato dell’assemblea stessa (nei limiti temporali, è da ritenere, previsti dall’art. 1137 c.c., richiamato dall’art. 1133 c.c.)”.

Con l’ulteriore precisazione che “in ogni caso il condomino dissenziente può far valere le proprie doglianze sulla gestione dell’amministratore in sede di rendiconto condominiale, la cui approvazione è, però, anch’essa rimessa all’assemblea e non al singolo condomino”.

Nel respingere il ricorso, il Collegio sottolinea la natura collettiva del mandato attribuito dalla legge all’amministratore: il condomino dissenziente “al di fuori dei descritti percorsi legali, non ha la facoltà di agire in proprio contro l’amministratore (salvo il ben diverso caso dell’iniziativa di revoca giudiziale ex art. 1129 c.c.) ogni qual volta ritenga la condotta di lui non consona ai propri interessi, perché ciò contrasta con la natura collettiva del mandato ex lege che compete all’amministratore”.

OSSERVAZIONI

La Cassazione ha ribadito la natura collettiva del mandato attribuito direttamente dalla legge all’amministratore, con il corollario che nei casi in cui il condominio sia parte in giudizio senza delibera dell’assemblea, il condomino dissenziente non può invocare l’operatività dell’art. 1132 codice civile per sottrarsi alle conseguenze della lite.

DISPOSIZIONI RILEVANTI

Codice Civile – Art. 1131 – Rappresentanza

Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall’articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall’assemblea, l’amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condòmini sia contro i terzi.

Può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell’autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto.

Qualora la citazione o il provvedimento abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell’amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condòmini.

L’amministratore che non adempie a quest’obbligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento dei danni.

Art. 1132 – Dissenso dei condomini rispetto alle liti

Qualora l’assemblea dei condòmini abbia deliberato di promuovere una lite o di resistere a una domanda, il condomino dissenziente, con atto notificato all’amministratore, può separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza. L’atto deve essere notificato entro trenta giorni da quello in cui il condomino ha avuto notizia della deliberazione.

Il condomino dissenziente ha diritto di rivalsa per ciò che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa.

Se l’esito della lite è stato favorevole al condominio, il condomino dissenziente che ne abbia tratto vantaggio è tenuto a concorrere nelle spese del giudizio che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente.

SENZA ATTESTATO DI FORMAZIONE È NULLA LA DELIBERA DI NOMINA DELL’AMMINISTRATORE

[A cura di: Mauro Simone – vice segr. naz. ALAC
La recente sentenza del Tribunale di Padova del 24 marzo scorso, ci offre lo spunto per discorrere della dibattuta questione relativa agli effetti pratici conseguenti alla pretermessa frequentazione da parte degli amministratori di condominio al corso di aggiornamento a scadenza annuale, come previsto obbligatoriamente dal Decreto del Ministero di Giustizia n. 140/14.
I giudici di merito, con la citata sentenza hanno confermato l’opinione, sin da subito espressa dalle associazioni come ALAC, che la mancata frequentazione a un corso di aggiornamento di almeno 15 ore di durata, con superamento dell’esame finale frontale, dà luogo alla nullità, radicalmente insanabile, della delibera di nomina/riconferma dell’incarico all’amministratore, per violazione di una norma imperativa di ordine pubblico.
Prevedendo che non tarderà a consolidarsi l’orientamento in parola, che con giustezza penalizza con la sanzione della nullità assoluta la deliberazione assembleare di nomina dell’amministratore non in regola con il possesso dei requisiti di legge e a rischio di dover restituire i compensi professionali oltre al ristoro dei danni su ricorso di chiunque, compresi i terzi, abbia interesse ad impugnare la delibera illegittima, ciò evidenziato si palesa necessario colmare una evidente lacuna della normativa in materia di formazione periodica.
LE COMPETENZE
Dal decisum del Tribunale di Padova si deduce l’ indefettibilità della professionalizzazione dell’amministratore. Difatti, amministrare condomini è un lavoro che richiede molte competenze e soprattutto passione, capacità di aggiornare le proprie esperienze e conoscenze. Il patrimonio edilizio immobiliare è un bene da gestire con cura, poiché incide sul benessere e sulla serenità della comunità. Per amministrare immobili e condomini è indispensabile la conoscenza di materie multidisciplinari quali: diritto, contabilità, fisco, sicurezza, manutenzioni e ristrutturazioni, certificazione energetica, risparmio energetico , etc; insomma l’amministratore deve essere un vero esperto in “scienza dell’amministrazione di beni privati”. Peraltro, la costante elaborazione di norme non sempre facilita l’interpretazione di quelle esistenti, neppure dopo la novella legislativa del 2012, rendendo il lavoro dell’amministratore molto impegnativo e in continuo divenire. Amministrare è oggi una professione a tutti gli effetti ai sensi della L.4/2013, e non più un’arte fai-da-te.
Dalla maggiore trasparenza e professionalità degli addetti nella gestione dei complessi edilizi traggono beneficio gli utenti del condominio. Il bene a cui ogni amministratore deve guardare come cartina di tornasole è l’interesse della collettività, ed è un aspetto essenziale generare valore dai beni che vengono amministrati a servizio della collettività. Amministrando con passione, competenza e aggiornando le proprie competenze si rappresentano gli interessi della collettività.
IRREGOLARITÀ
Orbene sono trascorsi circa 3 anni dall’entrata in vigore del regolamento del Ministero di Giustizia, e a sentire i colleghi di mezza Italia, una notevole percentuale di amministratori non avrebbe le carte in regola per esercitare in modo qualificato la professione, non avendo frequentato alcun corso di aggiornamento dal 2015 in avanti.
Il legislatore ha previsto che l’amministratore ogni anno aggiorni le proprie competenze in un corso con esame finale, però non ha previsto alcun criterio specifico volto alla verifica e al controllo della effettiva formazione e aggiornamento degli addetti. Questo compito è lasciato, se richiesto, ai clienti-condòmini. Ma è ben noto che i condòmini pur essendo i principali destinatari dei servizi e delle prestazioni professionali degli amministratori e pur avendo interesse a farsi amministrare da professionisti in regola con le leggi, raramente si curano di effettuare le verifiche necessarie ad accertare il possesso e la permanenza dei requisiti professionali del proprio amministratore. La realtà quotidiana registra infatti amministratori nominati o riconfermati illegittimamente, ovvero privi del possesso di attestato comprovante il superamento dell’esame finale frontale di un corso di aggiornamento preferibilmente rilasciato da una associazione iscritta nell’elenco MISE.
LE SOLUZIONI
Come si potrebbe migliorare il quadro della situazione che abbiamo sotto gli occhi, senza alcuna ricaduta sulla finanza pubblica e offrendo nel contempo garanzia e tutela sia all’utenza sia agli amministratori corretti che diligentemente curano l’aggiornamento periodico? A nostro parere in due modi abbastanza semplici e di immediata applicazione:
1) le associazioni iscritte al MISE, avendo un ruolo centrale e determinante, con responsabilità a rilevanza pubblica, dovrebbero inviare al Ministero di Giustizia, prima dell’inizio di ciascun corso di aggiornamento (o di formazione) una pec con l’elenco dei nominativi dei corsisti, allo scopo di prevenire eventuali abusi, permettendo così la possibilità di successivi controlli.
2) Gli amministratori professionisti, a loro volta, dovrebbero allegare ai verbali di assemblea di nomina e di riconferma dell’incarico, l’attestato di una associazione iscritta al MISE comprovante la formazione periodica annuale, a pena di nullità dell’incarico ricevuto.
Le proposte che precedono trovano giustificazione per la plurivoca necessità di dare certezza al mercato dei professionisti delle amministrazioni condominiali, sia per elevare lo standard di qualità delle prestazioni degli amministratori di condominio e allo scopo di incidere positivamente sugli interessi della collettività condominiale, determinando inoltre un impatto positivo sulla trasparenza delle gestioni e sulla qualità e qualificazione dell’amministratore. 

IL CONDOMINIO E LO SCHEMA DI RIFORMA DEL GIUDICE DI PACE: QUALI PROSPETTIVE

[A cura di: avv. Rodolfo Cusano]

Nei giorni scorsi ho tenuto una lezione sul condominio al Giudice di pace di Barra, invitato dall’avvocato Luigi Aprea, presidente della locale Associazione di avvocati, e più che le molteplici domande mi ha colpito la preoccupazione che ho potuto leggere sui volti degli astanti. Essi non si sono fatti pregare per esternare tutte le loro forti perplessità sulle conseguenze del progetto di riforma, se esso sarà approvato secondo lo schema già pubblicato. 

In primo luogo: ma l’Ufficio del Giudice di pace così come è oggi organizzato reggerà l’impatto delle decine di migliaia di procedure giudiziarie che si vanno ad aggiungere a quelle già esistenti? Quale certezza del diritto potrà essere assicurata se già adesso i tempi sono lunghi? L’assunzione di nuovi Giudici sarà l’ulteriore promessa non mantenuta di un mondo – quello giudiziario – negletto e abbandonato? Quale risultato di giustizia sarà assicurato alle questioni più spinose: vedi la volontaria giurisdizione e la sospensiva della delibera condominiale?

Non è mancato chi esprimeva il suo rammarico e chiedeva il totale ripensamento della riforma con un ritorno all’esistente ritenuto addirittura migliore del progetto pubblicato. Senza sottolineare poi la riforma della stessa figura professionale del Giudice di pace. Innanzitutto il mortificante trattamento economico di un laureato cui si richiede di svolgere un ruolo di alto profilo per competenze e professionalità. L’impressione finale era quella della dismissione/rottamazione di un ruolo, una funzione; dell’interesse del cittadino ad avere giustizia. 

Passiamo ad esaminare il contenuto formale dello schema approvato. In particolare le disposizioni che riguardano l’attribuzione delle nuove competenze al Giudice di Pace in materia condominiale.

LA RIFORMA

Nel consiglio dei ministri del 5 maggio scorso è stato approvato lo schema di decreto legislativo in materia di riforma della magistratura onoraria proposto dal Ministro della Giustizia Orlando. Il provvedimento, emanato in attuazione della legge 29 aprile 2016, n. 57, prevede anche ulteriori disposizioni sulla figura professionale del giudice di pace, sui requisiti per il reclutamento, sulla durata dell’incarico, sul corrispettivo economico, nonché una disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari già in servizio. 

Per completezza di disamina, vediamo il dato testuale di cui all’art. 71-quater delle disposizioni per l’attuazione del codice civile: “Per controversie in materia di condominio, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l’attuazione del codice.

La domanda di mediazione deve essere presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione ubicato nella circoscrizione del tribunale nella quale il condominio è situato.

Al procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice.

Se i termini di comparizione davanti al mediatore non consentono di assumere la delibera di cui al terzo comma, il mediatore dispone, su istanza del condominio, idonea proroga della prima comparizione.

La proposta di mediazione deve essere approvata dall’assemblea con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice. Se non si raggiunge la predetta maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata.

Il mediatore fissa il termine per la proposta di conciliazione di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, tenendo conto della necessità per l’amministratore di munirsi della delibera assembleare”.

Non necessita di ulteriori precisazioni che la norma ha a riferimento l’obbligatorietà della preventiva procedura di mediazione in tutte le liti condominiali. Ma per dare un criterio di definizione di lite condominiale possiamo utilizzare un criterio soggettivo? Cioè sostenere che ogni qual volta è coinvolto il condominio vi è l’obbligo della mediazione? Così non è. Al contrario, anzi, il condominio a sua volta può trovarsi in rapporti contrattuali ed extracontrattuali in maniera non dissimile dagli altri soggetti giuridici. Per cui occorre delimitare la sfera delle competenze alla luce del criterio oggettivo dato dalle disposizioni normative.

LITI CONDOMINIALI

Prima di entrare nel merito della riforma occorre fare il punto sull’attuale situazione in materia di liti condominiali, che non si limitano a quelle, sebbene frequenti, che intercorrono tra condominio e singoli proprietari delle unità immobiliari ma possono intervenire anche tra l’ente condominiale e terzi, i quali interagiscano con il primo mediante rapporti di tipo contrattuale o extracontrattuale.

Nell’ambito delle obbligazioni nascenti da contratto assumono particolare rilevanza quelle derivanti dal rapporto di lavoro con il custode dello stabile, il quale è lavoratore subordinato alle dipendenze del condominio. Ma il condominio è anche titolare di obbligazioni nei confronti del conduttore del locale di proprietà condominiale, essendo tenuto al rispetto delle norme dettate in materia di locazione; ovvero dell’impresa di pulizia con la quale ha concluso un contratto, nel qual caso saranno applicabili le norme relative al contratto di appalto; dell’impresa che fornisce l’energia elettrica al fabbricato, ed allora saranno da applicare le regole relative alla fornitura di servizi; dell’impresa che abbia acquisito il diritto di posizionare alla sommità dell’edificio antenne per i servizi di telefonia mobile ovvero di installare sulla facciata cartelloni pubblicitari.

Parimenti, in capo al condominio possono nascere obbligazioni risarcitorie derivanti da rapporti extracontrattuali. Esse, più frequentemente, deriveranno dai danni provocati dalle parti comuni a terzi per la caduta di massi e calcinacci e per la presenza, nell’ambito delle zone condominiali, di insidie e trabocchetti. Per cui saranno da applicare le norme di cui all’art. 2043 o 2051 c.c. in materia di responsabilità.

Altre ipotesi di interazione con terzi rispetto al condominio sono quelle possibili tra due fabbricati, che abbiano in comune il muro di confine o che siano stati costruiti in aderenza o, ancora, che abbiano in comune aree antistanti.

Terzi sono anche gli enti territoriali ed eventuali liti potranno derivare dallo sprofondamento della strada, che provochi danni all’edificio in condominio, dalla interruzione dei servizi, dal corretto allacciamento alle fognature, dai lavori di ristrutturazione dell’edificio.

In tutti i casi sopra evidenziati, il condominio assumerà la veste di soggetto autonomo, nell’ambito della controversia, rispetto ai singoli condòmini e sarà rappresentato dal suo amministratore.

Gli esiti del giudizio impegneranno tutti i condòmini, fatti salvi gli effetti del dissenso alle liti, di cui all’art. 1132 c.c., e della ripartizione interna in base alle tabelle millesimali. Ma non saremo in presenza di liti cd. condominiali.

Una pur breve elencazione, benché senza esaustività, aiuterà a meglio comprendere gli infiniti casi che nella realtà quotidiana possono accadere.

* Liti tra condòmini di fabbricati confinanti:

– il muro di confine;

– aree antistanti comuni (regolamento della comunione).

* Liti tra condominio ed enti territoriali:

– sprofondamento della strada;

– interruzione dei servizi;

– allacciamento alle fognature;

– lavori di ristrutturazione del fabbricato.

* Liti tra condominio e terzi (rapporti contrattuali):

– il portiere;

– il conduttore di locale condominiale;

– installazione di antenne per telefonia;

– installazione di cartelloni pubblicitari;

– l’impresa di pulizia;

– l’impresa per la fornitura dell’energia elettrica.

* Liti tra condominio e terzi (rapporti extracontrattuali):

– caduta massi e calcinacci;

– insidie e trabocchetti;

– infortuni nell’ascensore.

Saranno invece devolute al Giudice di pace e quindi definite liti condominiali:

* Liti tra condominio e condomini

* Impugnative di delibere assembleari;

* Riparto delle spese;

* Impugnative dei provvedimenti dell’amministratore

* Modifica delle tabelle millesimali;

* Riscossione dei contributi.

REVOCA AMMINISTRATORE

Un discorso a parte merita l’attribuzione ai Giudici di pace del ricorso in sede di volontaria giurisdizione per la revoca dell’amministratore. Procedimento oggi svolto in Camera di Consiglio dal Tribunale in composizione collegiale. Testualmente:

  1. 1. Alle disposizioni per l’attuazione del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    a) all’articolo 51-bis, le parole “528, primo comma, 529 e 530, primo comma,” e le parole “620, secondo e sesto comma, 621, primo comma,”, nonché le parole “e 736, secondo comma,” sono soppresse;
    b) dopo l’articolo 51-bis è aggiunto il seguente:
    “51-ter I provvedimenti di cui agli articoli 639, 640 e 642 del codice sono adottati dal giudice di pace.”;
    c) all’articolo 57, il primo comma è sostituito dal seguente: “Le azioni previste dall’articolo 849 del codice sono di competenza del tribunale, in quanto non siano di competenza del giudice di pace a norma dell’articolo 7, quarto comma, del codice di procedura civile.”
    d) all’articolo 57-bis, le parole: “tribunale in composizione monocratica” sono sostituite dalle seguenti: “giudice di pace”;
    e) all’articolo 59, le parole “presidente del tribunale”, ovunque ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: “giudice di pace” e le parole “presidente della corte di appello” sono sostituite dalle seguenti: “tribunale”;
    f) dopo l’articolo 60 sono aggiunti i seguenti:
    “60-bis. Le domande previste dall’articolo 1105, terzo comma, del codice si propongono con ricorso al giudice di pace.
    60-ter . Sull’impugnazione del regolamento e delle deliberazioni, di cui agli articoli 1107 e 1109 del codice, è competente il giudice di pace.”;
    g) all’articolo 64, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1) al primo comma, le parole: “il tribunale” sono sostituite dalle seguenti: “il giudice di pace”;
    2) il secondo comma è sostituito dal seguente: “Contro il provvedimento del giudice di pace può essere proposto reclamo in tribunale entro dieci giorni dalla notificazione o dalla comunicazione.”

Per chiarire il concetto riportiamo il testo attualmente in vigore dell’art. 64 disp.att.c.c. 

“Sulla revoca dell’amministratore, nei casi indicati dall’undicesimo comma dell’articolo 1129 e dal quarto comma dell’articolo 1131 del codice, il tribunale provvede in camera di consiglio, con decreto motivato, sentito l’amministratore in contraddittorio con il ricorrente. Contro il provvedimento del tribunale può essere proposto reclamo alla corte d’appello nel termine di dieci giorni dalla notificazione o dalla comunicazione”.

Per cui abbiamo che anche i casi di revoca dell’amministratore, per gravi irregolarità, sono devoluti alla competenza del giudice di pace.

Ad una prima sommaria analisi ed interpretazione letterale, sembrerebbe che invece rimangono di competenza del Tribunale tutti gli altri casi di cui al quarto comma dell’art. 1105 c.c. perché il dato normativo prevede la devoluzione solo di quelli previsti dal terzo comma e non anche di quelli previsti al IV comma dello stesso articolo. Casi oggi similmente regolati dal procedimento di volontaria giurisdizione e cioè quelli dove: “Se non si prendono i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore”.

Infatti, non ho trovato nello schema di riforma anche il riferimento a questa disposizione (art. 1105 IV comma c.c.). Per tale motivo essi dovrebbero rimanere di competenza del Tribunale e disciplinati dal procedimento in camera di consiglio come accade oggi. 

In realtà, il disposto dell’art. 1139 c.c. di rinvio alle norme sulla comunione quando nelle norme sul condominio nulla è espressamente previsto, fa si che dall’interpretazione sistematica l’art. 1105 IV c.c. comma sia invece da ritenersi una norma applicabile al condominio e dunque anche i procedimenti ivi previsti passerebbero alla competenza esclusiva del giudice di pace. Tale lettura appare la più coerente anche alla luce di un indirizzo di riforma che vuole delineare un sistema che riconduce all’unità al fine di evitare ulteriori problemi applicativi.

IMU E TASI: IL 16 GIUGNO SCADE L’ACCONTO 2017. ALIQUOTE E MODALITÀ DI PAGAMENTO

[A cura di: Andrea Cartosio – istituto nazionale tributaristi]
È fissato per il prossimo 16 giugno il termine ultimo per il versamento dell’acconto 2017 relativo alle imposte Imu e Tasi, e ad oggi non risultano novità significative da segnalare rispetto alle modalità previste per il periodo d’imposta 2016. 
Il calcolo per la corresponsione delle imposte dovute dovrà avvenire attraverso l’applicazione delle aliquote e la fruizione delle relative detrazioni, deliberate dai Comuni per l’anno di imposta precedente, ossia l’anno 2016. Ciò non implicherà il versamento di Imu e Tasi utilizzando i dati immobiliari dell’anno precedente, ma sarà necessario prendere in considerazione la situazione immobiliare per l’anno corrente 2017 considerando tutte le relative movimentazioni avvenute da inizio anno quali compravendite, locazioni agevolate, variazioni di utilizzo e così via. 
Viene concessa facoltà al contribuente di poter decidere se adempiere al pagamento delle imposte in una unica soluzione corrispondendole interamente in sede di acconto utilizzando, ove presenti, le aliquote deliberate per l’anno 2017 da parte dei Comuni ed eventualmente conguagliando la differenza con il saldo del 16 dicembre c.a.. 
MODALITÀ DI VERSAMENTO
Il versamento dovrà avvenire attraverso modello F24 con i seguenti codici tributo:
Imu:
* 3912 abitazione principale e relative pertinenze
* 3913 fabbricati rurali ad uso strumentale
* 3914 terreni
* 3916 aree fabbricabili
* 3918 altri fabbricati
Tasi:
* 3958 abitazione principale e relative pertinenze
* 3959 fabbricati rurali ad uso strumentale
* 3960 aree fabbricabili
* 3961 altri fabbricati
LE ALIQUOTE
La normativa originaria prevede che l’aliquota di base dell’Imu sia fissata nella percentuale del 0,76%, la quale può essere “movimentata” in aumento o diminuzione dai singoli Comuni con uno scostamento di 0,3 punti percentuali. Tradotto in termini numerici, potrà andare da un minimo impositivo dello 0,46% ad un massimo del 1,06%. 
Restano esenti dall’applicazione delle imposte, anche per l’anno 2017, l’abitazione principale e relative pertinenze ad eccezione dei fabbricati di lusso. L’aliquota di base, prevista dalla normativa, per la corresponsione della TASI è pari all’1‰. Viene concessa anche in questa occasione facoltà ai singoli Comuni flessibilità sull’applicazione fino a consentir loro l’azzeramento dell’imposta. 
I Comuni in sede di delibera dovranno considerare il limite imposto dalla normativa secondo cui la sommatoria delle due imposte Imu e Tasi per ciascuna tipologia di immobile non potrà essere superiore a quanto stabilito dalla legge statale al 31 dicembre 2016.
Importante ricordare che, per quanto concerne i fabbricati invenduti dalle imprese di costruzione rivolti alla vendita e non locati, pertanto esenti da Imu, è prevista l’applicazione di un’aliquota Tasi del 1 per mille che potrà essere azzerata o aumentata dai singoli Comuni sino al 2,5 per mille.

USUFRUTTO AL FIGLIO DEL NUDO PROPRIETARIO E INTERESSI PASSIVI SUL MUTUO

Se il nudo proprietario concede al figlio l’usufrutto della casa può continuare a beneficiare della detrazione degli interessi passivi relativi al mutuo? Questo l’oggetto di un quesito inviato da un contribuente alla rubrica di posta fiscale di FiscoOggi, l’organo di stampa ufficiale dell’Agenzia delle entrate. Di seguito la risposta:

Dall’imposta lorda è possibile detrarre un importo pari al 19% degli interessi passivi e relativi oneri accessori (nonché delle quote di rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione) pagati in dipendenza di un mutuo ipotecario contratto per l’acquisto dell’unità immobiliare da adibire, entro un anno dall’acquisto stesso, ad abitazione principale, per un importo non superiore a 4mila euro (articolo 15, comma 1, lettera b, Tuir). Il nudo proprietario che ha stipulato il contratto di mutuo per l’acquisto della piena proprietà dell’immobile, qualora ne conceda l’usufrutto al figlio può esercitare la detrazione in esame calcolandola in relazione a tutti gli interessi pagati, rapportati all’intero valore dell’immobile, sempre che risultino soddisfatte tutte le altre condizioni richieste dalla legge (circolare 20/E del 13 maggio 2011, paragrafo 1.5, come richiamata dalla circolare 7/E del 4 aprile 2017, pagina 67).

A MAGGIO 2017 PREZZI DELLE CASE ANCORA IN CALO DELLO 0,6%

[A cura di: Idealista] Secondo l’indice mensile delle case di seconda mano del portale idealista.it il prezzo delle abitazioni in Italia è sceso dello 0,6% a maggio rispetto ad aprile, a una media di 1.863 euro/m². In termini annuali il calo è del 5,7%, il che denota un trend ancora chiaramente negativo sul fronte delle quotazioni immobiliari.
L’ultima rilevazione di maggio 2017 conferma il ridimensionamento delle aspettative da parte dei proprietari dopo un primo trimestre anch’esso contrassegnato dai ribassi (-1,3%) dell’usato. 
Il rallentamento non è uniforme sul territorio nazionale, mentre sotto traccia si fa strada il processo di stabilizzazione dei valori, con i 2/3 dei centri capoluogo monitorati con variazioni comprese tra l’1% e il meno 1%. 

Regioni

In un mese contrassegnato da ribassi, il mercato registra contrazioni in 14 macroaree su 20:

nel Lazio (-1,7%) le svalutazioni maggiori, seguito da Friuli Venezia Giulia (-1,4%), Emilia Romagna (-1,2%) e Campania (-1,1%). In controtendenza, il rimbalzo maggiore è in Calabria (1,1%), timidi recuperi anche in Lombardia (0,5%) e Puglia (0,4%). 

Con una media di 2.639 euro al metro quadro, la Liguria è la regione più cara seguita da Lazio (2.487 euro/mq) e Valle d’Aosta (2.458 euro/mq). La Calabria (933 euro/mq) è la regione più economica davanti a Molise (1. 028 euro/mq) e Basilicata (1.183 euro/mq).

Province

A maggio avanzano le aree in saldo negativo – ora sono 59 contro le 54 del mese scorso -, con Rovigo (-7,8%), Trieste (-6,7%) e Verbano-Cusio-Ossola (5,5%) a comandare a graduatoria dei ribassi.

All’opposto, le il picco delle rivalutazioni provinciali si raggiunge a Macerata (5,1%), Sondrio (5%) e nel biellese (3,3%). Come per i capoluoghi province su 3 registrano variazioni minime, comprese tra l’1% e il meno 1%, segno che anche nei centri più piccoli si va verso una graduale stabilizzazione dei valori. 

Savona (3.331 euro/mq) e Bolzano (3.138 euro/mq) si mantengono in cima al ranking dei prezzi a livello provinciale. Tra Biella, fanalino di coda con 682 euro, e Rieti (988 euro/mq) troviamo altre 12 province con prezzi 1.000 euro al metro quadro (L’Aquila non è rilevabile).

Grandi città e capoluoghi

In trend negativo dei prezzi delle case si evidenzia nella maggior parte dei capoluoghi italiani, penalizzando in special modo i proprietari di Trieste (-6%), Teramo (-4,5%) e Cuneo (-4,3%). 

I capoluoghi che presentano la variazioni più sensibili a rialzo sono invece Pordenone (5,3%), Latina (4,1%) e Verona (4,3%). 

Non sono esenti dai ribassi del mese appena trascorso i grandi centri, quasi tutti in terreno negativo a maggio a eccezione di Bologna (0,9%), Bari (0,2%) e Venezia (0,2%). Torino è stabile, giù tutti gli altri capoluoghi di regione da Palermo (-0,4%), a Napoli (-1,6%), passando per i significativi cali di Roma (-1,2%) e Milano (-0,8%). 

La graduatoria dei prezzi continua a essere comandata da Venezia con i suoi 4.368 euro al metro quadro davanti a Firenze (3.421 euro/mq) e Milano (3.377 euro/mq). Ultima nella graduatoria stilata dal portale idealista è Biella (727 euro/mq) davanti a Caltanissetta (796 euro/mq) e Gorizia (831 euro/mq). L’Aquila, non è rilevabile, mentre Gorizia Isernia e Nuoro non presentano il dato della variazione tendenziale in quanto rilevate per la prima volta.

L’indice dei prezzi degli immobili di idealista

Il portale immobiliare idealista è attualmente una delle pagine web più utilizzate in Italia da privati e professionisti immobiliari per la vendita, l’acquisto e l’affitto di immobili. Con una base dati di circa 1 milione di immobili l’ufficio studi idealista realizza analisi e studi relative al prezzo delle abitazioni nel nostro Paese dal 2007. 

Per la realizzazione di quest’indice sono stati analizzati i dati di 401.420 annunci immobiliari pubblicati su idealista nel mese di maggio del 2017; questi immobili hanno superato il controllo di qualità basato su informazioni come prezzo, dimensione, distribuzione e non duplicazione.

Per permettere una sufficiente standardizzazione dei risultati sono analizzati soltanto i comuni che hanno mantenuto una media costante di 50 o più annunci di case di seconda mano in vendita, nel corso del periodo di studio. I comuni che non hanno raggiunto questa media sono stati esclusi dal campione di analisi, al pari di quelli che hanno registrato una variazione di più del 30% del numero di annunci nel periodo dato.