Un interrogativo piuttosto comune quello che ha posto una contribuente alla rubrica di consulenza di FiscoOggi, organo d’informazione ufficiale dell’Agenzia delle Entrate. Tema: l’imposizione fiscale sugli alloggi in comodato. Ecco la domanda: “Sono proprietaria di due case nello stesso comune; una è la mia abitazione principale, nell’altra abita mia zia (contratto di comodato). Ai fini Irpef come è tassata la seconda abitazione?”
Come spiega Gennaro Napolitano, l’esperto che cura la rubrica, “Sono produttivi di reddito fondiario i fabbricati situati nel territorio dello Stato che sono o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto edilizio urbano (articolo 25 Tuir). Salvo i casi di esclusione previsti dalla legge, il reddito dei fabbricati deve essere esposto in dichiarazione dei redditi (quadro RB del modello Redditi PF e quadro B del 730) e deve essere calcolato per ciascun immobile, rapportandolo al periodo e alla percentuale di possesso. Gli immobili concessi in comodato non devono essere dichiarati dal comodatario, ma dal proprietario. I fabbricati diversi dall’abitazione principale pagano l’Imu, che sostituisce l’Irpef e le relative addizionali. Tuttavia, se gli immobili a uso abitativo non locati e assoggettati all’Imu sono situati nello stesso comune nel quale si trova l’immobile adibito ad abitazione principale, il relativo reddito concorre alla formazione della base imponibile Irpef e delle relative addizionali nella misura del 50% (articolo 9, comma 9, Dlgs 23/2011; circolare 11/E del 21 maggio 2014, paragrafo 1.2). Si ricorda che il reddito fondiario dei fabbricati (non locati) diversi dall’abitazione principale è costituito dalla rendita catastale rivalutata del 5% e che, nel caso in cui il proprietario abbia già un’abitazione principale, la maggiorazione di 1/3 non si applica quando l’immobile è concesso in uso gratuito a un familiare (coniuge, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo), che vi dimora abitualmente e vi ha l’iscrizione anagrafica”.
La decadenza dei benefici fiscali con i quali si era acquistato l’alloggio principale. È un tema costantemente all’ordine del giorno quello oggetto del quesito sottoposto da un contribuente alla rubrica di posta fiscale curata su FiscoOggi – la rivista ufficiale dell’Agenzia delle Entrate – dall’esperto Gennaro Napolitano. Di seguito la domanda e l’interpretazione.
IL QUESITO
Sto per vendere l’appartamento che ho comprato due anni fa usufruendo dei benefici prima casa e non ho intenzione di riacquistarne un altro. Oltre alla differenza d’imposta, dovrò pagare anche una sanzione?
LA RISPOSTA
La vendita dell’immobile acquistato usufruendo delle agevolazioni “prima casa” prima del decorso di cinque anni dalla data dell’acquisto comporta la decadenza dal regime di favore fruito. Alla decadenza, consegue l’obbligo per il contribuente di pagare le imposte nella misura ordinaria nonché una sanzione pari al 30%. La perdita del beneficio non opera qualora il contribuente, entro un anno dall’alienazione, proceda all’acquisto (anche a titolo gratuito) di un altro immobile da adibire a propria abitazione principale (nota II-bis, articolo 1, Tariffa parte I, Dpr 131/1986). Tuttavia, laddove sia ancora pendente il termine di un anno previsto per il nuovo acquisto e il contribuente, anche per motivi personali, si trovi nella condizione di non voler ovvero di non poter procedere all’acquisto di un nuovo immobile, lo stesso può comunicare la propria intenzione all’amministrazione finanziaria. A tal fine, è necessario presentare un’apposita dichiarazione all’ufficio presso il quale è stato registrato l’atto di vendita dell’immobile acquistato con le agevolazioni. Con tale dichiarazione il contribuente manifesta espressamente la sua intenzione di non voler procedere all’acquisto di un nuovo immobile entro l’anno e richiede contestualmente la riliquidazione delle imposte dovute. Successivamente, l’ufficio procede alla notifica dell’avviso di liquidazione dell’imposta dovuta (data dalla differenza tra quanto già pagato in misura agevolata e l’ammontare delle imposte in misura ordinaria) e degli interessi (calcolati a decorrere dalla data di stipula dell’atto di compravendita dell’immobile oggetto di agevolazione), senza applicare la sanzione del 30% (risoluzione 112/E del 27 dicembre 2012). Al contrario, decorso il termine di un anno dall’alienazione senza che il contribuente abbia proceduto all’acquisto di un nuovo immobile ovvero abbia comunicato al competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate l’intenzione di non voler più fruire del trattamento agevolativo, si verifica la decadenza dai benefici “prima casa”. In tale ipotesi, il contribuente potrà comunque accedere, ricorrendone i presupposti, all’istituto del ravvedimento operoso, presentando apposita istanza all’ufficio dell’Agenzia presso il quale è stato registrato l’atto, con la quale dichiarare l’intervenuta decadenza dall’agevolazione e richiedere la riliquidazione dell’imposta e l’applicazione delle sanzioni in misura ridotta (risoluzione 105/E del 31 ottobre 2011).
[A cura di: Daniela Buonocore – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate]
L’Agenzia delle Entrate fornisce ulteriori chiarimenti sul nuovo metodo di presentazione delle dichiarazioni di successione e delle domande di volture catastali, e in un articolo pubblicato sull’organo di informazione ufficiale, FiscoOggi, a firma di Daniela Buonocore, dedica un focus al meccanismo delle integrazioni/modifiche e sostituzioni di dichiarazioni già inviate, per cui vale il principio “vecchio con vecchio” e “nuovo con nuovo”, sia con riguardo alla modulistica da utilizzare che alla metodologia da seguire.
DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA DI UNA PRECEDENTEMENTE PRESENTATA
Se deve essere presentata una dichiarazione che modifica una precedentemente inviata con il nuovo modello, per la medesima successione, bisogna utilizzare sempre il nuovo modello e compilare la relativa casella “dichiarazione sostitutiva” presente sul frontespizio, riportando gli estremi di registrazione della prima dichiarazione di successione (anno, volume e numero). Qualunque modifica potrà essere operata con una sostituzione integrale della dichiarazione già inviata.
Diversamente, nel caso vi sia la necessità di presentare una dichiarazione integrativa, sostitutiva o modificativa di una dichiarazione presentata con il precedente modello 4 (cartaceo), occorrerà continuare a utilizzare tale modulistica, seguendo le relative modalità di presentazione. In questo caso, ad esempio, il modello 4 cartaceo dovrà essere presentato all’ufficio territoriale presso cui era stata presentata la dichiarazione che si intende modificare, integrare o sostituire.
La scelta del suddetto principio nasce dalle notevoli differenze espositive, nonché contenutistiche tra i due modelli dichiarativi; tali differenze, quindi, si riflettono anche sulla struttura delle relative banche dati che rimangono, pertanto, distinte. Si dovrà, quindi, presentare la “dichiarazione sostitutiva” anche per modificare o integrare la precedente dichiarazione nel caso in cui:
* occorre inserire nell’asse ereditario altri beni che non sono stati indicati nella dichiarazione principale;
* sopravviene un evento che dà luogo a mutamento della devoluzione dell’eredità o del legato ovvero ad applicazione delle imposte in misura superiore (tranne i casi in cui, successivamente alla presentazione della dichiarazione di successione, sopravviene l’erogazione di rimborsi fiscali, nonché nei casi previsti in materia di alienazione di beni culturali – articolo 13, comma 4, del Tus);
* si presenta la necessità di modificare i dati identificativi degli eredi, degli immobili, il loro valore e/o la misura delle quote.
Nel presentare la dichiarazione sostitutiva, occorre compilare anche i quadri non soggetti a modifica, in quanto la precedente dichiarazione viene integralmente sostituita. La dichiarazione sostitutiva può essere inviata telematicamente solo dal dichiarante che ha presentato la precedente dichiarazione che si intende sostituire. La modifica della dichiarazione precedentemente inviata è possibile oltre il termine di presentazione della dichiarazione, se l’ufficio non ha ancora notificato l’avviso di liquidazione e/o rettifica della maggiore imposta e, comunque, non oltre il termine previsto per la notificazione dell’avviso.
Sono state previste tre tipologie di dichiarazioni sostitutive:
* dichiarazione che, per effetto delle modifiche alla precedente, comporta una nuova trascrizione e voltura (ad esempio, variazione dei dati di uno o più beneficiari, dei dati catastali, del valore dell’immobile). Per tale dichiarazione occorre indicare il codice “1” nel relativo campo del frontespizio;
* dichiarazione che, per effetto delle modifiche alla precedente, non comporta una nuova trascrizione e voltura (ad esempio, se si devono apportare modifiche o integrazioni che non riguardano beni immobili, come nel caso dell’indicazione di conti correnti). Per tale dichiarazione occorre indicare il codice “2” nel relativo campo del frontespizio;
* dichiarazione con cui si vuole esclusivamente integrare o modificare gli allegati presentati con la precedente dichiarazione. In questo caso, bisogna presentare solo il frontespizio e il quadro tramite il quale allegare la documentazione integrativa o modificativa della precedente (quadro EG). Per tale dichiarazione occorre indicare il codice “3” nel relativo campo del frontespizio.
Quest’ultima tipologia rappresenta un importante elemento di novità nonché di semplificazione degli adempimenti tributari per il cittadino, unitamente alle disposizioni contenute nel decreto legislativo 175/2014, che permette l’allegazione alla dichiarazione di successione di copie non autentiche in luogo di quelle autentiche, limitatamente ai documenti previsti alle lettere c), d), g), h) e i), comma 1 dell’articolo 30 del Tus. Si ricorda, infatti, che la citata norma ha espressamente previsto, per le suddette casistiche, la possibilità di allegare alla dichiarazione di successione le copie non autentiche, purché accompagnate dalle relative dichiarazioni sostitutive di atto notorio attestanti che le stesse costituiscono copie degli originali, facendo comunque salva la facoltà dell’Agenzia delle Entrate di richiedere l’originale o la copia autentica, qualora lo ritenga necessario.
La dichiarazione sostitutiva contenente solo allegati, infatti, dà la possibilità al dichiarante di regolarizzare la dichiarazione precedentemente inviata, ripresentando autonomamente, senza doversi necessariamente recare all’ufficio territoriale competente, eventuali allegati che risultano non corretti o incompleti (allegato illeggibile, non coerente, eccetera); tale dichiarazione sostitutiva non dà luogo a nuova trascrizione e voltura. In questo modo, il cittadino verrà aiutato a regolarizzare la documentazione allegata alla dichiarazione con la compilazione del solo frontespizio, l’indicazione dei riferimenti della dichiarazione di successione oggetto di integrazione (anno, volume e numero) e l’allegazione dei file dei documenti da integrare, in luogo di una dichiarazione sostitutiva che necessita di tutti i quadri precedentemente compilati anche se non oggetto di modifica.
DICHIARAZIONI SUCCESSIVE ALLA PRIMA
Se, successivamente all’invio della dichiarazione, un soggetto diverso dal dichiarante (ad esempio, uno degli altri coeredi/chiamati all’eredità) voglia, per la stessa successione, procedere in via autonoma all’invio di una propria dichiarazione, dovrà necessariamente recarsi all’ufficio territoriale competente, che ne curerà l’invio telematico. La dichiarazione di successione presentata e trasmessa dall’ufficio competente viene classificata come una “seconda prima dichiarazione” mantenendo, quindi, una valenza dichiarativa autonoma e distinta rispetto a quella già presentata da un altro coerede; pertanto, dovranno essere regolarmente pagate le imposte, tasse e tributi previsti come se fosse una “prima” dichiarazione.
Eccezione a tale regola è ammessa nel caso di una successione testamentaria in cui sono presenti dei legati. Infatti, al legatario viene data la facoltà di presentare “da casa” la dichiarazione di successione, senza quindi recarsi all’ufficio territoriale competente, indipendentemente dalle modalità con cui gli altri beneficiari dell’eredità decidano di adempiere all’obbligazione tributaria posta a loro carico.
La scelta di differenziare le modalità di presentazione della dichiarazione di successione, in funzione del soggetto dichiarante (dichiarante che ha inviato per primo la dichiarazione di successione oppure no), nasce dall’esigenza di gestire in maniera chiara e tracciabile alcune frequenti situazioni di contrasto (anche giudiziale) tra i diversi beneficiari dell’eredità e di garantire una maggiore “pulizia” delle informazioni contenute nella relativa banca dati, che verrà alimentata esclusivamente dalle dichiarazioni di successione presentate utilizzando il nuovo modello. Non bisogna dimenticare, infatti, che la dichiarazione di successione ha una valenza esclusivamente fiscale e non civilistica, pertanto eventuali “dispute ereditarie” non possono dare vita a controproducenti sovrapposizioni dichiarative che sino a oggi si sono susseguite in modo spesso “frenetico”.
[A cura di: avv. Rodolfo Cusano]
A ciascun partecipante all’assemblea di un condominio deve riconoscersi il diritto di manifestare la propria volontà non soltanto mediante l’espressione conclusiva del voto, con assenso, dissenso o astensione sulla proposta contenuta nell’ordine del giorno, ma anche mediante l’intervento nella discussione, al fine di portare a conoscenza degli altri presenti le ragioni del proprio voto.
La lesione di tale diritto spiega effetti invalidanti non sulla costituzione dell’assemblea – non essendo equiparabile al mancato invito di quel partecipante all’assemblea medesima – ma sulla deliberazione adottata, la quale resta impugnabile a norma dell’articolo 1137 c.c. (Cass. 2893/1984 e 1510/1999).
LA SENTENZA
L’occasione di approfondire un argomento tanto scottante quanto semisconosciuto quale quello relativo ai rapporti tra il condomino ed il suo rappresentante in assemblea è stata la sentenza n. 11287 del 14 ottobre 2016 emessa dalla Sez. 6 del Tribunale di Milano. Il fatto che, ancora oggi a distanza di ormai tre anni e più dall’entrata in vigore della riforma, molte delibere sono approvate da condòmini privi di delega scritta impone una riflessione sugli effetti del difetto di rappresentanza nei confronti del rappresentato nonché nei confronti del terzo condominio.
Sia pure per una fattispecie diversa e relativa ad un contratto di fido bancario stipulato dall’amministratore con la Banca (omissis) per il quale era sprovvisto del relativo mandato e che non era mai stato ratificato dall’assemblea, il Tribunale di Milano ha prima enucleato le disposizioni codicistiche alle quali occorre far riferimento per la giusta osservazione dell’Istituto:
“Preliminarmente, va chiarito che la norma di cui all’art. 1711 c.c. rappresenta una specifica espressione della regola generale dettata dall’art. 1388 c.c., che consente la produzione degli effetti di un contratto concluso dal rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato direttamente in capo a questi, a condizione che non siano violati i limiti delle facoltà conferite, pena l’invalidità del contratto, in difetto di successiva ratifica da parte del mandante. La tutela del terzo contraente che abbia fatto incolpevole affidamento sulla sussistenza dei poteri di rappresentanza del falsus procurator è fornita dall’art. 1398 c.c., che obbliga quest’ultimo a tenere il primo indenne dai danni sofferti, nonché dall’art. 1711 c.c. stesso, che pone l’atto compiuto in difetto di rappresentanza a carico del mandatario infedele”.
E poi ha stabilito che: “la effettiva sussistenza del potere di rappresentanza in capo a colui che ha speso il nome altrui integra un elemento costitutivo della pretesa fatta valere dalla Banca, di modo che il contratto concluso dal falsus procurator è di per sé inefficace nei confronti de condominio, salvo l’esercizio da parte dello pseudo rappresentato del diritto potestativo di imputarsi il contratto tramite la ratifica. In altre parole, il difetto di rappresentanza non è un fatto impeditivo dell’efficacia del contratto, ma al contrario è la sussistenza di un valido potere di rappresentanza a costituire un requisito necessario affinché il contratto concluso dal rappresentante in nome e per conto del rappresentato produca direttamente effetto nei confronti di quest’ultimo (cfr. Cass. SS.UU. n. 1137/2015). Ne consegue che, una volta accertata la violazione dei limiti del mandato e il difetto di una ratifica successiva, l’atto compiuto resta a carico del falsus procurator a prescindere dalla diversa apparenza su cui il terzo contraente aveva fatto affidamento, per quanto esente da alcun rimprovero di negligenza o imprudenza”.
LA DELEGA
Ciò premesso, occorre ricordare che in condominio l’articolo 67 disp. att. c.c., come sostituito dalla L. 220/2012, dispone che «Ogni condomino può intervenire all’assemblea anche a mezzo di rappresentante, munito di delega scritta». Si regola così l’istituto giuridico della «rappresentanza» con il quale un soggetto conferisce incarico, tramite un atto, ad un altro soggetto di rappresentarlo. L’atto con cui una persona attribuisce ad un terzo il potere di rappresentarlo in ambito condominiale viene chiamato «delega».
Prima della riforma, in mancanza di espressa previsione legislativa, si applicava il principio della libertà delle forme, per cui la delega poteva essere rilasciata sia in forma orale che in forma scritta. La riforma, invece, ha ora previsto obbligatoriamente che la delega sia rilasciata nella forma scritta. Per cui la delega orale è inutiliter data.
In realtà, ancora oggi, quasi sempre nelle assemblee di condominio capita di assistere a situazioni non in regola con la norma invocata, laddove: la delega è conferita solo verbalmente ovvero non è conferita affatto, ma il delegato partecipa ugualmente ed esprime il voto in nome del condomino rappresentato. Così come può pure accadere che il delegato non rispetti le istruzioni ricevute ed esprima un voto che è in contrasto con la volontà del condomino rappresentato.
CONSEGUENZE
In questi casi anche alla luce dell’insegnamento della suddetta sentenza del Tribunale di Milano, quali sono le conseguenze di tali comportamenti? Dobbiamo ritenere che il condomino che è stato rappresentato in assemblea da un cosiddetto “falsus procurator” può scegliere o di impugnare la delibera o di ratificare (manifestazione di volontà del rappresentato diretta ad approvare l’operato del rappresentante che può essere tacita o espressa) il comportamento del falsus procurator.
La Cassazione nell’esaminare un caso simile (Cass. 4531/2003) ha stabilito che «in materia di delibere condominiali i rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato sono disciplinati dalle regole sul mandato, con la conseguenza che l’operato del delegato nel corso dell’assemblea non è nullo e neppure annullabile, ma inefficace nei confronti del delegante fino alla ratifica di questi».
Il condomino falsamente rappresentato può anche decidere di non ratificare l’operato del falsus procurator ed agire in via giudiziaria per far valere l’inefficacia della delibera. In questo caso il condomino può anche pretendere che il voto del delegato non venga preso in considerazione ai fini del calcolo dei quorum costitutivi e deliberativi.
È pur vero che l’amministratore di condominio, al fine di risolvere il problema, potrà convocare una nuova assemblea ed adottare nuovamente la delibera, ma è altrettanto vero che il regime delle spese del giudizio sarà deciso secondo il principio della cd. “soccombenza virtuale”. Da ciò un sicuro danno almeno per le spese. Ebbene, in tale evenienza, lo stesso condominio potrà chiedere ed ottenere il risarcimento dei danni subiti direttamente al falsus procurator non solo quelli per le spese giudiziali ma anche ogni altro danno che possa essersi verificato per l’illegittimo comportamento del delegato.
[A cura di: Lilia Chini – FiscoOggi, Agenzia delle Entrate]
Semplice, non richiede calcoli da parte del contribuente, consente il rimborso d’imposta direttamente nella busta paga di luglio o nel rateo di pensione di agosto/settembre, può essere utilizzato anche nella forma precompilata predisposta dall’Agenzia. La bozza del modello 730/2017, con le relative istruzioni, è già consultabile sul sito delle Entrate. Numerose le novità normative, soprattutto riguardanti agevolazioni, che hanno trovato spazio e concreta attuazione nel modello. In primis va comunque segnalato il termine di presentazione della precompilata, che resta fissato al 7 luglio se ci si rivolge al proprio sostituto d’imposta oppure a un Caf o a un professionista, ma che è posticipato al 23 luglio, in caso di presentazione diretta all’Agenzia delle Entrate. Di seguito le principali annotazioni relative in senso lato al settore della casa.
Terreni di coltivatori diretti. In sede di determinazione dei redditi dominicale e agrario dei terreni, per quelli posseduti e condotti da coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola, non va effettuata l’ulteriore rivalutazione che, nel 2015, si applicava nella misura del 10 per cento.
Bonus anche dalla videosorveglianza. L’agevolazione, prevista dalla Stabilità 2016 consiste in un credito d’imposta riconosciuto alle persone fisiche che, per prevenire attività criminali, installano sistemi di videosorveglianza o di allarme oppure stipulano contratti con istituti di vigilanza in relazione a immobili residenziali. Per gli edifici a uso promiscuo, cioè sia personale che per l’attività lavorativa, il bonus è ridotto al 50 per cento.
Arredo delle abitazioni delle giovani coppie. Si tratta dell’incentivo, introdotto anch’esso dalla Stabilità 2016, a favore delle giovani coppie per l’acquisto di mobili destinati all’arredo della loro abitazione principale: la detrazione è pari al 50% delle spese sostenute nel 2016, fino a un tetto di 16mila euro, e deve essere fruita in dieci quote annuali di pari importo. L’agevolazione riguarda giovani coppie, sposate o conviventi di fatto da almeno tre anni, in cui almeno uno dei due componenti non ha più di 35 anni e che nel 2015 o nel 2016 hanno acquistato un immobile da adibire a propria abitazione principale.
Prorogate le agevolazioni per i lavori in casa. Prorogata per il 2016 la misura maggiorata del “bonus ristrutturazioni”: lo sconto è pari al 50% (anziché l’ordinario 36%) delle spese sostenute, fino all’importo massimo di 96mila euro, anziché i 48mila euro fissati dalla norma a regime. Confermato anche il “bonus mobili”, che vale il 50% delle spese sostenute, fino a un tetto di 10mila euro, per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici finalizzati all’arredo dell’immobile oggetto di interventi di recupero edilizio agevolati al 50%. Anche la detrazione per i lavori di riqualificazione energetica è confermata nella misura maggiorata del 65 per cento.
Canoni di leasing per abitazione principale. Arriva sempre dalla Stabilità 2016 la detrazione Irpef del 19% dell’importo dei canoni di leasing pagati nel 2016 per l’acquisto di unità immobiliari da destinare ad abitazione principale entro un anno dalla consegna, spettante ai contribuenti che, alla data di stipula del contratto, avevano un reddito non superiore a 55mila euro. Il beneficio spetta fino a un importo massimo di 8mila euro (4mila, se si hanno 35 o più anni), relativamente ai canoni di leasing, e di 20mila euro (10mila, per i contribuenti dai 35 anni in su), in riferimento al prezzo di riscatto pagato nel 2016.
Iva per l’acquisto di abitazioni “energetiche”. Sconto fiscale per le persone fisiche che, nel 2016, hanno comprato dall’impresa costruttrice un’abitazione di classe energetica A o B. Per loro, la possibilità di detrarre dall’Irpef lorda, fino a concorrenza del suo ammontare, il 50% dell’Iva pagata in relazione all’acquisto. Il beneficio va suddiviso in dieci quote costanti.
Dispositivi multimediali per il controllo da remoto. È una new entry anche la detrazione del 65% delle spese sostenute per l’acquisto, l’installazione e la messa in opera di dispositivi multimediali per il controllo a distanza degli impianti di riscaldamento e/o produzione acqua calda e/o climatizzazione delle unità abitative.
“Con quali modalità è necessario comunicare al conduttore la rinuncia agli aggiornamenti del canone in caso di opzione per il regime della cedolare secca?”. Questo il quesito sottoposto da un contribuente alla rubrica di posta fiscale curata su FiscoOggi – la rivista ufficiale dell’Agenzia delle Entrate – dall’esperto Gennaro Napolitano. Di seguito la sua risposta.
R. Nel caso in cui il locatore eserciti l’opzione per l’applicazione della cedolare secca, è sospesa, per un periodo corrispondente alla durata dell’opzione, la facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone, anche se prevista nel contratto a qualsiasi titolo, inclusa la variazione accertata dall’Istat dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nell’anno precedente (articolo 3, comma 11, Dlgs 23/2011). Quindi, per poter beneficiare della cedolare secca, il locatore deve comunicare preventivamente al conduttore, tramite lettera raccomandata, la scelta del regime alternativo e la conseguente rinuncia, per il corrispondente periodo di durata dell’opzione, a esercitare la facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone a qualsiasi titolo. È esclusa la validità della raccomandata consegnata a mano, anche con ricevuta sottoscritta dal conduttore. La comunicazione deve essere inviata al conduttore prima di esercitare l’opzione per la cedolare secca e, pertanto, in linea generale, prima di procedere alla registrazione del contratto ovvero prima del termine di versamento dell’imposta di registro per le annualità successive. Qualora, in sede di proroga, il locatore confermi l’opzione per la cedolare secca, dovrà rinunciare, con le medesime modalità, agli aggiornamenti del canone anche per il periodo di durata della proroga. La comunicazione non è richiesta per i contratti di locazione nei quali è espressamente prevista una clausola di rinuncia agli aggiornamenti del canone e per i contratti di durata complessiva nell’anno inferiore a 30 giorni. Infatti, in relazione a tali contratti di breve durata, per i quali non vige l’obbligo della registrazione in termine fisso, non opera il meccanismo di aggiornamento del canone (circolare 20/E del 4 giugno 2012, paragrafi 8 e 9). Si ricordi, infine, che le disposizioni concernenti la sospensione della facoltà di chiedere gli aggiornamenti del canone e la relativa comunicazione non sono suscettibili di modifiche in via convenzionale tra le parti (articolo 3, comma 11, ultimo periodo, Dlgs 23/2011).
[A cura di: avv. Rodolfo Cusano]
Nel momento in cui nasce il condominio i soggetti, titolari di una quota di proprietà piena ed esclusiva, divengono nel contempo contitolari di parti e cose comuni ed indivise. Da ciò nasce l’esigenza di una norma regolamentare (regolamento condominiale) tesa non solo a disciplinare l’uso dei beni comuni ma anche a determinare le sanzioni per la sua inosservanza.
Nell’amministrare un condominio ci si può imbattere in una triplice eventualità:
* esiste un regolamento approvato a maggioranza dall’assemblea condominiale (regolamento assembleare);
* manca un regolamento condominiale;
* esiste un regolamento predisposto dal costruttore, che ha carattere convenzionale e che vincola tutti i successivi acquirenti (regolamento contrattuale).
Circa la prima evenienza, il regolamento può e deve essere formato dall’assemblea, quando i condòmini sono superiori a dieci, con l’intervento favorevole della maggioranza statuita all’articolo 1136, comma 2, c.c. In questo caso il regolamento prende il nome di regolamento assembleare o di regolamento approvato a maggioranza. Tale regolamento deve avere un contenuto necessario, consistente in un complesso di norme destinate a regolare l’uso delle cose comuni, la loro amministrazione, la ripartizione delle relative spese, la tutela del decoro nell’edificio.
Nella seconda ipotesi (mancanza di regolamento condominiale) si deve distinguere tra condominio composto da più di dieci condòmini e condominio che non supera detto numero. Infatti, solo se i condòmini sono più di dieci il regolamento è obbligatorio ai sensi dell’articolo 1138 c.c., il quale statuisce, per converso, la mera facoltatività dell’adozione del regolamento condominiale nel caso in cui i condòmini siano inferiori ad undici. In tale ultimo caso la vita condominiale sarà comunque regolata dalle norme del codice civile ed in particolare, dagli articoli dal 1117 al 1139 nonché dalle disposizioni di attuazione del codice civile (articoli dal 61 al 72) e da eventuali leggi speciali.
Si parla, invece, di regolamento contrattuale quando è lo stesso costruttore del caseggiato che impone, già negli atti di vendita, attraverso i quali si forma il condominio, il relativo regolamento. La stessa situazione si verifica quando il regolamento è predisposto dall’unico originario proprietario, prima che le diverse unità immobiliari siano cedute a terzi. Generalmente detto regolamento, anche se non inserito testualmente nel contratto di compravendita, ne fa parte integrante, purché espressamente richiamato ed approvato (Cass. 5769/1978; sulla natura del regolamento contrattuale cfr. Cass. 12291/2011).
Il regolamento contrattuale così predisposto, oppure approvato con il consenso unanime dei condòmini, può contenere limitazioni – di carattere generale ed astratto oppure particolare – in ordine all’uso della cosa comune ed anche attribuire ai titolari di alcune unità immobiliari diritti maggiori rispetto ad altri o prevedere servitù sui beni in comune o vincoli di destinazione alle proprietà singole.
CLAUSOLA IN BIANCO
Cosa accade se invece di predisporlo prima delle vendite il costruttore lo redige in un momento successivo alle vendite e nelle stesse si fa rilasciare solo un mandato alla redazione dagli acquirenti? In tale particolare evenienza la Cassazione, fin dalla sentenza n. 506 del 1975, ebbe a ritenere perfettamente valida la cd. clausola in bianco. La Suprema Corte motivò tale assunto sulla circostanza che il carattere contrattuale della fattispecie non richiedeva la contestuale conoscenza, al momento della stipulazione del contratto di acquisto, anche del regolamento di condominio, potendo detta conoscenza essere anteriore o posteriore quando, comunque, il contratto contenga l’impegno ad osservare il regolamento stesso.
Non sono mancate pronunce di segno opposto (Cass. 16.02.2005 n. 3104 e Cass. 11.04.2014 n. 8606) con le quali si è sostenuto che l’incarico conferito al costruttore di predisporre il regolamento unitamente all’obbligo assunto nel contratto di compravendita di rispettare il regolamento di condominio non può essere assunto come approvazione di un regolamento allo stato inesistente.
Sul punto, premesso che il regolamento di condominio in tal caso fonda su una iniziativa del solo costruttore, poi approvata direttamente o indirettamente dai condòmini, ci sembra più convincente l’interpretazione della dottrina ( cfr. G. Terzago -Giuffrè 2015 pagg. 471 e ss) la quale ha invece ritenuta del tutto legittima la delega al costruttore per la predisposizione del regolamento. Il ragionamento operato per fondare tale tesi ha ritenuto che le disposizioni contenute nel regolamento condominiale non possono mai essere contrarie ai principi previsti dagli artt. 1118, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137 del codice civile né a quelli indicati dagli artt. 63, 66, 67, 69 e 155 delle disp. att. c.c. (norme inderogabili); né possono menomare i diritti derivanti ai condòmini dai singoli atti di acquisto delle unità immobiliari o dalle convenzioni, né possono derogare ai principi espressi negli artt. 1117, 1123, 1124, 1125 e 1126 c.c. a proposito dei beni in comune e del riparto delle spese.
Dette norme, a loro volta, qualora contrarie a tali principi, possono essere ritenute o nulle fin dall’inizio o annullabili. Per tale motivo avremo nullità immediata solo per le clausole che violando principi inderogabili si pongono di fatto come contrarie agli interessi dell’ordinamento. Per le altre, pur a volerle ritenere contrarie alla legge, esse vengono sanzionate con la mera annullabilità. Proprio per tale motivo esse possono essere sanate, perché in difetto di impugnativa l’atto annullabile conserva definitivamente la sua efficacia. In virtù di tale considerazione, unita a quella che ciò non deve necessariamente accadere perché può ben essere che il regolamento del costruttore contenga solo clausole conformi ed integrative/conformi ai principi dell’ordinamento, non vi è motivo per non voler riconoscere validità all’incarico conferito al costruttore di redigere l’emanando regolamento.
Per cui, in conclusione, non solo l’incarico alla redazione comporta anche l’obbligo di approvarlo ma non si può parlare affatto di regolamento inesistente.
Per completezza di disamina occorre però dire che, qualora il proprietario dell’edificio introducesse clausole atipiche, il condomino può sempre rifiutare di accettare quelle che comportano assunzione di obblighi o limiti ai propri diritti. Infatti, egli ha sempre la possibilità di impugnarle davanti al Giudice competente. Senza dimenticare che, nel caso de quo, attesa la natura di imprenditore del costruttore e la natura di consumatore dell’acquirente, si applica anche la normativa prevista dal Codice del Consumo (art. 33 e 37) ed in particolare la direttiva n. 93/13/CEE recepita tramite la novellazione dell’art. 1469 c.c. che sanziona con la non vincolatività l’introduzione di clausole vessatorie che non siano state sottoposte non solo preventivamente all’attenzione della controparte, ma anche in modo che essa potesse rendersi conto, effettivamente, della portata del loro contenuto precettivo. Anche per tale motivo, quand’anche nel regolamento predisposto dal costruttore vi fossero clausole limitative della proprietà, esse sarebbero inutiliter data non essendo state oggetto di specifica attenzione e trattativa tra le parti.
IL DIVIETO DI DESTINAZIONE DEGLI IMMOBILI
Abbiamo già detto come il regolamento contrattuale può essere predisposto dall’unico, originario proprietario, che lo impone ai neo acquirenti all’atto della stipula dei contratti di compravendita.
Al riguardo, l’articolo 1138 c.c. non vieta né espressamente, né tacitamente, la facoltà d’inserire nei regolamenti condominiali, predisposti dall’unico originario proprietario, disposizioni relative a riserve di diritti esclusivi di proprietà su determinate parti dell’immobile. Tali disposizioni, quando sono espressamente accettate dagli acquirenti che approvano il regolamento, assumono carattere di convenzioni, e come tali sono vincolanti sia per gli acquirenti medesimi, sia per i partecipanti al costituendo condominio, risultando opponibili anche ai terzi se trascritte (Cass. n. 1681/1983). La caratteristica saliente di tali convenzioni è che esse possono anche vietare una o più possibili destinazioni degli immobili condominiali.
Tali pesi e limitazioni non possono essere contenuti nei regolamenti approvati dall’ assemblea. Infatti, è indirizzo costante della giurisprudenza (Cass. nn. 899/1972 e 2305/1978), quello di escludere ogni possibilità, per i regolamenti assembleari, di disciplinare il diritto di usare e di godere del proprio appartamento: vengono così proibite, tra le altre, tutte quelle disposizioni in tema di divieto di destinazione od uso diverso da quello di abitazione.
Premesso che i divieti e le limitazioni posti dal regolamento contrattuale alle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condòmini, come per esempio i vincoli ad una determinata destinazione o il divieto di mutare quella originaria, devono essere formulati in modo chiaro e contenere sia l’elencazione delle attività vietate sia il riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare (Cass. n. 6299/2015), a tali divieti va data una interpretazione restrittiva, poiché essi vanno a ridurre la libera disponibilità della proprietà privata. L’interpretazione restrittiva comporta che solo le destinazioni espressamente indicate saranno vietate, mentre tutte le altre saranno permesse senza possibilità di interpretazione estensiva o analogica.
Ciò posto, con sentenza n. 14898/2013 la Suprema Corte ha stabilito che il regolamento predisposto dall’originario unico proprietario del complesso di edifici e accettato dagli acquirenti nei singoli atti di acquisto, qualora trascritto nei registri immobiliari, vincola tutti i successivi acquirenti senza limiti di tempo, non solo relativamente alle clausole che disciplinano l’uso ed il godimento dei servizi e delle parti comuni, ma anche per quelle che restringono i poteri e le facoltà sulle loro proprietà esclusive.
Sul punto, la Cassazione, con sentenza n. 17493 del 31 luglio 2014, ha anche affermato che non è sufficiente la trascrizione del regolamento contrattuale per dichiararne l’automatica opponibilità ai futuri acquirenti, occorrendo bensì precise modalità di compilazione della nota, con l’indicazione specifica e autonoma dei vincoli e delle restrizioni dei diritti dei singoli sulle parti di proprietà comune ed esclusiva, come nel caso della previsione di servitù reciproche o di altri diritti reali. Infatti, a dire della Corte: “L’art. 2659 c.c. va interpretato in uno all’art. 2655 c.c. Ne consegue che dalla nota di trascrizione deve risultare non solo l’atto di cui si chiede la trascrizione ma anche il mutamento giuridico che l’atto produce. Pertanto, nel caso di regolamento di condominio c.d. contrattuale, non basta indicare il medesimo, ma occorre indicare le clausole di esso incidenti in senso limitativo sui diritti dei condòmini sui beni condominiali o sui beni di proprietà esclusiva.”
Detto onere di specificità della nota di trascrizione è stato recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 21024 del 18 ottobre 2016, la quale ha affermato che: “Il regolamento di condominio predisposto dall’originario unico proprietario dell’intero edificio, ove accettato dagli iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, assume carattere convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti non solo con riferimento alle clausole che disciplinano l’uso o il godimento dei servizi o delle parti comuni, ma anche a quelle che restringono i poteri e le facoltà dei singoli condòmini sulle loro proprietà esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca (Cass. n. 3749/99; conforme, con riguardo ad un’ipotesi di supercondominio, Cass. n. 14898/13)”. Conseguentemente, la Suprema Corte ha ritenuto che in materia di regolamento condominiale convenzionale, la previsione ivi contenuta di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, incidendo non sull’estensione ma sull’esercizio del diritto di ciascun condomino, debba essere ricondotta alla categoria delle servitù atipiche, e non delle obligationes propter rem.
Detta affermazione viene poi motivata con:
1) l’assenza “dell’agere necesse” nel soddisfacimento di un corrispondente interesse creditorio, che connota invece l’obbligazione anche se avente ad oggetto un non facere;
2) l’incompatibilità dell’istituto con lo schema obbligatorio della reciprocità tra i condòmini di tali limiti. Questa, infatti, ove riferita alle obbligazioni comporta che ciascun soggetto del rapporto assume ad un tempo entrambe le posizioni, debitoria e creditoria, in virtù di una causa di scambio, la quale, a sua volta, ha ad oggetto delle utilità differenti. Mentre, invece, nel caso in esame non vi può essere obbligazione reciproca, perché ciascuno deve all’altro un eguale speculare a quello cui questi è tenuto verso di lui;
3) non vi osta, invece, il fatto che il vantaggio e lo svantaggio che ne derivano, soddisfacendo per lo più un interesse inerente alla sfera personale, riguardino più che i fondi coloro che a qualunque titolo ne godano. Una tale conseguenza non è estranea alle servitù, soprattutto a quelle negative, in cui l’interferenza di interessi personali (si pensi alla servitù inaedificandi o altius non tollendi) non fa venir meno la sequela e, dunque, la realità del peso.
Una volta ricondotti tali limiti di cui al regolamento contrattuale all’istituto della servitù, l’opponibilità ai terzi acquirenti dei limiti alla destinazione delle proprietà esclusive in ambito condominiale va regolata secondo le norme proprie di questa e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso. Per cui, conclude la Suprema Corte, non è sufficiente indicare nella nota di trascrizione il regolamento medesimo, ma, ai sensi dell’articolo 2659 c.c., comma 1, n. 2, e articolo 2665 c.c., occorre indicarne le specifiche clausole limitative (Cass. nn. 17493/14 e 7515/86) affinché esse possano essere opposte ai terzi.
PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
* Divieto di adibire l’immobile a gabinetto odontotecnico: Cass. 6100/1993; 19229/2014.
* Le clausole limitative delle facoltà dei condomini sulle loro proprietà costituiscono una servitù reciproca: Cass. n. 3749/99; Cass. n. 14898/13.
* L’opponibilità ai terzi delle clausole limitative impongono la loro descrizione nella nota di trascrizione: Cass. nn. 17493/14 e 7515/86.
* Divieto di adibire l’immobile a residence: Cass. 27 marzo 2015, n. 6299.
La casa come set di film porno:
madre 46enne finisce nei guai
È finita in tribunale la donna di 46, residente nel bresciano, che ha pensato bene di usare l’abitazione nella quale viveva con i propri figli per girare un film hard amatoriale. Secondo i giudici del tribunale dei Minori di Brescia, che hanno disposto l’allontanamento dei figli dalla madre, l’utilizzo della casa coniugale per tali scopi rappresenta un pregiudizio gravissimo alla dignità morale dei ragazzi. La donna, che aveva preso parte al video amatoriale, ha tentato di difendersi spiegando ai giudici che dietro questa condotta non vi era altra motivazione se non quella di racimolare i soldi necessari per pagare le bollette e le cartelle di Equitalia in sospeso. Contro il provvedimento del tribunale è stata presentata richiesta di revoca da parte dell’avvocato difensore.
Ladro d’appartamento
si ferisce e viene arrestato
Un giovane ladro, classe 1997, è stato scoperto e arrestato nella propria abitazione, grazie al tempestivo intervento dei carabinieri di un comune nei pressi di Catanzaro. I militari erano sulle sue tracce dalla notte precedente, quando il malvivente si era ferito rompendo la finestra della casa di un imprenditore che abitava a pochi metri di distanza. Il ventenne si era fatto medicare in ospedale, mentendo sull’origine delle ferite, ma quando i carabinieri lo hanno raggiunto a casa sua, lo hanno trovato con un taglio alla mano compatibile con le ferite provocate dai vetri della finestra distrutta, a casa dell’imprenditore. Dalla successiva perquisizione, sono stati rinvenuti un piede di porco, un passamontagna e abiti insanguinati, oltre a un’arma da fuoco e 60 grammi di sostanze stupefacenti.
Canna fumaria ostruita:
anziana rischia di morire
Aumentano, con il freddo, i casi di incidenti domestici legati al riscaldamento dell’appartamento e, nel peggiore dei casi, agli incendi. Come quello avvenuto nella casa di una donna, residente nel centro storico di un piccolo comune in provincia di Fermo, che stava rischiando di morire in seguito al rogo divampato nella sua abitazione. Secondo una prima ricostruzione, l’incendio sarebbe stato causato dall’ostruzione della canna fumaria del camino che l’anziana utilizzava per scaldare gli ambienti. A salvare la vita della donna sembra sia stata una giovane che si trovava a passare dal centro città ed è intervenuta alla vista delle fiamme che avvolgevano l’appartamento.
Sente i ladri in cucina
Viene aggredito in camera
Si è conclusa con tanto spavento e la sottrazione di un cellulare l’aggressione ai danni di un uomo di 77 anni che vive da solo in un appartamento in provincia di Pisa. Erano da poco passate le 20 quando l’anziano, che si trovava in camera da letto, ha sentito dei rumori provenire dalla cucina e, pensando si trattasse della donna delle pulizie, ha acceso la luce e l’ha chiamata. A quel punto i ladri lo hanno raggiunto in camera e lo hanno avvolto con un lenzuolo, mettendogli le mani al collo. Il tempo necessario per disorientare il malcapitato, rubargli il cellulare e fuggire. Secondo le testimonianze raccolte dalla polizia, i ladri tenevano sotto controllo la casa dell’anziano: a dimostrarlo i frequenti passaggi di un auto sospetta, notati da una vicina, e il taglio della recinzione metallica che separa la proprietà dall’argine del fiume.
Due giovani arrestati
con la droga in casa
I carabinieri della stazione di Terni hanno arrestato due giovani di 30 e 28 anni, per detenzione illecita di sostanze stupefacenti. Dopo aver rilevato un insolito viavai di tossicodipendenti dall’appartamento dei due, i militari sono entrati in azione e hanno disposto la perquisizione domiciliare. All’interno dell’alloggio sono stati rinvenuti e posti sotto sequestro 67 grammi di cocaina, già suddivisa in dosi, 100 grammi di sostanza da taglio di tipo mannite, un bilancino di precisione e oltre 2mila euro in contanti, con ogni probabilità i proventi dalla vendita della droga.
“Lo scorso anno ho installato un sistema di videosorveglianza presso la mia abitazione. Sono state definite le modalità per usufruire del credito d’imposta previsto dalla legge di Stabilità 2016?”. Questo il quesito sottoposto da un contribuente alla rubrica di posta fiscale curata su FiscoOggi – la rivista ufficiale dell’Agenzia delle Entrate – dall’esperto Gennaro Napolitano. Di seguito la sua risposta.
R. Alle persone fisiche è riconosciuto un credito d’imposta per le spese sostenute nel 2016 per l’installazione di sistemi di videosorveglianza digitale o di sistemi di allarme, nonché per quelle connesse ai contratti stipulati con istituti di vigilanza, dirette alla prevenzione di attività criminali. Tali spese sono ammissibili al credito d’imposta a condizione che siano sostenute in relazione a immobili non utilizzati nell’esercizio dell’attività d’impresa o di lavoro autonomo (articolo 1, comma 982, legge 208/2015 – legge di stabilità 2016). I criteri e le procedure per beneficiare del credito d’imposta sono stati definiti dal decreto 6 dicembre 2016 del ministero dell’Economia e delle Finanze (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 298 del 22 dicembre 2016). Il credito deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta 2016 ed è utilizzabile in compensazione (a tal fine, il modello F24 deve essere presentato esclusivamente tramite i servizi telematici offerti dall’Agenzia delle Entrate, pena il rifiuto dell’operazione di versamento). In alternativa, i contribuenti non titolari di redditi d’impresa o di lavoro autonomo possono utilizzare il credito spettante in diminuzione delle imposte dovute in base alla dichiarazione dei redditi.
L’eventuale ammontare non utilizzato potrà essere fruito nei periodi d’imposta successivi senza alcun limite temporale (articolo 4 del decreto). Il credito d’imposta non è cumulabile con altre agevolazioni di natura fiscale aventi a oggetto le medesime spese (articolo 3, comma 3, del decreto). Per il riconoscimento dell’agevolazione, i soggetti interessati devono inoltrare, in via telematica, un’apposita istanza all’Agenzia delle Entrate, in cui va indicato l’importo delle spese agevolabili sostenute nel 2016. Il modello dell’istanza (e il relativo termine di presentazione) saranno definiti da un provvedimento delle Entrate, da emanare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto. La percentuale massima del credito spettante a ciascun soggetto sarà determinata dall’Agenzia, sulla base del rapporto tra l’ammontare delle risorse stanziate dalla legge di stabilità 2016 e l’ammontare del credito d’imposta complessivamente richiesto, e verrà comunicata con altro provvedimento del direttore, entro il 31 marzo 2017. Per le spese sostenute in relazione a un immobile adibito promiscuamente all’esercizio di impresa o di lavoro autonomo e all’uso personale o familiare del contribuente, il credito d’imposta è ridotto del 50% (articolo 2, comma 3, del decreto).
[A cura di: Gian Vincenzo Tortorici – avvocato in Pisa]
Come è noto l’art. 1117 è il primo articolo del codice civile che inerisce al condominio; il legislatore del 1942 non ne definisce la natura, né vi ha provveduto il legislatore del 2012. Da questa carenza sorgono le problematiche concerneti i rapporti sussistenti necessariamente sia tra l’ente condominio e i terzi – in principalità il suo amministratore – sia tra i condòmini stessi.
La presunzione di condominialità dei beni e servizi elencati nel novellato art. 1117 cod. civ. costituisce, in ogni caso, una rilevante specificazione della base di valutazione degli elementi strutturali e tecnologici, nonché dei servizi comuni finalizzata alla loro migliore gestione da parte degli stessi condòmini e dell’amministratore del condominio. L’art. 1117 cod. civ. individua, quindi, tutta una serie di parti, di impianti e di servizi che sono funzionalmente utili per il godimento delle singole unità immobiliari di proprietà esclusiva dell’edificio condominiale, ricomprendendo soprattutto gli impianti tecnologicamente più avanzati.
Il legislatore ha integrato il disposto dell’art. 1117 citato, stabilendo che questo si applica anche ai supercondomìni e ai condomini che si sviluppano in orizzontale, ancorché alle multiproprietà in quanto compatibile. Ai sensi dell’art. 1117-ter cod. civ., è ammissibile la modifica della destinazione d’uso delle parti comuni, ad esempio, ex alloggio del portiere a biblioteca comune, seppure con determinate procedure e maggioranze finalizzate a evitare ogni abuso da parte di un gruppo di condòmini. Inoltre ha normato la tutela della destinazione d’uso delle parti comuni se pregiudicata dall’attività di un singolo condomino o da una pluralità di questi.
In questo senso, infatti, l’art. 1117 quater cod. civ. ha stabilito che l’amministratore, o anche il singolo condomino, possano invitare l’esecutore di un’attività espletata in un’unità di proprietà esclusiva, o direttamente nella parte comune, a cessare la propria attività, qualora incida negativamente e in modo sostanziale nella destinazione d’uso di una parte comune. Sempre il singolo può chiedere anche la convocazione dell’assemblea che potrà deliberare di far cessare l’attività dell’inadempiente, con la maggioranza dei condòmini presenti in assemblea rappresentanti almeno la metà del valore dell’edificio condominiale; la delibera può prevedere, quindi, una sua messa in mora e, in subordine, rimasta inadempiuta la diffida, un’azione giudiziaria da radicare con un’azione inibitoria, ad esempio, per far cessare le immissioni di fumo da parte di una pizzeria, sita in un locale privo di canna fumaria in quanto in precedenza adibito a negozio di abbigliamento, ovvero con una denuncia in sede penale se la precitata attività sia illecitamente perseguita e attivata, ad esempio, per un’utilizzazione di un box a deposito di materiale altamente infiammabile, ovvero promuovendo un ricorso avanti la giurisdizione amministrativa se la violazione perpetrata inerisca a una disposizione urbanistica, ad esempio, un intervento realizzato in violazione del regolamento sanitario del Comune.
Con il termine “esecutore” il legislatore si riferisce a qualunque soggetto che abbia la disponibilità di un’unità immobiliare sia a titolo di diritto reale, quale ad esempio il proprietario o l’usufruttuario, sia a titolo di un diritto di personale godimento, quale ad esempio il conduttore o il comodatario di un fondo commerciale o di un appartamento. Con il lemma “attività”, però, non si dovrebbe intendere un’attività finalizzata alla realizzazione di opere visibili, poiché queste sono diversamente disciplinate dal novellato art. 1122 cod. civ.
L’espressione “incidono negativamente e in modo sostanziale” è certamente indeterminata; peraltro il legislatore si dovrebbe riferire a un’attività che produca un pregiudizio alla destinazione d’uso delle parti comuni in maniera sensibile, tale da impedirne l’uso da parte degli altri condòmini o renderlo puù gravoso e non soltanto più difficoltoso. Ne consegue che le singole fattispecie concrete che riguarderanno tale articolo dovranno essere risolte di volta in volta dalla magistratura, al cui esame saranno sottoposte.