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Rettifica dell’atto d’acquisto immobiliare e perdita dei benefici prima casa

[A cura di: Marco Denaro – Nuovo FiscoOggi, Agenzia delleEntrate] Ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, le successive
“rettifiche”, che integrano e completano gli effetti giuridici dell’atto
originario, costituiscono, sul piano negoziale, nuovi atti, separatamente
tassabili rispetto a quello iniziale. Ne consegue che, se tali rettifiche
intervengono nell’ambito dei trasferimenti immobiliari per cui si è goduto
delle agevolazioni fiscali prima casa ne determinano il loro venir meno. Sulla
base di tale assunto, con la sentenza n. 16019 del 29 luglio 2015, la
Cassazione ha accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso
una sentenza della Ctr che, nel rigettare l’appello erariale, aveva annullato
un atto di recupero dell’imposta di registro emesso nei confronti di due
coniugi relativamente all’intervenuta decadenza benefici prima casa, di cui
alla nota II-bis), articolo 1, comma 4, della Tariffa, parte I,
allegata al Dpr 131/1986 (Tur).

 

BONUS PRIMA CASA

La vigente nota II-bis) dell’articolo 1 della
Tariffa, parte I, allegata al Tur, prevede l’applicazione agevolata
dell’imposta di registro con aliquota del 2% (ovvero dell’Iva al 4%), nonché le
imposte ipocatastali in misura fissa pari a 50 euro ciascuna (200 euro in caso
di operazione soggetta a Iva), agli atti traslativi a titolo oneroso della
proprietà di case di abitazione “non di lusso” e agli atti traslativi o
costitutivi della nuda proprietà, dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione
relativi alle stesse, a condizione che:

* l’immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui
l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria
residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria
attività;

* nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere
titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà,
usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del
comune in cui è situato l’immobile da acquistare;

* nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere
titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il
territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e
nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o
dal coniuge con le agevolazioni in parola.

Detti requisiti soggettivi e oggettivi devono ricorrere
congiuntamente per l’applicazione delle aliquote agevolate previste ai fini
delle imposte di registro, ipotecaria e catastale. Il comma 4 dell’articolo 1
della citata nota dispone poi che, nelle ipotesi di dichiarazione mendace o di
trasferimento (a titolo oneroso o gratuito) degli immobili acquistati con i
benefici in parola, prima del decorso del termine di cinque anni dalla data del
loro acquisto, le imposte sono dovute nella misura ordinaria, tranne nel caso
in cui il contribuente, entro un anno dall’alienazione dell’immobile acquistato
con i benefici, proceda all’acquisto di altro immobile da adibire a propria
abitazione principale.

Ne consegue che, nel caso di immobili acquistati con i
benefici prima casa e rivenduti prima del decorso del termine di cinque anni
dalla data del loro acquisto, l’Amministrazione finanziaria procede al recupero
della differenza fra l’imposta calcolata in assenza di agevolazioni e quella
risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata, nonché all’irrogazione
della sanzione amministrativa pari al 30% della differenza medesima.

 

GIUDIZIO DI MERITO

Nel settembre del 2004, due coniugi acquistavano un
fabbricato in comproprietà (50% a testa), usufruendo, ai fini dell’imposta di
registro, dell’agevolazione prima casa. Nel successivo mese di ottobre, sempre
innanzi allo stesso ufficiale rogante, stipulavano un atto rettificativo del
primo, nel quale si precisava che l’acquirente dell’unità immobiliare era il
solo marito e non anche la moglie, che solo per mero errore era stata indicata
come comproprietaria nell’atto originario. A seguito di tale rettifica,
l’ufficio procedeva alla notifica di due avvisi di liquidazione: uno alla
moglie, con il quale le si revocavano i benefici prima casa, avendo la stessa
ceduto al marito il suo 50% entro i cinque anni dall’acquisto originario
dell’immobile, senza aver proceduto a un successivo riacquisto; l’altro, per
entrambi i coniugi, in quanto responsabili solidali, con riferimento al 50%
dell’agevolazione indebitamente goduta per il secondo acquisto. Il ricorso dei
coniugi veniva accolto in primo grado – con sentenza confermata anche in
appello – nella considerazione che il secondo atto non aveva comportato alcun
trasferimento di diritti reali e, quindi, nessuna decadenza dall’agevolazione
prima casa.

 

LA CASSAZIONE

Nel ricorso di legittimità, l’Agenzia lamenta la violazione
dell’articolo 20 del Tur – per cui l’imposta di registro si applica secondo la
intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla
registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente – da
parte dei giudici del gravame, che non avrebbero rilevato come il successivo
atto in rettifica avesse, di fatto, comportato un mutamento della titolarità
del 50% della quota dell’immobile compravenduto.

Per la Corte suprema, il ricorso è fondato. Infatti, sulla
base di un principio consolidato, l’atto rettificativo posto in essere
successivamente a quello originario, modificandone gli effetti giuridici,
costituisce un nuovo atto, autonomamente tassabile rispetto al primo, che continua
a produrre effetti (Cassazione, sentenza 4220/2006).

 

Aggiornamento catastale: per i professionisti arriva il “salvadanaio on line”

[Fonte: Nuovo Fiscooggi – Agenziadelle Entrate] Dal 15 settembre, gli Ordini e i Collegi, nazionali o
provinciali, a cui fanno capo i professionisti tenuti dal 1° giugno scorso a
presentare esclusivamente on line gli atti di aggiornamento catastale (Docfa e
Pregeo) utilizzando il modello unico informatico (Muic), possono creare un
“salvadanaio” per consentire ai propri iscritti di pagare i relativi tributi.
Vale a dire, possono versare, tramite il portale Sister, somme preventive sul
conto corrente unico nazionale previsto dal provvedimento del 2 marzo 2007 dell’allora Agenzia del Territorio, evitando agli associati
la necessità di costituire “castelletti”.

La nuova procedura, già
sperimentata con il Consiglio nazionale dei geometri e dei geometri laureati,
facilita la gestione di versamenti di ridotta entità. In sintesi, è questo il
contenuto del provvedimento emanato dalle Entrate lo scorso
30 luglio, per semplificare il processo di
informatizzazione degli adempimenti catastali, che ha visto diventare
obbligatori gli aggiornamenti telematici da parte dei professionisti. Ora, gli
stessi possono presentare gli atti di modifica on line e,
contestualmente, pagare i relativi tributi anche utilizzando le somme versate
anticipatamente dai loro Ordini o Collegi sul conto unico nazionale.

In pratica, gli Ordini e i
Collegi, dopo aver stipulato con l’Agenzia delle Entrate accordi di servizio
con la definizione degli aspetti tecnici e di sicurezza gestionale informatica,
possono effettuare i versamenti attraverso “Sister”. Gli importi accantonati
non producono interessi e restano a disposizione, dell’Ordine o del Collegio,
sul portale, per poi essere utilizzati dagli iscritti che chiedono di servirsi
di questa modalità. Gli atti di aggiornamento saranno però accettati solo nei
limiti di capienza delle somme disponibili.

 

PUÒ ESSERE SEQUESTRATO L’IMMOBILE DELLA EX MOGLIE SE LA SEPARAZIONE È FITTIZIA

[A cura di:Salvatore Servidio, Nuovo FiscoOggi – Agenzia delle Entrate]

La Cassazione, con la sentenza n. 28770 del 7 luglio 2015, fa finire sotto sequestro l’immobile di proprietà esclusiva della ex moglie perché la separazione e il trasferimento del bene appaiono fittizi. All’accusa non resta che dimostrare il mantenimento della disponibilità del cespite da parte dell’indagato.

I FATTI DI CAUSA

Il tribunale del riesame ha rigettato il ricorso presentato da due ex coniugi avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip, finalizzato alla confisca per equivalente di un immobile. A entrambi, erano state contestate plurime condotte di bancarotta fraudolenta e solo all’ex marito era imputato anche l’omesso versamento di ritenute certificate e di Iva (articoli 10-bis e 10-ter del Dlgs 74/2000). L’immobile al centro della questione era divenuto di proprietà della donna in seguito alla separazione consensuale tra i due. La donna, dunque, poteva dirsi interessata alla restituzione dell’immobile, ma come soggetto terzo.

Nel conseguente ricorso per cassazione, l’ex moglie ha dedotto violazione di legge (articoli 321, comma 2, cpp e 322-ter cp), in quanto il tribunale del riesame avrebbe mantenuto il vincolo sull’immobile, sebbene acquistato in precedenza dai coniugi in regime di separazione patrimoniale dei beni, per divenire poi di proprietà esclusiva della ricorrente a seguito della separazione consensuale della coppia. In questo modo, non si potrebbe configurare alcuna disponibilità del bene in capo al marito, neppure in forma indiretta. Inoltre, il bene non potrebbe essere considerato indivisibile, ben potendo il vincolo limitarsi a una porzione o quota del medesimo.

Ai fini della confisca per equivalente, la ricorrente eccepisce poi che il vincolo cautelare è stato disposto sull’immobile senza compiere alcuna verifica dell’effettivo profitto del reato in capo alla società di cui il coniuge è amministratore. Infine, la difesa ha evidenziato che la ricorrente non può essere ritenuta quale terzo interessato, atteso che la stessa – già indagata per il reato di bancarotta fraudolenta, il cui nucleo sarebbe rappresentato proprio dai reati tributari che sostengono la misura in esecuzione – avrebbe assunto, in ordine agli stessi, il ruolo di imputata.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La Cassazione ha deciso la vertenza dichiarando inammissibile il ricorso, in quanto estraneo al reato fiscale contestato all’ex marito, perciò con patrocinio di un difensore privo di procura speciale. Si tratta di una particolare fattispecie, quella esaminata, che riguarda la possibilità di qualificare la ricorrente come soggetto terzo estraneo al reato, come sollecitato da un’eccezione dell’accusa di dichiarare inammissibile il ricorso in Cassazione, in quanto la ricorrente deve essere considerata estranea ai reati fiscali, per i quali è indagato soltanto l’ex marito. La sentenza ha accolto il rilievo, affermando che la moglie è un terzo estraneo al delitto, interessato alla restituzione.

In tal modo, la suprema Corte, non ha condiviso la tesi della ricorrente, vigendo il principio giurisprudenziale contrario, in base al quale “In materia di misure cautelari reali, il terzo interessato alla restituzione dei beni, può proporre ricorso per Cassazione previo conferimento al difensore di una procura speciale così come previsto dall’art. 100 c.p.p.” (cfr Cassazione 47239/2014). 

Peraltro, nel merito, ai fini del sequestro preventivo, funzionale alla confisca di cui all’articolo 322-ter del codice penale, non occorre provare il nesso di pertinenzialità del bene rispetto al reato, essendo assoggettabili a confisca cose che si trovano nella disponibilità dell’indagato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato (cfr Cassazione 11902/2005 e 18527/2011). Il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può ricadere, quindi, su beni comunque nella disponibilità dell’indagato. 

Per “disponibilità”, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione 11732/2005), deve intendersi la relazione effettuale del condannato con il bene, caratterizzata dall’esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà. Non è necessario, perciò, che i beni siano nella titolarità del soggetto indagato o condannato, essendo necessario e sufficiente che egli abbia un potere di fatto sui beni medesimi e, quindi, la disponibilità degli stessi (articolo 1140 cc). Potere di fatto che può essere esercitato direttamente o a mezzo di altri soggetti, che a loro volta, possono detenere la cosa nel proprio interesse (detenzione qualificata) o nell’interesse altrui (detenzione non qualificata) (cfr Cassazione 10194/2015).

Nel caso di specie, nel passaggio essenziale della trama argomentativa, la suprema Corte ha precisato, quindi, che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente è stato disposto sull’immobile intestato alla ricorrente, non perché ella sia stata ritenuta partecipe delle violazioni contestate all’ex marito, quanto piuttosto perché si è dedotto che questi ne abbia mantenuto l’effettiva disponibilità, tanto da far risultare fittizia l’intestazione alla donna, ossia “una mera, fittizia apparenza operata nei confronti di un soggetto terzo”.

TASSE, LA PRIMA CASA NON BASTA. “BISOGNA RIDURRE TUTTE LE IMPOSTE SUL MATTONE”

L’eco delle dichiarazioni del premier Renzi sulla volontà di mettere mano all’imposizione fiscale, partendo dall’abolizione della tassa sull’abitazione principale non si è ancora sopita. E sul tema, in un’ottica più complessiva, interviene Confedilizia, diffondendo alcuni dati relativi alla tassazione sugli immobili. 

In particolare, come rimarca l’associazione della proprietà, nel 2014 il gettito di IMU e TASI è stato di circa 25 miliardi di euro, mentre fino al 2011 il gettito dell’ICI era stato di circa 9 miliardi di euro. Le imposte locali sugli immobili si sono quindi quasi triplicate rispetto al 2011. Dal 2012, i proprietari versano ai Comuni 15/16 miliardi di euro in più ogni anno, e il carico di imposte patrimoniali (IMU e TASI), nel quadriennio 2012-2015, può stimarsi in 94 miliardi di euro.

Peraltro, sempre secondo i calcoli di Confedilizia, oltre alle imposte di natura patrimoniale, che sono una peculiarità del settore (e tra le quali bisogna considerare anche le imposte di scopo), la proprietà immobiliare paga ogni anno altri 20 miliardi circa di tributi: 

* di tipo reddituale (IRPEF, addizionale regionale IRPEF, addizionale comunale IRPEF, IRES, IRAP);

* sui trasferimenti (imposta di registro, IVA, imposte ipotecarie e catastali, imposta di bollo, imposta sulle successioni e sulle donazioni);

* legati ai servizi (tassa sui rifiuti, tributo provinciale per l’ambiente, contributi ai Consorzi di bonifica, tassa occupazione spazi pubblici ecc.). 

A giudizio del presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa,“Questi dati dimostrano come l’imposizione tributaria sugli immobili necessiti di un intervento di riduzione a tutto tondo: per ragioni di equità e per porre rimedio ai danni provocati da una politica fiscale sbagliata. Il numero di compravendite è crollato proprio a partire dal 2012, anno di introduzione dell’IMU, e il mercato non accenna a riprendersi. Stessa sorte hanno subìto le mille attività che riescono a sopravvivere solo in presenza di un mercato immobiliare sano: fallimenti e licenziamenti non si contano più, così come innumerevoli sono i locali commerciali con le saracinesche abbassate. In fortissima crisi – sempre per l’eccesso di tassazione – versa anche l’affitto, abitativo e non abitativo, con tutte le conseguenze di ordine sociale ed economico che possono immaginarsi. Vi è poi la caduta dei consumi causata dalla perdita di valore degli immobili (stimata in circa 2.000 miliardi) e dall’effetto che tale riduzione ha prodotto su milioni di proprietari. Per rispondere a questa situazione drammatica serve una risposta forte e complessiva, una riduzione fiscale che riguardi tutti gli immobili”. 

CRESCONO GLI IMMOBILI, LE ABITAZIONI E LE RENDITE CATASTALI

È disponibile on line, sul sito delle Entrate , il report della banca dati catastale, relativo all’andamento del patrimonio immobiliare italiano nel 2014. Una fotografia ricca di dati significativi per comprendere anche altri aspetti dell’economia nazionale.

Innanzitutto, nel 2014 il numero delle unità immobiliari è aumentato complessivamente dello 0,7% rispetto al 2013. Cresce, in particolare, il numero di abitazioni (circa 110mila unità in più rispetto al 2013) e il numero delle unità immobiliari a destinazione speciale a fine produttivo, terziario o commerciale (circa 31mila unità in più rispetto al 2013). 

STOCK IMMOBILIARE 

È pari a 73,4 milioni il numero di immobili o loro porzioni censiti nel territorio italiano al 31 dicembre 2014. Di questi, circa 63,9 milioni sono classificati nelle categorie catastali ordinarie (gruppi A, B e C) e speciali (gruppo D), oltre 3 milioni sono censiti nelle categorie catastali del gruppo F, che rappresentano unità non idonee a produrre reddito, e oltre 6 milioni sono beni comuni non censibili (unità di proprietà comune e che non producono reddito). 

ABITAZIONI

Aumenta il numero delle abitazioni censite in catasto, toccando quota 34,7 milioni, +0,3% rispetto al 2013. Le abitazioni di tipo civile segnano un incremento dell’1%, quelle di tipo economico dello 0,5% e i villini dell’1,1%. Diminuiscono, invece, le abitazioni di tipo rurale (-4,3%), quelle popolari (-0,6%), quelle ultrapopolari (-3,7%), quelle signorili (-0,9%) e le ville (-0,3%). Nove abitazioni su dieci sono possedute da persone fisiche e la superficie media risulta essere di circa 117 mq. 

RENDITA CATASTALE 

Nel 2014 la rendita catastale complessiva del patrimonio immobiliare italiano ammonta a 37,5 miliardi di euro, in crescita dell’1,5%, 536 milioni di euro in più rispetto all’anno precedente. In particolare, la rendita delle abitazioni è pari 16,7 miliardi di euro, circa 110 milioni di euro in più del 2013, con una media nazionale di circa 480 euro; 11,1 miliardi di euro è la rendita complessiva degli immobili a destinazione speciale (gruppo D), oltre 6 miliardi quella degli immobili del gruppo C (negozi, locali di deposito, box e posti auto), 1,5 miliardi di euro quella degli uffici (categoria A/10), 1,3 miliardi di euro quella degli immobili ad uso collettivo (gruppo B) e poco più di 700 milioni di euro quella degli immobili a destinazione particolare (categoria E). 

LA CONSULTAZIONE 

Le statistiche catastali, con le tabelle di dettaglio suddivise per categoria e provincia, sono disponibili sul sito dell’Agenzia delle Entrate nella sezione “Pubblicazioni dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare”. I dati consultabili riguardano i Comuni capoluogo e le Province italiane, incluse quelle autonome di Trento e Bolzano che gestiscono in proprio gli archivi censuari del Catasto. Per ogni Comune capoluogo e per ogni Provincia è possibile conoscere il numero totale di unità immobiliari, la rendita catastale e la consistenza relativi a ciascuna categoria.

ACCERTAMENTI CATASTALI E RENDITE PRESUNTE: CODICI TRIBUTO ANCHE PER L’F24 EP

[A cura di: Nuovo FiscoOggi – Agenzia delle Entrate]

I codici tributo già in uso con il modello F24 per il pagamento delle somme dovute a seguito dell’attribuzione d’ufficio della rendita presunta e delle somme accertate a seguito di violazioni della normativa catastale – istituiti, rispettivamente, con le risoluzioni 19/2012 e 50/2015 – possono essere utilizzati anche con l’F24 enti pubblici.
A tale scopo, la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate numero 66/E del 21 luglio 2015 apre le porte dell’F24 Ep ai seguenti codici tributo, da esporre in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a debito versati”:
“T001” – Tributi speciali catastali – rendita presunta
“T002” – Sanzione per mancato adempimento catastale – rendita presunta
“T003” – Interessi – rendita presunta
“T004” – Oneri accessori connessi alla determinazione della rendita presunta
“T009” – Tributi speciali catastali – accertamento catastale
“T010” – Sanzioni per mancati adempimenti catastali – accertamento catastale
“T011” – Interessi sui tributi speciali catastali – accertamento catastale
“T012” – Imposta di bollo – accertamento catastale
“T013” – Recupero spese per volture – accertamento catastale.
“T014” – Oneri accessori per operazioni catastali – accertamento catastale
“T015” – Altre spese per operazioni catastali – accertamento catastale.
Nel campo “sezione” del modello F24 Ep va specificato che destinatario delle somme è l’“Erario” (valore “F”). Inoltre, i dati da riportare nei campi “codice atto” e “riferimento B” (ossia, l’anno cui si riferisce il versamento) devono essere desunti dall’atto emesso dall’ufficio. La risoluzione, infine, ricorda che è esteso alla modalità F24 Ep anche il codice tributo “806T”, che va utilizzato per versare le spese di notifica degli atti emessi dagli uffici per inosservanza delle norme catastali.

AUMENTANO LE AREE FABBRICABILI, MA I VALORI CATASTALI NON SCENDONO

[A cura di: Corrado Sforza Fogliani – presidente centro studi Confedilizia]

I Comuni hanno allargato – ed alcuni di essi continuano ancora ad allargare – a dismisura, negli strumenti urbanistici, le aree qualificabili come fabbricabili e, in più, stabiliscono valori assolutamente inadeguati rispetto all’attuale inesistente mercato di tali aree. Ed anche se i valori attribuiti a queste ultime non sono vincolanti, avendo come scopo quello di limitare il potere di accertamento delle amministrazioni locali, ciò innesca, comunque, contenziosi infiniti. Ma gli adeguamenti (a scopo di cassa) non giustificati da aumento di popolazione possono essere impugnati al TAR o anche solo evitati con questa minaccia (a volte, basta). 

La Confedilizia ha condotto un’indagine su un campione di Comuni da cui è emerso che questi ultimi, pur ammettendo nelle loro determinazioni che il mercato è fermo e il Paese è in crisi, non riducono i valori in questione, limitandosi al massimo a non aumentarli, come se non aumentare fosse di per sé un adeguamento all’attuale situazione di mercato: ma, ovviamente, così non è. Il che genera un’evidente ingiustizia con ciò che i proprietari delle aree fabbricabili sono chiamati a versare, a titolo di Imu e Tasi. Tanto più se si considera che mantenere fermi da più anni i valori delle aree edificabili significa ancorarli a livelli pre-crisi e, quindi, assolutamente fuori mercato, tali da essere solo un ricordo. Va ricordato, al proposito, che, ai sensi dell’art. 5, d.lgs. 504/’92, la base imponibile dell’Ici, e ora dell’Imu e della Tasi, è costituita dal valore degli immobili. Tale valore, con riferimento alle aree fabbricabili, è rappresentato da quello “venale in comune commercio al 1° gennaio dell’anno di imposizione”, avuto riguardo ad una serie di condizioni come, ad esempio, la “zona territoriale di ubicazione”, l’”indice di edificabilità”, i “prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche”.

SFRATTI: COSA SUCCEDE SE L’INQUILINO ABBANDONA I MOBILI NELL’ALLOGGIO RILASCIATO?

[A cura di: avv. Matteo Rezzonico, presidente Commissione legale Fna-Confappi]

Il decreto legge 12/9/2014, n. 132, convertito nella Legge 10 novembre 2014, numero 162 – recante “misure urgenti di degiurisdizionalizzazione e altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile” – ha introdotto importanti novità in tema di esecuzione per consegna o rilascio (sfratti). In particolare, l’art. 19 del richiamato D.L. 132/2014, ha sostituito il precedente art. 609 c.p.c. La precedente formulazione dell’articolo 609 c.p.c. creava non pochi problemi ai proprietari immobiliari, posto che, per i più disparati motivi, spesso i detentori di locali abbandonano al loro interno beni mobili (cucine, elettrodomestici, arredi vari o, in caso di locazioni cosiddette “commerciali”, macchinari etc.). In questi casi, i rimedi per i proprietari erano assai problematici, posto che – salvo incorrere in reati penali (appropriazione indebita o esercizio arbitrario delle proprie ragioni) o in illeciti civili – non potevano né appropriarsi dei beni, né asportarli avviandoli alle pubbliche discariche. L’unica facoltà consentita, per i proprietari, era quella di presentare istanza all’Ufficiale Giudiziario per disporne, a loro spese (salvo rivalsa), la custodia sul posto o il trasporto in altro luogo. 

Tralasciando, in questa sede, la disamina dei provvedimenti giurisprudenziali più o meno “innovativi”, che sul punto si sono susseguiti nel tempo, è certo che l’eventuale liberazione dei locali dai beni dell’inquilino doveva ritenersi attività estranea al processo di esecuzione, in senso stretto. 

È in tale contesto che si inserisce il novellato art. 609 c.p.c., il cui primo comma recita: “quando nell’immobile si trovano beni mobili che non debbono essere consegnati, l’ufficiale giudiziario intima alla parte tenuta al rilascio ovvero a colui al quale gli stessi risultano appartenere di asportarli, assegnandogli il relativo termine. Dell’intimazione si dà atto a verbale ovvero, se colui che è tenuto a provvedere all’asporto non è presente, mediante atto notificato a spese della parte istante. Quando entro il termine assegnato l’asporto non è stato eseguito, l’ufficiale giudiziario, su richiesta e a spese della parte istante, determina, anche a norma dell’articolo 518, primo comma, il presumibile valore di realizzo dei beni ed indica le prevedibili spese di custodia e di asporto”. Il richiamato art. 518 c.p.c. consente all’ufficiale giudiziario di determinare approssimativamente il valore di realizzo dei beni immobili pignorati. 

Il successivo articolo 609, comma 2°, c.p.c. introduce due diverse ipotesi: 1) la prima, relativa al caso in cui il valore dei beni sia superiore alle spese di custodia e di asporto: in tal caso, l’ufficiale giudiziario, a spese dell’istante, nomina un custode e lo incarica di asportare i beni in altro luogo; 2) la seconda: “…ove non appaia evidente l’utilità del tentativo di vendita …” i beni sono considerati abbandonati e l’ufficiale giudiziario, salva diversa richiesta della parte istante, ne dispone lo smaltimento o la distruzione.

L’art. 609, comma 4° c.p.c., precisa poi molto opportunamente: “decorso il termine fissato nell’intimazione di cui al primo comma, colui al quale i beni appartengono può, prima della vendita ovvero dello smaltimento o distruzione dei beni a norma del secondo comma, ultimo periodo, chiederne la consegna al giudice dell’esecuzione per il rilascio. Il giudice provvede con decreto e, quando accoglie l’istanza, dispone la riconsegna previa corresponsione delle spese e compensi per la custodia e per l’asporto”. 

Ulteriormente, l’art. 609, comma 5°, c.p.c. dispone “l’ufficiale giudiziario provvede secondo le norme sul pignoramento dei beni mobili, a disporre la vendita senza incanto dei suddetti beni”. La somma ricavata dalla vendita è impiegata per il pagamento delle spese e dei compensi per la custodia, per l’asporto e per la vendita, liquidate dal giudice dell’esecuzione per rilascio. L’eventuale eccedenza è utilizzata per il pagamento delle spese di esecuzione liquidate a norma dell’art. 611 c.p.c. 

Per l’art. 609, 6° comma c.p.c., in caso di infruttuosità della vendita, cioè di mancato ricavo di somme utili, i beni vengono considerati abbandonati e l’ufficiale giudiziario ne dispone lo smaltimento o la distruzione. 

Il settimo comma dell’art. 609 c.p.c. non costituisce invece una novità in quanto il relativo precetto era già contenuto nell’art. 609, comma secondo (precedente formulazione). 

Del tutto peculiare è comunque il precetto contenuto nell’art. 609, comma 3°, c.p.c., che disciplina la fattispecie dei beni lasciati all’interno dei locali, inerenti attività imprenditoriali e professionali. Per l’articolo 609, comma 3, c.p.c.: “se sono rivenuti documenti inerenti lo svolgimento di attività imprenditoriali o professionale che non sono stati asportati a norma del primo comma, gli stessi sono conservati, per un periodo di due anni, dalla parte istante ovvero, su istanza e previa anticipazione delle spese da parte di quest’ultima, da un custode nominato dall’ufficiale giudiziario. In difetto di istanza e di pagamento anticipato delle spese si applica, in quanto compatibile, quanto previsto dal secondo comma, ultimo periodo. Allo stesso modo si procede alla scadenza del termine biennale di cui al presente comma a cura della parte istante o del custode”. Non si comprende peraltro il motivo per il quale il Legislatore abbia ritenuto necessaria una norma ad hoc per lo svolgimento delle attività imprenditoriali o professionali. Ed infatti, sembra financo banale osservare che il trattenimento, in custodia di eventuali documenti nell’immobile per cui è causa o in altro luogo (si pensi esemplificativamente ad un grosso archivio), può costituire per il locatore un costo illegittimo e ingiustificato, che non sarà mai più recuperato. 

CONDOMINIO: L’INCOMPATIBILITÀ TRA IL RUOLO DI MEDIATORE E QUELLO DI AVVOCATO

Incompatibilità e conflitti di interesse tra mediatore ed avvocato. A questa delicata materia, che tocca da vicino anche l’ambito condominiale (le cui controversie, come è noto, sono oggetto di mediazione obbligatoria) è dedicata la circolare emanata lo scorso 14 luglio dal Ministero della Giustizia, e a firma del direttore generale della Giustizia Civile, Marco Mancinetti. Riportiamo, di seguito, il testo della circolare.

LA CIRCOLARE

Come noto, il decreto ministeriale n. 139 del 4 agosto 2014 ha modificato il regolamento approvato con il d.m. 180 del 2010 introducendo l’art. 14 bis. Tale disposizione sancisce un complesso ed ampio quadro di incompatibilità. Tenuto conto della novità introdotta, dei quesiti pervenuti e dei principali profili di incertezza applicativa che sono stati posti all’attenzione degli uffici ministeriali, si ritiene necessario fornire le seguenti linee interpretative.

Al riguardo occorre premettere che la ratio sottesa a tale norma risiede nell’esigenza di garantire la sussistenza dei requisiti di terzietà e imparzialità dell’organismo di mediazione e dei suoi mediatori, ciò in quanto, come più volte ricordato da questo Ministero, viene svolta una attività delicata e significativa in quanto, prospettando un percorso alternativo alla giurisdizione, tende a definire una controversia mediante l’intervento di un terzo che, pertanto, deve porsi, anche in via di fatto, in una posizione di assoluta equidistanza rispetto alle parti in lite.

In tale prospettiva, dunque, deve ritenersi che l’art. 14 bis miri ad assicurare che l’attività di mediazione sia svolta da un soggetto che offra garanzie, anche sul piano dell’apparenza, di indipendenza e terzietà. Ciò anche in considerazione del fatto che le norme sull’incompatibilità esprimono lo standard minimo indispensabile per garantire l’imparzialità del mediatore.

Tanto premesso, appare necessario dare compiuta attuazione alla suddetta disposizione, attraverso le seguenti direttive che gli organismi sono chiamati a rispettare.

1. Difensore del chiamato in mediazione, iscritto come mediatore presso l’organismo prescelto dall’istante

Il primo dubbio interpretativo attiene all’operatività del divieto anche per l’avvocato di fiducia della parte chiamata in mediazione, iscritto come mediatore presso l’organismo scelto dalla parte istante. Dal dato letterale della norma e dalla ratio della stessa appare evidente che la previsione normativa trovi applicazione nel caso in cui il difensore del chiamato in mediazione sia mediatore presso quell’organismo perché, diversamente, le parti si troverebbero in posizioni ingiustificatamente differenziate e non si darebbe la giusta garanzia alla parte istante, circa lo svolgimento imparziale del procedimento di mediazione.

Di conseguenza, il divieto di cui all’art. 14 bis opera anche nei confronti del difensore di fiducia della parte chiamata in mediazione, che rivesta al contempo la qualifica di mediatore presso l’organismo adito.

2. Estensione alle sedi in convenzione ex art. 7, comma 2, lett. c) D.M. 180/2010

Ulteriore dubbio interpretativo attiene all’operatività del divieto, anche qualora l’organismo si avvalga delle strutture, del personale e dei mediatori di altri organismi con i quali abbia raggiunto a tal fine un accordo, anche per singoli affari di mediazione, ex art.7, comma 2, lett. c), D.M. 180/2010. Appare evidente che in tali casi l’organismo “condivide”, tra l’altro, i mediatori di un altro organismo di mediazione che si trovano, pertanto, nella medesima posizione formale dei mediatori iscritti presso l’organismo “delegante”. Di conseguenza, anche al fine di evitare una facile elusione della norma, l’incompatibilità non può che estendersi anche ai mediatori dell’organismo con cui si è concluso un accordo ai sensi dell’art.7, comma 2, lett. c), D.M. 180/2010.

Accordi derogatori

Altra questione controversa, attiene alla possibilità rimessa alle parti chiamate in mediazione di derogare consensualmente all’incompatibilità. Al riguardo, si ritiene per le ragioni sopra dette che la materia sia sottratta alla libera disponibilità delle parti. Di conseguenza, non è possibile sottoscrivere tra le parti in mediazione accordi derogatori del divieto di cui all’art. 14 bis.

Compiti dell’organismo

Altro dubbio interpretativo, infine, riguarda il potere dell’organismo di rifiutare eventuali istanze di mediazione, laddove gli avvocati delle parti siano iscritti, quali mediatori, presso l’organismo medesimo. Considerata la funzione di vigilanza e controllo che la normativa attribuisce all’organismo, si ritiene che, trattandosi di una domanda proposta in evidente violazione di norma, all’organismo vada riconosciuto il potere – dovere di rifiutare tali istanze. Di conseguenza, l’organismo di mediazione deve rifiutare di ricevere le istanze di mediazioni nelle quali si profilano ipotesi di incompatibilità di cui all’art. 14 bis.

CRONACA FLASH DALLA CASA E DAL CONDOMINIO

Rapina in appartamento

muore anziana nel cuneese

Una donna di 84 anni è morta cadendo dalle scale del suo appartamento nel cuneese, dopo essere stata vittima di una rapina. Secondo i primi accertamenti dei militari dell’Arma, i malviventi avrebbero legato e imbavagliato la donna per poter mettere a segno il colpo e fuggire indisturbati. L’anziana sarebbe caduta successivamente, nel tentativo di liberarsi. Per fugare ogni dubbio sulle cause del decesso è stata disposta un’autopsia.



Ceneri del figlio in casa

Gli negano la benedizione 

Un uomo di 60 anni, residente a Isernia, si è visto negare la benedizione della casa dai sacerdoti della città a causa della presenza nell’appartamento delle ceneri del figlio, morto a 30 anni lo scorso novembre. Non importa se l’espianto dei suoi organi abbia consentito di salvare la vita di altre sette persone. E neanche che il giovane fosse praticante e inserito in un gruppo di preghiera. Il vicario del vescovo ha fatto sapere che si tratta di una questione di protocollo, prevista dal nuovo rituale funebre disciplinato dalla liturgia.



Stoccano droga in garage

Tre uomini in manette

Tre uomini residenti nelle province di Fermo e Macerata sono stati arrestati dai Carabinieri mentre erano intenti a preparare e confezionare, in garage, oltre 300 panetti di hashish dal peso complessivo di 33 chili. Dopo un’attenta perquisizione della struttura, i militari hanno rinvenuto anche 300 grammi di cocaina contenuti in due grosse palle cristallizzate, involucri di plastica con residui di droga, bilancini di precisione e tutto il materiale necessario per il confezionamento al dettaglio, compresa una mannaia che veniva usata per spezzare i panetti e le pietre di cocaina.


Anziana truffata in casa 

da un falso avvocato

Una donna di 79 anni ha denunciato di essere stata raggirata da due uomini che le hanno rubato 2.500 euro in contanti e 30 mila euro in buoni postali. Secondo la vittima, il primo truffatore si sarebbe presentato in casa fingendosi avvocato, dicendo che la figlia era stata arrestata e che servivano 3 mila euro per pagare la cauzione. Il malvivente avrebbe spiegato che sarebbe passato un suo incaricato a ritirare la somma. Convinta dalle successive telefonate del sedicente avvocato e di un finto maresciallo dei Carabinieri, l’anziana si è convinta a consegnare contanti e buoni postali. Soltanto dopo aver contattato la figlia si è resa conto di essere stata raggirata.


Casa di campagna: uomo

seviziato e rapinato

Un uomo di 56 anni è stato picchiato e seviziato da due rapinatori che si sono introdotti con l’inganno nella sua casetta di campagna, in provincia di Napoli. Secondo quanto riferito ai carabinieri dal 56enne, i due malviventi lo avrebbero legato mani e piedi a una sedia, minacciato con una pistola e picchiato con una roncola per ottenere informazioni sul nascondiglio di armi e soldi. I due rapinatori sono stati intercettati e fermati dai militari dell’Arma con l’accusa di rapina e sequestro di persona. Pare che uno dei due fosse vicino a un clan camorristico della zona.