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LA DEDUZIONE DEL COSTO D’ACQUISTO DELL’ALLOGGIO DESTINATO ALLA LOCAZIONE

Tra le note esplicative contenute nella circolare 3/E dell’Agenzia delle Entrate in materia di deduzioni e detrazioni degli oneri inerenti a vario titolo casa e condominio, un focus ampio e specifico è dedicato all’acquisto di un appartamento destinato alla locazione. Di seguito riportiamo un quesito e i chiarimenti delle Entrate. 

D. La deduzione del 20 per cento prevista dall’articolo 21 del d.l. 12 settembre 2014, n. 133 per gli acquisti (o la costruzione) di immobili abitativi destinati alla locazione, “effettuati dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2017”, è soggetta ad un limite massimo complessivo di spesa pari a 300.000 euro. Si chiede se tale importo costituisca il limite di spesa riferibile all’acquisto di una singola abitazione o rappresenti il massimo di spesa deducibile anche nel caso in cui siano acquistate più abitazioni. 

R. Per verificare come deve essere inteso il limite di spesa di 300.000 euro indicato dalla norma, vale a dire se deve essere riferito alla unità abitativa oggetto di agevolazione o al soggetto che si avvale del beneficio fiscale, è utile tener conto, oltre che dell’articolo 21 del d.l. 12 settembre 2014, n. 133, anche delle norme di attuazione dettate dal decreto del Ministro delle Infrastrutture e Trasporti e del Ministro dell’Economia, 8 settembre 2015. Assume rilievo, in particolare, l’art. 2, comma 4, del decreto attuativo il quale prevede, per gli immobili acquistati in comproprietà, che la deduzione spetta “ai soggetti titolari del diritto di proprietà…in relazione alla quota di proprietà”. Il successivo art. 5, comma 1, del medesimo decreto dispone, inoltre, che la deduzione è riconosciuta “una sola volta per ogni singolo immobile”. 

Calcolando la deduzione pro-quota ed una sola volta per ogni singolo immobile, si avrà quindi, a titolo esemplificativo, che nel caso in cui tre soggetti acquistino in comproprietà e in parti uguali un immobile, il cui prezzo è pari a 900.000 mila euro, ciascun di essi potrà calcolare la deduzione su un ammontare massimo di 100.000 euro, pari a un terzo del limite massimo di spesa deducibile di 300.000 euro, spettante per l’immobile medesimo. 

È necessario, inoltre, tener conto anche di quanto disposto dall’art. 21, comma 3, del d.l. n. 133 del 2014, in base al quale “fermo restando il limite massimo complessivo di 300.000 euro, la deduzione spetta anche per l’acquisto o realizzazione di ulteriori unità immobiliari da destinare alla locazione”. La norma primaria, introduttiva dell’agevolazione, indica chiaramente che l’importo di 300.000 euro costituisce il limite complessivo di spesa spettante al singolo soggetto, anche nel caso in cui questi acquisti più unità abitative da destinare alle finalità previste dalla norma. Assumendo, quindi, il limite di 300.000 euro come importo massimo sul quale il singolo soggetto può calcolare la deduzione si avrà che questi, se acquista più abitazioni nel periodo di vigenza dell’agevolazione (dal 1 gennaio 2014 al 31 dicembre 2017), ha comunque diritto alla deduzione del 20 per cento su un importo massimo complessivo di spesa di 300.000 euro. 

Riprendendo l’esempio precedente, il soggetto che nel 2016 acquista una abitazione in comproprietà per la quale può fruire della deduzione su un importo massimo di spesa di 100.000 euro e, nel medesimo anno, acquista una seconda abitazione del costo di 150.000 euro, questi avrà diritto, per il periodo d’imposta 2016, alla deduzione pari al 20 per cento di 250.000 euro. Se nell’anno successivo, il medesimo soggetto, acquista una terza abitazione al prezzo di 200.000, avrà diritto ad un deduzione del 20 da calcolare su 50.000 euro, vale a dire sull’ammontare residuo del limite complessivo di spesa deducibile di 300.00 euro. 

Si deve, pertanto, concludere che, in base alla combinazione delle norme richiamate, il limite di 300.00 euro costituisce l’ammontare massimo di spesa complessiva su cui calcolare la deduzione, per l’intero periodo di vigenza dell’agevolazione, sia con riferimento alla abitazione che al contribuente.

IL LEASING IMMOBILIARE: ALTERNATIVA (VANTAGGIOSA) ALL’ACCENSIONE DI UN MUTUO

Che cosa prevede la nuova normativa fiscale in materia di casa in leasing? A spiegarlo, nel dettaglio, è la Guida dal titolo “Il Leasing immobiliare abitativo”, nata dalla collaborazione tra Assilea (Associazione italiana leasing), Consiglio nazionale del notariato con l’adesione di 11 tra le principali associazioni dei consumatori (Adiconsum, Adoc, Assoutenti, Casa del Consumatore, Cittadinanzattiva, Confconsumatori ACP, Federconsumatori, Lega consumatori, Movimento Consumatori, Movimento Difesa del Cittadino, Unione nazionale consumatori) e realizzata con il contributo del Dipartimento delle Finanze (Ministero dell’Economia e delle Finanze).

PREMESSE

La disciplina del leasing immobiliare abitativo, istituita dalla legge di Stabilità 2016, prevede incentivi fiscali sull’acquisto o la costruzione di immobili da adibire ad abitazione principale. La finalità della misura è di agevolare, specie per i più giovani, l’acquisto dell’abitazione di residenza attraverso l’utilizzo dello strumento della locazione finanziaria quale innovativo canale di finanziamento rispetto all’ordinario strumento del mutuo ipotecario. 

La Guida chiarisce le caratteristiche fondamentali del leasing immobiliare abitativo e i dubbi più frequenti, le tutele per il cittadino e i regimi fiscali applicabili. La guida sarà distribuita gratuitamente da Assilea, dal Consiglio nazionale del notariato e dalle Associazioni dei Consumatori, ed è inoltre scaricabile dai rispettivi siti web. 

LEASING PRIMA CASA 

Ecco, in sintesi, che cosa prevede la formula del leasing prima casa.

I soggetti 

Il leasing immobiliare abitativo è fruibile dai soggetti con reddito complessivo non superiore a 55.000 euro, purché privi di abitazione principale. Per l’individuazione della soglia del reddito si può fare riferimento al reddito dichiarato nel quadro RN1 dell’ultima dichiarazione dei redditi presentata. 

I vantaggi fiscali 

I titolari dei contratti stipulati dal 1 gennaio 2016 e fino al 31.12.2020, potranno portare in detrazione dalla dichiarazione dei redditi i costi del leasing “prima casa” in misura più vantaggiosa rispetto alle agevolazioni concesse per mutui ipotecari. In particolare, per i giovani sotto i 35 anni all’atto della stipula del contratto e con reddito complessivo non superiore a 55.000 euro gli incentivi fiscali sono: 

* la detraibilità pari al 19% dei canoni di leasing (fino ad un importo massimo di 8mila euro annui); 

* la detraibilità pari al 19% del prezzo del riscatto (fino ad un importo massimo di 20mila euro).

Per i soggetti con età uguale o superiore a 35 anni e con reddito complessivo non superiore a 55.000 euro gli incentivi fiscali sono: 

* la detraibilità pari al 19% dei canoni di leasing (fino ad un importo massimo di 4 mila euro annui); 

* la detraibilità pari al 19% del prezzo del riscatto (fino ad un importo massimo di 10 mila euro). Sia per gli under 35 che per gli over 35, l’imposta di registro sull’acquisto dell’abitazione “prima casa” è ridotta all’1,5% e questo rende più conveniente per i privati il ricorso al leasing rispetto al mutuo ipotecario.

Nel caso di leasing l’imposta di registro è calcolata sul prezzo di acquisto, perché non è applicabile il meccanismo del prezzo-valore.

Il contratto 

Con la stipula del contratto di locazione finanziaria, la società di leasing (banca o intermediario finanziario autorizzato da Banca d’Italia all’esercizio dell’attività di leasing) assume l’obbligo ad acquistare o anche a far costruire l’immobile, su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che lo riceve in uso per un tempo determinato a fronte di un corrispettivo periodico (canone). Alla scadenza del contratto, l’utilizzatore ha la facoltà di riscattare la proprietà del bene, pagando il prezzo stabilito dal contratto.

Gli immobili

Le agevolazioni fiscali prescindono dalle caratteristiche oggettive dell’immobile: le detrazioni spettano a qualsiasi abitazione anche se appartenente alle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (queste ultime escluse invece dalle agevolazioni “prima casa” per l’imposta di registro). Può trattarsi di un fabbricato ad uso abitativo già completato e dichiarato agibile, un fabbricato a uso abitativo da costruire su uno specifico terreno, un fabbricato a uso abitativo in corso di costruzione e da completare o anche un fabbricato abitativo da ristrutturare.

Il leasing co-intestato

Nel caso di un leasing “prima casa” co-intestato a soggetti in possesso dei requisiti (ciascuno con un reddito complessivo non superiore a 55.000 euro e un’età inferiore a 35 anni), le agevolazioni Irpef (detrazioni) spettano a ciascun soggetto in misura proporzionalmente corrispondente alla percentuale di intestazione del contratto.

Iva al 4% anziché al 10%

Qualora la società di leasing acquisti l’abitazione dal costruttore (soggetto passivo Iva), si applica l’aliquota Iva ridotta del 4%. L’Iva, così come le imposte d’atto e le spese notarili e peritali sull’immobile, può essere finanziate dalla società di leasing.

TUTELE DEL CONSUMATORE

Per la sospensione dei pagamenti 

Il leasing prima casa prevede una norma unica nel suo genere che tutela il cliente, il quale può richiedere la sospensione del contratto in caso di perdita del lavoro sia del rapporto subordinato, sia dei rapporti di lavoro di agenzia, di rappresentanza commerciale e altri rapporti di collaborazione (art. 409, numero 3 c.p.c.), anche se non a carattere subordinato. 

La sospensione del contratto non è però prevista nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, di recesso datoriale per giusta causa, di recesso del lavoratore non per giusta causa, di risoluzione per limiti di età con diritto a pensione di vecchiaia o di anzianità, di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, di dimissioni del lavoratore non per giusta causa. La sospensione, in ogni caso, non determina l’applicazione di alcuna commissione o spese d’istruttoria e avviene senza richieste di garanzie aggiuntive.

Nella risoluzione del contratto

In caso in cui il cliente si renda inadempiente nel pagamento dei canoni dovuti, alla società di leasing è consentito, per il rilascio dell’immobile, di agire con il procedimento per convalida di sfratto (art. 1, co. 81, legge 28 dicembre 2015 n. 208), ossia con lo stesso procedimento previsto dalla legge per le locazioni ordinarie per il caso di morosità dell’inquilino. Il giudice competente è sempre il tribunale del luogo in cui si trova il bene oggetto dello sfratto. 

La Legge di Stabilità 2016 prevede che nella successiva attività di vendita e ricollocazione del bene la società di leasing deve attenersi a criteri di trasparenza e pubblicità nei confronti dell’utilizzatore inadempiente (art. 1, comma 78, legge 28 dicembre 2105 n. 208): 

* deve adottare procedure che garantiscano il miglior risultato possibile nell’interesse anche dell’utilizzatore inadempiente; 

* una volta venduto e/o ricollocato il bene, la società di leasing dovrà restituire all’utilizzatore inadempiente quanto ricavato dalla vendita e/o ricollocazione, al netto delle seguenti somme che ha il diritto di trattenere: 

a) la somma dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione;

b) i canoni successivi alla risoluzione attualizzati;

c) spese condominiali eventualmente sostenute, assicurazioni, costi tecnico/legali, ecc.;

d) il prezzo pattuito per l’esercizio del riscatto finale.

In caso di fallimento del concedente

In caso di fallimento ovvero liquidazione coatta amministrativa-risoluzione della banca o della società di leasing, il contratto di leasing prosegue regolarmente e si applica la disciplina prevista dalla legge fallimentare.

I VANTAGGI DEL LEASING PRIMA CASA

Ecco quali vantaggi prevede la formula:

* non ci sono costi di iscrizione e cancellazione di ipoteca; 

* l’imposta di registro sull’atto di acquisto è ridotta;

* il canone leasing è detraibile; 

* il prezzo di riscatto è detraibile nell’anno. 

Il maggior appeal del contratto di leasing finanziario per gli under 35 rispetto a un mutuo stipulato per l’acquisto dell’abitazione principale è dato dal fatto che nel primo caso la detrazione è del 19% fino a un importo massimo dei canoni (quota capitale e quota interessi) di 8 mila euro l’anno, mentre, nel caso del mutuo, la detrazione del 19% è per un importo massimo di euro 4 mila e riguarda la sola quota degli interessi passivi. Inoltre, a parte il maggior valore finanziato rispetto al mutuo, nel leasing non si paga l’imposta sostitutiva (0,25%) che si versa sul mutuo. Il leasing è anche più vantaggioso rispetto al rent to buy, il contratto in cui si fondono un contratto di locazione e un preliminare di vendita di un immobile, rispetto al quale prevede tempi in cui esercitare il riscatto ben più lunghi e vantaggi fiscali. I vantaggi fiscali del Leasing prima casa sono cumulabili con altre agevolazioni (50% dell’IVA dovuta sull’acquisto di abitazioni di nuova costruzione ad alto standard energetico, interventi di riqualificazione energetica degli edifici).

AGEVOLAZIONE ACQUISTO PRIMA CASA: NIENTE RIPENSAMENTI A GIOCHI FATTI

[A cura di: Dora De Marco, FiscoOggi – Agenzia delle Entrate]

Il contribuente perde i benefici prima casa nell’ipotesi di mancato trasferimento della residenza nel Comune di ubicazione dell’immobile entro il termine di diciotto mesi dall’acquisto, in assenza della prova di un evento oggettivo e imprevedibile idoneo a configurare la vis maior, dovendo tener fede al presupposto originariamente invocato. È quanto si desume dall’ordinanza 2777 dell’11 febbraio 2016 della Corte di cassazione.

La vicenda processuale

La vertenza giudiziaria nasce dall’impugnazione di un avviso di liquidazione, con cui l’Agenzia delle Entrate recupera le ordinarie imposte di registro, ipotecaria e catastale a seguito della decadenza dalle agevolazioni spettanti in relazione all’acquisto della prima casa, non avendo il contribuente trasferito, nel termine di diciotto mesi, la propria residenza nel Comune di ubicazione dell’immobile.

La Ctr, nel confermare il verdetto di primo grado, annulla detto avviso di liquidazione, ritenendo, in primo luogo, che il tardivo trasferimento della residenza nel termine dei diciotto mesi dall’acquisto possa trovare la sua giustificazione in una causa di forza maggiore (nella specie, presunti lavori di ristrutturazione dell’immobile). Altresì, a detta dei giudici di merito, al contribuente spetterebbe l’agevolazione prima casa avendo fornito la prova documentale di avere il centro dei propri interessi economici nello stesso comune ove si trova l’abitazione (oggetto dell’acquisto agevolato), soddisfacendo la condizione alternativa (normativamente richiesta) dell’ubicazione dell’immobile “nel luogo in cui l’acquirente svolge la propria attività”.

Ricorre in Cassazione l’Agenzia delle Entrate lamentando, in una duplice prospettiva, la violazione dell’articolo 1 e della relativa nota 2-bis della tariffa, parte I, allegata al Dpr 131/1986 (Tur).

La pronuncia della Cassazione

La Corte suprema ha accolto il ricorso del Fisco, confermando da un lato la prassi dell’Amministrazione finanziaria e l’orientamento di legittimità maggioritario, per cui soltanto una causa di forza di maggiore oggettiva, inevitabile e imprevedibile, della cui prova è onerato il contribuente, potrebbe dispensarlo dall’obbligo del trasferimento della residenza nel Comune dell’immobile acquistato. Altresì, ad avviso dei giudici, deve “escludersi che l’agevolazione, originariamente invocata in ragione dell’esistenza di uno specifico presupposto, possa poi essere recuperata in ragione di un differente presupposto una volta che si sia accertato inesistente quello su cui si confidava”.

Osservazioni

Nel confermare, dunque, l’orientamento di legittimità maggioritario, che attribuisce rilevanza alla vis maior (a titolo esemplificativo, si veda Cassazione, sentenza 7067/2014) idonea a esentare il contribuente dall’obbligo legale del trasferimento della residenza nel termine di diciotto mesi dall’acquisto, per non incorrere nella decadenza dell’agevolazione provvisoriamente accordata al momento della registrazione del rogito, la Corte suprema si sofferma sulle caratteristiche di detta vis maior e sul tema dell’oggetto dell’onus probandi di cui è gravato il contribuente, che perora la conservazione del beneficio.

Spetta, infatti, al contribuente allegare la sussistenza del fatto impeditivo e comprovarne la esistenza e consistenza dei caratteri di non imputabilità, imprevedibilità e inevitabilità dello stesso. Circostanza non verificatesi nel caso di specie, dove il contribuente si è limitato ad asserire ritardi nei lavori di ristrutturazione a lui non imputabili e verificatisi dopo l’acquisto dell’immobile, non fornendo alcuna prova in tal senso.

Resta, dunque, orientamento minoritario quanto di recente affermato dalla Corte suprema con la sentenza 2616/2016 sull’irrilevanza della causa di forza maggiore, quale evento idoneo a esentare l’acquirente “prima casa” dall’obbligo del trasferimento della residenza nel termine dei diciotto mesi dall’atto di vendita.

La Cassazione, altresì, in altra prospettiva, ha chiarito che, qualora il contribuente nell’atto di acquisto richieda l’agevolazione prima casa, subordinandola alla condizione del trasferimento della propria residenza nel comune di ubicazione dell’immobile entro il termine di diciotto mesi, detta condizione non è “surrogabile a posteriori” a mezzo della dimostrazione della sussistenza di altri requisiti alternativi ai quali è pure subordinato il beneficio in parola, come per esempio lo svolgimento della propria attività in detto comune.

Invero, considerato quanto argomentato in sentenza, se il contribuente avesse goduto del requisito alternativo (luogo di svolgimento della propria attività), al momento della stipulazione dell’atto non avrebbe avuto alcuna ragione a dichiarare l’intenzione del trasferimento della propria residenza. Né tantomeno nell’ordinamento giuridico è possibile rinvenire alcuna ipotesi di istanza per la concessione di un beneficio, nella quale possa rimanere elusa la precisa identificazione dei presupposti.

Da ultimo, una volta che l’acquirente abbia subordinato l’agevolazione prima casa alla condizione risolutiva del trasferimento della residenza, per i giudici di legittimità, vi è l’esigenza di non valicare il termine di decadenza normativamente previsto per l’avveramento di detta condizione. Pertanto – si legge in sentenza – “qualunque sia l’ipotizzabile relazione destinata ad instaurarsi tra le molteplici condizioni alternative di legge, ciò che certamente è da escludersi … è che l’emersione della fungibilità reciproca tra dette condizioni possa avvenire al momento della verifica giudiziale dell’esistenza del presupposto originariamente invocato, perché ciò sarebbe palesemente preclusivo della facoltà dell’Amministrazione procedente di sottoporne a verifica la consistenza effettiva”. 

CRONACA FLASH DALLA CASA E DAL CONDOMINIO

Cede lastra dal camino:

muore bimba di 4 anni 

È morta mentre stava giocando in casa con il fratellino, schiacciata da una lastra di marmo che si è staccata dal caminetto. Si è spezzata in questa tragica maniera la vita di una bambina di 4 anni, che viveva con la famiglia nella provincia di Modena. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, che hanno comunque aperto un fascicolo per fare luce sulla vicenda, la piccola si sarebbe aggrappata alle mensole del caminetto che hanno ceduto e le sono finite addosso, schiacciandola all’altezza del collo. Inutile l’intervento del 118.

Esplode bombola gas,

devastato mezzo paese

Un potente boato, la terra che trema e la corrente che va via. Potrebbe sembrare la descrizione di un terremoto o dello scoppio di un ordigno bellico. A esplodere, invece, è stata semplicemente una bombola a gas in una casa della provincia di Biella. Fortunatamente non ci sono stati feriti, ma poteva andare molto peggio. Il padrone di casa, un uomo di 31 anni, è stato estratto vivo dai vigili del fuoco dopo oltre un’ora di lavoro, mentre i vicini, tra cui una bambina piccola, sono stati portati in salvo dai carabinieri, intervenuti poco dopo la deflagrazione, avvenuta intorno all’ora di cena.

 

Legano anziana a sedia

per svaligiare la casa

Sono entrati in azione alle 3 di notte i protagonisti del tentato furto ai danni di un’anziana residente in un piccolo paese della provincia di Barletta-Andria-Trani. I malviventi, in tutto tre, hanno fatto irruzione nell’abitazione della vittima entrando da un terrazzino, servendosi di una scala per arrampicarsi sul tetto della casa adiacente. Trovandosi di fronte la donna, hanno deciso di immobilizzarla legandola ad una sedia, per agire indisturbati. Alla fine del raid, i ladri sono riusciti a dileguarsi, sottraendo circa 4mila euro in contanti e numerosi oggetti d’oro.

Lascia il gas acceso

e la casa prende fuoco

Una donna di 60enne, con problemi psichici e di alcolismo, è stata tratta in salvo dall’incendio della sua abitazione in provincia di Padova. Sono stati i carabinieri della stazione locale ad allertare i vigili del fuoco che, una volta sul posto, hanno domato le fiamme e salvato la signora, in seguito trattenuta in ospedale per gli accertamenti del caso. Secondo una prima ricostruzione, a provocare il rogo sarebbe stata una pentola lasciata qualche minuto di troppo sul piano cottura, sotto i fornelli accesi. L’appartamento è stato dichiarato inagibile ed evacuato per precauzione. 

Imbratta casa del prof

per vendicarsi del voto

Un giovane di 18 anni è stato fermato dai carabinieri della provincia di Siracusa per aver a perseguitato un professore, colpevole di avergli dato un voto troppo basso e averlo rimproverato in classe. Gli inquirenti sono risaliti allo studente grazie alle riprese delle videocamere di sorveglianza poste vicino all’abitazione. Sembra che il 18enne, nelle ore serali e notturne, abbia sporcato i muri e il portoncino d’ingresso della casa del docente con rifiuti organici, uova e salsa di pomodoro (quest’ultima sul parabrezza della sua auto), suonando anche il campanello per poi fuggire.

GARAGE, SANITARI, CALDAIE, LOCAZIONI: QUALI ONERI SONO DETRAIBILI E DEDUCIBILI?

[A cura di:Nuovo FiscoOggi – Agenzia delle Entrate]

Bonus ristrutturazioni per i condomini minimi, sostituzione caldaia e bonus mobili, spese per la sostituzione dei sanitari. Sono alcuni dei temi affrontati e chiariti dall’Agenzia delle Entrate nella circolare 3/E del 2 marzo 2016. Un vero e proprio focus, inoltre, sulla deducibilità del costo di acquisto (e degli interessi passivi) di unità abitative da destinare a locazione. Ecco una sintesi di quanto precisato nel documento di prassi.

Pertinenza abitazione principale

Un garage, box o posto auto, acquistato in comproprietà da due diversi soggetti e utilizzato da entrambi a servizio dell’abitazione principale, può essere considerato pertinenza per tutti e due nel rispetto delle percentuali di proprietà. Il vincolo pertinenziale con due distinte unità immobiliari, validamente costituito, assume rilievo anche ai fini delle imposte sui redditi (comma 3-bis dell’articolo 10 del Tuir). Pertanto, per determinare l’importo deducibile, bisognerà fare riferimento alla quota di rendita della pertinenza pari alla percentuale di possesso. Inoltre, in relazione alle detrazioni previste per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio abitativo (articolo 16-bis del Tuir), il limite massimo di spesa va calcolato in base alla percentuale di possesso della pertinenza insieme all’abitazione.

Sostituzione caldaia e bonus mobili

La sostituzione della caldaia è qualificabile come intervento di manutenzione straordinaria e consente, pertanto, l’accesso al bonus arredi, in presenza di risparmi energetici conseguiti rispetto alla situazione preesistente. Gli interventi che utilizzano fonti rinnovabili di energia sono, infatti, riconducibili alla manutenzione straordinaria per espressa previsione normativa (articolo 123, comma 1, del Dpr 380/2001), mentre, negli altri casi, bisogna valutare in concreto se l’intervento sugli impianti tecnologici risponde al criterio dell’innovazione, risultando tendenzialmente riconducibile alla manutenzione straordinaria (paragrafo 5.1 della circolare 11/2014).

Spese per sostituzione sanitari

Le spese sostenute per la sostituzione dei sanitari e, in particolare, della vasca con altra vasca con sportello apribile o con box doccia non sono agevolabili ai sensi dell’articolo 16-bis del Tuir, in quanto si tratta di interventi di manutenzione ordinaria. Né l’agevolazione può essere riconosciuta come intervento diretto alla eliminazione delle barriere architettoniche, in quanto non presenta le caratteristiche tecniche previste dalle norme di riferimento (legge 13/1989 e Dm 236/1989). La sostituzione della vasca, e dei sanitari in generale, potrà comunque considerarsi agevolabile qualora l’intervento sia integrato o correlato ad altri maggiori per i quali compete la detrazione d’imposta.

Condominio minimo e bonus del 50 e 65%

Non è necessaria la richiesta del codice fiscale da parte di un condominio minimo, a condizione che non vi sia stato pregiudizio al rispetto da parte delle banche e di Poste italiane Spa dell’obbligo di operare la prescritta ritenuta all’atto dell’accredito del pagamento. In tale caso, per beneficiare della quota di detrazione spettante, è possibile inserire in dichiarazione le spese sostenute utilizzando il codice fiscale del condomino che ha effettuato il relativo bonifico. In sede di controllo, poi, occorrerà dimostrare che gli interventi sono stati effettuati su parti comuni dell’edificio. In sede di assistenza fiscale, inoltre, va prodotta, tra l’altro, una autocertificazione per attestare la natura dei lavori effettuati e indicare i dati catastali delle unità immobiliari facenti parte del condominio. Sono pertanto superate, le indicazioni fornite con la circolare 11/2014 e con la risoluzione 74/2015, salvi restando i comportamenti già posti in essere in attuazione di tali documenti.

Manutenzione, protezione o restauro delle cose vincolate

È confermata la cumulabilità della detrazione delle spese per la manutenzione, protezione o restauro dei beni di interesse storico e artistico (articolo 15, comma 1, lettera g, del Tuir) con quella per interventi di recupero del patrimonio edilizio (articolo 16-bis del Tuir). In tale ipotesi, l’agevolazione per gli immobili oggetto di vincolo è ridotta nella misura del 50 per cento.

Acquisto immobili da locare: deducibilità costo d’acquisto 

In riferimento alla deduzione del 20% prevista per gli acquisti (o la costruzione) di immobili abitativi destinati alla locazione effettuati dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2017, nel limite massimo complessivo di spesa di 300mila euro (articolo 21 del Dl 133/2014), viene precisato che tale limite costituisce l’ammontare massimo di spesa complessiva su cui calcolare la deduzione, per l’intero periodo di vigenza dell’agevolazione, sia con riferimento all’abitazione che al contribuente. Pertanto, in caso di acquisto di più immobili destinati alla locazione, la deduzione va calcolata pro-quota per ciascuna di esse.

Acquisto immobili da locare: deducibilità interessi passivi 

In merito alla deducibilità del 20% anche degli interessi passivi dipendenti da mutui contratti per l’acquisto (o la costruzione) di immobili abitativi destinati alla locazione, viene specificato che, pur non essendo indicati limiti di spesa né dalla norma primaria né dal decreto attuativo, l’agevolazione va comunque correlata ai limiti di spesa previsti per la deduzione del costo di acquisto dell’abitazione, trattandosi di due misure tese ad agevolare l’acquisto del medesimo bene. Pertanto, la deduzione per interessi deve essere limitata alla quota degli stessi proporzionalmente riferibile a un mutuo non superiore a 300mila euro.

In base al principio per cui l’onere rileva nel periodo di imposta in cui è stata sostenuta la spesa, occorre far riferimento alle quietanze di pagamento degli interessi passivi. La deduzione degli interessi passivi, in mancanza di disposizione contraria (per la deduzione del costo di acquisto è espressamente disposto un periodo temporale di otto anni), può essere fruita per l’intera durata del mutuo.

Acquisto immobili da locare: durata canone di locazione 

Il requisito della durata contrattuale di almeno otto anni e a carattere continuativo si considera rispettato anche in caso di locazione a canone concordato, la cui durata è stabilita in anni sei più due, che consente la proroga di diritto alla prima scadenza, se le parti non concordano sul rinnovo del contratto medesimo e fatta salva la facoltà di motivata disdetta da parte del locatore. Si decadrà invece dal beneficio in caso di interruzione anticipata del periodo di locazione per motivi imputabili al locatore o se il contratto è risolto su richiesta del conduttore e l’immobile non viene locato per più di un anno.

CANNA FUMARIA SU MURO CONDOMINIALE PER IL TAR DI FIRENZE SI PUÒ

[A cura di: Confappi]

È possibile per ogni condomino apportare modifiche agli spazi o ai beni comuni, senza bisogno di ottenere il consenso degli altri proprietari, purché ciò non impedisca a questi ultimi l’uso del bene o dello spazio stesso e non ne alteri la destinazione originaria. 

Il principio civilistico (che deve tuttavia essere armonizzato con gli strumenti urbanistico-edilizi comunali) emerge dalla sentenza del 28 ottobre 2015 n.1475, con cui il Tar di Firenze ha accolto, sotto il profilo della legittimità amministrativa, un ricorso presentato dai proprietari di un ristorante a Lucca. Questi ultimi, dopo aver collocato una canna fumaria e uno sfiato di aria calda sul prospetto di una delle facciate dell’edificio in cui è inserito, al piano terra, l’esercizio, avevano proposto un’istanza di sanatoria, stante il diniego delle opere da parte del Comune per motivi edilizi. Che è stata però anch’essa negata dal Comune, in quanto gli istanti non erano proprietari dell’intera facciata sulla quale avevano effettuato l’intervento e non avevano avuto il consenso degli altri condòmini alla realizzazione della canna fumaria e dello sfiato. I titolari del ristorante hanno, dunque, presentato ricorso al Tar Firenze, chiedendo non solo l’annullamento del diniego di sanatoria, ma anche il risarcimento dei danni, visto che – ai sensi della normativa comunale applicabile – era loro impedito di esercitare la propria attività lavorativa, senza canna fumaria in regola.

Ne è seguita una bagarre processuale. Nel procedimento, infatti, si è costituito il Comune di Lucca e sono intervenuti molti condòmini, schierati contro i proprietari del ristorante, tutti uniti nel chiedere il rigetto del ricorso e lamentando l’intollerabilità delle immissioni di fumo derivanti dalla canna fumaria in questione. Il Tar di Firenze, tuttavia, ha accolto il ricorso dei proprietari sulla base del disposto dell’art. 1102 c.c. – dettato in tema di comunione, ma applicabile anche in ambito condominiale a fronte del richiamo operato dall’art. 1139 c.c. – che dispone “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa”.

Sulla base di tale norma, il giudice amministrativo fiorentino ha fatto applicazione del principio civilistico per il quale il singolo condomino può apportare al muro perimetrale del condominio tutte le modificazioni che consentano di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva senza bisogno di ottenere il consenso da parte degli altri condòmini, purché ciò non impedisca a questi ultimi l’uso del muro comune e non ne alteri la destinazione ordinaria con interventi invasivi. In particolare, il giudicante ha ritenuto che, nel caso specifico, non risultava compromessa la possibilità per gli altri condòmini di utilizzare il muro perimetrale in modo analogo.

A questo proposito, si segnala che, in un caso analogo, il Tar Lazio, con la sentenza 9 settembre 2015 n. 11129, ha dato torto al proprietario di una pizzeria, che aveva collocato una canna fumaria sulla parete condominiale, a fronte del regolamento edilizio del Comune di Roma che – all’art. 59 – fa espresso divieto di «”ar esalare il fumo inferiormente al tetto” e vieta altresì l’installazione di “canne fumarie con tubi esterni prospettanti sul suolo pubblico”.

In ultimo, per ciò che riguarda la posizione degli altri condòmini (i cosiddetti “controinteressati” nel procedimento amministrativo), il Tar Firenze – pur riconoscendo il loro interesse ad intervenire nel procedimento amministrativo – ha rimandato la questione al giudice civile, dove gli stessi potranno far valere le loro ragioni senza preclusioni, visto che i provvedimenti in materia edilizia sono sempre rilasciati fatti salvi i diritti dei terzi. 

MA PER QUANTI ANNI SI RINNOVA IL CONTRATTO D’AFFITTO A CANONE CONCORDATO?

[A cura di: Paolo Ciri – Delegato Uppi Spoleto]

A volte mi permetto di pubblicare delle riflessioni o degli approfondimenti che pretendono di trarre delle conclusioni sul piano giuridico. Questa volta intendo aprire un dibattito, cerco risposte, sebbene, come si vedrà, ne ho trovata una autorevole e convincente. Il punto è: per quali durate si proroga, civilisticamente e fiscalmente, un contratto concordato giunto alla scadenza della sua durata prevista?

Per semplicità parliamo di un 3 + 2, non di un contratto con il primo periodo più lungo del minimo. Alla scadenza dei primi tre anni nulla quaestio, tra le parti: il contratto, in mancanza di valida disdetta al primo periodo o per recesso libero, si proroga di altri due. Per l’Agenzia delle Entrate idem, si presenta una proroga per due anni, gratuitamente se il contratto ha la opzione cedolare, altrimenti pagando il 1,4% del canone annuo.

Ma al termine dei 5 anni cosa succede?

La 431/98 (art. 2, comma 5) ci dice: “Alla scadenza del periodo di proroga biennale ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. In mancanza della comunicazione il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni”.

Presupponiamo, ovviamente, per caso di scuola, che non vi sia stato “rinnovo a nuove condizioni”, cioè nuova stipula di altro contratto, né, come detto, rinuncia. Il contratto si “rinnova” e lo fa “alle medesime condizioni”.

Quindi? Dobbiamo considerarlo rinnovato per 3 anni e poi per due senza possibilità di disdetta da parte del proprietario per altri 5 anni? Una interpretazione esegetica direbbe di sì, ma con metodo teleologico (ed anche sistematico) questa interpretazione andrebbe a vanificare l’agevolazione che politicamente si voleva concedere al proprietario, legandolo per un periodo più breve rispetto al contratto libero. Esso, una volta scaduto, si proroga di 4 anni, in questo caso il concordato di 5 anni (o più, se fosse un 6+2).

Con questa soluzione, quindi, i periodi saranno 3/5/8/10/13/15 e così via.

Come Uppi Spoleto abbiamo inoltrato una richiesta formale di consulenza preventiva alla Agenzia delle Entrate, in attesa di risposta. Informalmente, tramite colloqui personali nei loro uffici, è nata una seconda interpretazione: il periodo di 2 anni sarebbe un “beneficio” valido solo per la prima fase di vita del contratto. Dopo di esso la proroga è sempre di 3 anni, perché quelle erano le “medesime condizioni” iniziali.

Così i periodi risultano essere 3/5/8/11/14/18.

Infine un’altra visione ancora. Il primo periodo è di 3 anni. Il rinnovo è di 2. Se le “medesime condizioni” sono riferite, come sono, alla proroga e non al periodo iniziale, esse vanno di due anni in due anni. Quindi 3/5/7/9/11/13/15.

Come detto, la questione è rilevante per verificare la validità delle disdette e la scadenza di fine locazione, e, non di meno, per il corretto adempimento fiscale della “proroga” (“tipo adempimento” 2 dell’RLI – registro locazioni immobili, per intenderci). La sanzione, peraltro, non è irrilevante: 258 euro.

La soluzione cui accennavo in apertura prima è del Tribunale di Torino (non recente, 26/6/2008). Già in tale sentenza si ritiene che la questione è nuova e controvertibile, tanto da giustificare la compensazione delle spese di causa. Ora, sono passati molti anni, ma non abbiamo troppe certezze interpretative, al di là di questa, sotto riportata. Secondo il Giudice, la proroga automatica di due anni si applica una sola volta nella vita del contratto. Prima e dopo di essa i periodo sono sempre di 3 (tre) anni. O comunque quelli pattuiti, se più lunghi, non certo più brevi. Il dettaglio del ragionamento, molto lineare, lo leggerete direttamente in sentenza.

Per cui i periodi sono: 3+2+3+3+3 cioè 3, 5, 8, 11, 14, 17.

Ne conseguono molti effetti, tra i quali:

* eventuali proroghe o disdette al settimo anno sono errate e da ricondurre “ope legis” all’ottavo;

* all’ottavo anno va fatta proroga fiscale a pena di sanzione.

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TRIBUNALE TORINO

Sez. VIII civ., 

sent. 26.6.2008

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MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO

I. In linea di fatto è pacifico in causa:

– che le parti, in data 30 marzo 2000, hanno concluso contratto di locazione ad uso abitativo avente ad oggetto l’immobile sito in Torino, via …;

– che il contratto, stipulato ai sensi dell’art. 2, comma 3, L. 431/98, prevede la durata di “anni tre dal giorno 01 maggio 2000 al giorno 30 aprile 2003 e alla prima scadenza è prorogato di diritto di due anni…” (art. 1 contratto prodotto);

– che con lettera pervenuta al conduttore in data 3 dicembre 2005 il locatore “dà formale disdetta del contratto in corso per la prima scadenza utile”.

Sulla base di tali elementi l’IB srl intima sfratto per finita locazione alla data del 30 aprile 2007, ritenendo che, dopo il primo triennio, terminato al 30 aprile 2003, il contratto si sia rinnovato di due anni in due anni fino al 30 aprile 2007; a tale ultima data, in forza della lettera di disdetta pervenuta il 3 dicembre 2005, non si è più verificato alcun rinnovo.

Il convenuto contrasta la tesi attorea ritenendo che la norma in questione, art. 2, comma 5, L. 431/98, prevedendo il rinnovo “alle medesime condizioni” comporti necessariamente la reiterazione del doppio periodo, vale a dire tre anni di durata, più due di proroga, con l’ulteriore conseguenza che al termine del triennio il locatore potrà esclusivamente esercitare il diritto di diniego di rinnovazione nelle limitate ipotesi tipicizzate dall’art. 3, L. 431/98.

Secondo la prospettazione di parte conduttrice, quindi, nella vicenda in esame, concluso il primo quinquennio al 30 aprile 2005, il contratto si è rinnovato per un triennio, fino al 30 aprile 2008 e per tale termine la lettera di disdetta non è efficace in quanto non titolata, ex art. 3, L. 431/98, mentre potrà validamente operare al termine dell’ulteriore biennio, vale a dire al 30 aprile 2010.

II. La L. 431/98 prevede tre tipologie di contratto di locazione degli immobili adibiti ad uso abitativo:

– il c.d. quattro più quattro a canone libero (art. 2, comma 1);

– il c.d. tre più a canone concertato (art. 2, commi 3-5);

– il contratto di natura transitoria (art. 5).

Il contratto in questione è pacificamente riconducibile alla seconda categoria; in particolare assume specifico rilievo la disciplina posta comma 5, del citato art. 2, secondo il quale:

I contratti di locazione stipulati ai sensi del comma 3 non possono avere durata inferiore ai tre anni, ad eccezione di quelli di cui all’articolo 5. Alla prima scadenza del contratto, ove le parti non concordino sul rinnovo del medesimo, il contratto è prorogato di diritto per due anni fatta salva la facoltà di disdetta da parte del locatore che intenda adibire l’immobile agli usi o effettuare sullo stesso le opere di cui all’articolo 3, ovvero vendere l’immobile alle condizioni e con le modalità di cui al medesimo articolo 3. Alla scadenza del periodo di proroga biennale ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. In mancanza della comunicazione il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni.

La norma non è perspicua e la sua equivoca formulazione rende possibili tre diverse interpretazioni secondo le quali, nella successione dei contratti di locazione: a) si susseguono alternativamente il triennio e il biennio (3+2, 3+2, 3+2, …); b) trascorso il triennio il rinnovo è comunque biennale (3+2, +2, +2, …); c) trascorso il quinquennio il rinnovo è triennale (3+2, +3, +3, …).

Non risultano precedenti che espressamente abbiano affrontato la questione.

Ad avviso del giudicante appare più condivisibile la terza ipotesi interpretativa.

Anzitutto, si osserva che nei due modelli contrattuali previsti dalla legge, vale a dire il 4+4 a canone libero e il 3+2 a canone concertato, la ratio appare essere quella di garantire un congruo periodo iniziale di godimento dell’immobile a favore del conduttore che, infatti, può fare affidamento su un termine di otto o di cinque anni, fatte salve le ipotesi eccezionali di diniego di rinnovo ex art. 3 L. 431/98.

Superato il periodo iniziale, il contratto si rinnova in base alla sua durata originaria che in un caso è “non inferiore a quattro anni” (comma 1) e nell’altro caso è non “inferiore ai tre anni” (comma 5). 

Infatti, lo stesso comma 5 dell’articolo in esame prevede esplicitamente che la proroga di diritto di due anni si verifica “alla prima scadenza del contratto”; da ciò si ricava che il contratto scade con il triennio, quindi la sua durata è di tre anni, e solo alla prima scadenza si ha la proroga di diritto biennale.

Peraltro, la proroga “di diritto per due anni” si verifica solo “ove le parti non concordino sul rinnovo”; il che conferma ulteriormente che la durata del contratto è quella originariamente pattuita dalle parti le quali, qualora manifestino un espresso consenso al rinnovo del contratto, possono escludere totalmente il meccanismo della proroga ex lege.

Inoltre, ritenere che il contratto si debba rinnovare secondo il modello di tre anni più due, comporterebbe, come sostenuto dall’odierno convenuto, che al termine di ogni nuovo triennio il locatore possa disdettare il contratto solo ove ricorrano le condizioni previste dall’art. 3 L. 431/98; ma tale conclusione è sicuramente esclusa dalla chiara formulazione del citato art. 3 per il quale “alla prima scadenza dei contratti stipulati ai sensi del comma 1 dell’art. 2 e … del comma 3 del medesimo articolo, il locatore può avvalersi della facoltà di diniego del contratto”.

Infine, appare di dubbia ragionevolezza un modello contrattuale secondo il quale, da un lato, i rinnovi si succedano con durata differente ed alternata, e dall’altro lato, la disdetta possa essere libera alle scadenze biennali, ma debba essere titolata alle scadenze triennali; non si coglie, infatti, quale potrebbe essere la ratio di una disciplina così differenziata.

Alla luce delle considerazioni ora svolte appare preferibile concludere che:

– il contratto di locazione delineato dai commi 3-5 dell’art. 2 L. 431/98 ha durata triennale, o comunque “non inferiore ai tre anni”;

– alla scadenza del primo triennio, o comunque del primo periodo, le parti possono concordare un rinnovo contrattuale per la stessa durata (ipotesi ammessa dalla presenza dell’inciso “ove le parti non concordino sul rinnovo”); salva la facoltà per il locatore di esercitare il diniego di rinnovo alle condizioni dell’art. 3;

– qualora le parti non concordino sul rinnovo ovvero il locatore non eserciti il diniego di rinnovo, opera la proroga biennale che, quindi, si configura quale meccanismo di tutela a favore del conduttore, il quale in tal modo, da un lato, è avvertito del fatto che il locatore presumibilmente non intenderà “rinnovare” il contratto alla scadenza biennale e, dall’altro lato, ha un congruo periodo di tempo (due anni) per ricercare una nuova soluzione abitativa;

– al termine del biennio di proroga le parti possono attivare “la procedura per il rinnovo a nuove condizioni” o “la rinuncia al rinnovo del contratto”, vale a dire la disdetta dello stesso;

– in assenza di una delle due predette iniziative, che sono vincolate alla forma scritta (“lettera raccomandata da inviare all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza”), il contratto “è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni”, vale a dire uguale canone e durata pari a quella originariamente pattuita nella misura “non inferiore ai tre anni”.

III. Nella vicenda in esame le considerazioni sinora svolte comportano che:

– il contratto di locazione ha avuto la prima scadenza triennale al 30 aprile 2003;

– entro tale termine non si è concluso alcun accordo per il rinnovo;

– quindi, il contratto è stato prorogato di diritto per il biennio fino al 30 aprile 2005;

– entro tale termine non si è concluso alcun accordo per il rinnovo, né stata inviata alcuna lettera di disdetta;

– pertanto, il contratto si è rinnovato tacitamente di tre anni, fino al 30 aprile 2008;

– entro i sei mesi precedenti la predetta scadenza il locatore ha inviato la lettera di disdetta libera che è pervenuta al conduttore in data 3 dicembre 2005.

In conclusione, in accoglimento della domanda attorea, formulata in via subordinata, è dichiarata la cessazione al 30 aprile 2008 del contratto di locazione concluso tra le parti in data 30 marzo 2000, avente ad oggetto l’immobile sito in Torino, via ….

Con riferimento al termine per il rilascio, considerato il tempo trascorso dalla disdetta, ex art. 56 L. 392/78, si ritiene opportuno fissare la data del 30 novembre 2008.

IV. La novità e la controvertibilità della questione oggetto di causa, nonché la parziale reciproca soccombenza, rendono equa l’integrale compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il giudice definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa istanza, eccezione, deduzione,

dichiara che il contratto di locazione concluso tra le parti in data 30 marzo 2000, avente ad oggetto l’immobile sito in Torino, via …, è cessato al 30 aprile 2008;

dichiara tenuto e condanna TAS a rilasciare i locali sopra descritti, liberi da persone e cose di sua proprietà, fissando per il rilascio la data del 30 novembre 2008;

dichiara integralmente compensate tra le parti le spese processuali del presente giudizio.

COMODATO D’USO E IMU AL 50%: I CHIARIMENTI DEL DIPARTIMENTO DELLE FINANZE

[A cura di: Anna Maria Badiali – Nuovo FiscoOggi, Agenzia delle Entrate]

Ai quesiti pervenuti, il dipartimento delle Finanze risponde con la risoluzione 1/Df del 17 febbraio 2016, e chiarisce alcuni interrogativi in materia di applicazione dell’Imu e della Tasi in relazione alle agevolazioni introdotte dalla legge di stabilità 2016 (articolo 1, comma 10, legge 208/2015).

La nuova disciplina, ricordiamo, taglia del 50% la base imponibile Imu e Tasi degli immobili dati in uso gratuito ai parenti in linea retta entro il primo grado (genitori e figli, quindi), che li utilizzano come abitazione principale, ossia vi hanno la residenza anagrafica e la dimora abituale. Le condizioni sono che:

* gli immobili non appartengano alle categoria considerate “di lusso” (A/1, A/8, e A/9);

* il contratto di comodato sia registrato;

* il comodante possieda un solo immobile in Italia (ovvero, oltre a quello concesso in comodato, un altro nello stesso comune, adibito a propria abitazione principale);

* il comodante risieda anagraficamente e dimori abitualmente nel comune dell’abitazione messa a disposizione del parente.

CASI PARTICOLARI

Messe in chiaro le condizioni generali, tutte necessarie ai fini dello sconto fiscale, il Df scende nel dettaglio per evitare equivoci e conseguente perdita dell’agevolazione. 

La prima puntualizzazione riguarda l’abitazione principale del comodante che, come l’appartamento dato in uso, non può essere una villa o un castello o essere accatastata come “signorile”.

Un altro punto messo in risalto dalla risoluzione è che la Stabilità 2016, introducendo il nuovo beneficio, ha di riflesso abolito, da quest’anno, la norma che dava facoltà alle amministrazioni locali di equiparare all’abitazione principale l’immobile concesso in comodato ai parenti “stretti”. Il Comune, in ogni caso, può sempre stabilire un’aliquota light, comunque non inferiore allo 0,46%, potendo modificare l’aliquota base, in aumento o in diminuzione, fino a 0,3 punti percentuali.

DOCUMENTAZIONE

Bisogna munirsi del modello 69. Indispensabile per l’agevolazione, come abbiamo visto, è la registrazione del contratto di comodato. Nulla di nuovo da segnalare nel caso di contratto scritto, modalità e tributi sono quelli ordinari: imposta di bollo, Registro in misura fissa (200 euro) e registrazione entro 20 giorni dalla data dell’atto. A tal proposito, il Df ricorda che, poiché l’Imu è dovuta per anno solare in proporzione alla quota e ai mesi di possesso (è computato come intero il mese in cui il possesso si è protratto per più di 15 giorni), per usufruire dell’agevolazione sin dall’inizio dell’anno, occorre che il contratto sia stato stipulato entro lo scorso16 gennaio.

Per fruire della riduzione Imu, la registrazione del comodato è obbligatoria, a differenza di quanto avviene di norma, anche nell’ipotesi di contratto verbale. In tal caso, l’adempimento – specifica la risoluzione – può essere effettuato previa esclusiva presentazione del modello 69 (in duplice copia), nel quale deve essere indicata, come tipologia dell’atto, “Contratto verbale di comodato”.

DUBBI E RISPOSTE

Il Dipartimento va a chiarire, poi, alcuni dubbi più specifici. Uno di questi riguarda la regola secondo cui il contribuente debba possedere un solo immobile in Italia: la risoluzione spiega che si deve intendere un solo “immobile a uso abitativo”, restano fuori, quindi, ad esempio, terreni agricoli e negozi.

Prese in considerazioni, inoltre, le pertinenze delle unità date in comodato: anch’esse godono dello sconto del 50%, nei limiti previsti dalla legge (una per ciascuna delle categorie catastali C/2, C/6 e C/7), a prescindere dal fatto che il comodante possegga un’altra cantina, soffitta o garage.

E, ancora, il possesso di un fabbricato rurale a uso strumentale (è tale anche l’immobile destinato ad abitazione dei dipendenti esercenti attività agricole nell’azienda) non sbarra la strada all’agevolazione, in presenza, naturalmente, delle altre condizioni.

Continuando con i casi particolari, trattamento differenziato per i genitori che danno al figlio l’appartamento posseduto in comproprietà, nell’ipotesi in cui uno dei due possegga un’altra casa in un comune diverso: quest’ultimo (e solo lui) perde il beneficio.

Disparità anche nel caso in cui l’immobile sia concesso in comodato ai genitori del marito o della moglie: soltanto il figlio della coppia usufruisce, per la sua parte, dello sconto.

LA TASI

Riguardo alla Tasi, infine, ricordato che la Stabilità 2016 ha esentato dal tributo sia i possessori che gli occupanti per gli immobili destinati ad abitazione principale (il comodatario, quindi, non paga nulla), il proprietario dell’appartamento, in caso di comodato, dovrà versare la tassa, calcolata sulla base imponibile “dimezzata”, nella percentuale stabilita dall’amministrazione locale per il 2015. Nel caso in cui il municipio non abbia provveduto a tale determinazione, il comodante dovrà farsi carico del 90% dell’ammontare complessivo del tributo (articolo 1, comma 681, legge 147/2013).

CONTRATTO DI COMODATO D’USO:COME OTTENERE LO SCONTO SULL’IMU?

[A cura di: dott.ssa Maria Rosaria Monsellato – Centro studi nazionale Appc]

Con l’entrata in vigore della Legge di Stabilità 2016 numerosi sono stati i quesiti sorti in merito all’applicazione dell’art. 1, comma 10, che ha previsto la possibilità di fruire della riduzione al 50% della base imponibile ai fini della determinazione di Imu e Tasi per le unità immobiliari, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, concesse in comodato d’uso gratuito dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado, vale a dire genitori ovvero figli, purché venga da questi ultimi utilizzata come abitazione principale.

Si ricorda che per ottenere lo sgravio fiscale è necessario, altresì, che il comodante, oltre alla casa concessa in comodato, sia proprietario solo di un’altra abitazione, in cui abbia stabilito la sua dimora nonché la sua residenza anagrafica, e che il predetto immobile, anch’esso con categoria catastale diversa da A/1, A/8 ed A/9, sia allocato nello stesso comune in cui è sito quello concesso in comodato.

Delucidazioni in merito vengono fornite con nota protocollo n. 2472 del 29.01.2016 del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento delle Finanze – Direzione Legislazione Tributaria e Federalismo Fiscale Ufficio XII.

IL COMODATO

Il nostro ordinamento definisce comodato quel contratto con cui “una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinchè se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Il comodato è essenzialmente gratuito”. Occorre, poi, precisare che per la redazione della predetta tipologia contrattuale non è prevista alcuna prescrizione, potendo di fatti essere redatto sia in forma scritta sia verbale.

Nel primo caso, ossia per i contratti redatti in forma scritta e stipulati prima dello 01.01.2016, in automatico godranno della riduzione d’imposta, mentre quelli redatti a partire da gennaio 2016 ne permetteranno la fruizione dopo la registrazione, ossia entro i successivi 20 giorni dalla stipula. 

Ai fini della riduzione del 50% della base imponibile di Imu e Tasi occorre precisare che è proprio la data di stipula che ne stabilisce la data a partire dalla quale si avrà il diritto alla fruizione. Questo perché l’art. 9, comma 2 del D.Lgs n. 23 del 2011 prevede che l’imposta è dovuta per anno solare ed in proporzione alla quota ed ai mesi dell’anno in cui si è protratto il possesso. Non solo. Dispone anche che qualora il possesso si sia protratto per almeno 15 giorni, tale mese è da considerarsi per intero. 

QUALE DURATA

Da quanto premesso, quindi, prima di procedere alla stipula del contratto occorre valutare di quanti giorni si compone il mese in cui si procederà a stipulare il contratto di comodato. Pertanto, se il mese è di 31 giorni, la stipula dovrà avvenire entro il 16 del mese stesso, in quanto:

* dal primo al quindici (15 giorni) l’immobile sarà in possesso del proprietario;

* dal sedici al trentuno (16 giorni) l’immobile sarà in possesso del comodatario.

Poiché la durata maggiore del possesso è quella in capo al comodatario, il comodante fruirà della riduzione al 50% della base imponibile per il mese in oggetto. Qualora, invece, la stipula dovesse avvenire dal 17 del mese in poi, il comodante non potrà fruire della predetta riduzione nel mese in cui è avvenuta la predetta stipula.

Se, invece, il mese si compone di 30 giorni la stipula dovrà avvenire entro il 15, in quanto:

* dal primo al quattordici (14 giorni) l’immobile sarà in possesso del proprietario;

– dal quindici al trenta (16 giorni) l’immobile sarà in possesso del comodatario.

Poiché la durata maggiore del possesso è quella in capo al comodatario, il comodante fruirà della riduzione al 50% della base imponibile per il mese in oggetto. Qualora, invece, la stipula dovesse avvenire dal 15 del mese in poi, il comodante non potrà fruire della predetta riduzione nel mese in cui è avvenuta la stipula.

CONTRATTI VERBALI

Nel secondo caso, ossia per i contratti verbali, occorre fare una premessa. È opportuno ricordare che, sebbene l’art. 3 del D.P.R. 131 del 1986 al primo comma non indichi il comodato tra i contratti che devono essere necessariamente sottoposti a registrazione, tranne nei casi di enunciazione in altri atti, nel secondo comma rimanda espressamente all’art. 22 dello stesso decreto, dove al 1° comma stabilisce che “se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate”.

Ora, per i contratti verbali già in essere al primo gennaio 2016, fermo restando la non obbligatorietà della registrazione, per fruire della riduzione del 50% della base imponibile ai fini della determinazione dell’Imu e della Tasi può trovare applicazione quanto disciplinato dall’art. 3 comma 2 dello Statuto dei diritti del Contribuente il quale stabilisce che “in ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti”.

Da quanto emerso, quindi, per i contratti di comodato verbali già esistenti alla data dello 01.01.2016 è necessario procedere alla registrazione degli stessi per poter fruire della riduzione di imposta, e tale registrazione deve essere effettuata entro e non oltre il primo marzo 2016. Questo perché sommando i giorni del mese di gennaio (31) e quelli del mese di febbraio (29) si ottiene esattamente sessanta.

 

SCONTO SULL’AFFITTO? IMU PIÙ BASSA. IN COMUNE DISCUSSA LA PETIZIONE DI APE TORINO

Lo scorso 19 febbraio è stata discussa in Comune di Torino, nella I Commissione Consiliare, la petizione proposta da Ape Confedilizia Torino, che ha raccolto 371 firme, per richiedere la riduzione dell’aliquota dell’Imu proporzionalmente alla diminuzione del canone di affitto. La proposta, illustrata dall’avvocato Anna Rosa Penna, responsabile del coordinamento dei legali Ape Torino, è stata accompagnata da una tabella che ha fornito esempi concreti, presentata dal dottor Lorenzo Berta, consulente tributario dell’Associazione. 
Con questa iniziativa presentata da Ape Confedilizia, Torino diventa l’apripista di recepimento del D.L. 133/2014 (il cosiddetto Sblocca Italia), che nel “pacchetto casa” dava facoltà ai Comuni di applicare agevolazioni fiscali nel caso di affitti a canoni concordati sia ad uso abitativo, che per immobili non abitativi. Secondo Ape, “Un passo importante, che aprirà una breccia e faciliterà i contratti ad uso commerciale, per una fascia di mercato bloccata dalla Legge 392 del 1978”. 
La richiesta è stata accolta favorevolmente e trasversalmente da tutte le forze politiche e dall’assessore Gianguido Passoni, che ha preso atto dell’istanza e ha chiesto un aggiornamento della Commissione per approfondire e valutare in che modo l’Amministrazione potrà intervenire. “Sono particolarmente soddisfatto – ha concluso il presidente Ape Confedilizia, Erasmo Besostri – perché la nostra proposta è perfettamente in linea e condivisa dall’Amministrazione, un ulteriore sforzo per dare fiato alla crisi del mercato immobiliare”.