Un contribuente si è rivolto all’Agenzia delle Entrate, attraverso la Posta di FiscoOggi, per chiedere dei chiarimenti in merito alla possibilità di fruizione del Bonus mobili dopo l’effettuazione di interventi di ristrutturazione del box auto.
Nello specifico, il contribuente ha spiegato di aver effettuato opere di manutenzione straordinaria nel box auto di pertinenza della propria abitazione.
Successivamente ha effettuato l’acquisto di alcuni mobili destinati alla propria abitazione, pertanto, ha chiesto al Fisco se in tal caso è possibile usufruire della detrazione del 50% prevista dal “Bonus mobili” anche se i lavori sono stati realizzati esclusivamente sulla pertinenza della propria abitazione.
In risposta, l’Agenzia delle Entrate ha spiegato che, come precisato più volte, la detrazione del 50% delle spese sostenute per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici (da usufruire in dieci rate annuali di pari importo) spetta anche quando tali beni sono destinati all’arredo dell’abitazione, ma l’intervento a cui è collegato l’acquisto è stato effettuato su una pertinenza dell’immobile in questione.
Pertanto, salvo che siano rispettate tutte le condizioni previste dalla normativa relativa al “Bonus mobili”, il contribuente potrà usufruire dell’agevolazione.
L’Agenzia delle Entrate, ha ricordato anche che per maggiori informazioni relative a tale agevolazione, è possibile consultare la guida Bonus mobili ed elettrodomestici.
Ricordiamo, infine, che è possibile beneficiare del Bonus mobili sino al 31 dicembre 2024 e per quest’anno la detrazione va calcolata su un importo massimo pari a 5.000 euro.
Possono beneficiare dell’agevolazione coloro che acquistano entro la fine del 2024 mobili ed elettrodomestici nuovi (di classe non inferiore alla classe A per i forni, alla classe E per le lavatrici, le lavasciugatrici e le lavastoviglie, alla classe F per i frigoriferi e i congelatori e hanno realizzato interventi di ristrutturazione edilizia a partire dal 1° gennaio dell’anno precedente a quello dell’acquisto dei beni.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI
Coloro che decidono di vendere un immobile ristrutturato con il Superbonus prima che siano trascorsi 10 anni dalla fine dei lavori devono far fronte a pesanti imposte.
La legge di Bilancio 2024 stabilisce, infatti, che le plusvalenze derivanti dalla vendita onerosa di immobili che hanno beneficiato degli interventi agevolati dal Superbonus siano incluse nei redditi diversi secondo il Testo Unico sulle Imposte sui Redditi (TUIR).
L’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 13/E/2024, ha fornito le istruzioni applicative del nuovo regime in vigore dal 1° gennaio 2024.
Plusvalenza da Superbonus: cos’è e a quanto ammonta
Il comma 64 della Legge di Bilancio 2024 prevede, per gli immobili diversi dall’abitazione principale e non ottenuti tramite successione sui quali sono stati effettuati interventi agevolati con il Superbonus al 110%, un’imposta sulla plusvalenza del 26% nel caso di vendita nei successivi 10 anni.
Questa nuova imposta, dunque, consiste in un prelievo del 26 per cento sulla plusvalenza generata dai lavori di ristrutturazione e colpisce per un periodo di dieci anni chi vende una seconda casa, a meno che non sia stata ereditata o donata. Oltre a questo, le nuove disposizioni hanno introdotto un meccanismo di indeducibilità dei costi di ristrutturazione, integrale per i primi cinque anni e al 50% per i successivi cinque.
La misura applicata agli immobili riqualificati con il Superbonus è stata concepita per scoraggiare operazioni speculative e garantire che le agevolazioni fiscali siano effettivamente ed esclusivamente impiegate per migliorare l’efficienza energetica degli immobili.
Fino al 2023, le spese “sostenute” per la realizzazione dei lavori agevolati con il Superbonus erano deducibili dalla plusvalenza tassabile.
La ratio della nuova norma è quella di non concedere più quella doppia agevolazione che consentiva di realizzare a costo zero lavori che aumentavano il valore dell’immobile e la sua vendita senza il pagamento di una tassa sulla plusvalenza.
L’esonero dal pagamento della plusvalenza
Sono previste due eccezioni all’imposta sulla plusvalenza da Superbonus:
• gli immobili ereditati per successione;
• gli immobili utilizzati come residenza principale dal venditore o dai suoi familiari per la maggior parte dei 10 anni precedenti la vendita, o per la maggior parte del periodo se inferiore ai dieci anni.
Plusvalenza da Superbonus: come si calcola
La plusvalenza è determinata dalla differenza tra il corrispettivo percepito e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo.
Alle plusvalenze derivanti dalla cessione “infradecennale” di immobili interessati dal Superbonus è applicata un’imposta sostitutiva del 26%, secondo le modalità previste dall’articolo 1, comma 496, della legge 23 dicembre 2005, n. 266.
Questa opzione deve essere richiesta dalla parte venditrice al notaio al momento della cessione e le nuove disposizioni si applicano alle cessioni poste in essere a decorrere dal 1° gennaio 2024.
Per gli immobili oggetto di interventi agevolati con il Superbonus:
• se gli interventi si sono conclusi da non più di 5 anni, non si tiene conto delle spese relative agli interventi agevolati se si è fruito dell’incentivo nella misura del 110% e sono state esercitate le opzioni per lo sconto in fattura o la cessione del credito;
• se gli interventi si sono conclusi da più di 5 anni, si tiene conto del 50% delle spese relative agli interventi agevolati.
Con la Circolare 13/E/2024 l’Agenzia delle Entrate chiarisce alcuni dubbi sull’applicazione delle plusvalenze:
• è sufficiente un lavoro effettuato sulle parti comuni di un condominio, senza coinvolgere il singolo appartamento, a far scattare la plusvalenza da Superbonus;
• i dieci anni si calcolano a partire dalla fine dei lavori;
• laddove, per il medesimo immobile, si sia fruito dell’incentivo in parte nella misura del 110% e in parte in una misura inferiore, l’irrilevanza delle spese relative agli interventi agevolati riguarderà solo le spese che hanno dato luogo all’incentivo nella misura del 110%; le altre spese, invece, potranno essere considerate al ricorrere di tutti i requisiti previsti dalla legge;
• laddove, con riferimento alle spese sostenute per gli interventi ammessi al Superbonus, il contribuente si avvalga in parte della detrazione e in parte delle opzioni della cessione del credito o dello sconto in fattura, non concorrono nel calcolo della plusvalenza solamente le spese per le quali è prevista l’aliquota di detrazione del 110% ed è stata esercitata una delle predette opzioni.
• nel caso in cui tra la conclusione degli interventi agevolati e la cessione dell’immobile oggetto degli interventi siano trascorsi più di cinque anni, si sia fruito dell’incentivo nella misura del 110% e siano state esercitate le opzioni per lo sconto in fattura o per la cessione del credito, le spese sostenute, concernenti gli interventi agevolati, potranno essere riconosciute nella misura pari al 50%, a incremento del prezzo di acquisto (o costo di costruzione) del bene.
• la plusvalenza configura un reddito diverso laddove non sia conseguita nell’esercizio di arti e professioni e di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice.
Per poter svolgere l’attività di amministratore di stabili devono ricorrere determinati requisiti, così come previsti dall’art. 71 bis disp.att. c.c.
Si tratta, in primo luogo, dell’assenza di condizioni soggettive ostative/negative.
L’amministratore, oltre a dover godere dei diritti civili, non deve essere stati condannato per delitti contro la pubblica amministrazione, l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio e per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni; non deve essere stato sottoposto a misure di prevenzione divenute definitive, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione; non deve essere interdetto o inabilitato; il suo nome non deve risultare annotato nell’elenco dei protesti cambiari.
La perdita anche solo di un requisito di affidabilità comporta la decadenza immediata dall’incarico.
In ragione di ciò, ciascun condomino può convocare senza formalità l’assemblea per la nomina del nuovo amministratore.
Lo stesso amministratore, oltre ai requisiti di onorabilità, deve possedere i requisiti di professionalità.
Questi deve aver hanno conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado e aver frequentato un corso di formazione iniziale e svolgono attività di formazione periodica in materia di amministrazione condominiale. L’unica eccezione alla ricorrenza della professionalità è data dal condomino che gestisce l’edificio dove abita: qui la legge non richiede che l’amministratore-condomino sia in possesso di questi requisiti, sebbene si consigli di frequentare i corsi di formazione onde saper esercitare l’attività con cognizione, senza incorrere in responsabilità civile e penale. In via transitoria, per quanti hanno svolto l’attività di amministrazione di condominio per almeno un anno nell’arco dei tre anni precedenti alla data di entrata in vigore della presente disposizione, l’incarico di amministratore può essere assunto anche in assenza del titolo di studio della scuola secondaria di secondo grado e del corso di formazione iniziale. L’aggiornamento periodico è invece sempre richiesto.
Il D.M. 145.2014 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24 settembre 2014 che dà attuazione al D.L. n. 145/2013 (art. 1, co. 9, lett. a), convertito in L. n. 9/2014) ha lo scopo di implementare la preparazione, le competenze e la professionalità degli aspiranti amministratori di condominio e di coloro che già svolgono detta funzione.
Il corso di formazione iniziale ha una durata di almeno 72 ore mentre l’aggiornamento, da effettuare annualmente, ha una durata di almeno 15 ore; in entrambi i casi, l’obbligo formativo può essere assolto anche in via telematica.
In merito al requisito professionale, nello specifico l’obbligo di aggiornamento, parte della giurisprudenza afferma che l’inadempimento all’obbligo di formazione periodica, soprattutto se protratta nel tempo, può costituire una di quelle gravi irregolarità (di cui parla l’art.1129, comma 12, c.c.) capaci di giustificare la domanda di revoca dell’amministratore inadempiente (App. Bari, 27 gennaio 2021; Trib. Bari, 22 maggio 2020, n. 8143; Trib. Milano, 27 marzo 2019 n. 3145; Trib. Verona, 13 novembre 2018; Trib. Roma, 9 gennaio 2017).
Altre sentenze evidenziano che la mancata frequentazione del corso di aggiornamento (ai sensi del Dm 140/2014) rende nulla la nomina dell’amministratore di condominio, avendo l’art. 71 bis disp. Att. C.c. carattere imperativo ed inderogabile, trattandosi di una norma di diritto pubblico, posta nell’interesse generale della collettività e, in particolare, del condominio consumatore (Trib. Padova, 24 marzo 2017, n. 818).
Secondo quest’ultima sentenza, per evitare la revoca della sua nomina e quindi la dichiarazione di nullità della delibera assembleare, l’amministratore deve dimostrare di aver ottemperato a quanto previsto dalla norma e, in mancanza dell’attestato, deve fornire quanto meno la documentazione attestante l’iscrizione al corso obbligatorio o un’autocertificazione.
L’opinione che ritiene che la mancanza dei requisiti di professionalità si configuri come ipotesi di revoca si basa sull’indicazione dell’art. 1129, comma 12, c.c., il quale tra le “gravi irregolarità” che possono determinare la revoca dell’amministratore, prevede anche l’omessa, incompleta o inesatta comunicazione da parte dell’amministratore dei dati non solo anagrafici ma anche professionali. Se quindi la mera omissione della comunicazione dei requisiti professionali è causa di revoca dell’amministratore, a maggior ragione la medesima soluzione si impone nel caso, più grave, della assoluta carenza di tali requisiti (Trib. Roma, 9 gennaio 2017).
I requisiti richiesti dall’art. 71bis disp. Att. C.c. possono venire a mancare anche nel corso del mandato. Ciò può valere sia per le condizioni soggettive sopra indicate, sia per i requisiti professionali, per mancato aggiornamento professionale. In questi casi si ritiene che la revoca sia automatica, incorrendo l’amministratore nella decadenza dalla carica. Con ciò, ogni singolo condomino può convocare l’assemblea per deliberare la nomina del nuovo mandatario.
A cura di Avv. Anna Nicola
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10043 TORINO
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Nel 2021 – al fine di effettuare lavori di migliorie sfruttando i bonus edilizi – è stato stabilito di creare un fondo cassa condominiale “per la gestione della fase preliminare per la fruizione del bonus 20 maggio-31 dicembre 2021”. Di fatto, però, a causa di disaccordi tra condòmini, i lavori non sono mai iniziati. Nel 2022, inoltre, è stato istituito un “Fondo cassa morosi”, anch’esso rimasto inutilizzato. Dal momento che sto procedendo alla vendita dell’appartamento, ho chiesto il riaccredito della mia quota di credito del fondo cassa all’amministratore, che però mi ha risposto che potrà restituire le somme solo se in una prossima assemblea condominiale si deciderà in tal senso. La risposta che ho ricevuto è corretta?
Nel caso prospettato dal lettore, il fondo cassa costituito ha una precisa destinazione, ad esso assegnata dall’assemblea.
Dunque i soldi confluiti in quel fondo cassa non possono essere restituiti ai condòmini se non dopo che una nuova assemblea deliberi in tal senso.
Tali fondi, di qualunque natura essi siano, vanno a beneficio solo dei condòmini e quindi, in caso di vendita dell’unità immobiliare, vanno a beneficio del nuovo proprietario.
Il condòmino venditore non può pretendere dall’amministratore del condominio la restituzione della quota da lui versata per il fondo cassa. Ma di questa quota deve essere dato atto nell’attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali, che l’amministratore deve rilasciargli in base all’articolo 1130, primo comma, n. 9, del Codice civile.
La richiesta di rimborso della quota del fondo cassa va invece rivolta al nuovo condòmino, che ne trae evidente vantaggio, fatti salvi i diversi accordi eventualmente intervenuti in sede di compravendita dell’immobile.
Qualora, poi, l’assemblea decidesse la restituzione a tutti i condòmini del fondo cassa inutilizzato per lo scopo per cui era stato costituito, la quota dovrebbe essere accreditata al vecchio condòmino che l’aveva a suo tempo versata, oppure al nuovo condòmino nel caso in cui quest’ultimo l’avesse nel frattempo già restituita al suo dante causa.
Nel condominio in cui sono proprietario di un appartamento era stato deciso di procedere con le formalità necessarie per accedere al Superbonus 110%. Purtroppo tutte le società contattate si sono dimostrate impossibilitate ad eseguire i lavori entro i termini indicati e quindi abbiamo lasciato perdere. Adesso però, viste le condizioni precarie del tetto, vorrei capire se, disponendo della maggioranza dei millesimi della proprietà, posso in qualche modo obbligare gli altri condòmini a procedere comunque con i lavori, considerando che pur non essendo più possibile avvalersi della cessione del credito o dello sconto in fattura, si possono scaricare fiscalmente.
Il tetto dell’edificio condominiale è da considerarsi una delle parti ricomprese nell’elenco (non tassativo) indicato nel testo dell’art. 1117 del Codice civile.
Pertanto deve essere ritenuto “comune”, salvo che un titolo contrario ne attribuisca la proprietà ad uno o ad un gruppo di condomini (Cass. civ. sez. II, Sentenza n. n. 27846 del 3 ottobre 2023; Cass. civ. sez. II, Sentenza n. 20287del 23 agosto 2017).
La funzione oggettiva di tale struttura di copertura ne comprova la sua natura condominiale. La struttura di copertura è comune a tutti i condòmini a prescindere dalla posizione delle porzioni piano proprietà.
Dal quesito posto non si evince se ci troviamo nell’ambito di un condominio minimo (sotto le nove unità), oppure un condominio parziale (il tetto copre solo parte dell’edificio), oppure di proprietà esclusiva di qualche condomino.
Comunque sia, per deliberare i lavori necessari per la manutenzione del tetto, poiché si tratta di interventi di manutenzione straordinaria di notevole entità economica, è necessaria la maggioranza degli intervenuti che rappresentino i 501 millesimi dell’immobile.
Ne consegue che le spese per il rifacimento del tetto devono essere ripartite in base alle tabelle millesimali.
Quindi, rispettando la suddetta maggioranza, anche i condòmini dissenzienti, astenuti nonché assenti, potranno impugnare l’atto collettivo nei termini di legge (art. 1137 del Codice civile).
In mancanza di un’impugnazione, la deliberazione vincolerà tutte gli abitanti del condominio in virtù del cosiddetto principio dell’obbligatorietà.
Un contribuente si è rivolto all’Agenzia delle Entrate, attraverso la Posta di FiscoOggi, per chiedere dei chiarimenti in merito all’agevolazione relativa all’eliminazione delle barriere architettoniche.
Nel caso analizzato, il contribuente spiega di aver acquistato un appartamento di nuova costruzione all’interno di un condominio. Il costruttore, in fase di progetto, ha predisposto solo il vano ascensore.
Pertanto il contribuente ha chiesto al Fisco se, una volta divenuto proprietario con gli altri condòmini, installando l’ascensore, è possibile usufruire della detrazione del 75% per l’eliminazione delle barriere architettoniche.
Inoltre, il contribuente ha chiesto anche dei chiarimenti in merito alla durata della detrazione e alla possibilità di effettuare la cessione del credito.
In risposta, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la detrazione del 75% per gli interventi finalizzati all’eliminazione delle barriere architettoniche è riconosciuta per le spese sostenute sino al 31 dicembre 2025, con le medesime modalità di pagamento previste per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica degli edifici.
Il Fisco spiega che il bonus barriere architettoniche 2024 può essere richiesto solo se vengono realizzati, in edifici già esistenti, lavori aventi ad oggetto solo scale, rampe, ascensori, servoscala e piattaforme elevatrici.
Per ciò che riguarda le spese sostenute a partire dal 2024, la detrazione viene ripartita in dieci quote annuali di pari importo e va calcolata su un importo complessivo non superiore a:
• 50.000 euro, per gli edifici unifamiliari o per le unità immobiliari situate all’interno di edifici plurifamiliari che siano funzionalmente indipendenti e dispongano di uno o più accessi autonomi dall’esterno;
• 40.000 euro moltiplicati per il numero delle unità immobiliari che compongono l’edificio, per gli edifici composti da due a otto unità immobiliari;
• 30.000 euro moltiplicati per il numero delle unità immobiliari che compongono l’edificio, per gli edifici composti da più di otto unità immobiliari.
Per poter fruire del bonus barriere architettoniche è necessario che gli interventi realizzati siano conformi a quanto riportato nel decreto del Ministro dei lavori pubblici n. 236 del 14 giugno 1989 e il rispetto di tali requisiti deve risultare dall’apposita asseverazione rilasciata da un tecnico abilitato.
Il Fisco ha, infine, ricordato che con l’entrata in vigore del decreto legge n. 39/2024 anche per questa tipologia di interventi non è più possibile esercitare le opzioni di sconto in fattura o cessione del credito.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI
Da UNIONCASA un appello al Governo, alle Regioni, alle Città Metropolitane e ai Comuni per la revisione delle politiche urbanistiche. L’obiettivo è quello di riportare il giusto equilibrio tra la domanda e l’offerta di abitazioni sia in vendita sia in locazione e incrementare la disponibilità di immobili destinati alla locazione pluriennale facilitando l’accesso alla casa alle famiglie, agli studenti e ai lavoratori in genere
Il nostro Pianeta sta soffrendo e sembra che la colpa sia da addebitare, almeno in parte, all’uomo. Le correnti di pensiero sono diverse e tutte,sembra, abbiano le proprie ragioni.
C’è comunque una corrente di pensiero che prevale, rappresentata da un movimento trasversale e multilaterale che sta spingendo i nostri rappresentanti politici alla ricerca di una crescita sostenibile.
Per tale motivo l’Europa e l’ONU ci invitano a tutelare il suolo, l’ambiente, il paesaggio, e a valorizzare il capitale naturale, chiedendo al contempo di azzerare il consumo di suolo netto entro il 2050, allineando lo stesso alla crescita demografica e senza aumentare l’uso del territorio entro il 2030.
In pratica, gli ambiziosi traguardi prefissati sono:
● 1. L’ adeguata protezione del suolo anche attraverso l’adozione di obiettivi relativi al suolo in quanto risorsa essenziale del capitale naturale entro il 2020 (Delibera del Consiglio UE e ratifica del Parlamento);
● 2. l’azzeramento del consumo di suolo netto entro il 2050 (Delibera del Consiglio UE e ratifica del Parlamento);
● 3. il bilancio, “almeno a pareggio” del degrado del territorio entro il 2030 (ONU 2015).
● 4. l’allineamento del consumo del suolo alla crescita demografica reale della popolazione entro il 2030 (ONU 2015).
L’azzeramento del consumo di suolo
L’obiettivo dell’azzeramento del consumo di suolo è stato definito a livello europeo già dal 2006, sottolineando la necessità di porre in essere le azioni necessarie a diminuire gli effetti negativi del consumo di suolo e, in particolare, della sua forma più pesante e invasiva e cioè l’impermeabilizzazione dei terreni.
In Italia il Piano per la Transizione Ecologica ha fissato l’obiettivo di giungere ad un consumo pari a zero entro il 2030, con ben 20 anni di anticipo rispetto ai colleghi Europei allineandosi così alla data fissata dall’Agenda Globale per lo sviluppo sostenibile. L’azzeramento del consumo di suolo, secondo il Piano per la Transizione Ecologica dovrà avvenire sia riducendo ogni attività di artificializzazione, sia attraverso il ripristino naturale delle aree più compromesse, quali le coste e gli ambiti urbani.
Ciò è considerato una misura chiave anche per l’adattamento ai cambiamenti climatici, da normare attraverso un’apposita legge nazionale.
Inoltre numerose regioni hanno approvato leggi che a vario titolo – alcune nell’ambito di interventi più complessivi dedicati anche alla regolamentazione degli istituti urbanistici e degli strumenti di pianificazione del territorio, altre con normative di portata più circoscritta – introducono non solo discipline di dettaglio ma anche – in assenza di una specifica legislazione statale – indicazioni in tema di contenimento del consumo di suolo e di rigenerazione urbana.
Tuttavia le continue informative in materia hanno indotto le amministrazioni pubbliche locali a sviluppare tutto quanto si poteva entro la scadenza, preannunciata con largo anticipo, del 2030. D’altronde nei bilanci dei Comuni, gli oneri di urbanizzazione, l’IMU, le tasse dei residenti, delle attività commerciali ed industriali sono vitali.
Paradossalmente le direttive UE e le norme Regionali, confermando la dead line del 2030, hanno incentivato il consumo del suolo vergine e hanno creato i presupposti per un prossimo “blocco” del comparto immobiliare. Infatti proprio le regioni del nord Italia, dopo aver creato infrastrutture diffuse ed efficienti come strade, autostrade, ferrovie, aeroporti, fiere, ospedali, fibra ottica ecc, contribuendo allo sviluppo del lavoro e del benessere, ora si trovano di fronte ai propri limiti.
Il perché è da ricercare nelle scelte ideologiche che, seppure suggerite “dall’alto” (ONU-UE), non erano così stringenti come la voglia di mostrarsi “i primi della classe” e giocare al “Salviamo il Pianeta” noi contro tutto e tutti. Le scelte unilaterali hanno sempre lasciato il tempo che trovavano e non è che paralizzando i sistemi funzionali e diffusi ottieni, come per magia, il benessere generale che comprende la Terra, ma anche i suoi abitanti.
Si potrebbe approfondire l’argomento valutando a 360° ogni scelta autolesionista che l’Europa sta attuando attraverso le proprie direttive, ma il problema di fondo è la mancanza di coraggio nello scegliere di rinunciare a commerciare con chi inquina veramente, chi consuma suolo ad ettari al secondo, chi deforesta e chi priva tutta o parte della propria popolazione delle libertà oramai consolidate nelle democrazie occidentali (Russia, Cina, Iran, Paesi Arabi, Brasile, India, Pakistan ecc).
Il mercato immobiliare
Finito l’intervallo utopistico e, tornando alla realtà dei giorni nostri, proviamo ad immaginare il Mercato immobiliare privo della naturale immissione di abitazioni di nuova costruzione (già scesa dal 22,6% del 2011 al 9,4% di oggi come da Grafico OMI Agenzia dell’Entrate) e immaginiamo quindi che nei prossimi anni lo stock di abitazioni tenda a rimanere lo stesso (sebbene i Piani Urbanistici Generali delle varie Città Metropolitane invochino la rigenerazione urbana dei comparti industriali, i vincoli urbanistici posti dalle norme tecniche inserite nei Piani stessi rendono antieconomica ogni iniziativa e presto il tanto auspicato blocco alla cementificazione diventerà una realtà), la mancanza di offerta, unita all’immigrazione interna, comunitaria ed extracomunitaria, porterà i valori immobiliari (già oggi a livelli insostenibili per la gran parte degli studenti e dei lavoratori ) a quotazioni sempre più elevate ed inaccessibili.
Il problema degli studenti nelle tende o dei lavoratori che dormono in auto è sempre più una realtà quotidiana che già oggi stiamo affrontando e che nel giro di pochi anni, con la crescita esponenziale dei canoni di locazione e dei prezzi al mq delle abitazioni, porterà ad una crisi sociale ed economica i cui effetti si faranno sentire a più livelli.
Se impiegati, infermieri, insegnanti, forze dell’ordine, camerieri, operai ecc, fuggono dalle nostre città per andare altrove alla ricerca di un “fine mese” sereno, la gran parte della responsabilità è da attribuirsi al divario tra redditi percepiti e costi dell’abitare.
Non è pensabile ritenere che le nostre città possano sopravvivere senza giovani e con carenza di lavoratori, considerato che la popolazione anziana aumenterà sempre più e la necessità di servizi sanitari, della sicurezza e delle attività di vicinato diventeranno sempre più impellente e importante.
La proprietà immobiliare
Unioncasa, da sempre al fianco della proprietà immobiliare, è molto preoccupata per gli effetti negativi che gli strumenti amministrativi, applicati all’urbanistica, stanno avendo sui valori immobiliari e ritiene possibile intervenire con leggi incentivanti piuttosto che con norme penalizzanti, utili ad indirizzare il mercato immobiliare verso una crescita sostenibile.
In primo luogo se lo Stato e le Amministrazioni locali non sono in grado di garantire un’abitazione a prezzi “umani” a studenti, lavoratori e famiglie, nei Comuni A.T.A. deve azzerare le tasse ai proprietari disponibili a fornire un’abitazione a canone concordato (comprese le aziende che danno in locazione ai propri dipendenti). Si deve garantire inoltre che, qualora il conduttore non paghi il canone concordato e/o le rate condominiali si possa agire con uno sfratto esecutivo in 90 giorni.
In secondo luogo bisogna incentivare la rigenerazione urbana eliminando i vincoli in altezza (salvo rare e giustificate eccezioni) chiedendo una percentuale di ERS destinata alla locazione (Edilizia Residenziale Sociale) sostenibile economicamente (non oltre il 10% della superficie edificabile). Permutare le proprietà dismesse e non strategiche di Stato, Regioni, Citta Metropolitane, Comuni ed altri enti ad essi annessi e connessi, con Società Immobiliari e/o Cooperative edificatrici di comprovata solidità disponibili a permutare sul posto immobili destinati alla Locazione residenziale Sociale.
Infine, ma non per ultimo, bisogna aumentare i collegamenti ferroviari con tutte le periferie ed i comuni delle aree metropolitane aumentandone le corse, le fermate ed estendendo le fasce orarie fino alle prime ore notturne. Dove possibile estendere la rete ferroviaria per coprire altri Comuni ed estendendo il concetto di periferia.
Le città italiane hanno un ampio margine di sviluppo se paragonate ad altre realtà metropolitane del mondo come ad esempio:
● Parigi 20.000 abitanti per km quadrato;
● Tokyo 14.000 abitanti per Km quadrato;
● New York 11.215 abitanti per Km quadrato;
● Londra 4.675 abitanti per Km quadrato;
● Roma 2.235 abitanti per Km quadrato;
● Milano 2.036 abitanti per Km quadrato;
● Bologna 274 abitanti per Km quadrato.
Non si ritiene sia necessario arrivare a densità abitative così intensive come quelle delle città intercontinentali o Parigi, tuttavia vede ampi spazi di crescita sostenibile, fornendo risposte immediate e convincenti alle fasce più deboli, ai giovani e alle famiglie.
UNIONCASA rivolge un appello al Governo, alle Regioni, alle Città Metropolitane e ai Comuni, perché rivedano le proprie politiche urbanistiche, al fine di riportare il giusto equilibrio tra la domanda e l’offerta di abitazioni sia in vendita sia in locazione ed incrementare la disponibilità di immobili destinati alla locazione pluriennale facilitando così l’accesso alla casa alle famiglie, agli studenti e ai lavoratori in genere.
A cura di Giangiacomo Congiu, Responsabile Osservatorio Immobiliare Unioncasa
Un contribuente si è rivolto all’Agenzia delle Entrate, attraverso la Posta di FiscoOggi, per ricevere chiarimenti in merito al funzionamento delle detrazioni per le spese di ristrutturazione sostenute su un immobile ereditato.
Nel caso di specie, il contribuente ha chiesto al Fisco cosa accade in caso di decesso del beneficiario della detrazione relativa alle spese di ristrutturazione (bonus ristrutturazione). Il dubbio riguarda in particolar modo la detraibilità della rata relativa all’anno di decesso del beneficiario, pertanto, il contribuente ha chiesto se tale rata deve essere detratta dal de cuius (beneficiario deceduto) o dagli eredi, sempre che ne abbiano diritto.
In risposta, l’Agenzia delle Entrate ha ricordato che in caso di acquisizione dell’immobile per successione, le quote residue di detrazione si trasferiscono interamente ed esclusivamente all’erede (o agli eredi in parti uguali) che conservano la “detenzione materiale e diretta dell’immobile”.
Ciò significa che l’agevolazione (in questo caso il bonus ristrutturazioni) spetta a chi può disporre dell’immobile anche se non lo utilizza come propria abitazione principale. Inoltre, tale condizione, ovvero la condizione di detenzione del bene deve sussistere non solo per l’anno di accettazione dell’eredità, ma anche per ciascun anno per il quale si vuole usufruire della rata di detrazione.
In presenza di tutti i requisiti previsti dalla legge e in relazione al quesito posto dal contribuente, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la quota di detrazione relativa all’anno del decesso si trasferisce agli eredi in quanto è applicabile la regola generale in base alla quale, per determinare chi possa usufruire della quota di detrazione relativamente a un anno, è necessario individuare il contribuente che possedeva l’immobile al 31 dicembre di quell’anno.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI
Nonostante sia entrata in vigore da poco, la Direttiva UE Case Green inizia già a produrre i primi effetti.
Secondo l’indagine commissionata da Facile.it a mUp Research e Bilendi, infatti, mentre sono circa 2,9 milioni gli italiani che credono che la norma non diventerà mai operativa in Italia, quasi 2,5 milioni di italiani hanno deciso di mettere in vendita la propria abitazione per evitare possibili futuri costi di ristrutturazione.
Dal sondaggio emerge inoltre che chi oggi intende comprare casa è condizionato dalla nuova norma. Infatti quasi 3 milioni di italiani alla ricerca di un immobile hanno cambiato i propri criteri di selezione limitando la scelta tra le sole abitazioni efficienti, non toccate dalla direttiva UE. Una tendenza diffusa maggiormente nelle regioni del Nord ovest.
Sono invece poco meno di 800mila gli italiani che stanno appositamente cercando di comprare una casa con basse prestazioni energetiche, nella speranza di risparmiare sul prezzo d’acquisto. Dinamica, questa, più presente nelle regioni del Centro Italia.
Il 15% del campione intervistato, infine, ha dichiarato di essere fiducioso del fatto che ci saranno degli aiuti statali per far fronte alle spese di ristrutturazione (convinzione particolarmente diffusa tra i residenti del Centro Italia,).