Con la Risposta n. 242/2025 l’Agenzia delle Entrate ha affrontato la tematica inerente a due agevolazioni, ovvero il Sismabonus e il bonus per l’acquisto di edifici ristrutturati. Si tratta di due agevolazioni diverse che funzionano nelle seguenti modalità.
Il bonus per l’acquisto di edifici ristrutturati, previsto dall’art. 16-bis, comma 3 del TUIR, è una detrazione che si applica agli acquirenti di unità immobiliari che fanno parte di interi edifici oggetto di interventi di restauro, risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia, effettuati da imprese di costruzione e ristrutturazione o cooperative edilizie.
La condizione richiesta per poter fruire di tale agevolazione è che la vendita o l’assegnazione di tale immobile avvenga entro 18 mesi dal termine dei lavori. Il bonus per l’acquisto di edifici ristrutturati prevede una detrazione IRPEF per l’acquirente che è pari a:
• 36% del 25% del prezzo di vendita (su un massimo di € 96.000) per acquisti tra 1° gennaio e 31 dicembre 2025;
• 30% del 25% del prezzo di vendita per acquisti dal 1° gennaio 2026 al 31 dicembre 2027.
Per gli immobili destinati ad abitazione principale oggetto di interventi effettuati direttamente dal proprietario, le percentuali di detrazione spettanti sono pari al 50% dal 1° gennaio al 31 dicembre 2025 e al 36% dal 1° gennaio 2026 al 31 dicembre 2027.
Il bonus per l’acquisto di edifici ristrutturati è una detrazione che va ripartita in 10 quote annuali di pari importo e si applica su un importo pari al 25% del prezzo di vendita o assegnazione dell’unità immobiliare, su un ammontare massimo di 96.000 euro per ciascuna unità immobiliare, perciò l’importo massimo del beneficio fiscale è pari a 48.000 euro.
Per quanto concerne il Sismabonus, come sappiamo, si tratta di una detrazione fiscale prevista dall’art. 16 del DL 63/2013 che spetta per lavori di messa in sicurezza antisismica degli edifici e per l’acquisto di immobili antisismici. Per tutto il 2025 l’aliquota della detrazione è pari al 50% per le abitazioni principali e al 36% per le abitazioni non principali su un massimo di 96.000 euro per unità immobiliare.
Nel biennio 2026/2027 tale aliquota sarà pari al 36% per le abitazioni principali e al 30% per gli interventi realizzati su abitazioni diverse da quelle principali e altre tipologie di immobili. Inoltre, anche il Sismabonus è una detrazione che viene ripartita in 10 quote annuali di pari importo.
Per gli interventi antisismici effettuati su edifici in zone sismiche 1,2 e 3 la detrazione è pari al 50% su 96.000 euro per unità con ripartizione in 10 anni e sale al 70% o 80% con salto di 1 o 2 classi (DM 58/2017) con procedura autorizzatoria avviata dopo il 1° gennaio 2017.
Nel caso esaminato dall’Agenzia delle Entrate, il contribuente ha acquistato da un’impresa due unità immobiliari unifamiliari accatastate F/3 (in corso di costruzione) e oggetto di intervento di demolizione e ricostruzione con riduzione del rischio di due classi e collaudo statico depositato prima del rogito.
Le parti hanno stabilito il trasferimento all’acquirente delle quote residue del Sismabonus maturate dall’impresa, contestualmente all’atto di vendita, perciò l’Istante ha chiesto all’Agenzia delle Entrate se in aggiunta al Sismabonus potrà fruire anche del bonus per l’acquisto di edifici ristrutturati.
In risposta, l’Agenzia delle Entrate ha confermato che l’acquirente può cumulare le quote residue di Sismabonus trasferite dall’impresa venditrice con il bonus per l’acquisto di immobili ristrutturati, purché venga rispettato il tetto massimo complessivo di spesa di 96.000 euro e purché siano rispettati tutti gli altri requisiti previsti.
L’Agenzia delle Entrate chiarisce che la compatibilità tra le due agevolazioni dipende dal fatto che non condividono la stessa base di calcolo, poiché la detrazione per l’acquisto di immobili ristrutturati viene calcolata sul prezzo di vendita dell’immobile, mentre il Sismabonus è calcolato su componenti diversi dal prezzo globale, ovvero sui materiali e sulle prestazioni dei servizi utilizzati.
Ciò premesso, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito, però, che se su uno stesso immobile si combinano interventi antisismici e altri interventi di recupero, il tetto agevolabile di 96.000 euro è unico, in quanto si tratta appunto di un solo immobile.
Infine, è importante chiarire anche che la detrazione relativa all’acquisto di immobili ristrutturati è ammessa solo dall’anno di importa in cui l’intero fabbricato è stato ultimato, non prima, perciò per poter fruire di tale agevolazione è necessario che si realizzi il presupposto dell’ultimazione dei lavori riguardanti l’intero fabbricato.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI
Con la Risposta n. 244/2025, l’Agenzia delle Entrate torna a fare chiarezza su uno dei requisiti chiave per accedere alla detrazione maggiorata al 50% per i lavori di ristrutturazione edilizia: l’abitazione principale. A sollevare il tema è stato un contribuente appartenente alle Forze dell’Ordine, che ha chiesto di estendere ai bonus edilizi la stessa interpretazione agevolata già applicata all’IMU. In quel contesto, infatti, il personale militare e civile in servizio permanente può considerare l’immobile come abitazione principale anche in assenza di dimora abituale e residenza anagrafica, purché si tratti dell’unico immobile posseduto e non locato.
La risposta dell’Agenzia è netta: per i bonus ristrutturazione non sono previste eccezioni. La Legge di Bilancio 2025 ha introdotto regole precise e uniformi, senza deroghe per categorie specifiche. Il concetto di abitazione principale resta ancorato alla dimora abituale e alla residenza del contribuente o dei suoi familiari, come stabilito dall’art. 10, comma 3-bis del TUIR. La detrazione maggiorata spetta solo se l’immobile è effettivamente utilizzato come abitazione principale, e non basta che sia l’unico posseduto.
I criteri del Fisco: proprietà, residenza e tempistiche
La Circolare n. 8/2025 dell’Agenzia delle Entrate ha già delineato in modo dettagliato i requisiti per accedere alla detrazione maggiorata. In sintesi:
– Il contribuente deve essere titolare di un diritto di proprietà (anche nuda proprietà o proprietà superficiaria) o di un diritto reale di godimento (usufrutto, uso, abitazione).
– L’immobile deve essere adibito ad abitazione principale, ovvero luogo di dimora abituale del titolare o dei suoi familiari.
– È ammessa la detrazione anche se l’immobile diventa abitazione principale solo al termine dei lavori.
– Se l’immobile perde lo status di abitazione principale nei periodi successivi, il contribuente può continuare a beneficiare della detrazione, purché il requisito fosse rispettato al momento della spesa.
– Sono escluse dal computo le variazioni dovute a ricovero permanente in strutture sanitarie, a condizione che l’immobile non venga locato.
In caso di più immobili, il Fisco precisa che la detrazione maggiorata può essere applicata solo all’unità immobiliare adibita a dimora abituale del titolare, non a quella eventualmente abitata da un familiare.
Nessuna eccezione per le categorie speciali
Il chiarimento dell’Agenzia delle Entrate chiude la porta a interpretazioni estensive: la Legge di Bilancio 2025 non ha previsto alcuna deroga per il personale delle Forze Armate o delle Forze di Polizia, né per altre categorie professionali. In assenza di disposizioni specifiche, si applicano i principi generali validi per tutti i contribuenti.
Questo orientamento conferma la volontà del legislatore di uniformare i criteri di accesso alle agevolazioni fiscali, evitando trattamenti differenziati. Per i tecnici e i consulenti fiscali, diventa fondamentale verificare con attenzione lo status dell’immobile al momento della spesa e al termine dei lavori, per evitare contestazioni o decadenze del beneficio.
Il concetto di “abitazione principale” torna così al centro della fiscalità immobiliare, non solo come criterio tecnico, ma come elemento sostanziale per la corretta applicazione dei bonus edilizi. Un principio che, almeno per ora, non ammette eccezioni.
Avendo utilizzato negli anni scorsi il Bonus Facciate al 90% per la tinteggiatura esterna dell’edificio, devo aggiornare il valore catastale?
I lavori agevolati con il Bonus Facciate non comportano l’aggiornamento della rendita catastale.
L’Agenzia delle Entrate nel vademecum sul Docfa, ovvero il documento che bisogna inviare per comunicare una variazione catastale, specifica che le variazioni rilevanti, che comportano un obbligo dichiarativo, riguardano la consistenza e l’attribuzione della categoria e della classe di un immobile.
Significa che gli interventi edilizi devono comportare una modifica del numero, della destinazione, o degli spazi di un immobile. Per esempio, se gli interventi edilizi hanno determinato un ampliamento, oppure una diversa distribuzione dei vani.
Ulteriori indicazioni sono fornite con la circolare dell’Agenzia del Territorio 1/2025, che specifica una serie di tipologie di interventi che comportano la necessità di variazione catastale:
• costruzioni di nuove unità immobiliari fuori terra ed interrate;
• ampliamenti delle unità immobiliari esistenti fuori terra ed interrate, con variazione della sagoma esterna dell’edificio ovvero della costruzione interrata;
• variazioni di superficie delle unità immobiliari;
• fusione di due o più unità immobiliari;
• modifica del perimetro di due unità contigue, a seguito del trasferimento di uno o più vani da un’unità all’altra;
• ampliamento della superficie di un’unità immobiliare determinata dalla creazione di solai o soppalchi praticabili all’interno della volumetria;
• variazioni interne alle unità immobiliari, con ridistribuzione e modificazione del numero dei vani principali e/o accessori;
• variazioni di destinazione d’uso delle unità immobiliari;
• interventi di riqualificazione delle unità immobiliari, comportanti la realizzazione o l’integrazione di servizi igienici;
• altri interventi significativi di riqualificazione delle unità immobiliari (installazione o integrazione degli impianti, miglioramento delle finiture);
• realizzazione di ascensori in un fabbricato;
• interventi di riqualificazioni sulle parti comuni di un caseggiato.
La medesima circolare chiarisce che interventi di riparazione, rinnovamento o sostituzione delle finiture, o anche di sostituzione che però non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso, non richiedono dichiarazione.
In caso di compravendita immobiliare soggetta a IVA, l’Agenzia delle Entrate può rettificare il valore dichiarato dalle parti se ritiene che sia inferiore al valore venale di mercato. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 22149 del 31 luglio 2025, confermando un principio già consolidato ma spesso oggetto di interpretazioni divergenti.
La vicenda riguarda la vendita di un immobile strumentale tra due società. Le parti avevano indicato un corrispettivo inferiore rispetto al valore di mercato, sostenendo che, trattandosi di operazione soggetta a IVA, le imposte dovessero essere calcolate esclusivamente sul prezzo dichiarato. L’Ufficio, invece, ha proceduto con una rettifica della base imponibile, ritenendo che il valore reale fosse più alto.
La questione ruota attorno all’applicazione degli articoli 51 e 52 del Testo unico sull’imposta di registro (DPR 131/1986), che consentono all’Amministrazione di accertare il valore venale in comune commercio degli immobili trasferiti, anche quando l’atto è soggetto a IVA. In questi casi, l’imposta di registro resta dovuta in misura fissa (200 euro), ma le imposte ipotecaria (3%) e catastale (1%) si calcolano in modo proporzionale sul valore effettivo del bene.
La Commissione tributaria provinciale di Roma aveva inizialmente accolto la tesi delle società, ma la Commissione regionale del Lazio ha ribaltato la decisione, ritenendo legittimo l’operato dell’Ufficio. La Cassazione ha confermato: anche se l’atto è soggetto a IVA, le imposte ipotecaria e catastale devono essere applicate in misura proporzionale, e la base imponibile deve riflettere il valore reale del bene, non il corrispettivo pattuito.
In motivazione, i giudici hanno chiarito che “la determinazione della base imponibile deve avvenire sulla scorta del valore venale del bene, e non del corrispettivo dovuto al cedente, senza che rilevi in contrario la circostanza che la vendita dell’immobile sia assoggettata ad IVA e non ad imposta di registro”.
La pronuncia conferma un orientamento che rafforza i poteri dell’Amministrazione finanziaria in materia di accertamento, anche nei casi in cui l’imposta principale (registro) non sia oggetto di contestazione. Per i contribuenti, si tratta di un chiarimento importante: nelle compravendite immobiliari soggette a IVA, il valore dichiarato deve comunque essere congruo rispetto al mercato, pena l’applicazione di imposte aggiuntive.
Una contribuente si è rivolta all’Agenzia delle Entrate, attraverso la Posta di FiscoOggi, per chiedere un chiarimento relativo al tema delle detrazioni fiscali relative ai lavori di ristrutturazione edilizia.
Nel caso specifico, la contribuente spiega che nel 2019 suo padre ha sostenuto delle spese per alcuni lavori di ristrutturazione che sono stati effettuati nell’appartamento in cui abitava con la moglie (ovvero la madre della contribuente), beneficiando delle relative detrazioni fiscali.
A seguito del decesso del padre, la madre della contribuente ha deciso di rinunciare all’eredità, pertanto la contribuente si rivolge al Fisco per chiedere se sua madre possa continuare a fruire delle detrazioni fiscali, considerando che la stessa abita ancora nell’appartamento oggetto di ristrutturazione.
Attraverso tale quesito, vengono quindi approfonditi due aspetti importanti, ovvero il diritto alle detrazioni fiscali e le conseguenze nel caso di rinuncia all’eredità.
Analizzando questa situazione, l’Agenzia delle Entrate ha fornito una risposta molto chiara.
Secondo le normative relative all’ambito delle detrazioni fiscali per i lavori di ristrutturazione, in caso di acquisizione dell’immobile per successione, le quote di detrazioni residue si trasferiscono per intero all’erede o agli eredi che conservano la detenzione materiale e diretta dell’immobile.
Ciò significa che la detrazione compete a chi risiede e può disporre dell’immobile oggetto degli interventi, a prescindere dalla circostanza che lo abbia portato ad adibirlo a propria abitazione principale, a condizione che sia formalmente riconosciuto come erede.
Tuttavia, nel caso presentato dalla contribuente, la madre ha rinunciato all’eredità, perciò l’Agenzia delle Entrate chiarisce che se il coniuge superstite, titolare del solo diritto di abitazione, rinuncia all’eredità, lo stesso non potrà fruire delle quote di detrazione residue visto che viene meno la condizione di erede.
In sostanza, non è sufficiente essere un coniuge superstite o usufruttuario e abitare nell’immobile oggetto dei lavori per continuare a fruire delle detrazioni, poiché se viene meno l’accettazione dell’eredità tale diritto decade.
Inoltre, come spiegato anche nella Circolare n. 17/2023, il Fisco chiarisce che neppure gli eredi (ovvero i figli) potranno beneficiare della detrazione se non convivono con il coniuge superstite, in quanto non hanno la detenzione materiale del bene. Difatti, la citata circolare evidenzia che affinché un erede possa godere delle detrazioni, è necessario che sia in possesso dell’immobile e che ci sia un utilizzo effettivo.
A cura di: Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI
Per molte famiglie, la casa acquistata con le agevolazioni statali rappresenta un punto di partenza. Tuttavia, la vita cambia: un trasferimento per lavoro, l’arrivo di un figlio o semplicemente il bisogno di spazi diversi possono rendere necessario vendere la prima abitazione e acquistarne una nuova. In questi casi, è fondamentale conoscere le regole per non perdere i benefici fiscali concessi dallo Stato.
La normativa prevede che, per mantenere le agevolazioni legate all’acquisto della prima casa, l’immobile debba essere mantenuto per almeno cinque anni. In caso contrario, il contribuente rischia di dover restituire le imposte non versate, con l’aggiunta di una sovrattassa del 30% e degli interessi maturati. Tuttavia, esiste una possibilità per evitare queste sanzioni: acquistare un nuovo immobile da destinare a prima casa entro un termine preciso.
Le agevolazioni che si perderebbero includono l’imposta di registro ridotta al 2% (anziché al 9%), le imposte ipotecaria e catastale fisse a 50 euro ciascuna, e — per gli under 36 — l’azzeramento totale delle imposte grazie al Bonus Prima Casa introdotto nel 2021. Per conservare questi vantaggi, è necessario che la nuova abitazione rispetti determinati requisiti: deve appartenere a una delle categorie catastali ammesse (come A/2, A/3, A/4, ecc.), non deve essere un immobile di lusso, e deve essere destinata a residenza principale entro 12 mesi dall’acquisto. Dal 2025, il termine per vendere la precedente abitazione è stato esteso da 12 a 24 mesi, offrendo maggiore flessibilità.
La legge consente anche di mantenere le agevolazioni nel caso in cui si acquisti un terreno edificabile, purché il fabbricato venga destinato a residenza principale e abbia almeno le caratteristiche minime di un rustico urbanisticamente rilevante, con mura perimetrali e copertura completata.
Naturalmente, chi decide di attendere i cinque anni previsti dalla legge può vendere la prima casa senza alcun vincolo, beneficiando anche di un credito d’imposta pari all’imposta di registro già versata, da utilizzare entro un anno per l’acquisto di un nuovo immobile.
Tuttavia, vendere e riacquistare una prima casa è un’operazione complessa, che richiede attenzione e competenza. È consigliabile affidarsi a professionisti del settore, come notai e consulenti fiscali, per evitare errori che potrebbero comportare costi imprevisti. Tra i principali aspetti da considerare ci sono le tempistiche, che devono essere gestite con precisione per evitare la decadenza dei benefici; la presenza di un mutuo sull’immobile da vendere, che può complicare la trattativa; e i costi accessori, come le imposte di registrazione, le spese notarili e gli eventuali oneri legati al trasferimento o alla stipula di un nuovo mutuo.
Vendere la prima casa per acquistarne un’altra può essere una scelta giusta e necessaria, ma va affrontata con consapevolezza. Conoscere le regole e pianificare ogni passaggio è il modo migliore per tutelare il proprio investimento e continuare a beneficiare delle agevolazioni previste dalla legge.
Chi ha acquistato un immobile con le agevolazioni “prima casa” e lo ha sottoposto a interventi con Superbonus ha più tempo per trasferire la propria residenza nel Comune in cui si trova l’abitazione. Lo ha confermato l’Agenzia delle Entrate con la risposta n. 230 del 3 settembre 2025, accogliendo l’interpretazione di un contribuente che aveva chiesto chiarimenti in merito alla decorrenza del termine previsto per conservare i benefici fiscali.
Il caso riguarda un immobile acquistato il 26 novembre 2021, composto da due unità abitative e un rustico ad uso stalla, oggetto di ristrutturazione con Superbonus. I lavori agevolati si sono conclusi il 29 dicembre 2023, mentre quelli ordinari risultano ancora in corso. L’acquirente, che ha richiesto l’agevolazione “prima casa” nell’atto di compravendita, ha chiesto se il termine di 30 mesi per stabilire la residenza debba partire dalla data di acquisto o dal termine della sospensione emergenziale, fissato al 30 ottobre 2023.
L’Agenzia ha confermato che, in virtù delle disposizioni emergenziali introdotte durante la pandemia, tutti i termini previsti per conservare i benefici “prima casa” sono stati sospesi tra il 1° aprile 2022 e il 30 ottobre 2023. Tra questi rientra anche il termine di 30 mesi previsto per gli immobili sottoposti a interventi con Superbonus, come stabilito dal comma 10-ter dell’articolo 119 del Dl 34/2020.
La sospensione, regolata dall’articolo 3, comma 10-quinquies, della legge n. 14/2023, riguarda non solo il termine per trasferire la residenza, ma anche quelli relativi alla vendita o al riacquisto di immobili agevolati. In particolare, sono stati congelati:
– i 18 mesi per stabilire la residenza nel Comune dell’immobile;
– l’anno per acquistare un nuovo immobile se si vende quello agevolato entro cinque anni;
– l’anno per vendere un precedente immobile acquistato con agevolazione “prima casa”.
Nel caso esaminato, il contribuente avrà quindi tempo fino al 30 aprile 2026 per trasferire la propria residenza nel Comune dell’immobile, senza perdere i benefici fiscali legati sia alla “prima casa” che al Superbonus. Un chiarimento importante, che conferma come le misure emergenziali abbiano inciso anche sulla tempistica fiscale, offrendo maggiore flessibilità a chi ha investito nella riqualificazione energetica della propria abitazione.
Il Governo punta a rilanciare i bonus edilizi, con l’obiettivo di riportare al 50% le detrazioni fiscali per le ristrutturazioni a partire dal 2026 e di dimezzare i tempi di rimborso da dieci a cinque anni. Lo ha annunciato la viceministra dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Vannia Gava, che ha confermato il lavoro congiunto con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti per rendere l’ecobonus “più immediato e conveniente”.
Attualmente, la detrazione base è scesa al 36% per le seconde case, mentre il 50% resta valido solo per le abitazioni principali. Senza un intervento normativo, dal 2026 si rischia un ulteriore taglio: 36% sulle prime case e appena 30% sulle altre.
Come ogni anno, il vero ostacolo è rappresentato dalle coperture finanziarie. Secondo le stime del MEF, per mantenere l’attuale impianto dei bonus edilizi servirebbero circa 2 miliardi di euro. E con una Manovra dai margini ridotti, la sfida è tutt’altro che semplice.
La CNA ha accolto positivamente l’annuncio di Gava, ma lancia un monito: “Nei primi sei mesi del 2025, i lavori incentivati hanno generato circa 15 miliardi di euro, con la prospettiva di sfiorare i 40 miliardi entro fine anno. Senza la conferma della detrazione al 50%, il giro d’affari nel 2026 potrebbe crollare a 15 miliardi, con gravi ripercussioni su imprese, occupazione e riqualificazione urbana”.
Gava ha sottolineato che le nuove misure mirano a “aiutare le famiglie, sostenere l’edilizia – settore chiave per l’economia – e promuovere la riqualificazione delle città, nel rispetto delle risorse pubbliche”.
Oltre al bonus ristrutturazioni, anche Ecobonus e Sismabonus sono destinati a subire un ridimensionamento, con detrazioni che scenderanno al 30% nel biennio 2026-2027. Il rischio, secondo alcuni osservatori, è il ritorno di lavori “in nero”, con effetti negativi sulla sicurezza degli edifici e sulle entrate fiscali.
La partita dei bonus edilizi è appena iniziata. Il Governo sembra intenzionato a difendere le agevolazioni, ma il futuro dipenderà dalla capacità di trovare risorse nella prossima Legge di Bilancio. Per famiglie e imprese, il 2026 potrebbe segnare una svolta… o una brusca frenata.
Bonus Ristrutturazioni, nuova guida dell’Agenzia delle Entrate: ecco cosa cambia
In vista della nuova Legge di Bilancio, che confermerà anche per il 2026 la detrazione maggiorata del 50% per gli interventi sull’abitazione principale, l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato l’aggiornamento della guida ufficiale “Ristrutturazioni edilizie: le agevolazioni fiscali”.
Il documento, atteso da tre anni, rappresenta un punto di riferimento per chi intende accedere ai Bonus Casa e offre una panoramica completa sulle modalità di detrazione Irpef per lavori di manutenzione straordinaria, restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia. Per le parti comuni degli edifici, restano agevolabili anche gli interventi di manutenzione ordinaria.
Tra le novità più rilevanti, la guida chiarisce i limiti di detraibilità legati al reddito del contribuente, in particolare per chi supera i 75.000 euro annui, e specifica i requisiti richiesti per l’abitazione principale.
Ma il documento non si limita al Bonus Ristrutturazione: vengono illustrate anche altre agevolazioni fiscali, come la detrazione del 75% per l’eliminazione delle barriere architettoniche, le agevolazioni IVA, gli incentivi per l’acquisto e la costruzione di box e posti auto, e le detrazioni per immobili già ristrutturati. Infine, trova spazio anche la detrazione degli interessi passivi sui mutui contratti per ristrutturare casa.
La nuova guida, disponibile sul sito dell’Agenzia, si propone come uno strumento pratico per orientarsi tra le molteplici opportunità fiscali legate alla riqualificazione del patrimonio immobiliare. Un aggiornamento che arriva in un momento cruciale per il settore edilizio, chiamato a fare i conti con nuove regole e con la necessità di maggiore trasparenza e semplificazione.
In un piccolo condominio è stato deciso di installare una piattaforma elevatrice nel giroscale interno, ma solo due su sei condòmini hanno deciso di partecipare alle spese. Possono usufruire del beneficio fiscale calcolato sull’intero importo sostenuto per l’installazione oppure l’agevolazione è limitata alla quota di spesa calcolata in proporzione ai propri millesimi di proprietà?
In questo caso i condòmini che hanno sostenuto la spesa possono utilizzare l’agevolazione fiscale sull’intera somma che hanno singolarmente pagato e non si procede in base ai millesimi proprio perché non tutti hanno partecipato alla spesa.
Un documento di prassi dell’Agenzia delle Entrate fornisce questa indicazione: si tratta della Risoluzione 336/2008, che risponde a un contribuente in relazione a lavori di abbattimento di barriere architettoniche, fra i quali rientra l’installazione del montascale. Se necessario a un solo condòmino (in ausilio alla sua disabilità), che ha sostenuto integralmente la spesa, allora è riconoscibile il beneficio fiscale sull’intera cifra.
Da come è formulato il quesito pare che la situazione prospettata sia analoga, con l’unica differenza che il costo è stato sostenuto da due condòmini. Pertanto ritengo sia applicabile lo stesso principio.
Il Fisco chiarisce anche che, nel caso di lavori di cui beneficiano tutti i condòmini, si applica invece la ripartizione millesimale anche se l’intera spesa è stata sostenuta da uno solo, proponendo l’esempio affrontato dalla Risoluzione 264/E del 2008: in quel caso, un condòmino aveva affrontato il costo di installazione di un ascensore ma aveva ottenuto l’agevolazione solo per la parte relativa ai propri millesimi perché il bene risultava “oggetto di proprietà comune” utilizzabile per tutti i condòmini.