.

Cedolare secca: incertezza giuridica per i proprietari immobiliari

L’Unione Piccoli Proprietari Immobiliari (UPPI) esprime forte preoccupazione per il persistente disallineamento interpretativo tra la sentenza n. 12395 della Corte di Cassazione del 7 maggio 2024 e l’interpello 911-7/2025 dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale Toscana, relativo all’applicabilità della cedolare secca nei contratti di locazione abitativa stipulati con conduttori che operano nell’ambito di un’attività d’impresa o professionale.

Secondo la Corte di Cassazione, il regime della cedolare secca è applicabile anche quando il conduttore è un’impresa o un professionista, purché l’immobile sia destinato a uso abitativo. Al contrario, l’Agenzia delle Entrate, con l’interpello recentemente emesso, ha ribadito un’interpretazione restrittiva, sostenendo che la cedolare secca non possa essere applicata in tali circostanze.

Questa divergenza ha creato una situazione di incertezza normativa che rischia di generare:
* Contestazioni fiscali e richieste di pagamento di imposte ordinarie, con sanzioni e interessi.
* Blocchi nel mercato delle locazioni e sfiducia nei confronti della disciplina fiscale da parte dei proprietari immobiliari.
* Aumento del contenzioso tra contribuenti e amministrazione finanziaria, con conseguente aggravio per il sistema giudiziario tributario.

Alla luce di questa situazione, il Presidente di UPPI, Fabio Pucci, ha formalmente richiesto un incontro con il Direttore dell’Agenzia delle Entrate per discutere le implicazioni pratiche e giuridiche di questa divergenza interpretativa e individuare una soluzione condivisa.

“È fondamentale che i proprietari immobiliari possano contare su un quadro normativo chiaro e stabile. Il contrasto tra la giurisprudenza della Cassazione e le direttive dell’Agenzia delle Entrate sta generando incertezza e disorientamento tra i contribuenti, con il rischio di compromettere ulteriormente il mercato delle locazioni. Chiediamo un confronto diretto con l’Agenzia per definire una linea interpretativa uniforme, chiara e coerente con le pronunce della Corte di Cassazione,” ha dichiarato il Presidente di UPPI.

L’UPPI auspica che l’Agenzia delle Entrate prenda atto della posizione espressa dalla Corte di Cassazione e adotti una direttiva chiara e coerente che consenta ai contribuenti di applicare la cedolare secca in modo trasparente e senza rischi di contestazione.

L’Unione Piccoli Proprietari Immobiliari resta a disposizione per un confronto costruttivo con l’Agenzia delle Entrate e con il Ministero dell’Economia e delle Finanze per definire una soluzione normativa che garantisca certezza del diritto e equità fiscale per tutti i contribuenti.

Il Segretario Generale, dr. Jean-Claude MOCHET
Il Presidente Nazionale, avv. Fabio PUCCI

Offensiva dell’Agenzia delle Entrate per chi ha ristrutturato con il Superbonus

Chi ha ristrutturato il proprio immobile beneficiando del Superbonus deve procedere all’aggiornamento delle rendite catastali. I contribuenti che non hanno ancora fatto l’adeguamento riceveranno una lettera da parte dell’Agenzia delle Entrate successivamente all’incrocio dei dati.
Lo ha annunciato il direttore uscente delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, nella sua relazione di fine anno.
Quanti potrebbero essere gli interessati? In base a quanto indicato dall’Enea, sono 496.963 gli edifici nei quali si è intervenuto con il Superbonus. In proporzione, le richieste di variazione catastale registrate sono pochissime.

Le disposizioni normative
La Legge di Bilancio 2024 prevede, ai commi 86 e 87 dell’art. 1, che l’Agenzia delle Entrate verifichi, in relazione alle unità immobiliari oggetto degli interventi agevolati dal Superbonus, la presentazione delle dichiarazioni di variazione dello stato dei beni, anche ai fini di eventuali effetti sulle rendite dell’immobile presenti nel catasto dei fabbricati.
Nei mesi scorsi il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha annunciato in più occasioni una verifica sull’attuazione di tali misure e la necessità di procedere alla revisione dei valori catastali degli immobili migliorati con il Superbonus.
Nella sua relazione di fine anno il direttore uscente dell’Agenzia delle Entrate ha annunciato che nei primi mesi del 2025 l’Agenzia “nell’ambito delle attività finalizzate all’aggiornamento della banca dati catastale”, oltre alle attività ordinarie di verifica e controllo, “avvierà la campagna di compliance relativa al Superbonus” con l’invio di lettere per chiedere ai contribuenti di chiarire la propria posizione.
Nella relazione viene inoltre spiegato che la lista dei destinatari della lettere di compliance sarà generata dall’incrocio dei dati derivanti dalle “comunicazioni dell’opzione relativa agli interventi di recupero del patrimonio edilizio, efficienza energetica, rischio sismico, impianti fotovoltaici e colonnine di ricarica” e “le risultanze della banca dati catastale, per gli immobili per i quali non risulta essere stata presentata, ove prevista, la dichiarazione di variazione catastale”.
Pertanto, chi ha avviato una pratica di Superbonus effettuando la cessione del credito senza presentare la variazione catastale riceverà la lettera del Fisco.
Ricevuta la lettera, ci sarà la possibilità di spiegare perché la variazione catastale non è stata effettuata. Infatti, non sempre la legge richiede questo adempimento. In caso di omissioni, è previsto il ravvedimento operoso. Mentre, se il comportamento è stato corretto, andranno presentate le proprie controdeduzioni, supportate da una perizia tecnica.

La dichiarazione di variazione catastale
Le disposizioni contenute nella Legge di Bilancio 2024 lasciano intendere che la presentazione della dichiarazione di variazione sia un “adempimento automatico” richiesto in ogni caso al termine dei lavori agevolati con Superbonus.
Il Testo Unico dell’edilizia, infatti, prevede che entro 30 giorni dalla fine dell’intervento il direttore dei lavori debba depositare in Comune la prova dell’avvenuta presentazione della variazione catastale o una dichiarazione che gli interventi non hanno comportato una modifica del classamento.
L’obbligo di presentare una dichiarazione di variazione catastale è previsto dall’articolo 20 del Rdl 652/1939, secondo cui i titolari di immobili già censiti sono obbligati a denunciare le variazioni che implichino mutazioni, per l’attribuzione della categoria e della classe.

L’obbligo di variazione catastale
In linea di principio, molti lavori di Superbonus non comportano l’obbligo di effettuare la variazione della rendita. Tale obbligo, di norma, sussiste solo quando venga aumentato il numero di vani, venga incrementata la volumetria o siano apportate variazioni planimetriche.
Determinano l’obbligo di revisione gli interventi con cui si realizza:
• la costruzione di nuove unità fuori terra ed interrate;
• una rilevante redistribuzione degli spazi interni;
• un cambiamento dell’utilizzazione di superfici scoperte, quali balconi o terrazze;
• modifiche interne, quali lo spostamento di porte e tramezzi;
• la modifica alla destinazione d’uso di vani o singoli ambienti;
• modifiche che incidano direttamente sulla consistenza, sulla classe o sulla rendita catastale (rientrano in questo caso gli interventi su edifici collabenti, il recupero del sottotetto a fini abitativi, l’installazione di impianti che aumentano naturalmente il valore dell’immobile, l’installazione dell’impianto fotovoltaico, impianti di automazione, ascensori).
Non c’è invece obbligo di variazione catastale per:
• l’esecuzione di interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione (pavimenti, wc, infissi, tetto, facciata, rinforzi strutturali, messa a norma impianti) con materiali comparabili con gli originari;
• l’installazione di impianti fotovoltaici a servizio di singole unità se la potenza installata è inferiore a KW 3 per il numero di unità immobiliari servite.

Obbligo di revisione della rendita per aumento del valore del 15 per cento
Anche in assenza delle condizioni indicate, l’aggiornamento della rendita deve essere effettuato se il valore dell’immobile, a seguito di una ristrutturazione, viene incrementato di almeno il 15 per cento.
Più precisamente, la revisione della rendita è sempre dovuta in caso di interventi edilizi di cui all’art. 3 del Testo Unico dell’Edilizia (ristrutturazioni; manutenzioni straordinarie; variazioni nelle caratteristiche tipologiche, distributive e/o impiantistiche; restauro e risanamento conservativo) che comportino un incremento stimabile in misura non inferiore al 15 per cento del valore di mercato e della relativa redditività (soglia corrispondente alla variazione di una classe catastale), quando gli stessi abbiano comportato una variazione della consistenza ovvero delle caratteristiche tipologiche distributive ed impiantistiche originarie delle unità immobiliari o, nel caso di interventi di restauro e risanamento conservativo, qualora abbiano interessato l’intero edificio.
Il riferimento è alle circolari 10/2005 e 1/2006 dell’Agenzia del Territorio e alla Determinazione del 16 febbraio 2005 che – nell’ambito dell’applicazione dell’art. 1 della Legge 311/2004, comma 336 – individua il 15 per cento come soglia incrementale del valore dell’immobile da considerare, indicatore sintetico e parametro di riferimento per la revisione della rendita.

Dopo il Superbonus poche variazioni catastali
Secondo quanto emerge dal rapporto 2023 dell’Enea sulle detrazioni fiscali, il 77,5 per cento degli immobili ristrutturati con Superbonus ha ottenuto un salto di almeno tre classi energetiche, il 65,7 per cento di almeno quattro classi.
Stime contenute in uno studio pubblicato dalla Banca d’Italia nel dicembre del 2023 sostengono che l’incremento medio del valore di mercato per il passaggio dalla classe G alla classe A, al momento della vendita, è di circa il 25 per cento. Quindi, già con un salto di tre classi è molto probabile lo sforamento del limite del 15 per cento.
In pratica, tre immobili su quattro, tra quelli sui quali è stato effettuato un intervento agevolato con il Superbonus, avrebbero dovuto adeguare la rendita catastale.
A fronte di questi dati, le statistiche catastali più recenti non hanno registrato un aumento diffuso delle rendite: molti di coloro che avrebbero dovuto comunicare la revisione al catasto non l’hanno fatto.
Se si fa riferimento ai criteri di selezione annunciati dall’Agenzia delle Entrate (pratiche Superbonus con cessione del credito), potrebbero essere interessati dall’operazione circa 500mila immobili.

La verifica delle Entrate sulla variazione catastale dopo interventi Superbonus
Il comma 86 della Legge di Bilancio 2024 prevede che l’Agenzia delle Entrate verifichi se sia stata presentata – ove prevista – la dichiarazione di variazione di cui all’art. 1 del D.M. 701/1994, commi 1 e 2, con riferimento alle unità immobiliari oggetto degli interventi agevolati con Superbonus.
Tale verifica deve essere condotta sulla base di specifiche liste selettive elaborate con l’utilizzo delle moderne tecnologie di interoperabilità e analisi delle banche dati, anche ai fini degli eventuali effetti sulla rendita dell’immobile presente in atti nel catasto dei fabbricati.
Facendo un passo indietro, è utile ricordare che la norma citata – l’art. 1 del D.M. 701/1994, comma 3 – prevede che la rendita proposta dal contribuente rimanga negli atti catastali come “rendita proposta” fino a quando l’Agenzia delle Entrate non provvede con mezzi di accertamento informatici o tradizionali, anche a campione, e comunque entro 12 mesi dalla data di presentazione delle dichiarazioni, alla determinazione della rendita catastale definitiva.
Come disposto dall’art. 4 del D.L. 853/1984, comma 21, l’Agenzia delle Entrate ha facoltà di verificare le caratteristiche degli immobili oggetto delle dichiarazioni, ed eventualmente modificarne le risultanze censuarie iscritte in catasto.
Ora, l’Agenzia delle Entrate verifica che sia stata presentata, ove prevista, la dichiarazione per i lavori di Superbonus recante l’aggiornamento della rendita dell’immobile riportata negli atti del catasto dei fabbricati.
Se tale dichiarazione non risulta presentata, l’Agenzia delle Entrate può inviare al contribuente una comunicazione specifica – lettera di compliance – per sollecitare l’adempimento richiesto. Grazie a questa comunicazione preventiva il contribuente può presentare controdeduzioni, motivare la mancata presentazione della dichiarazione di variazione, dimostrare l’avvenuto adempimento o ravvedersi.
Qualora il contribuente – supportato dal suo tecnico – dovesse accertare l’esistenza dell’obbligo di aggiornamento del classamento catastale e convenire con quanto indicato nella comunicazione ricevuta dall’Agenzia delle Entrate, potrà correggere l’omissione, presentando la dichiarazione di variazione catastale e avvalendosi del ravvedimento operoso, che consente di ridurre la sanzione (172 euro anziché 1.032 euro a unità immobiliare) per l’adempimento tardivo.
Se invece il contribuente ritiene di non dover assolvere all’obbligo di aggiornamento catastale, dovrà fornire gli opportuni chiarimenti.
In caso di inadempimento entro il 90 giorni, l’Agenzia delle Entrate notifica un avviso di accertamento e interviene in surroga per aggiornare le rendite e applicare la sanzione.

Variazione catastale: l’iter ordinario
Nei confronti del contribuente che non provvede alla richiesta di attribuzione della nuova rendita catastale, l’Agenzia delle Entrate notifica un avviso di accertamento con il quale l’amministrazione tributaria procede in automatico all’aggiornamento, rendendo noto il procedimento al contribuente coinvolto.
In seguito alle verifiche tecniche effettuate dagli uffici dell’Agenzia, gli intestatari delle unità immobiliari urbane interessate ricevono un avviso di accertamento, con la rideterminazione del classamento e l’attribuzione di una nuova rendita catastale.
Se l’avviso di accertamento viene ritenuto corretto, i destinatari non dovranno procedere ad alcun ulteriore adempimento catastale, perché i dati sono aggiornati direttamente dall’Agenzia.
Il destinatario che, invece, considera l’atto non fondato, potrà chiederne il riesame in autotutela oppure presentare ricorso. La domanda di riesame in autotutela non sospende i termini per la presentazione di un eventuale ricorso al giudice tributario.

Polizze rischi catastrofali per le imprese italiane: regole operative e obbligo di stipula entro il 31 marzo 2025

Entro il 31 marzo 2025 tutte le imprese con sede legale o stabile organizzazione in Italia dovranno stipulare delle polizze assicurative relativamente ai danni causati da calamità naturali a terreni, fabbricati, macchinari, impianti e attrezzature commerciali e industriali.

Difatti, con la Legge 21 febbraio 2025, n. 15 di conversione con modificazioni del Decreto Milleproroghe 2024, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 24 febbraio 2025 ed entrata in vigore il 25 febbraio 2025, è stato confermato lo slittamento al 31 marzo 2025 dell’obbligo di stipula delle polizze catastrofali per le imprese, tranne che per le imprese della pesca e dell’acquacoltura il cui obbligo è stato slittato al 31 dicembre 2025.

A tal proposito è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 48 del 27 febbraio 2025 il Regolamento che stabilisce le modalità operative e attuative degli schemi di assicurazione contro i rischi catastrofali, così come previsto dalla Legge di Bilancio 2024, il quale entrerà in vigore il prossimo 14 marzo. Il Regolamento era stato presentato a settembre dal Ministro delle Imprese e del Made in Italy e successivamente è stato rivisto e modificato dal Consiglio di Stato.

Tale Regolamento definisce la tipologia delle imprese che sono obbligate a stipulare le polizze catastrofali entro il 31 marzo 2025, l’oggetto della copertura assicurativa e le calamità naturali, così come gli eventi catastrofali da assicurare. Il Regolamento, inoltre, chiarisce anche come individuare gli eventi calamitosi e quali sono i criteri di determinazione dei premi assicurativi e i limiti alla capacità di assunzione del rischio per le assicurazioni.

Nel dettaglio, il Regolamento stabilisce che gli eventi coperti dalle polizze assicurative includono sismi, alluvioni, frane e inondazioni, i quali sono definiti con modalità precise per calcolare il danno e la determinazione di eventuali massimali.

Le imprese devono, quindi, assicurare tutti i beni, ossia terreni, fabbricati, attrezzature industriali e commerciali, impianti e macchinari iscritti nello Stato patrimoniale e impiegati per l’attività di impresa a qualsiasi titolo, con esclusione di quelli già assicurati da un’analoga copertura assicurativa.

Il Regolamento chiarisce che i premi assicurativi saranno calcolati in misura proporzionale al rischio e possono essere periodicamente aggiornati, tenendo conto di diversi fattori, come:
• ubicazione geografica del bene;
• vulnerabilità dei beni assicurati;
• serie storiche e mappe di rischio;
• modelli predittivi;
• misure di prevenzione;
• adeguamento periodico.

Per quanto concerne la capacità di assunzione del rischio, le imprese assicurative devono rispettare dei limiti alla capacità di assumere rischio e dovranno stabilire una “propensione al rischio” che deve essere aggiornata annualmente, in linea con i requisiti di solvibilità globale. Le polizze assicurative, inoltre, potranno includere una franchigia e dei massimali che variano a seconda della somma assicurata, con possibilità di personalizzazione per le grandi imprese.

Per quanto concerne i danni indennizzabili, sono stati specificati i criteri di indennizzo del danno, stabilendo che una parte del danno può rimanere a carico dell’impresa assicurata. Nel dettaglio, per una somma assicurata fino a 30 milioni di euro è previsto uno scoperto pari al 15% del danno indennizzabile e tale scoperto si applica solo se espressamente previsto dalla polizza, mentre per una somma assicurata superiore a 30 milioni di euro (quindi per le grandi imprese) la quota di danno a carico dell’impresa assicurata è stabilita attraverso libera negoziazione con la compagnia assicurativa.

Riguardo ai massimali e ai limiti di indennizzo:
• per polizze assicurative fino a 1 milione di euro il limite di indennizzo è pari alla somma assicurata;
• per polizze assicurative tra 1 e 30 milioni di euro il limite di indennizzo non può essere inferiore al 70% della somma assicurata;
• per polizze assicurative oltre i 30 milioni di euro i massimali sono concordati liberamente con la compagnia assicurativa;
• per quanto riguarda i terreni la copertura è prestata a primo rischio assoluto (ovvero fino al massimale concordato, senza l’applicazione della regola proporzionale).

È importante chiarire che è prevista l’esclusione dalla copertura assicurativa per i beni immobili che presentano abusi edilizi o che sono sprovvisti delle necessarie autorizzazioni edilizie.

L’adeguamento alla normativa relativa ai testi di polizza deve avvenire entro e non oltre 30 giorni dalla data di pubblicazione del decreto, mentre per quanto concerne le polizze già in essere, tale adeguamento deve decorrere a partire dal primo rinnovo o quietanzamento utile delle stesse.

Infine, il decreto stabilisce che le imprese che non rispettano l’obbligo di stipulare le polizze assicurative catastrofali entro la scadenza prevista, saranno soggette a sanzioni amministrative, esclusioni da benefici fiscali (incentivi, agevolazioni fiscali etc.) e inoltre saranno costrette a regolarizzare la propria posizione.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

IMU e pertinenze dell’abitazione principale: la compilazione del modello 730

La dichiarazione dei redditi è un adempimento fondamentale per tutti i contribuenti e proprio per questo motivo è fondamentale capire come compilare il modello 730 in modo corretto. A tal proposito, un contribuente si è rivolto all’Agenzia delle Entrate, attraverso la Posta di FiscoOggi, spiegando di essere proprietario di due box auto rogitati come pertinenze della propria abitazione principale. A tal proposito, anche ai fini del pagamento dell’IMU, il contribuente ha chiesto al Fisco come devono essere indicate le suddette pertinenze nel modello 730.

In risposta l’Agenzia delle Entrate ha innanzitutto ricordato che sono considerate pertinenze dell’abitazione le unità immobiliari classificate o classificabili in categorie diverse da quelle ad uso abitativo (box, cantine etc.). Le pertinenze sono destinate in modo durevole al servizio dell’abitazione stessa, anche se si trovano in un altro fabbricato, così come stabilito dall’art. 10, comma 3 bis del TUIR. Le pertinenze più diffuse sono cantine, soffitti e magazzini (categoria C/2), box auto e rimesse (categoria C/6) e infine le tettoie (categoria C/7).

Per quanto concerne il chiarimento richiesto dal contribuente in merito a come devono essere indicate le pertinenze, ovvero i due box auto, nel modello 730, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che per i 2 box auto andrà specificato nel quadro B del modello 730, nella colonna “2 – Utilizzo” il codice “5 – Pertinenza dell’abitazione principale” per entrambi i box.

Per quanto concerne la questione IMU, che appunto è strettamente collegata, la normativa prevede che la tassa non è dovuta per l’abitazione principale e le sue pertinenze, entro il limite di una pertinenza per ciascuna categoria catastale (C/2, C/6, C/7).

Di conseguenza, se si possiedono due pertinenze appartenenti ad una sola categoria catastale, come nel quesito posto dal contribuente, solo una delle due sarà esente dall’IMU, mentre l’altra sarà soggetta all’imposta.
Proprio per questo motivo, quindi, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che in fase di compilazione del modello 730, nella colonna “12 – Casi particolari”, andrà indicato il codice “2”.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Superbonus e sconto in fattura: quando è possibile fruire ancora di questa opzione

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 26 del 12 febbraio 2025, è tornata sulla tematica relativa all’opzione di sconto in fattura per il Superbonus, opzione ancora attiva ma solo a determinate condizioni.

Nel caso esaminato il condominio Istante, con verbale di assemblea straordinaria datato 8 ottobre 2022, ha deliberato l’esecuzione di interventi agevolabili con Superbonus, affidandoli ad un General Contractor che si è dichiarato disponibile ad applicare lo sconto in fattura.

Dopo la presentazione della CILAS (avvenuta in data 25 novembre 2022) è stato necessario sostituire il General Contractor inizialmente incaricato con un nuovo General Contractor e l’inizio dei lavori è stato fissato alla data del 6 novembre 2023.

Visto che i lavori sono andati avanti anche nel 2024, il condominio Istante intende usufruire del Superbonus al 70% per le spese sostenute nel 2024, rientrando nelle deroghe previste dal Decreto Cessioni. Sempre nel 2024 però, è subentrato anche il Decreto Superbonus, in base al quale è possibile scegliere l’opzione di sconto in fattura solo per i lavori per i quali sia stata sostenuta almeno una spesa entro il 30 marzo 2024.

A tal proposito, quindi, il condominio Istante si è rivolto all’Agenzia delle Entrate perché il dubbio è quello di non possedere quest’ultimo requisito poiché, ha spiegato che il General Contractor ha pagato ai subappaltatori una parte dei lavori già effettuati, ma non ha emesso fattura diretta al condominio, difatti le relative fatture risultano emesse dagli appaltatori in favore del General Contractor.

Rispondendo a tale quesito, l’Agenzia delle Entrate ha dapprima illustrato le normative pertinenti al quesito, ovvero il Decreto Cessioni (DL n. 11/2023) e il Decreto Superbonus (DL n. 39/2024) e le relative deroghe e rimodulazioni nel tempo.

Facendo un chiaro quadro della situazione, il Fisco si è soffermato sul dubbio posto dal contribuente, chiarendo l’art. 1 del DL n. 39/2024 ha rimodulato le disposizioni relative alle deroghe previste dal Decreto Cessioni, in particolare al comma 5 stabilisce che: “Le disposizioni di cui all’articolo 2, commi 2 e 3, del citato decreto-legge n. 11 del 2023 non si applicano agli interventi contemplati al comma 2, lettere a), b) e c), primo periodo, e al comma 3, lettere a) e b), del medesimo articolo 2 per i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, non è stata sostenuta alcuna spesa, documentata da fattura, per lavori già effettuati.”

Le deroghe al divieto di esercizio delle opzioni continuano a operare solo se entro il 30 marzo 2024 sono stati effettuati lavori e sono state sostenute le relative spese. A tal proposito il Fisco evidenzia che la locuzione “lavori già effettuati” si riferisce esclusivamente agli interventi edilizi, escluse le spese relative agli oneri di urbanizzazione, alle consulenze professionali e ad altre voci accessorie.

L’Agenzia delle Entrate ha successivamente chiarito che per capire se il committente ha diritto allo sconto in fattura legato al Superbonus, occorre far riferimento alle date, poiché nel caso di sconto integrale (quindi senza alcun pagamento), bisogna considerare la data di emissione della fattura, mentre nel caso di sconto parziale (con il pagamento dell’importo residuo) è necessario far riferimento alla data del pagamento della fattura eccedente lo sconto, perciò non ha alcun rilievo la data di emissione della fattura da parte del venditore. Inoltre, come già precisato in un’altra comunicazione da parte del Fisco, se il pagamento avviene mediante bonifico la spesa si considera sostenuta nel momento in cui il committente dà l’ordine di pagamento alla banca, quindi non a quello in cui la spesa viene effettivamente addebitata sul conto del committente.

Il Fisco chiarisce che il pagamento dei “lavori già effettuati”, che per esercitare l’opzione di sconto in fattura deve avvenire entro il 30 marzo 2024, deve essere documentato da fattura e può riferirsi anche alla realizzazione parziale dei lavori, inoltre, questo pagamento può essere sostenuto anche da un soggetto diverso dal committente finale, purché la spesa sia adeguatamente documentata.

Ne consegue che l’opzione sconto in fattura può essere esercitata anche dal committente che si avvale di un appaltatore, come ad esempio il General Contractor, il quale paga le imprese per una parte dei lavori svolti da esse e in un secondo momento presenta la fattura al condominio committente.

Pertanto, nel caso analizzato, se il General Contractor ha pagato le imprese incaricate entro il 30 marzo 2024 relativamente ai lavori effettivamente svolti e se esiste un legame debitamente documentato tra il condominio committente e il General Contractor, il condominio può continuare ad usufruire dell’opzione sconto in fattura per i lavori agevolati attraverso il Superbonus.

A cura di Deborah Maria Foti Ufficio Stampa ANAPI

Comunicazione cessione del credito

Con riferimento alle spese sostenute nel 2024, i contribuenti che possono ancora scegliere la cessione del credito o lo sconto in fattura devono inviare la comunicazione all’Agenzia delle Entrate entro il 17 marzo.

I casi in cui è ancora possibile scegliere le opzioni alternative alla detrazione sono limitati.

In particolare hanno ancora diritto ad esercitare queste opzioni coloro che al 30 marzo 2024 rispettano i seguenti requisiti:
• risulti presentata la CILA, se gli interventi sono diversi da quelli effettuati dai condomini;
• risulti adottata la delibera assembleare che ha approvato l’esecuzione dei lavori e risulti presentata la comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) se gli interventi effettuati dai condomini;
• risulti presentata l’istanza per l’acquisizione del titolo abilitativo, per gli interventi che comportano la demolizione e la ricostruzione degli edifici;
– risulti presentata la richiesta del titolo abilitativo, ove necessario, se gli interventi sono diversi da quelli agevolati ai sensi dell’articolo 119 del decreto-legge n. 34 del 2020;
• siano già iniziati i lavori oppure, nel caso in cui i lavori non siano ancora iniziati, sia stato stipulato un accordo vincolante tra le parti per la fornitura dei beni e dei servizi oggetto dei lavori e sia stato versato un acconto sul prezzo, se per gli interventi non è prevista la presentazione di un titolo abilitativo.

Tra le eccezioni al divieto di cessione del credito ci sono gli interventi realizzati su immobili danneggiati dagli eventi sismici che si sono verificati nelle regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria il 6 aprile 2009 e dal 24 agosto 2016, per i quali le istanze o dichiarazioni siano state presentate dalla data di entrata in vigore del decreto-legge. La deroga si applica nel limite delle risorse messe a disposizione.

Possono beneficiare della cessione del credito anche gli interventi che rientrano nel bonus barriere architettoniche.

Comunicazione delle spese di ristrutturazione in condominio

Entro il 16 marzo di ogni anno gli amministratori di condominio hanno l’obbligo di trasmettere all’Anagrafe tributaria i dati relativi alle spese sostenute dal condominio nell’anno precedente relativamente agli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica effettuati sulle parti comuni degli edifici residenziali.

Inoltre, è necessario comunicare anche i dati relativi alle spese sostenute per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici destinati all’arredo delle parti comuni oggetto di lavori di ristrutturazione.

A tal proposito, recentemente, l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato una serie di FAQ utili a chiarire le modalità di adempimento di quest’obbligo.

Innanzitutto è bene chiarire che il Decreto Ministeriale del 1° dicembre 2016 ha stabilito modalità e tempistiche per la trasmissione dei suddetti dati all’Agenzia delle Entrate entro il 16 marzo di ogni anno. Le spese per i lavori di ristrutturazione delle parti comuni condominiali devono essere comunicate al Fisco per un’elaborazione corretta del modello 730 precompilato che, successivamente, il contribuente può accettare o modificare.

Pertanto, l’amministratore di condominio è obbligato alla trasmissione dei dati inerenti alle fatture relative alle spese di ristrutturazione delle parti comuni condominiali e tale comunicazione deve contenere le quote di spesa attribuite a ciascun condomino, cosicché questo possa ottenere le relative detrazioni fiscali.

Ricordiamo che la comunicazione dei dati va effettuata telematicamente attraverso il servizio Entratel o Fisconline.

Tra i nuovi chiarimenti forniti dalle FAQ pubblicate, indichiamo:
• Esonero dell’invio della trasmissione dei dati se per le spese sostenute nell’anno precedente tutti i condòmini hanno optato per la cessione del credito o per lo sconto sul corrispettivo dovuto in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione (come previsto dal provvedimento del 21 febbraio 2024).
• Rimborsi parziali o totali delle spese da parte di ente esterno: a tal proposito il Fisco spiega che se un ente esterno rimborsa totalmente le spese sostenute dal condominio per i lavori, i condòmini non potranno fruire della detrazione Irpef e l’amministratore non dovrà inviare la comunicazione all’Agenzia delle Entrate. In caso di rimborso parziale, l’amministratore dovrà comunicare le sole spese rimaste effettivamente a carico del condominio, indicando le quote per ciascun condomino.
• Comunicazione dei “condomini minimi”: nel caso in cui un condominio minimo abbia nominato l’amministratore, questo è tenuto a comunicare all’Agenzia i dati delle spese sostenute per lavori di ristrutturazione sulle parti comuni entro il 16 marzo dell’anno successivo, qualora, invece, non vi sia un amministratore i condòmini non sono tenuti a fare tale comunicazione.
• Condomini minimi privi di codice fiscale: l’Agenzia specifica che nel caso in cui un condominio minimo non disponga di codice fiscale, è necessario utilizzare il campo “Progressivo condominio minimo” per distinguere i diversi condomini minimi privi di codice fiscale. Ciò significa che se un incaricato deve inviare i dati per più condomini minimi privi di codice fiscale, dovrà predisporre due comunicazioni diverse, indicando nel campo “Progressivo” il valore “1” per il primo, il valore “2” per il secondo etc.

L’Agenzia delle Entrate chiarisce, inoltre, che per la compilazione e il controllo dei dati da inviare è possibile utilizzare i software di controllo e di predisposizione dei dati messi a disposizione gratuitamente, volti a semplificare la procedura.

Infine, ricordiamo che l’omessa, tardiva o errata comunicazione dei dati per la precompilata relativamente alle spese sostenute per i lavori sulle parti comuni condominiali, comporta una sanzione pari a 100 euro per ogni comunicazione, con un massimo di 50.000 euro, ma non rientra tra le cause di decadenza delle detrazioni fiscali.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Superbonus: “Decine di miliardi di crediti bruciati perché scaduti”

“Abbiamo stimato diverse decine di miliardi di euro di crediti previsti dal Superbonus che verranno bruciati perché scaduti”.
Lo dice all’Adnkronos/Labitalia Simone Giovanna, presidente dell’Associazione esodati del superbonus. “A livello quantitativo -ammette – è difficile quantificare la perdita per lo stop al Superbonus, non lo sa neanche il Mef; questo perché solo a saldo delle operazioni si verrà a sapere l’effettivo ammontare di tutta questa operazione e siccome sono detrazioni spalmate in cinque anni, un resoconto finale si potrà avere nel 2026-2027”.

“Sono solo ipotesi – sottolinea – quelle fatte dal ministro Giorgetti perché si tratta di previsioni costruite sulla teoria che tutti i crediti finalizzino verso una conclusione positiva, ma sappiamo che una grossissima fetta dei crediti è stata bruciata a causa del blocco della cessione. I crediti non sono eterni e ogni anno scadono. In pratica, quelli che non sono stati ceduti si bruciano”.

“Dal punto di vista delle ricadute fisiche e umane sui cittadini – fa notare – ci sono ancora ad oggi tantissimi cantieri-condomini che sono impacchettati da 4-5 anni. In questi giorni, da diverse zone dell’Italia, ci sta arrivando notizia che le ditte, per eccesso di credito, sono fallite e quindi i cantieri non sono stati portati a termine. I superbonus non sono stati completati a livello formale, quindi non c’erano tutti i crismi per poter completare le procedure. Tecnicamente per l’Agenzia delle entrate i crediti sono nulli e possono essere riscossi. Stanno dunque arrivando delle lettere dall’Agenzia delle entrate ai singoli cittadini privati che, ignari di tutto, magari non avevano un centesimo in tasca e hanno usufruito dello sconto in fattura, adesso si trovano a dover pagare con la sanzione che è del 100% dei crediti. Calcolando che un intervento di ristrutturazione medio si aggira sui 100-120 mila euro, i crediti sono raddoppiati arrivando a 240 mila euro più interessi. Ecco che la gente è a dir poco disperata”.

Aggiornata la Guida dell’Agenzia dell’Entrate sul Bonus Mobili

Con la Legge di Bilancio 2025 è stato prorogato il Bonus Mobili, l’agevolazione che permette una detrazione Irpef per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici, destinati all’arredo di un immobile oggetto di interventi di ristrutturazione.

La detrazione prevista è pari al 50% e va calcolata su un importo massimo di 5.000 euro, comprensivo delle eventuali spese di montaggio e trasporto, inoltre la detrazione va ripartita, tra gli aventi diritto, in 10 quote annuali di pari importo.

Anche nel 2025 il Bonus Mobili agevolerà le spese sostenute per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici di classe energetica non inferiore alla A per i forni, alla E per le lavatrici, le asciugatrici e le lavastoviglie e alla classe F per frigoriferi e congelatori.

Potranno, quindi, beneficiare di tale agevolazione tutti coloro che sostengono le spese per gli acquisti sopracitati e che hanno contestualmente realizzato lavori di ristrutturazione edilizia a partire dal 1° gennaio dell’anno precedente a quello dell’acquisto dei beni.

Il limite di spesa massimo pari a 5.000 euro riguarda la singola unità immobiliare, comprensiva delle eventuali pertinenze, oppure la parte comune oggetto degli interventi di ristrutturazione.

Pertanto, il contribuente che esegue lavori di ristrutturazione su più unità immobiliari avrà diritto più volte ad usufruire di tale beneficio.

Per illustrare al meglio il Bonus Mobili, l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la Guida Bonus Mobili ed Elettrodomestici aggiornata a gennaio 2025, così da poter chiarire e approfondire tutte le informazioni utili a coloro che intendono usufruire della proroga di tale agevolazione.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

IMU e TARI, il Milleproroghe 2025 aggiunge una nuova scadenza

Arriva una nuova scadenza per i contribuenti che possiedono immobili nei Comuni che hanno approvato in ritardo le delibere con le aliquote aggiornate.

Un emendamento al testo di conversione del decreto Milleproroghe 2025 prevede, come lo scorso anno, un’estensione del termine per la pubblicazione delle delibere relative alle aliquote IMU applicate nel 2024.

Pertanto, i contribuenti interessati sono chiamati al versamento del conguaglio IMU e TARI 2024 entro la nuova scadenza di fine febbraio.

La normativa di riferimento prevede infatti che ai fini della determinazione delle aliquote IMU, le delibere e i relativi regolamenti debbano essere approvati entro il termine per l’adozione del bilancio di previsione dell’anno di riferimento (28 ottobre), ai fini della pubblicazione sul portale del MEF.

Come già accaduto anche lo scorso anno, sono diversi gli enti che non hanno provveduto nei termini. Un ritardo che quindi rende inefficaci le delibere.

Per questo motivo, un emendamento al testo di conversione in legge del decreto Milleproroghe 2025, prevede un “salvagente” per i Comuni interessati. Di conseguenza viene previsto anche un termine aggiuntivo per il pagamento del conguaglio IMU e TARI.

Per effetto della proroga, dunque, i contribuenti residenti nei quasi 500 Comuni interessati saranno chiamati a pagare la differenza fra quanto versato l’anno scorso in base alle aliquote 2023 e gli importi dovuti per gli eventuali aumenti previsti dalle delibere 2024 rese efficaci dal Milleproroghe.

Il versamento delle somme eventualmente dovute dovrà essere effettuato entro il termine di scadenza del 28 febbraio 2025, senza l’applicazione di sanzioni e interessi.

Ad ogni modo, nel caso in cui il Comune abbia fissato le aliquote IMU in misura inferiore rispetto a quelle dell’annualità precedente, utilizzate per determinare l’importo di acconto e saldo, al contribuente spetterà il rimborso delle somme corrisposte e non dovute sulla base dei nuovi regolamenti.