Da martedì 29 aprile alle 12 fino al 27 maggio alle 12, utenti privati e condomini possono richiedere il Bonus colonnine domestiche, un incentivo pari all’80% delle spese sostenute nel 2024 per l’acquisto e l’installazione di infrastrutture di ricarica per veicoli elettrici.
Dettagli del contributo
– Importi massimi :
– 1.500 euro per privati.
– Fino a 8.000 euro per installazioni nelle parti comuni condominiali.
– Spese ammesse :
– Acquisto e installazione delle colonnine, impianti elettrici, opere edili necessarie.
– Progettazione, direzione lavori, sicurezza e collaudi.
– Connessione alla rete tramite un nuovo Pod.
Come presentare la domanda
La richiesta va inoltrata sulla piattaforma online gestita da Invitalia accedendo con Spid, Cie o Cns. La procedura è guidata e ulteriori chiarimenti sono disponibili sul sito del Mimit o contattando il numero verde 800 77 53 97.
Lo stanziamento
Con un fondo di 20 milioni di euro, il bonus punta a incentivare la diffusione delle colonnine di ricarica, favorendo la transizione verso la mobilità elettrica.
Sei un amministratore di condominio? Allora c’è una novità che riguarda direttamente la tua attività: dal 1° aprile 2025 è entrata in vigore la nuova classificazione ATECO che modifica il codice relativo alla gestione degli immobili per conto terzi.
Il vecchio codice 68.32.00, che identificava la amministrazione di condomini e la gestione di immobili per conto terzi, è stato ufficialmente sostituito dal 68.32.01. Questa nuova denominazione riflette una distinzione più chiara tra le varie attività svolte nel settore e amplia le specifiche delle mansioni che rientrano in questa categoria.
Cosa significa per gli amministratori di condominio
Fino ad ora, il codice ATECO 68.32.00 racchiudeva genericamente le attività di amministrazione condominiale e la gestione di immobili. Con la nuova classificazione, il codice 68.32.01 dettaglia con maggiore precisione i servizi offerti, includendo:
– Amministrazione di condomini, sia da parte di studi professionali che di amministratori indipendenti.
– Riscossione di canoni di affitto, svolta da agenzie specializzate.
– Property management, ovvero gestione di beni immobili e alloggi in comproprietà o multiproprietà su base contrattuale.
– Gestione immobiliare per affitti turistici , quindi amministrazione di alloggi destinati a soggiorni di breve durata (meno di un anno) per visitatori e viaggiatori.
In sostanza, questa modifica chiarisce il ruolo amministrativo svolto nel settore immobiliare, distinguendo più nettamente le competenze legate alla gestione degli immobili e dei condomini.
E per i condomini? Cambia il codice ATECO anche per loro
Non solo gli amministratori devono adeguarsi alle nuove classificazioni, ma anche i condomini stessi, che hanno visto una revisione del loro codice identificativo.
Prima della modifica:
– I condomini con dipendenti (custodi, portieri, addetti alle pulizie) erano classificati sotto il codice 97.00, relativo alle “Attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico”.
– I condomini senza dipendenti avevano il codice 97.00.02 , destinato esclusivamente all’attività condominiale.
Dal 1° aprile 2025, entrambe queste categorie rientrano in un unico codice ATECO:
– 97.00.10 – Attività di condomini come datore di lavoro per personale domestico.
– Questo codice copre la gestione dei servizi condominiali che prevedono l’assunzione di addetti come custodi, giardinieri e personale per le pulizie.
Cosa cambia concretamente per gli amministratori di condominio
Gli amministratori devono aggiornare la propria classificazione ATECO per rientrare nella nuova categoria 68.32.01, soprattutto se gestiscono immobili per conto terzi o offrono servizi di property management.
Se amministri un condominio, assicurati di verificare e aggiornare il codice ATECO della tua attività, per evitare problemi amministrativi e garantire la corretta classificazione fiscale e gestionale.
Questa modifica non comporta stravolgimenti operativi, ma fornisce una distinzione più dettagliata delle attività svolte nel settore, permettendo una gestione più chiara e definita del lavoro degli amministratori.
Conclusione
Dal 1° aprile 2025, gli amministratori di condominio devono adottare il nuovo codice ATECO 68.32.01 , che chiarisce le competenze nel settore della gestione immobiliare e condominiale. Anche i condomini, con o senza dipendenti, sono ora classificati sotto il codice 97.00.10, garantendo una maggiore uniformità nelle definizioni.
Il consiglio? Se sei un amministratore, verifica subito il codice ATECO della tua attività e aggiorna i documenti per garantire la conformità con la nuova classificazione. Un piccolo cambiamento che porta maggiore chiarezza nel settore condominiale.
Il condominio può continuare a esercitare l’opzione per lo sconto in fattura ai sensi dell’articolo 121 del decreto Rilancio per ulteriori interventi che danno diritto al Superbonus, se alla data del 30 marzo 2024, ha pagato almeno in parte i lavori edili effettuati. La locuzione “lavori già effettuati” si riferisce esclusivamente a interventi edilizi, escludendo spese professionali, oneri di urbanizzazione e altre spese preparatorie.
È la conclusione raggiunta dall’Agenzia delle entrate nella risposta n. 26 del 12 febbraio 2025, con la quale ha fornito un chiarimento sull’applicazione delle deroga al generale divieto all’esercizio delle opzioni per la fruizione con modalità alternative alla detrazione (sconto in fattura o cessione del credito corrispondente alle detrazioni) operato dal Dl n. 11/2023 (“decreto Cessioni”) come rivisto dal più recente Dl n. 39/2024 emanato lo scorso anno.
Nel caso specifico, il condominio ha deciso, tramite un’assemblea straordinaria tenutasi nel 2022, di effettuare lavori per i quali intende usufruire delle detrazioni del Superbonus, affidando gli interventi a un general contractor interessato ad applicare lo sconto in fattura. Dopo aver presentato la Cilas il 25 novembre 2022, il condominio ha dovuto cambiare il general contractor e ha fissato l’inizio dei lavori per il 6 novembre 2023. Inoltre, il condominio intende utilizzare il Superbonus con una detrazione del 70% per le spese del 2024, rientrando nelle deroghe previste dal decreto Cessioni.
Il condominio chiede se può continuare a utilizzare lo sconto in fattura anche dopo l’entrata in vigore del decreto-legge n. 39/2024, nonostante non ci siano fatture dirette tra il general contractor e il condominio al 30 marzo 2024.
Il Dl n. 39/2024, osserva l’Agenzia, ha introdotto significative modifiche riguardanti l’esercizio delle opzioni per lo sconto in fattura e la cessione del credito d’imposta, regolate dall’articolo 121 del Dl n. 34/2020 (il decreto Rilancio). Queste modifiche si inseriscono in un contesto normativo già complesso, che ha visto l’introduzione di divieti e deroghe nel corso degli ultimi anni.
Il decreto Cessioni ha stabilito, a partire dal 17 febbraio 2023, un divieto all’esercizio delle opzioni alternative alla detrazione, come lo sconto in fattura o la cessione del credito. Tuttavia, i commi successivi hanno previsto specifiche deroghe a tale divieto, applicabili solo al verificarsi di determinate condizioni. Nel dettaglio, al comma 2, ha previsto che il divieto non si applica per le spese sostenute per interventi che beneficiano del Superbonus e per altre detrazioni specifiche. Inoltre, ha stabilito che il divieto non opera se, prima del 17 febbraio 2023, è stata adottata una delibera assembleare da parte dei condomini e presentata la comunicazione di inizio lavori asseverata (Cila).
L’articolo 1 del decreto-legge n. 39/2024 ha ulteriormente rimodulato l’ambito di applicazione delle deroghe previste dal decreto Cessioni. In particolare, al comma 5 stabilisce che le disposizioni di cui all’articolo 2, commi 2 e 3, non si applicano agli interventi per i quali, alla data di entrata in vigore del decreto, non è stata sostenuta alcuna spesa documentata da fattura per lavori già effettuati.
Tale modifica ha l’obiettivo di garantire che solo coloro i quali hanno effettivamente sostenuto spese documentate per lavori già effettuati possano continuare a esercitare le opzioni di sconto in fattura o cessione del credito.
Le deroghe al divieto di esercizio delle opzioni continuano a operare solo se, entro il 30 marzo 2024, sono stati effettuati lavori e sono state sostenute le relative spese.
Inoltre, l’Agenzia ricorda che, nell’ipotesi di pagamento tramite bonifico, secondo la risposta n. 137/2024, la spesa si considera sostenuta nel momento in cui viene dato l’ordine di pagamento alla banca. Pertanto, non è rilevante il momento in cui avviene l’effettivo addebito sul conto corrente del committente.
Per quanto riguarda i lavori già effettuati e le tempistiche, invece, precisa che per esercitare l’opzione di sconto in fattura, è necessario che il pagamento avvenga entro il 30 marzo 2024 e si riferisca a “lavori già effettuati”. Questa condizione soddisfa il requisito per le spese sostenute successivamente a tale data riguardanti gli interventi indicati nella Cilas, o nel titolo abilitativo richiesto.
La condizione di “lavori già effettuati” è soddisfatta se il pagamento, documentato da fattura, è effettuato entro il 30 marzo 2024 e si riferisce alla realizzazione, anche parziale, dei lavori. Inoltre, è possibile che la spesa sia sostenuta da un soggetto diverso dal committente finale, purché documentata adeguatamente. Ne consegue che l’opzione per lo sconto in fattura o per la cessione del credito può essere esercitata anche dal committente che si avvale di un appaltatore (ad esempio, di un contraente generale) il quale, nonostante abbia pagato alla data del 30 marzo 2024 ai subappaltatori una parte dei lavori effettuati, non abbia entro tale data emesso fattura nei confronti del committente in relazione ai medesimi lavori. Anche in tale ipotesi, precisa l’Agenzia, i pagamenti devono riferirsi a “lavori già effettuati”.
Quando più interventi sono compresi nello stesso titolo abilitativo, la condizione è soddisfatta se le spese pagate si riferiscono anche a solo uno degli interventi. Resta fondamentale che il legame tra il pagamento e il committente, beneficiario finale dell’agevolazione, sia debitamente documentato.
Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 29 aprile 2025, il Decreto Bollette (Legge n. 60/2025) è ora ufficialmente in vigore. Il provvedimento punta a sostenere famiglie e imprese con aiuti per il consumo di energia elettrica e gas, ma durante la fase di conversione sono state inserite anche nuove disposizioni fiscali.
Il Decreto Bollette 2025 porta interventi fiscali mirati, con contributi alle famiglie, agevolazioni per la sostenibilità, e modifiche ai fringe benefit aziendali. Nei prossimi mesi, i dettagli applicativi arriveranno attraverso decreti ministeriali e regolamenti operativi.
Ecco i punti chiave.
Un contributo straordinario per le bollette
Nel 2025, le famiglie con un ISEE fino a 25.000 euro riceveranno un contributo straordinario di 200 euro per le spese di energia elettrica. Questo aiuto non sostituisce il bonus sociale esistente, ma si aggiunge agli incentivi già previsti, come quelli destinati ai nuclei con un ISEE inferiore a 9.530 euro o 20.000 euro con almeno quattro figli.
Bonus elettrodomestici: più flessibilità e vincolo di smaltimento
Il decreto modifica il bonus elettrodomestici, eliminando il requisito della classe energetica minima B e affidando a un decreto interministeriale la scelta dei modelli più efficienti. Inoltre, chi usufruisce dell’incentivo dovrà smaltire l’elettrodomestico obsoleto. Per la richiesta, sarà utilizzata la piattaforma digitale PagoPa.
L’incentivo resta invariato: 30% del costo di acquisto, fino a 100 euro per elettrodomestico (200 euro per chi ha un ISEE sotto i 25.000 euro).
Agevolazioni per le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER)
Il decreto amplia la platea di chi può beneficiare delle agevolazioni fiscali per le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER). Ora anche aziende territoriali per l’edilizia residenziale, istituti pubblici di assistenza e beneficenza, aziende di servizi per le persone e consorzi di bonifica potranno aderire.
Nuovi fondi per famiglie e microimprese vulnerabili
Un futuro decreto ministeriale stabilirà la destinazione delle maggiori entrate IVA derivanti dall’aumento del prezzo del gas. Queste risorse saranno utilizzate per contenere i costi di energia e gas per le famiglie vulnerabili e le microimprese.
Secondo il Dlgs. 210/2021 rientrano tra i clienti vulnerabili:
– Persone con gravi condizioni di salute che necessitano di apparecchiature elettriche salvavita;
– Disabili ai sensi della Legge 104/1992;
– Residenti nelle isole minori non interconnesse;
– Persone che vivono in abitazioni di emergenza dopo calamità naturali;
– Cittadini over 75 anni.
Tassazione dei veicoli aziendali assegnati come fringe benefit
La nuova tassazione per i veicoli aziendali più inquinanti è stata posticipata. Per le auto concesse ai dipendenti tra il 1° luglio 2020 e il 31 dicembre 2024 e quelle ordinate entro il 31 dicembre 2024 ma assegnate entro giugno 2025, continuerà a valere la normativa precedente.
Le percentuali di tassazione restano:
– 25% per veicoli con emissioni fino a 60 g/km CO₂;
– 30% per emissioni superiori a 60 g/km ma sotto i 160 g/km;
– 40-50% per emissioni tra 160 e 190 g/km;
– 50-60% per emissioni sopra 190 g/km.
A partire dal 2025 non sarà più possibile beneficiare di incentivi per l’acquisto e l’installazione di caldaie a gas, che dal 2040 saranno definitivamente messe al bando.
È una delle principali novità introdotte dalla Direttiva Ue “Case Green”, che in proposito ha tracciato una precisa roadmap: dal 2025 stop agli incentivi, dal 2040 stop alla produzione e alla vendita delle caldaie alimentate a combustibile fossile.
Nel corso dell’iter di approvazione della Legge di Bilancio è stato ratificato l’emendamento che stralcia le caldaie a combustibili fossili dall’elenco delle spese detraibili nell’ambito dei lavori edilizi e di riqualificazione energetica.
L’acquisto e l’installazione di “impianti di climatizzazione invernale con caldaie uniche alimentate a combustibili fossili”, pertanto, non potranno essere agevolati né con il Bonus Ristrutturazione né con l’Ecobonus a partire dal 1° gennaio 2025.
Una delle più severe indicazioni della Direttiva Ue Case Green è stata dunque recepita e inserita dalla Legge di Bilancio 2025, evitando così il rischio di incorrere in una probabile procedura di infrazione.
Nel testo della Direttiva si legge che due terzi dell’energia consumata per riscaldare e raffrescare gli edifici provengono ancora da combustibili fossili. Una delle leve sui cui gli Stati dovranno agire per raggiungere i traguardi ambiziosi della decarbonizzazione del riscaldamento e del raffrescamento degli edifici è l’elettrificazione dei consumi grazie all’energia da fonti rinnovabili, attraverso l’installazione di pompe di calore, impianti solari, batterie e infrastrutture di ricarica al posto delle caldaie alimentate a combustibili fossili.
Con una comunicazione dello scorso 18 ottobre 2024 la Commissione Europea ha fornito importanti chiarimenti per la corretta interpretazione dell’articolo 17 sul bando delle caldaie a gas, lasciando spazio a significative deroghe su impianti ibridi e spese non legate all’installazione.
Le linee guida della Commissione Europea
Con la comunicazione dello scorso 18 ottobre 2024 (C/2024/6206), la Commissione Europea ha fornito chiarimenti per la corretta interpretazione dell’articolo 17 della Direttiva Ue Case Green in relazione all’eliminazione graduale degli incentivi finanziari alle caldaie uniche alimentate a combustibili fossili, a norma della direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia.
Dal 1° gennaio 2025 gli Stati membri non offrono più incentivi finanziari per l’installazione di caldaie uniche alimentate a combustibili fossili, ad eccezione di quelle selezionate per gli investimenti prima del 2025.
Innanzitutto, si precisa che l’articolo 17, paragrafo 15, si applica all’installazione di caldaie uniche alimentate a combustibili fossili, ovverosia all’acquisto, all’assemblaggio e alla messa in funzione di una caldaia:
• che brucia combustibili fossili, ossia fonti energetiche non rinnovabili a base di carbonio, quali combustibili solidi, gas naturale e petrolio;
• unica, ossia non combinata con un altro generatore di calore che utilizza energia da fonti rinnovabili e che produce una quota considerevole dell’energia totale in uscita dal sistema combinato. Il fatto che l’installazione di una caldaia unica alimentata a combustibili fossili avvenga ad esempio nel quadro di una ristrutturazione profonda o integrata è irrilevante in questo contesto.
Sulla base di queste premesse:
• una caldaia a gas può essere considerata “alimentata a combustibili fossili” in funzione del mix di combustibili nella rete del gas al momento dell’installazione. Di norma, quando la rete locale del gas trasporta prevalentemente gas naturale, l’installazione di caldaie a gas non dovrebbe ricevere incentivi finanziari; può invece beneficiare di incentivi a norma dell’articolo 17, paragrafo 15, se la rete locale del gas trasporta prevalentemente combustibili rinnovabili. Spetta alle autorità competenti degli Stati membri garantire l’esistenza di uno strumento di verifica in grado di controllare questo aspetto al momento dell’installazione;
• affinché una caldaia non collegata alla rete non sia considerata “alimentata a combustibili fossili”, le autorità competenti dello Stato membro devono esigere e verificare in modo solido e credibile che l’unità funzionerà effettivamente utilizzando combustibili rinnovabili sia al momento dell’installazione che per il resto della sua vita utile, dato che il beneficiario mantiene il controllo del combustibile utilizzato durante l’intera vita utile di una caldaia non collegata alla rete. Questa verifica può essere effettuata nel quadro delle ispezioni periodiche in loco degli impianti di riscaldamento o di ispezioni di altro tipo riguardanti gli impianti di riscaldamento negli Stati membri;
• gli incentivi finanziari sono ammessi solo per gli impianti di riscaldamento ibridi con una quota considerevole di energie rinnovabili, e soltanto in misura proporzionale all’uso di energie rinnovabili in tali impianti; di conseguenza l’installazione di un impianto di riscaldamento basato al 100 per cento su energie rinnovabili dovrebbe essere incentivata maggiormente rispetto all’installazione di un impianto di riscaldamento ibrido.
Spetta agli Stati dare una definizione di “impianti di riscaldamento ibridi con una quota considerevole di energie rinnovabili” e di “quota di energie rinnovabili considerevole negli impianti di riscaldamento ibridi”, garantendo che la parte dell’impianto ibrido che utilizza energie rinnovabili, ad esempio un impianto solare termico o una pompa di calore, fornisca una quota considerevole dell’energia prodotta (ossia il fabbisogno di riscaldamento dell’edificio).
Tale valutazione dovrà essere effettuata dall’autorità competente e dipenderà dalle circostanze. L’ibridazione potrebbe essere aggiunta in loco in un secondo momento, nel qual caso il finanziamento servirà soltanto per gli elementi relativi al generatore di calore aggiuntivo ad energia rinnovabile e/o per i comandi specifici utilizzati per gestire il funzionamento congiunto delle diverse tecnologie. Diverso è il caso degli impianti di riscaldamento concepiti e immessi sul mercato come ibridi: l’incentivo finanziario può coprire l’intero prodotto, ma dovrebbe essere proporzionato alla quota di energie rinnovabili utilizzata dall’impianto ibrido.
Gli incentivi ammessi per i sistemi di riscaldamento
La Commissione Europea ha fornito gli esempi di incentivi finanziari che non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 17 e che sono ancora ammessi.
• Impianti di riscaldamento ibridi con una quota considerevole di energie rinnovabili. Potrebbero essere ancora agevolati, ad esempio, la combinazione di una caldaia con un impianto solare termico o con una pompa di calore); come detto sopra questi incentivi finanziari di questo tipo dovrebbero essere proporzionati all’uso di energie rinnovabili nell’impianto di riscaldamento ibrido.
• Eventuali costi aggiuntivi connessi alla transizione verso l’uso di gas rinnovabili in una caldaia. Tali costi possono essere connessi all’ammodernamento dell’impianto di distribuzione all’interno dell’abitazione, al punto di connessione, all’ibridazione in loco o a investimenti aggiuntivi in adeguamenti tecnici per permettere l’uso di energia rinnovabile nella caldaia, ad esempio investimenti aggiuntivi nelle parti dell’impianto di riscaldamento che consentono l’uso di energia rinnovabile al 100 per cento.
• Incentivi non correlati all’installazione. Eventuali incentivi relativi ad attività diverse dall’installazione – come la manutenzione, la riparazione o lo smantellamento di caldaie a combustibile fossile, ad esempio attraverso premi di rottamazione – non sono soggetti alla disposizione concernente l’eliminazione graduale dei finanziamenti. Incentivi simili possono essere utili a prevenire sostituzioni di emergenza a seguito di un guasto e a incoraggiare la riparazione o la sostituzione di un determinato elemento. Possono contemplare ad esempio la locazione temporanea di caldaie ai consumatori di energia nelle zone che sono o saranno servite da teleriscaldamento e teleraffrescamento.
• Incentivi finanziari a favore dell’installazione, negli edifici, di sistemi di automazione e controllo degli impianti di riscaldamento alimentati da caldaie uniche a combustibile fossile
• Misure volte ad affrontare la questione dell’accessibilità economica dell’energia
Anziché incentivare economicamente la sostituzione delle caldaie a combustibili fossili con nuove caldaie dello stesso tipo, gli Stati membri dovrebbero sostenere la riparazione di quelle esistenti e/o prevedere soluzioni temporanee di riscaldamento (ad esempio la locazione finanziaria delle caldaie) associate a livelli più elevati di sostegno alle famiglie vulnerabili per impianti di riscaldamento diversi dalle caldaie uniche alimentate a combustibili fossili (quali gli impianti di riscaldamento basati su energie rinnovabili o gli impianti ibridi con una quota considerevole di energie rinnovabili).
• Incentivi non correlati alle caldaie
Gli apparecchi che non rispondono alla definizione di caldaie, quali stufe o apparecchi di microcogenerazione, non sono interessati dall’eliminazione graduale degli incentivi finanziari a favore delle caldaie uniche alimentate a combustibili fossili.
• Erogazione di incentivi concessi e comunicati al beneficiario prima del 10 gennaio 2025. Qualora un ente pubblico abbia preso la decisione di fornire un incentivo finanziario e l’abbia comunicata al beneficiario prima del 1o gennaio 2025, sono state create legittime aspettative prima di tale data e l’erogazione effettiva dell’incentivo finanziario può aver luogo dopo tale data.
Il regolamento sull’etichettatura energetica
In tale contesto, è importante sottolineare che, sebbene l’articolo 17, paragrafo 15, non vieti gli incentivi finanziari per l’installazione di caldaie uniche alimentate a combustibili rinnovabili, questi potrebbero essere preclusi dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento sull’etichettatura energetica (Regolamento (UE) 2017/1369).
Tale disposizione impone che gli eventuali incentivi previsti dagli Stati membri puntino alle due classi di efficienza energetica più elevate tra quelle in cui si situa una percentuale significativa dei prodotti o alle classi più elevate indicate negli atti delegati dell’UE sull’etichettatura energetica dei prodotti in questione.
Nel caso degli apparecchi per il riscaldamento d’ambiente aventi capacità fino a 70 kW soggetti all’etichettatura energetica, ciò significa che gli Stati membri possono incentivare solo quelli che rientrano nelle due classi di efficienza energetica più elevate tra quelle in cui si situa una percentuale significativa dei prodotti.
Stando ai dati attualmente disponibili, le caldaie uniche non rientrano in queste due classi e non possono dunque essere incentivate, indipendentemente dal fatto che siano alimentate a combustibili fossili o rinnovabili.
Possono invece essere incentivate le caldaie ibride e le pompe di calore, più efficienti, che rientrano quindi nelle due classi di efficienza energetica più elevate tra quelle in cui si situa una percentuale significativa dei prodotti in questione.
Eccezioni
L’articolo 17 della direttiva EPBD presenta delle eccezioni al divieto di incentivi finanziari per l’installazione di caldaie uniche alimentate a combustibili fossili dopo il 1° gennaio 2025 qualora sussistano contemporaneamente due condizioni:
– 1 – sono finanziati a titolo:
• del dispositivo per la ripresa e la resilienza;
• del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e del Fondo di coesione, unicamente nei casi in cui si applica l’articolo 7, paragrafo 1, lettera h), punto i), terzo trattino, del regolamento (UE) 2021/1058(26). Tale disposizione consente di investire in caldaie e impianti di riscaldamento alimentati a gas naturale che sostituiscono impianti a carbone, torba, lignite o scisto bituminoso in alloggi ed edifici;
– 2 – sono stati selezionati per gli investimenti prima del 2025, se rientrano all’interno dei programmi nazionali o regionali adottati prima del nuovo anno.
Caldaie a gas: stop all’installazione dal 2040
A differenza delle previsioni iniziali della Direttiva, che fissavano al 2035 la fine della produzione e vendita delle caldaie alimentate a combustibile fossile, l’obbligo è ora fissato al 2040.
È importante precisare che questa restrizione non colpirà chi già possiede una caldaia a gas, ma riguarderà coloro che intendono acquistare un nuovo sistema di riscaldamento per le nuove costruzioni o per gli immobili in ristrutturazione.
Quindi, detenere una caldaia a gas rimarrà legale, ma la produzione e la commercializzazione di nuovi modelli saranno vietate a partire dal 2040.
Esistono diverse possibilità previste – proposte dalla Direttiva Ue Case Green – per coprire il fabbisogno energetico di un edificio a zero emissioni: energia da rinnovabili generata in loco o nelle vicinanze con impianti solari termici, geotermici o fotovoltaici, pompe di calore, energia idroelettrica e biomassa, rinnovabili fornite dalle comunità dell’energia rinnovabile.
Particolare enfasi è dedicata a sistemi di teleriscaldamento e teleraffrescamento efficienti ed energia da altre fonti prive di carbonio, basati sulla distribuzione di energia termica in forma di vapore, acqua calda o liquidi refrigerati da una fonte centrale o decentralizzata di produzione verso una pluralità di edifici o siti tramite una rete.
Direttiva case green e Regolamento Ecodesign
La bozza di revisione del Regolamento Ecodesign 813/2013/UE non risulta coerente con la Direttiva case green perché introduce per le caldaie a gas un indice di rendimento stagionale (seasonal space efficiency) pari al 115%.
La bozza di revisione non prevede, pertanto, un divieto diretto ma nuovi requisiti minimi irraggiungibili per le caldaie a gas in commercio, che sarebbero sostanzialmente fuori dal mercato a partire dal 1° settembre 2029.
È importante precisare che l’istruttoria e le trattative sulla revisione del Regolamento Ecodesign sono ancora in corso e i parametri indicati nella bozza potrebbero essere soggetti a modifica.
In ogni caso, anche in caso di approvazione del regolamento nella versione attuale, il divieto riguarderebbe solo le nuove caldaie e non quelle già installate.
Il passaggio alle pompe di calore costa troppo, servono soluzioni integrate
Un’analisi condotta da Bip Consulting per Assogasliquidi, Assogas, Assotermica, Proxigas e Utilitalia, presentata presso la Camera dei Deputati, propone le possibili soluzioni per la decarbonizzazione dei consumi residenziali prevista dalla Direttiva Ue Case Green, che impone all’Italia già dal 2025 lo stop degli incentivi alle caldaie a gas e il divieto di installazione e commercializzazione dal 2040.
Lo studio parte dalla premessa che:
• il riscaldamento rappresenta l’84 per cento dei consumi termici residenziali e il 68 per cento delle abitazioni utilizza sistemi alimentati a metano;
• gli obiettivi di riduzione stabiliti dall’EPBD possono essere realizzati attraverso l’utilizzo di diverse tecnologie, ciascuna delle quali presenta vantaggi e punti di attenzione.
Per valutare la convenienza economica delle differenti tecnologie di efficientamento, è stata sviluppata un’analisi volta a valutarne i costi di installazione e di gestione.
• Tecnologie a combustibile – La caldaia alimentata a gas (metano o GPL) è la soluzione più economica per l’utenza in tutti i casi analizzati.
• Tecnologie elettriche – Nonostante un’elevata efficienza, le pompe di calore risultano poco competitive considerando l’orizzonte temporale dello studio, non solo a causa degli elevati CapEx ma anche a fronte dell’attuale costo dell’energia elettrica stessa.
• Gas rinnovabili – Percentuali crescenti di gas rinnovabili potranno offrire soluzioni efficaci per raggiungere i target di efficienza a costi competitivi, supportando anche la decarbonizzazione.
Gli scenari analizzati portano ad una riduzione del consumo di energia per riscaldamento, ma con un limitato (o nullo) ritorno economico atteso per le famiglie.
Si ipotizza di raggiungere il target minimo della Direttiva EPBD (-6,3 Mtep) in quattro scenari; la sostituzione delle caldaie a gas tradizionali con quelle a condensazione potrebbe permettere di raggiungere il 60 per cento del target EPBD, con tempi di realizzazione più rapidi e interventi meno invasivi rispetto all’installazione delle pompe di calore. Le sole tecnologie impiantistiche non raggiungono il target, è necessario introdurre soluzioni miste con i sistemi di coibentazione.
Attualmente, le pompe di calore – la principale tra le soluzioni individuate dalla Direttiva e Case Green per la conversione – risultano meno competitive rispetto alle moderne caldaie a condensazione, sia per i costi d’installazione sia per i costi operativi, soprattutto a causa del prezzo dell’energia elettrica in Italia.
Lo studio considera solo 5,9 milioni di abitazioni italiane tecnicamente convertibili alle pompe di calore, tenendo conto di fattori come dimensione, dislocazione geografica e destinazione d’uso.
I target di risparmi di energia primaria possono essere garantiti tramite differenti scenari e un approccio technology neutral, volto a rendere più agevole l’accesso a soluzioni impiantistiche più efficienti ad un numero più elevato di cittadini. Questo approccio, inoltre, può facilitare la transizione green valorizzando la graduale integrazione di gas rinnovabili e vettori molecolari verdi (es. biometano/bioGPL).
La Legge di Bilancio 2025 entrata in vigore il 1° gennaio ha previsto, tra le varie agevolazioni, anche il bonus elettrodomestici 2025, un contributo economico che mira ad incentivare l’acquisto di elettrodomestici ad alta efficienza energetica prodotti in Europa e che prevede la contestuale sostituzione, e quindi il riciclo, di apparecchi obsoleti e meno performanti.
L’obiettivo principale di tale agevolazione è, quindi, quello di ridurre i consumi elettrici domestici, migliorando di conseguenza l’efficienza energetica, e promuovere il corretto smaltimento e riciclo degli apparecchi obsoleti sostituiti.
Il bonus elettrodomestici 2025 consiste in un contributo economico pari al 30% del costo di un singolo elettrodomestico, con un tetto massimo di spesa di 100 euro per ciascun elettrodomestico acquistato. Il limite massimo di spesa sale a 200 euro per le famiglie con ISEE inferiore a 25.000 euro.
In qualsiasi caso ogni nucleo familiare può beneficiare di tale agevolazione per un solo elettrodomestico, inoltre, l’agevolazione riguarda solo l’acquisto di elettrodomestici ad alta efficienza energetica (classe non inferiore alla nuova classe B) prodotti in Europa. Contestualmente, il beneficiario dovrà smaltire correttamente gli elettrodomestici obsoleti sostituiti attraverso il riciclo.
Per questa agevolazione è stato istituito un fondo presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy valido solo per il 2025 e pari a 50 milioni di euro.
A tal proposito, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha dichiarato che tale misura tende a tutelare la produzione nazionale e a sostenere le famiglie, incentivando l’acquisto di prodotti più efficienti ed ecosostenibili, così da coniugare al contempo lo sviluppo industriale e la transizione green.
Si prevede che entro 60 giorni dall’entrata in vigore della Legge di Bilancio attraverso un decreto del Ministro delle Imprese e del Made in Italy, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, saranno stabiliti i criteri, le modalità e i termini per l’erogazione del contributo economico, garantendo il rispetto del limite di spesa.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI
Il Superbonus, la maxi agevolazione fiscale introdotta negli ultimi anni per incentivare interventi di riqualificazione edilizia ed energetica, continua ad essere al centro del dibattito pubblico.
Un recente studio della Banca d’Italia, intitolato “Il ruolo del superbonus nella crescita dei costi di costruzione delle abitazioni in Italia”, pubblicato a dicembre nella collana “Questioni di economia e finanza”, ha messo in luce l’impatto significativo che questa misura ha avuto sui costi di costruzione e sul mercato immobiliare, sollevando interrogativi sull’efficacia e le conseguenze di politiche di questa misura.
Secondo l’analisi, circa il 50 per cento dell’aumento complessivo dei costi di costruzione registrato tra il 2020 e il 2023 è direttamente attribuibile al Superbonus. In termini numerici, il bonus ha provocato un incremento complessivo dei costi di costruzione pari al 20 per cento.
Questi aumenti si sono concentrati principalmente su materiali essenziali come il legno e i prodotti necessari per l’isolamento termico, in particolare per la realizzazione del cappotto termico. L’introduzione del Superbonus, avvenuta in un momento di grande difficoltà logistica e di crescita esplosiva della domanda globale post-pandemia, ha aggravato le pressioni sui mercati, causando carenze strutturali e dinamiche speculative.
Dal punto di vista economico, il Superbonus ha comportato una spesa pubblica che, secondo le stime, ha superato i 150 miliardi di euro entro il 2024.
Questa misura, secondo lo studio di Francesco Corsello e Valerio Ercolani della Banca d’Italia, ha inciso significativamente sull’indebitamento netto, con un impatto pari all’1 per cento del PIL nel 2021, al 3 per cento nel 2022 e al 4 per cento nel 2023.
Questi numeri hanno portato il governo a ridurre gradualmente l’aliquota agevolabile, scesa al 65 per cento per le spese sostenute nel 2025.
Nonostante l’esplosione dei costi di costruzione, l’impatto sul mercato immobiliare è stato relativamente contenuto. L’aumento dei prezzi dei materiali e della manodopera non si è tradotto in un corrispondente incremento del prezzo al metro quadro per gli immobili.
Tuttavia, per contrastare eventuali speculazioni, il Governo ha introdotto una tassazione extra sulle plusvalenze derivanti dalla vendita di immobili che hanno beneficiato degli interventi agevolati, applicando un’imposta sostitutiva del 26 per cento alle cessioni infradecennali.
Il Superbonus 110% è stato uno degli strumenti fiscali più ambiziosi degli ultimi anni, ma anche tra i più controversi.
Da un lato, ha favorito la transizione energetica, incentivando interventi di efficientamento energetico e miglioramento sismico.
Dall’altro lato, ha generato squilibri nel mercato, dinamiche speculative e truffe, oltre a rappresentare un costo rilevante per le casse dello Stato.
Questa esperienza offre importanti spunti di riflessione per il futuro. Innanzitutto è emersa l’importanza di bilanciare gli incentivi fiscali con la capacità del mercato di assorbire un aumento della domanda senza generare distorsioni significative. Inoltre, è cruciale implementare meccanismi di monitoraggio più efficaci e procedure burocratiche più snelle per evitare ritardi e inefficienze.
Ridurre le distorsioni sui prezzi e ottimizzare il ritorno degli investimenti pubblici saranno obiettivi fondamentali per le future politiche di incentivazione, per garantire un equilibrio tra sostenibilità economica e benefici sociali.
In sintesi, per la Banca d’Italia il Superbonus ha rappresentato una lezione preziosa per offrire spunti utili a delineare le strategie per affrontare le sfide del settore edilizio e del mercato immobiliare nei prossimi anni: questa analisi solleva interrogativi sulla reale sostenibilità di simili interventi e sulla necessità di una programmazione più attenta per evitare distorsioni di mercato in futuro.
Un incentivo senza precedenti nel panorama fiscale italiano
Il Superbonus, introdotto dal Decreto Rilancio (D.L. 34/2020) come misura emergenziale per sostenere l’economia post-pandemica, rappresenta uno dei più estesi programmi fiscali mai attuati in Italia.
L’incentivo prevede un credito d’imposta fino al 110% per interventi di ristrutturazione edilizia volti al miglioramento dell’efficienza energetica e della resilienza sismica.
Fino a marzo 2024, prima dell’entrata in vigore del Decreto Legge 39/2024, il credito poteva essere utilizzato non solo come detrazione fiscale diretta, ma anche ceduto a terzi o applicato come sconto in fattura, rendendolo accessibile anche a soggetti con bassa capacità fiscale o scarsa liquidità.
Il Superbonus e le dinamiche dei costi di costruzione
Lo studio ha analizzato il nesso causale tra l’aumento dei costi di costruzione e l’applicazione del Superbonus attraverso un modello empirico basato sull’indice dei costi di costruzione (CCI) pubblicato mensilmente dall’Istat. Questo indice misura i costi diretti delle imprese edili, derivanti principalmente dalle spese per materiali e manodopera, oltre che dai costi di noleggio e trasporto.
Dai risultati emerge che l’aumento della domanda generata dal Superbonus ha esercitato una pressione significativa sui prezzi dei materiali edili, in particolare legno e metalli, e sui costi energetici, che hanno registrato picchi significativi nel periodo di massima applicazione dell’incentivo. L’indice CCI è aumentato di circa il 13 per cento dal settembre 2021 al dicembre 2023, con una correlazione diretta con l’andamento degli investimenti incentivati monitorati dall’ENEA.
Sorprendentemente, nonostante la portata del programma fiscale, la crescita dei costi di costruzione in Italia è stata inferiore rispetto ad altri Paesi europei, come la Germania.
Questo risultato è attribuibile a diversi fattori, tra cui una dinamica salariale stabile nel settore edilizio italiano e un impatto più contenuto delle strozzature dell’offerta rispetto ai Paesi del Nord Europa.
Tuttavia, lo studio evidenzia come i ritardi burocratici e amministrativi nella registrazione degli investimenti abbiano potenzialmente diluito l’effetto immediato del programma sui prezzi finali.
Implicazioni macroeconomiche e fiscali e costi di costruzione
Il Superbonus non ha solo alterato le dinamiche settoriali, ma ha anche avuto un impatto considerevole sui conti pubblici italiani.
Secondo le stime, l’incentivo ha comportato un incremento cumulato del deficit pubblico di circa 150 miliardi di euro, con un’incidenza crescente negli anni di massima applicazione.
Questo aumento del debito ha sollevato interrogativi sulla sostenibilità fiscale di programmi di tale portata e sulla loro efficacia nel raggiungere gli obiettivi dichiarati di transizione energetica e resilienza sismica.
Inoltre, lo studio rileva che l’incremento dei costi delle costruzioni non si è tradotto automaticamente in un aumento proporzionale dei prezzi finali delle abitazioni.
L’indice dei prezzi alla produzione del settore edilizio (PPI) ha infatti registrato un aumento più contenuto rispetto al CCI, suggerendo una compressione dei margini di profitto per molte imprese del settore.
Questo dato evidenzia come le dinamiche di mercato abbiano parzialmente assorbito l’impatto dell’aumento dei costi, limitando i rincari al consumatore finale.
Prospettive future per le politiche di incentivazione edilizia
L’esperienza del Superbonus fornisce importanti lezioni per la futura progettazione di politiche fiscali nel settore edilizio.
In primo luogo, emerge la necessità di bilanciare l’entità degli incentivi con la capacità del mercato di assorbire un incremento repentino della domanda.
In secondo luogo, è cruciale introdurre meccanismi di monitoraggio più tempestivi per evitare ritardi burocratici nella registrazione degli interventi, che possono alterare la capacità di analisi delle dinamiche economiche generate dagli incentivi.
Infine, lo studio evidenzia come un programma fiscale di tale portata possa generare benefici redistributivi concentrati principalmente tra i proprietari di immobili e i fornitori di materiali edili, senza necessariamente tradursi in un miglioramento generalizzato del benessere economico.
Per il futuro, dunque, è essenziale che eventuali nuovi incentivi siano progettati in modo da minimizzare gli effetti distorsivi sui prezzi e massimizzare l’efficacia degli investimenti pubblici.
Il bonus barriere architettoniche consiste in una detrazione fiscale pari al 75% delle spese sostenute per interventi mirati all’eliminazione delle barriere architettoniche su edifici esistenti e tale agevolazione è stata prorogata fino al 31 dicembre 2025 dalla legge n. 197/2022, ovvero la Legge di Bilancio 2023.
A tal proposito, un contribuente si è rivolto all’Agenzia delle Entrate, attraverso la Posta di FiscoOggi ponendo un interessante quesito.
Nel caso esaminato il contribuente ha spiegato che in un condominio è stato deciso di installare una piattaforma elevatrice nel giroscale interno, per agevolare la mobilità di persone disabili. Su un totale di 6 condòmini, solo 2 di essi hanno deciso di partecipare alle spese per questo intervento, pertanto è stato chiesto al Fisco se questi possono usufruire del beneficio fiscale sull’intero importo sostenuto per l’installazione della piattaforma elevatrice oppure se la detrazione del 75% è limitata alla parte di spesa calcolata in proporzione ai millesimi di proprietà.
In risposta l’Agenzia delle Entrate ha chiarito, innanzitutto, che la detrazione del 75%, introdotta dalla legge n. 234/2021 (Legge di Bilancio 2022) è finalizzata ad agevolare tutti gli interventi inerenti all’abbattimento delle barriere architettoniche e aventi ad oggetto esclusivamente scale, rampe, ascensori, servoscala e piattaforme elevatrici in edifici già esistenti.
Il Fisco, per rispondere al quesito posto, ha citato la risposta n. 291/2022 e la circolare n. 7/2021 attraverso le quali è stato spiegato cosa accade quando in un condominio solo un condomino sostiene le spese per l’installazione di un ascensore nel cavedio condominiale.
In tal caso al soggetto è riconosciuta la detrazione 75% solo entro il limite massimo consentito dalle disposizioni vigenti ratione temporis, con riferimento alla parte di spesa corrispondente alla ripartizione in base alla tabella millesimale del condominio oppure in base ad altre modalità stabilite dall’assemblea di condominio. In questo caso l’ascensore diventa “oggetto di proprietà comune” e utilizzabile da tutti i condòmini.
Per quanto riguarda, invece, il caso dell’installazione di un montascale o un elevatore, la detrazione 75% spetta interamente al condomino disabile che ha sostenuto integralmente le spese, proprio perché si tratta di mezzi di ausilio utilizzabili solo dai condòmini con disabilità. In tal caso, infatti, gli altri condòmini non hanno né la necessità, né l’interesse ad utilizzare tale dispositivo.
L’Agenzia delle Entrate ha concluso la risposta dichiarando, quindi, che nel caso esaminato e relativo all’installazione della piattaforma elevatrice, i due condòmini che hanno sostenuto le spese per effettuare tale intervento possono usufruire del beneficio fiscale sull’intero importo pagato.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI
La Legge di Bilancio 2025, tra le varie novità, ha introdotto una modifica importante relativa alle detrazioni Irpef per i contribuenti con reddito complessivo superiore a 75.000 euro.
Nello specifico, è stato introdotto dalla Legge di Bilancio 2025 il nuovo art. 16 -ter del D.P.R. 917/1986 (Testo unico delle imposte sui redditi), rubricato “Riordino delle detrazioni”, il quale prevede che, fermi restando gli specifici limiti previsti da ciascuna norma agevolativa, per i soggetti con reddito complessivo superiore a 75.000 euro le detrazioni dall’imposta sui redditi sono ammesse fino ad un tetto massimo calcolato moltiplicando un importo base, attribuito a seconda del reddito, per un coefficiente basato sul numero di figli fiscalmente a carico presenti nel nucleo familiare del contribuente. Sono compresi i figli adottivi, i figli nati fuori dal matrimonio ma riconosciuti, i figli affidati o affiliati.
Per quanto riguarda i nuovi massimali detraibili, i contribuenti con reddito complessivo tra 75.000 euro e 100.000 euro hanno un tetto massimo di spese detraibili pari a 14.000 euro, mentre i contribuenti con reddito complessivo superiore a 100.000 euro hanno un massimale di spese detraibili pari a 8.000 euro.
Tale massimale viene poi adeguato in base al numero di figli fiscalmente a carico del contribuente e i coefficienti sono:
• coefficiente 0,50: nessun figlio a carico;
• coefficiente 0,70: 1 figlio fiscalmente a carico;
• coefficiente 0,85: 2 figli fiscalmente a carico;
• coefficiente 1,00: con più di due figli fiscalmente a carico o almeno 1 figlio con disabilità.
Per fare un esempio pratico, se un contribuente ha un reddito complessivo superiore a 75.000 euro ma inferiore a 100.000 euro, e ha un figlio fiscalmente a carico, potrà detrarre le spese fino ad un tetto massimo di 9.800 euro (14.000 x 0,70), tenendo conto che in questa fascia il tetto massimo previsto è di 14.000 euro ma per contribuenti che hanno più di 2 figli a carico o almeno 1 figlio con disabilità.
Il comma 4 dell’art. 16-ter del D.P.R. 917/1986 precisa che non rientrano nel calcolo e, quindi, rimangono interamente detraibili per qualsiasi reddito:
• le spese sanitarie detraibili ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. 917/1986, comma 1, lettera c);
• le somme investite nelle startup innovative, detraibili ai sensi degli artt. 29 e 29-bis del D.L. 179/2012;
• le somme investite nelle PMI innovative, detraibili ai sensi dell’art. 4 del D.L. 3/2015, comma 9, seconda parte del primo periodo, e comma 9-ter;
• le rate di spesa sostenute entro il 31/12/2024;
• gli interessi sui mutui e i premi assicurativi relativi ai contratti stipulati fino al 31/12/2024.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI
La Legge di Bilancio 2025 mette un freno alla realizzazioni degli interventi di una certa consistenza in condominio. Infatti, se le ristrutturazioni negli ultimi anni sono state caratterizzate da una forte spinta sulle agevolazioni per i lavori più incisivi sugli immobili, come la realizzazione di cappotti termici trainata dal superbonus, la messa in sicurezza delle parti strutturali e, in generale, tutte le operazioni di manutenzione straordinaria, con le nuove regole le condizioni sono meno favorevoli.
Il taglio agli sconti fiscali è infatti generalizzato al 36 per cento che, in alcuni casi, significa una sforbiciata di quasi 40 punti.
La regola generale, indicata dalla manovra 2025, è che per le spese sostenute dai titolari del diritto di proprietà o di un diritto reale di godimento per interventi sull’unità immobiliare adibita ad abitazione principale i bonus 2025 si incassano alla percentuale più elevata, ovvero il 50 per cento, mentre negli altri casi si scende al 36 per cento.
I lavori condominiali non vengono citati in questa definizione.
Così, le soluzioni immaginabili sono due. Da un lato, una differenziazione delle aliquote, che seguirebbero quelle dedicate all’immobile principale. Quindi, chi incassa il 50 per cento sui lavori nel suo appartamento, lo otterrebbe anche sulle parti comuni. Dall’altro, invece, si può ipotizzare che le parti comuni non siano qualificabili come abitazione principale: in altre parole, per loro non ci sarà alternativa al 36 per cento.
Quest’ultima è, indubbiamente, la soluzione più probabile per come è scritta la Legge di Bilancio. Un’interpretazione diversa sarebbe “estensiva” rispetto a quello che dice la manovra.
E, peraltro, questa linea è anche quella più semplice da gestire per chi amministra i condomini, perché non costringe a raccogliere informazioni difficili da reperire.
Il problema è che, se dovesse essere confermato il taglio al 36 per cento, per diversi lavori condominiali si materializzerà un taglio della convenienza fiscale di molti punti.
Le nuove aliquote ribassate, infatti, si applicano a tutte le tipologie di intervento, da quelli incentivati con l’ecobonus al vecchio sismabonus.
Quindi, se i cappotti termici incassavano nel 2024 il 75 per cento, nel 2025 scenderanno al 36 per cento, trattandosi di interventi sulle parti comuni.
Niente sconti per le caldaie condominiali (in base al divieto inserito nelle direttive europee), contro il vecchio 50 per cento.
In caso di installazione di un ibrido o di una pompa di calore, invece, si passa dal 65 per cento del 2024 al 36 per cento del 2025: chi valuterà questi nuovi apparecchi dovrà farlo anche alla luce di una diversa convenienza fiscale.
Mentre per la messa in sicurezza antisismica era possibile incassare agevolazioni fino all’85 per cento che, però, da quest’anno saranno tagliate al 36 per cento.
La conseguenza è che la sostenibilità economica di questi investimenti cala in maniera netta.
E diventa, quindi, più difficile la formazione delle maggioranze in condominio necessarie ad approvare questi interventi di riqualificazione.
Una penalizzazione che rischia di colpire tutti quei condomini nei quali ci sono più situazioni di difficoltà economica, rendendo impossibili in molti casi opere essenziali come quelle di coibentazione e di efficientamento energetico.