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Superbonus: tra il ‘21 e il ‘22 ha causato il 50% dei rincari sul comparto dell’edilizia

Il Superbonus, la maxi agevolazione fiscale introdotta negli ultimi anni per incentivare interventi di riqualificazione edilizia ed energetica, continua ad essere al centro del dibattito pubblico.
Un recente studio della Banca d’Italia, intitolato “Il ruolo del superbonus nella crescita dei costi di costruzione delle abitazioni in Italia”, pubblicato a dicembre nella collana “Questioni di economia e finanza”, ha messo in luce l’impatto significativo che questa misura ha avuto sui costi di costruzione e sul mercato immobiliare, sollevando interrogativi sull’efficacia e le conseguenze di politiche di questa misura.
Secondo l’analisi, circa il 50 per cento dell’aumento complessivo dei costi di costruzione registrato tra il 2020 e il 2023 è direttamente attribuibile al Superbonus. In termini numerici, il bonus ha provocato un incremento complessivo dei costi di costruzione pari al 20 per cento.
Questi aumenti si sono concentrati principalmente su materiali essenziali come il legno e i prodotti necessari per l’isolamento termico, in particolare per la realizzazione del cappotto termico. L’introduzione del Superbonus, avvenuta in un momento di grande difficoltà logistica e di crescita esplosiva della domanda globale post-pandemia, ha aggravato le pressioni sui mercati, causando carenze strutturali e dinamiche speculative.
Dal punto di vista economico, il Superbonus ha comportato una spesa pubblica che, secondo le stime, ha superato i 150 miliardi di euro entro il 2024.
Questa misura, secondo lo studio di Francesco Corsello e Valerio Ercolani della Banca d’Italia, ha inciso significativamente sull’indebitamento netto, con un impatto pari all’1 per cento del PIL nel 2021, al 3 per cento nel 2022 e al 4 per cento nel 2023.
Questi numeri hanno portato il governo a ridurre gradualmente l’aliquota agevolabile, scesa al 65 per cento per le spese sostenute nel 2025.
Nonostante l’esplosione dei costi di costruzione, l’impatto sul mercato immobiliare è stato relativamente contenuto. L’aumento dei prezzi dei materiali e della manodopera non si è tradotto in un corrispondente incremento del prezzo al metro quadro per gli immobili.
Tuttavia, per contrastare eventuali speculazioni, il Governo ha introdotto una tassazione extra sulle plusvalenze derivanti dalla vendita di immobili che hanno beneficiato degli interventi agevolati, applicando un’imposta sostitutiva del 26 per cento alle cessioni infradecennali.
Il Superbonus 110% è stato uno degli strumenti fiscali più ambiziosi degli ultimi anni, ma anche tra i più controversi.
Da un lato, ha favorito la transizione energetica, incentivando interventi di efficientamento energetico e miglioramento sismico.
Dall’altro lato, ha generato squilibri nel mercato, dinamiche speculative e truffe, oltre a rappresentare un costo rilevante per le casse dello Stato.
Questa esperienza offre importanti spunti di riflessione per il futuro. Innanzitutto è emersa l’importanza di bilanciare gli incentivi fiscali con la capacità del mercato di assorbire un aumento della domanda senza generare distorsioni significative. Inoltre, è cruciale implementare meccanismi di monitoraggio più efficaci e procedure burocratiche più snelle per evitare ritardi e inefficienze.
Ridurre le distorsioni sui prezzi e ottimizzare il ritorno degli investimenti pubblici saranno obiettivi fondamentali per le future politiche di incentivazione, per garantire un equilibrio tra sostenibilità economica e benefici sociali.
In sintesi, per la Banca d’Italia il Superbonus ha rappresentato una lezione preziosa per offrire spunti utili a delineare le strategie per affrontare le sfide del settore edilizio e del mercato immobiliare nei prossimi anni: questa analisi solleva interrogativi sulla reale sostenibilità di simili interventi e sulla necessità di una programmazione più attenta per evitare distorsioni di mercato in futuro.

Un incentivo senza precedenti nel panorama fiscale italiano
Il Superbonus, introdotto dal Decreto Rilancio (D.L. 34/2020) come misura emergenziale per sostenere l’economia post-pandemica, rappresenta uno dei più estesi programmi fiscali mai attuati in Italia.
L’incentivo prevede un credito d’imposta fino al 110% per interventi di ristrutturazione edilizia volti al miglioramento dell’efficienza energetica e della resilienza sismica.
Fino a marzo 2024, prima dell’entrata in vigore del Decreto Legge 39/2024, il credito poteva essere utilizzato non solo come detrazione fiscale diretta, ma anche ceduto a terzi o applicato come sconto in fattura, rendendolo accessibile anche a soggetti con bassa capacità fiscale o scarsa liquidità.

Il Superbonus e le dinamiche dei costi di costruzione
Lo studio ha analizzato il nesso causale tra l’aumento dei costi di costruzione e l’applicazione del Superbonus attraverso un modello empirico basato sull’indice dei costi di costruzione (CCI) pubblicato mensilmente dall’Istat. Questo indice misura i costi diretti delle imprese edili, derivanti principalmente dalle spese per materiali e manodopera, oltre che dai costi di noleggio e trasporto.
Dai risultati emerge che l’aumento della domanda generata dal Superbonus ha esercitato una pressione significativa sui prezzi dei materiali edili, in particolare legno e metalli, e sui costi energetici, che hanno registrato picchi significativi nel periodo di massima applicazione dell’incentivo. L’indice CCI è aumentato di circa il 13 per cento dal settembre 2021 al dicembre 2023, con una correlazione diretta con l’andamento degli investimenti incentivati monitorati dall’ENEA.
Sorprendentemente, nonostante la portata del programma fiscale, la crescita dei costi di costruzione in Italia è stata inferiore rispetto ad altri Paesi europei, come la Germania.
Questo risultato è attribuibile a diversi fattori, tra cui una dinamica salariale stabile nel settore edilizio italiano e un impatto più contenuto delle strozzature dell’offerta rispetto ai Paesi del Nord Europa.
Tuttavia, lo studio evidenzia come i ritardi burocratici e amministrativi nella registrazione degli investimenti abbiano potenzialmente diluito l’effetto immediato del programma sui prezzi finali.

Implicazioni macroeconomiche e fiscali e costi di costruzione
Il Superbonus non ha solo alterato le dinamiche settoriali, ma ha anche avuto un impatto considerevole sui conti pubblici italiani.
Secondo le stime, l’incentivo ha comportato un incremento cumulato del deficit pubblico di circa 150 miliardi di euro, con un’incidenza crescente negli anni di massima applicazione.
Questo aumento del debito ha sollevato interrogativi sulla sostenibilità fiscale di programmi di tale portata e sulla loro efficacia nel raggiungere gli obiettivi dichiarati di transizione energetica e resilienza sismica.
Inoltre, lo studio rileva che l’incremento dei costi delle costruzioni non si è tradotto automaticamente in un aumento proporzionale dei prezzi finali delle abitazioni.
L’indice dei prezzi alla produzione del settore edilizio (PPI) ha infatti registrato un aumento più contenuto rispetto al CCI, suggerendo una compressione dei margini di profitto per molte imprese del settore.
Questo dato evidenzia come le dinamiche di mercato abbiano parzialmente assorbito l’impatto dell’aumento dei costi, limitando i rincari al consumatore finale.

Prospettive future per le politiche di incentivazione edilizia
L’esperienza del Superbonus fornisce importanti lezioni per la futura progettazione di politiche fiscali nel settore edilizio.
In primo luogo, emerge la necessità di bilanciare l’entità degli incentivi con la capacità del mercato di assorbire un incremento repentino della domanda.
In secondo luogo, è cruciale introdurre meccanismi di monitoraggio più tempestivi per evitare ritardi burocratici nella registrazione degli interventi, che possono alterare la capacità di analisi delle dinamiche economiche generate dagli incentivi.
Infine, lo studio evidenzia come un programma fiscale di tale portata possa generare benefici redistributivi concentrati principalmente tra i proprietari di immobili e i fornitori di materiali edili, senza necessariamente tradursi in un miglioramento generalizzato del benessere economico.
Per il futuro, dunque, è essenziale che eventuali nuovi incentivi siano progettati in modo da minimizzare gli effetti distorsivi sui prezzi e massimizzare l’efficacia degli investimenti pubblici.

Bonus barriere architettoniche in condominio: chiarimenti del Fisco

Il bonus barriere architettoniche consiste in una detrazione fiscale pari al 75% delle spese sostenute per interventi mirati all’eliminazione delle barriere architettoniche su edifici esistenti e tale agevolazione è stata prorogata fino al 31 dicembre 2025 dalla legge n. 197/2022, ovvero la Legge di Bilancio 2023.

A tal proposito, un contribuente si è rivolto all’Agenzia delle Entrate, attraverso la Posta di FiscoOggi ponendo un interessante quesito.

Nel caso esaminato il contribuente ha spiegato che in un condominio è stato deciso di installare una piattaforma elevatrice nel giroscale interno, per agevolare la mobilità di persone disabili. Su un totale di 6 condòmini, solo 2 di essi hanno deciso di partecipare alle spese per questo intervento, pertanto è stato chiesto al Fisco se questi possono usufruire del beneficio fiscale sull’intero importo sostenuto per l’installazione della piattaforma elevatrice oppure se la detrazione del 75% è limitata alla parte di spesa calcolata in proporzione ai millesimi di proprietà.

In risposta l’Agenzia delle Entrate ha chiarito, innanzitutto, che la detrazione del 75%, introdotta dalla legge n. 234/2021 (Legge di Bilancio 2022) è finalizzata ad agevolare tutti gli interventi inerenti all’abbattimento delle barriere architettoniche e aventi ad oggetto esclusivamente scale, rampe, ascensori, servoscala e piattaforme elevatrici in edifici già esistenti.

Il Fisco, per rispondere al quesito posto, ha citato la risposta n. 291/2022 e la circolare n. 7/2021 attraverso le quali è stato spiegato cosa accade quando in un condominio solo un condomino sostiene le spese per l’installazione di un ascensore nel cavedio condominiale.

In tal caso al soggetto è riconosciuta la detrazione 75% solo entro il limite massimo consentito dalle disposizioni vigenti ratione temporis, con riferimento alla parte di spesa corrispondente alla ripartizione in base alla tabella millesimale del condominio oppure in base ad altre modalità stabilite dall’assemblea di condominio. In questo caso l’ascensore diventa “oggetto di proprietà comune” e utilizzabile da tutti i condòmini.

Per quanto riguarda, invece, il caso dell’installazione di un montascale o un elevatore, la detrazione 75% spetta interamente al condomino disabile che ha sostenuto integralmente le spese, proprio perché si tratta di mezzi di ausilio utilizzabili solo dai condòmini con disabilità. In tal caso, infatti, gli altri condòmini non hanno né la necessità, né l’interesse ad utilizzare tale dispositivo.

L’Agenzia delle Entrate ha concluso la risposta dichiarando, quindi, che nel caso esaminato e relativo all’installazione della piattaforma elevatrice, i due condòmini che hanno sostenuto le spese per effettuare tale intervento possono usufruire del beneficio fiscale sull’intero importo pagato.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Detrazioni Irpef 2025 e bonus edilizi: cosa cambia per i redditi sopra i 75mila euro

La Legge di Bilancio 2025, tra le varie novità, ha introdotto una modifica importante relativa alle detrazioni Irpef per i contribuenti con reddito complessivo superiore a 75.000 euro.
Nello specifico, è stato introdotto dalla Legge di Bilancio 2025 il nuovo art. 16 -ter del D.P.R. 917/1986 (Testo unico delle imposte sui redditi), rubricato “Riordino delle detrazioni”, il quale prevede che, fermi restando gli specifici limiti previsti da ciascuna norma agevolativa, per i soggetti con reddito complessivo superiore a 75.000 euro le detrazioni dall’imposta sui redditi sono ammesse fino ad un tetto massimo calcolato moltiplicando un importo base, attribuito a seconda del reddito, per un coefficiente basato sul numero di figli fiscalmente a carico presenti nel nucleo familiare del contribuente. Sono compresi i figli adottivi, i figli nati fuori dal matrimonio ma riconosciuti, i figli affidati o affiliati.
Per quanto riguarda i nuovi massimali detraibili, i contribuenti con reddito complessivo tra 75.000 euro e 100.000 euro hanno un tetto massimo di spese detraibili pari a 14.000 euro, mentre i contribuenti con reddito complessivo superiore a 100.000 euro hanno un massimale di spese detraibili pari a 8.000 euro.
Tale massimale viene poi adeguato in base al numero di figli fiscalmente a carico del contribuente e i coefficienti sono:
• coefficiente 0,50: nessun figlio a carico;
• coefficiente 0,70: 1 figlio fiscalmente a carico;
• coefficiente 0,85: 2 figli fiscalmente a carico;
• coefficiente 1,00: con più di due figli fiscalmente a carico o almeno 1 figlio con disabilità.
Per fare un esempio pratico, se un contribuente ha un reddito complessivo superiore a 75.000 euro ma inferiore a 100.000 euro, e ha un figlio fiscalmente a carico, potrà detrarre le spese fino ad un tetto massimo di 9.800 euro (14.000 x 0,70), tenendo conto che in questa fascia il tetto massimo previsto è di 14.000 euro ma per contribuenti che hanno più di 2 figli a carico o almeno 1 figlio con disabilità.
Il comma 4 dell’art. 16-ter del D.P.R. 917/1986 precisa che non rientrano nel calcolo e, quindi, rimangono interamente detraibili per qualsiasi reddito:
• le spese sanitarie detraibili ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. 917/1986, comma 1, lettera c);
• le somme investite nelle startup innovative, detraibili ai sensi degli artt. 29 e 29-bis del D.L. 179/2012;
• le somme investite nelle PMI innovative, detraibili ai sensi dell’art. 4 del D.L. 3/2015, comma 9, seconda parte del primo periodo, e comma 9-ter;
• le rate di spesa sostenute entro il 31/12/2024;
• gli interessi sui mutui e i premi assicurativi relativi ai contratti stipulati fino al 31/12/2024.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Bonus casa, per i lavori in condominio le detrazioni scendono al 36 per cento

La Legge di Bilancio 2025 mette un freno alla realizzazioni degli interventi di una certa consistenza in condominio. Infatti, se le ristrutturazioni negli ultimi anni sono state caratterizzate da una forte spinta sulle agevolazioni per i lavori più incisivi sugli immobili, come la realizzazione di cappotti termici trainata dal superbonus, la messa in sicurezza delle parti strutturali e, in generale, tutte le operazioni di manutenzione straordinaria, con le nuove regole le condizioni sono meno favorevoli.
Il taglio agli sconti fiscali è infatti generalizzato al 36 per cento che, in alcuni casi, significa una sforbiciata di quasi 40 punti.
La regola generale, indicata dalla manovra 2025, è che per le spese sostenute dai titolari del diritto di proprietà o di un diritto reale di godimento per interventi sull’unità immobiliare adibita ad abitazione principale i bonus 2025 si incassano alla percentuale più elevata, ovvero il 50 per cento, mentre negli altri casi si scende al 36 per cento.
I lavori condominiali non vengono citati in questa definizione.
Così, le soluzioni immaginabili sono due. Da un lato, una differenziazione delle aliquote, che seguirebbero quelle dedicate all’immobile principale. Quindi, chi incassa il 50 per cento sui lavori nel suo appartamento, lo otterrebbe anche sulle parti comuni. Dall’altro, invece, si può ipotizzare che le parti comuni non siano qualificabili come abitazione principale: in altre parole, per loro non ci sarà alternativa al 36 per cento.
Quest’ultima è, indubbiamente, la soluzione più probabile per come è scritta la Legge di Bilancio. Un’interpretazione diversa sarebbe “estensiva” rispetto a quello che dice la manovra.
E, peraltro, questa linea è anche quella più semplice da gestire per chi amministra i condomini, perché non costringe a raccogliere informazioni difficili da reperire.
Il problema è che, se dovesse essere confermato il taglio al 36 per cento, per diversi lavori condominiali si materializzerà un taglio della convenienza fiscale di molti punti.
Le nuove aliquote ribassate, infatti, si applicano a tutte le tipologie di intervento, da quelli incentivati con l’ecobonus al vecchio sismabonus.
Quindi, se i cappotti termici incassavano nel 2024 il 75 per cento, nel 2025 scenderanno al 36 per cento, trattandosi di interventi sulle parti comuni.
Niente sconti per le caldaie condominiali (in base al divieto inserito nelle direttive europee), contro il vecchio 50 per cento.
In caso di installazione di un ibrido o di una pompa di calore, invece, si passa dal 65 per cento del 2024 al 36 per cento del 2025: chi valuterà questi nuovi apparecchi dovrà farlo anche alla luce di una diversa convenienza fiscale.
Mentre per la messa in sicurezza antisismica era possibile incassare agevolazioni fino all’85 per cento che, però, da quest’anno saranno tagliate al 36 per cento.
La conseguenza è che la sostenibilità economica di questi investimenti cala in maniera netta.
E diventa, quindi, più difficile la formazione delle maggioranze in condominio necessarie ad approvare questi interventi di riqualificazione.
Una penalizzazione che rischia di colpire tutti quei condomini nei quali ci sono più situazioni di difficoltà economica, rendendo impossibili in molti casi opere essenziali come quelle di coibentazione e di efficientamento energetico.

Obbligo di polizza contro gli eventi catastrofali entro il 31 marzo 2025

L’obbligo di stipulare una polizza assicurativa contro gli eventi catastrofali riguarda tutte le imprese, ditte individuali e società, iscritte nel Registro delle Imprese.
Sono esclusi i professionisti, sia quelli che operano in forma singola sia quelli appartenenti a studi associati.
Rimane invece incerto se l’obbligo si applichi anche alle società semplici, che pur essendo iscritte al Registro non svolgono attività d’impresa.
È certo, invece, che una società che gestisce, ad esempio, un poliambulatorio medico, essendo iscritta al Registro delle Imprese, sia tenuta a rispettare l’obbligo assicurativo.
Il termine ultimo per adempiere all’obbligo è il 31 marzo 2025, come stabilito dal D.L. 202/2024, convertito nella Legge 15/2025.
Il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 18 del 30 gennaio 2025, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 27 febbraio 2025, disciplina le polizze assicurative contro i rischi catastrofali.
• Articolo 3: definisce gli eventi calamitosi e catastrofali coperti dall’assicurazione, ossia alluvioni, terremoti e frane.
• Articolo 4: stabilisce che i premi assicurativi saranno soggetti ad aggiornamenti periodici.
• Articolo 6: prevede che, per polizze fino a 30 milioni di euro, lo scoperto a carico dell’assicurato non possa superare il 15% del danno indennizzabile. Per importi superiori a 30 milioni, le condizioni dello scoperto sono lasciate alla libera negoziazione tra le parti.
Secondo l’articolo 1, l’obbligo assicurativo riguarda le immobilizzazioni impiegate per l’attività d’impresa, come definite dall’articolo 2424 del Codice Civile, tra cui:
– 1. Terreni: fondi o loro porzioni con caratteristiche geografiche variabili in base alla posizione e conformazione.
– 2. Fabbricati: edifici e opere murarie, compresi fissi e infissi, fondamenta, impianti idrici, elettrici, di riscaldamento e condizionamento, ascensori, montacarichi, recinzioni e altre strutture pertinenti.
– 3. Impianti e macchinari: macchine di vario tipo, comprese quelle elettroniche e a controllo numerico, nonché impianti funzionali all’attività dell’impresa.
– 4. Attrezzature industriali e commerciali: macchine, attrezzi, utensili, impianti di sollevamento, pesa, imballaggio e trasporto, purché non iscritti al Pubblico Registro Automobilistico (P.R.A.)
Tra i dubbi ancora aperti c’è quello dell’assicurazione dei beni locati da soggetti non imprenditori (e quindi da proprietari non assoggettati all’obbligo). La norma prevede infatti l’obbligo a carico delle imprese, per tutte le immobilizzazioni di cui all’articolo 2424, primo comma, sezione Attivo, voce B II, numeri 1), 2) e 3), del codice civile (e quindi 1) terreni e fabbricati, 2) impianti e macchinario e 3) attrezzature industriali e commerciali), a qualsiasi titolo impiegati per l’esercizio dell’attività di impresa, con esclusione di quelli già assistiti da analoga copertura assicurativa, anche se stipulata da soggetti diversi dall’imprenditore che impiega i beni. In base al tenore letterale quindi, in caso di locazione di immobile non già assicurato, il conduttore sarebbe tenuto a stipulare un’assicurazione per conto altrui.

No al “bonus mobili” slegato dalla ristrutturazione edilizia

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Superbonus e aggiornamento della categoria catastale

Sono in partenza le prime lettere dell’Agenzia delle Entrate, indirizzate ai contribuenti che hanno beneficiato del Superbonus e non hanno inviato la dichiarazione catastale.
Come stabilito dal provvedimento dello scorso 7 febbraio, le PEC e le raccomandate hanno lo scopo di invitare chi ha usufruito del Superbonus e non ha provveduto ad aggiornare la rendita catastale dell’immobile oggetto del beneficio a mettersi in regola o a fornire elementi per documentare la propria posizione e l’assenza di obbligo di trasmissione della dichiarazione.
L’invio delle lettere non sarà a tappeto: in una prima fase interesserà soltanto gli intestatari degli immobili privi di rendita catastale o con valori catastali modesti rispetto ai costi sostenuti per effettuare gli interventi edilizi agevolati.

I chiarimenti in Commissione Finanze
A fornire i chiarimenti è stata la sottosegretaria di Stato per l’Economia e le Finanze, Lucia Albano, intervenuta nel corso dell’interrogazione a risposta immediata presentata dall’on. Emiliano Fenu, lo scorso 12 febbraio presso la Commissione Finanze della Camera. Oggetto dell’interrogazione è stato proprio quello di conoscere i criteri utilizzati dall’Agenzia delle Entrate per la predisposizione delle liste selettive di contribuenti cui inviare le comunicazioni di compliance.
Fenu ha quindi domandato in che modo l’Agenzia possa evitare l’invio generalizzato ai contribuenti, in particolare verso chi non ha alcun obbligo di presentazione della dichiarazione di variazione catastale, ma anche come si possa evitare di generare confusione tra i contribuenti, aggravando il carico amministrativo per i cittadini e per l’amministrazione finanziaria stessa.

I destinatari delle lettere del Fisco
Ogni volta che vengono eseguiti lavori sugli immobili, gli intestatari hanno l’obbligo di verificare se gli interventi abbiano determinato modifiche alla consistenza o un impatto sull’attribuzione della categoria e della classe dell’immobile stesso.
In tali casi, infatti, sono previste conseguenze sulla rendita catastale. Pertanto i contribuenti sono chiamati a presentare una dichiarazione catastale di cui all’articolo 1, commi 1 e 2, del decreto del Ministro delle finanze del 19 aprile 1994, n. 701.
Per tale dichiarazione, che segue la verifica attraverso il supporto di un professionista abilitato alle operazioni in catasto, deve essere effettuata attraverso la procedura Docfa, di aggiornamento degli archivi catastali sulla base dei commi 1 e 2 dell’art. 1 del DM 701/1997.
Nel caso degli interventi del Superbonus, la Legge di Bilancio 2024 ha previsto l’intensificazione dei controlli nei casi in cui siano stati realizzati interventi che rientrano nella maxi detrazione prevista dal decreto Rilancio senza la trasmissione della dichiarazione catastale.
In attuazione dell’articolo 1, commi 86 e 87, della legge 30 dicembre 2023, n. 213, l’Agenzia delle Entrate ha approvato il provvedimento dello scorso 7 febbraio, che stabilisce le modalità di invio delle comunicazioni delle Entrate ai contribuenti.

I criteri adottati dal Fisco per l’invio di PEC o raccomandate
La sottosegretaria di Stato per l’Economia e le Finanze, Lucia Albano, ha spiegato: “L’Agenzia delle entrate, al fine di garantire efficienza al processo di comunicazione di posizioni potenzialmente meritevoli di denuncia di variazione catastale, contenendo al massimo l’impatto sui contribuenti, ha previsto che l’invio delle lettere di compliance riguarderà, in una prima fase, gli intestatari catastali di immobili oggetto degli interventi di cui all’articolo 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, che risultano all’attualità iscritti in Catasto privi di rendita catastale o con valori catastali di modesta entità rispetto ai costi sostenuti per effettuare gli interventi edilizi in argomento”.
In prima battuta, quindi, riceveranno le lettere i contribuenti il cui immobile oggetto di interventi del superbonus:
• risulti privo di rendita catastale;
• abbia un valore catastale modesto rispetto ai costi sostenuti per gli interventi realizzati.
La motivazione è legata al fatto che in entrambe le situazioni è ragionevole ipotizzare che l’esecuzione degli interventi di recupero del patrimonio edilizio abbia inciso in modo netto sulla determinazione della categoria e della classe dell’immobile, richiedendo quindi l’adempimento della dichiarazione catastale.
Lucia Albano ha assicurato che l’Agenzia ha escluso un invio generalizzato di comunicazioni di compliance a tutti i contribuenti e ha ricordato che il contribuente può dimostrare di non avere l’obbligo di procedere all’aggiornamento catastale.
Non è però escluso che possano successivamente essere individuati nuovi destinatari per accertare che siano stati rispettati gli obblighi relativi all’adeguamento delle informazioni catastali.

Come rispondere alle lettere del Fisco

In linea generale devono provvedere a mettersi in regola quanti abbiano realizzato un incremento di oltre il 15 per cento della rendita catastale dell’immobile, oppure abbiano svolto interventi di demolizione e ricostruzione dell’edificio con aumento della superficie dello stesso.
Per regolarizzare la situazione i contribuenti dovranno:
• trasmettere la dichiarazione catastale;
• provvedere al pagamento delle imposte dovute, in misura ridotta attraverso lo strumento del ravvedimento operoso;
• pagare gli interessi, calcolati sulla base dei giorni di ritardo nell’adempimento.
In alternativa alla regolarizzazione il contribuente ha comunque la possibilità di dimostrare che l’obbligo di aggiornamento dei dati catastali non sussiste, fornendo elementi a riprova della posizione.
In altre parole il soggetto potrà “dimostrare” che l’invio della dichiarazione catastale non è dovuto, fornendo la documentazione del caso.

Banche dati ipotecaria e catastale

Il decreto legislativo n.139/2024, di attuazione della riforma fiscale, ha stabilito le regole per la razionalizzazione dei tributi indiretti diversi dall’IVA.
Tale decreto ha inoltre stabilito la consultazione telematica ipotecaria e catastale per tutti i contribuenti.
Le modalità per la consultazione, come stabilito dall’art. 7 dalla norma, sono affidate al provvedimento dell’Agenzia delle Entrate che è stato adottato il 30 dicembre.
Tra le novità principali ci sono:
• l’accesso ai servizi online tramite l’area riservata del portale dell’Amministrazione finanziaria, a seguito dell’accettazione delle condizioni generali di utilizzo;
• la gratuità, a partire dal 1° gennaio 2025, per tale accesso.
La consultazione telematica degli atti catastali potrà quindi essere effettuata anche presso gli sportelli catastali decentrati autogestiti.
In questo caso dovrà essere stipulata un’apposita convenzione basata sullo schema allegato al provvedimento dell’Agenzia delle Entrate.
Tale provvedimento prevede, infatti, la possibilità di stipulare apposite convenzioni per soddisfare specifiche esigenze informative per fini istituzionali.
Un successivo provvedimento stabilirà le regole per il servizio di consultazione telematica presso le postazioni degli enti, senza la necessità della stipula di una convenzione con l’Amministrazione finanziaria.

Cedolare secca: incertezza giuridica per i proprietari immobiliari

L’Unione Piccoli Proprietari Immobiliari (UPPI) esprime forte preoccupazione per il persistente disallineamento interpretativo tra la sentenza n. 12395 della Corte di Cassazione del 7 maggio 2024 e l’interpello 911-7/2025 dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale Toscana, relativo all’applicabilità della cedolare secca nei contratti di locazione abitativa stipulati con conduttori che operano nell’ambito di un’attività d’impresa o professionale.

Secondo la Corte di Cassazione, il regime della cedolare secca è applicabile anche quando il conduttore è un’impresa o un professionista, purché l’immobile sia destinato a uso abitativo. Al contrario, l’Agenzia delle Entrate, con l’interpello recentemente emesso, ha ribadito un’interpretazione restrittiva, sostenendo che la cedolare secca non possa essere applicata in tali circostanze.

Questa divergenza ha creato una situazione di incertezza normativa che rischia di generare:
* Contestazioni fiscali e richieste di pagamento di imposte ordinarie, con sanzioni e interessi.
* Blocchi nel mercato delle locazioni e sfiducia nei confronti della disciplina fiscale da parte dei proprietari immobiliari.
* Aumento del contenzioso tra contribuenti e amministrazione finanziaria, con conseguente aggravio per il sistema giudiziario tributario.

Alla luce di questa situazione, il Presidente di UPPI, Fabio Pucci, ha formalmente richiesto un incontro con il Direttore dell’Agenzia delle Entrate per discutere le implicazioni pratiche e giuridiche di questa divergenza interpretativa e individuare una soluzione condivisa.

“È fondamentale che i proprietari immobiliari possano contare su un quadro normativo chiaro e stabile. Il contrasto tra la giurisprudenza della Cassazione e le direttive dell’Agenzia delle Entrate sta generando incertezza e disorientamento tra i contribuenti, con il rischio di compromettere ulteriormente il mercato delle locazioni. Chiediamo un confronto diretto con l’Agenzia per definire una linea interpretativa uniforme, chiara e coerente con le pronunce della Corte di Cassazione,” ha dichiarato il Presidente di UPPI.

L’UPPI auspica che l’Agenzia delle Entrate prenda atto della posizione espressa dalla Corte di Cassazione e adotti una direttiva chiara e coerente che consenta ai contribuenti di applicare la cedolare secca in modo trasparente e senza rischi di contestazione.

L’Unione Piccoli Proprietari Immobiliari resta a disposizione per un confronto costruttivo con l’Agenzia delle Entrate e con il Ministero dell’Economia e delle Finanze per definire una soluzione normativa che garantisca certezza del diritto e equità fiscale per tutti i contribuenti.

Il Segretario Generale, dr. Jean-Claude MOCHET
Il Presidente Nazionale, avv. Fabio PUCCI

Offensiva dell’Agenzia delle Entrate per chi ha ristrutturato con il Superbonus

Chi ha ristrutturato il proprio immobile beneficiando del Superbonus deve procedere all’aggiornamento delle rendite catastali. I contribuenti che non hanno ancora fatto l’adeguamento riceveranno una lettera da parte dell’Agenzia delle Entrate successivamente all’incrocio dei dati.
Lo ha annunciato il direttore uscente delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, nella sua relazione di fine anno.
Quanti potrebbero essere gli interessati? In base a quanto indicato dall’Enea, sono 496.963 gli edifici nei quali si è intervenuto con il Superbonus. In proporzione, le richieste di variazione catastale registrate sono pochissime.

Le disposizioni normative
La Legge di Bilancio 2024 prevede, ai commi 86 e 87 dell’art. 1, che l’Agenzia delle Entrate verifichi, in relazione alle unità immobiliari oggetto degli interventi agevolati dal Superbonus, la presentazione delle dichiarazioni di variazione dello stato dei beni, anche ai fini di eventuali effetti sulle rendite dell’immobile presenti nel catasto dei fabbricati.
Nei mesi scorsi il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha annunciato in più occasioni una verifica sull’attuazione di tali misure e la necessità di procedere alla revisione dei valori catastali degli immobili migliorati con il Superbonus.
Nella sua relazione di fine anno il direttore uscente dell’Agenzia delle Entrate ha annunciato che nei primi mesi del 2025 l’Agenzia “nell’ambito delle attività finalizzate all’aggiornamento della banca dati catastale”, oltre alle attività ordinarie di verifica e controllo, “avvierà la campagna di compliance relativa al Superbonus” con l’invio di lettere per chiedere ai contribuenti di chiarire la propria posizione.
Nella relazione viene inoltre spiegato che la lista dei destinatari della lettere di compliance sarà generata dall’incrocio dei dati derivanti dalle “comunicazioni dell’opzione relativa agli interventi di recupero del patrimonio edilizio, efficienza energetica, rischio sismico, impianti fotovoltaici e colonnine di ricarica” e “le risultanze della banca dati catastale, per gli immobili per i quali non risulta essere stata presentata, ove prevista, la dichiarazione di variazione catastale”.
Pertanto, chi ha avviato una pratica di Superbonus effettuando la cessione del credito senza presentare la variazione catastale riceverà la lettera del Fisco.
Ricevuta la lettera, ci sarà la possibilità di spiegare perché la variazione catastale non è stata effettuata. Infatti, non sempre la legge richiede questo adempimento. In caso di omissioni, è previsto il ravvedimento operoso. Mentre, se il comportamento è stato corretto, andranno presentate le proprie controdeduzioni, supportate da una perizia tecnica.

La dichiarazione di variazione catastale
Le disposizioni contenute nella Legge di Bilancio 2024 lasciano intendere che la presentazione della dichiarazione di variazione sia un “adempimento automatico” richiesto in ogni caso al termine dei lavori agevolati con Superbonus.
Il Testo Unico dell’edilizia, infatti, prevede che entro 30 giorni dalla fine dell’intervento il direttore dei lavori debba depositare in Comune la prova dell’avvenuta presentazione della variazione catastale o una dichiarazione che gli interventi non hanno comportato una modifica del classamento.
L’obbligo di presentare una dichiarazione di variazione catastale è previsto dall’articolo 20 del Rdl 652/1939, secondo cui i titolari di immobili già censiti sono obbligati a denunciare le variazioni che implichino mutazioni, per l’attribuzione della categoria e della classe.

L’obbligo di variazione catastale
In linea di principio, molti lavori di Superbonus non comportano l’obbligo di effettuare la variazione della rendita. Tale obbligo, di norma, sussiste solo quando venga aumentato il numero di vani, venga incrementata la volumetria o siano apportate variazioni planimetriche.
Determinano l’obbligo di revisione gli interventi con cui si realizza:
• la costruzione di nuove unità fuori terra ed interrate;
• una rilevante redistribuzione degli spazi interni;
• un cambiamento dell’utilizzazione di superfici scoperte, quali balconi o terrazze;
• modifiche interne, quali lo spostamento di porte e tramezzi;
• la modifica alla destinazione d’uso di vani o singoli ambienti;
• modifiche che incidano direttamente sulla consistenza, sulla classe o sulla rendita catastale (rientrano in questo caso gli interventi su edifici collabenti, il recupero del sottotetto a fini abitativi, l’installazione di impianti che aumentano naturalmente il valore dell’immobile, l’installazione dell’impianto fotovoltaico, impianti di automazione, ascensori).
Non c’è invece obbligo di variazione catastale per:
• l’esecuzione di interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione (pavimenti, wc, infissi, tetto, facciata, rinforzi strutturali, messa a norma impianti) con materiali comparabili con gli originari;
• l’installazione di impianti fotovoltaici a servizio di singole unità se la potenza installata è inferiore a KW 3 per il numero di unità immobiliari servite.

Obbligo di revisione della rendita per aumento del valore del 15 per cento
Anche in assenza delle condizioni indicate, l’aggiornamento della rendita deve essere effettuato se il valore dell’immobile, a seguito di una ristrutturazione, viene incrementato di almeno il 15 per cento.
Più precisamente, la revisione della rendita è sempre dovuta in caso di interventi edilizi di cui all’art. 3 del Testo Unico dell’Edilizia (ristrutturazioni; manutenzioni straordinarie; variazioni nelle caratteristiche tipologiche, distributive e/o impiantistiche; restauro e risanamento conservativo) che comportino un incremento stimabile in misura non inferiore al 15 per cento del valore di mercato e della relativa redditività (soglia corrispondente alla variazione di una classe catastale), quando gli stessi abbiano comportato una variazione della consistenza ovvero delle caratteristiche tipologiche distributive ed impiantistiche originarie delle unità immobiliari o, nel caso di interventi di restauro e risanamento conservativo, qualora abbiano interessato l’intero edificio.
Il riferimento è alle circolari 10/2005 e 1/2006 dell’Agenzia del Territorio e alla Determinazione del 16 febbraio 2005 che – nell’ambito dell’applicazione dell’art. 1 della Legge 311/2004, comma 336 – individua il 15 per cento come soglia incrementale del valore dell’immobile da considerare, indicatore sintetico e parametro di riferimento per la revisione della rendita.

Dopo il Superbonus poche variazioni catastali
Secondo quanto emerge dal rapporto 2023 dell’Enea sulle detrazioni fiscali, il 77,5 per cento degli immobili ristrutturati con Superbonus ha ottenuto un salto di almeno tre classi energetiche, il 65,7 per cento di almeno quattro classi.
Stime contenute in uno studio pubblicato dalla Banca d’Italia nel dicembre del 2023 sostengono che l’incremento medio del valore di mercato per il passaggio dalla classe G alla classe A, al momento della vendita, è di circa il 25 per cento. Quindi, già con un salto di tre classi è molto probabile lo sforamento del limite del 15 per cento.
In pratica, tre immobili su quattro, tra quelli sui quali è stato effettuato un intervento agevolato con il Superbonus, avrebbero dovuto adeguare la rendita catastale.
A fronte di questi dati, le statistiche catastali più recenti non hanno registrato un aumento diffuso delle rendite: molti di coloro che avrebbero dovuto comunicare la revisione al catasto non l’hanno fatto.
Se si fa riferimento ai criteri di selezione annunciati dall’Agenzia delle Entrate (pratiche Superbonus con cessione del credito), potrebbero essere interessati dall’operazione circa 500mila immobili.

La verifica delle Entrate sulla variazione catastale dopo interventi Superbonus
Il comma 86 della Legge di Bilancio 2024 prevede che l’Agenzia delle Entrate verifichi se sia stata presentata – ove prevista – la dichiarazione di variazione di cui all’art. 1 del D.M. 701/1994, commi 1 e 2, con riferimento alle unità immobiliari oggetto degli interventi agevolati con Superbonus.
Tale verifica deve essere condotta sulla base di specifiche liste selettive elaborate con l’utilizzo delle moderne tecnologie di interoperabilità e analisi delle banche dati, anche ai fini degli eventuali effetti sulla rendita dell’immobile presente in atti nel catasto dei fabbricati.
Facendo un passo indietro, è utile ricordare che la norma citata – l’art. 1 del D.M. 701/1994, comma 3 – prevede che la rendita proposta dal contribuente rimanga negli atti catastali come “rendita proposta” fino a quando l’Agenzia delle Entrate non provvede con mezzi di accertamento informatici o tradizionali, anche a campione, e comunque entro 12 mesi dalla data di presentazione delle dichiarazioni, alla determinazione della rendita catastale definitiva.
Come disposto dall’art. 4 del D.L. 853/1984, comma 21, l’Agenzia delle Entrate ha facoltà di verificare le caratteristiche degli immobili oggetto delle dichiarazioni, ed eventualmente modificarne le risultanze censuarie iscritte in catasto.
Ora, l’Agenzia delle Entrate verifica che sia stata presentata, ove prevista, la dichiarazione per i lavori di Superbonus recante l’aggiornamento della rendita dell’immobile riportata negli atti del catasto dei fabbricati.
Se tale dichiarazione non risulta presentata, l’Agenzia delle Entrate può inviare al contribuente una comunicazione specifica – lettera di compliance – per sollecitare l’adempimento richiesto. Grazie a questa comunicazione preventiva il contribuente può presentare controdeduzioni, motivare la mancata presentazione della dichiarazione di variazione, dimostrare l’avvenuto adempimento o ravvedersi.
Qualora il contribuente – supportato dal suo tecnico – dovesse accertare l’esistenza dell’obbligo di aggiornamento del classamento catastale e convenire con quanto indicato nella comunicazione ricevuta dall’Agenzia delle Entrate, potrà correggere l’omissione, presentando la dichiarazione di variazione catastale e avvalendosi del ravvedimento operoso, che consente di ridurre la sanzione (172 euro anziché 1.032 euro a unità immobiliare) per l’adempimento tardivo.
Se invece il contribuente ritiene di non dover assolvere all’obbligo di aggiornamento catastale, dovrà fornire gli opportuni chiarimenti.
In caso di inadempimento entro il 90 giorni, l’Agenzia delle Entrate notifica un avviso di accertamento e interviene in surroga per aggiornare le rendite e applicare la sanzione.

Variazione catastale: l’iter ordinario
Nei confronti del contribuente che non provvede alla richiesta di attribuzione della nuova rendita catastale, l’Agenzia delle Entrate notifica un avviso di accertamento con il quale l’amministrazione tributaria procede in automatico all’aggiornamento, rendendo noto il procedimento al contribuente coinvolto.
In seguito alle verifiche tecniche effettuate dagli uffici dell’Agenzia, gli intestatari delle unità immobiliari urbane interessate ricevono un avviso di accertamento, con la rideterminazione del classamento e l’attribuzione di una nuova rendita catastale.
Se l’avviso di accertamento viene ritenuto corretto, i destinatari non dovranno procedere ad alcun ulteriore adempimento catastale, perché i dati sono aggiornati direttamente dall’Agenzia.
Il destinatario che, invece, considera l’atto non fondato, potrà chiederne il riesame in autotutela oppure presentare ricorso. La domanda di riesame in autotutela non sospende i termini per la presentazione di un eventuale ricorso al giudice tributario.