Il mercato dei mutui in Piemonte si sta evolvendo, e lo fa in direzione di maggiore diversità e gioventù. Secondo l’analisi socio-demografica condotta da Kìron Partner SpA (Gruppo Tecnocasa), nel 2024 il 77,1% dei finanziamenti ipotecari è stato erogato a cittadini italiani, ma si registra una crescita significativa tra gli stranieri: il 13,4% dei mutuatari proviene da Paesi europei, mentre il 9,5% da aree extraeuropee, con una forte presenza di asiatici, latinoamericani e africani.
Le nazionalità più rappresentate tra gli acquirenti stranieri sono Romania, Albania e Moldavia, segno di una crescente integrazione nel tessuto socio-economico regionale. L’età media del mutuatario piemontese è di 40,1 anni, ma il dato più interessante riguarda la fascia più giovane: il 34,9% dei mutui è stato sottoscritto da persone tra i 18 e i 34 anni, seguite da quelle tra i 35 e i 44 anni (33,3%).
Sul fronte occupazionale, la stabilità economica resta il requisito fondamentale per accedere al credito. L’86,7% dei mutui è stato concesso a lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e pensionati, mentre solo il 9,7% ha riguardato liberi professionisti, autonomi e titolari d’impresa. I lavoratori a tempo determinato rappresentano appena il 2,4% del totale.
La fotografia scattata da Kìron ed Epicas mostra un mercato in trasformazione, dove il mattone continua a rappresentare un obiettivo centrale per le famiglie, ma dove l’accesso al credito resta fortemente legato alla solidità reddituale e alla capacità di pianificare a lungo termine.
A Roma, come in molte altre città italiane, la raccolta differenziata è diventata un campo minato per la convivenza condominiale. Le multe per errori nella gestione dei rifiuti arrivano puntuali, anche a chi rispetta scrupolosamente le regole. Il problema? Basta un condòmino distratto per far scattare sanzioni che colpiscono tutti.
La normativa ambientale è chiara. L’articolo 183 del Codice dell’Ambiente definisce la raccolta differenziata come la separazione dei rifiuti per tipologia, finalizzata al corretto trattamento e riciclo. Ma quando si vive in condominio, la responsabilità non è sempre individuale. L’amministratore, in quanto rappresentante legale, ha il compito di gestire i contenitori, informare i residenti sulle modalità di conferimento e garantire il decoro degli spazi comuni. Tuttavia, non può controllare ogni sacchetto.
La questione si complica quando arrivano le sanzioni. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25905 del 2024, ha stabilito che in caso di violazioni non attribuibili a un singolo responsabile, l’intero condominio è chiamato a rispondere. È il principio della responsabilità solidale: se non si riesce a individuare chi ha sbagliato, pagano tutti. Le multe, secondo i regolamenti comunali, possono arrivare fino a 500 euro.
Una posizione che ribalta quanto affermato dalla stessa Corte nel 2023, quando aveva ritenuto illegittime le sanzioni collettive in assenza di una base normativa chiara. Ora, invece, il quadro giuridico è definito: gli articoli 192 del Codice Ambiente e 7 bis e 50 del Testo unico degli enti locali legittimano l’intervento dei Comuni.
Ma esiste una via d’uscita? In teoria sì, ma in pratica è complicato. L’amministratore può imputare la sanzione al singolo condomino solo se dispone di prove certe e inequivocabili, come immagini o testimonianze. Inoltre, il regolamento condominiale deve prevedere espressamente l’obbligo di rispettare le regole sulla differenziata e le relative sanzioni interne, che possono arrivare fino a 200 euro.
Per tutelarsi, i condomìni possono adottare alcune misure preventive. La prima è aggiornare il regolamento interno, introducendo norme chiare sulla gestione dei rifiuti e sanzioni per chi non le rispetta. La seconda, più delicata, è installare sistemi di videosorveglianza nelle aree di conferimento, nel rispetto delle normative sulla privacy. Solo così sarà possibile individuare con certezza i responsabili e evitare che le multe diventino un peso collettivo.
In attesa di una maggiore responsabilizzazione individuale, la raccolta differenziata resta una sfida di civiltà. E in condominio, come spesso accade, la convivenza si misura anche nel rispetto di un sacchetto ben chiuso.
Dal gennaio 2025, l’importo del canone Rai è tornato a 90 euro annui. Una tassa che devono pagare tutti coloro che possiedono una televisione o qualsiasi apparecchio in grado di ricevere il segnale televisivo. Tuttavia, esistono alcune esenzioni, tra cui quella riservata agli anziani con più di 75 anni d’età.
Questa agevolazione permette a migliaia di pensionati di non pagare il canone, offrendo un piccolo ma significativo sollievo sul bilancio familiare. Ma quali sono i requisiti richiesti per ottenere l’esenzione e quali passi bisogna seguire per inviare la domanda?
Chi può ottenere l’esenzione dal pagamento del canone Rai
Come accade ormai da diversi anni, anche nel 2025 gli anziani over 75 possono essere esonerati dal pagamento del canone Rai, a patto di rispettare alcune condizioni. Il beneficio è riservato a chi:
– Ha compiuto almeno 75 anni
– Ha un reddito annuo complessivo inferiore a 8mila euro, considerando non solo quello personale ma anche quello del coniuge
Oltre al requisito economico, è importante tenere presente che l’anziano non deve convivere con altre persone che abbiano un reddito proprio, fatta eccezione per il coniuge. Inoltre, l’esenzione non è concessa a chi ha assunto collaboratori domestici, colf o badanti, poiché la loro presenza implica condizioni economiche più stabili.
Quando presentare la domanda di esonero
Per ottenere l’esenzione del canone Rai 2025, è necessario presentare un’apposita domanda, tenendo conto della data di compimento del 75° anno di età.
– Chi ha compiuto 75 anni entro il 31 gennaio 2025 potrà beneficiare dell’esonero per tutto l’anno;
– Chi raggiunge il requisito anagrafico entro il 31 luglio 2025 avrà diritto all’esonero solo per il secondo semestre;
– Infine, chi compirà 75 anni dopo il 31 luglio, potrà chiedere l’esenzione a partire dall’anno successivo e dovrà inviare la domanda entro il 31 gennaio 2026.
È importante rispettare le scadenze, per evitare di dover pagare il canone e successivamente richiederne il rimborso.
Come inviare la richiesta di esenzione o rimborso
L’Agenzia delle Entrate ha stabilito diverse modalità per presentare la domanda:
– Invio postale, tramite plico raccomandato senza busta, da spedire all’indirizzo: Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale I di Torino – Ufficio Canone TV – Casella postale 22 – 10121 Torino. È necessario allegare una copia di un valido documento di riconoscimento.
– Trasmissione via PEC, firmando digitalmente la richiesta e inviandola all’indirizzo cp22.canonetv@postacertificata.rai.it.
– Consegna diretta presso un qualsiasi ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate.
Per chi ha già inviato la domanda negli anni precedenti, non è necessario ripresentarla, a meno che non siano intervenute variazioni nei requisiti.
Tempi di elaborazione e interruzione dell’addebito in bolletta
Considerati i tempi tecnici necessari per la lavorazione delle dichiarazioni, il canone verrà rimosso dalla bolletta seguendo queste tempistiche:
– Domande inviate entro il 15 del mese: l’esonero sarà applicato a partire dal mese successivo.
– Domande inviate dopo il 15 del mese: la rimozione dell’addebito scatterà due mesi dopo l’invio della richiesta.
Per chi ha già effettuato il pagamento ma rientra nei criteri di esenzione, sarà possibile richiedere il rimborso, seguendo le stesse modalità di presentazione della domanda.
Nel 2025, il canone RAI è tornato all’importo di 90 euro, da versare direttamente nella bolletta elettrica, salvo il caso in cui il contribuente rientri in una delle categorie esonerate previste dalla normativa. Ma le persone con disabilità, beneficiarie della Legge 104, possono evitare il pagamento?
L’esenzione dal canone RAI: chi ne ha diritto
In Italia, il canone di abbonamento alla televisione pubblica è obbligatorio per chi possiede un televisore o un dispositivo capace di ricevere il segnale TV. Tuttavia, esistono alcuni casi specifici di esenzione, tra cui:
– Chi non possiede un televisore o apparecchi con funzione di ricezione del segnale TV.
– Gli anziani over 75 con un reddito annuo inferiore a 8.000 euro.
– I militari delle Forze Armate Italiane e quelli stranieri appartenenti alle Forze Nato.
– Agenti diplomatici e consolari, nel rispetto delle convenzioni internazionali.
Per quanto riguarda le persone con disabilità, la normativa non prevede un’esenzione automatica legata al riconoscimento della Legge 104.
Disabili e canone RAI: quando è possibile l’esonero
Se la Legge 104 garantisce una serie di agevolazioni fiscali, permessi e congedi per i lavoratori con disabilità e i loro familiari, non include il diritto all’esonero dal pagamento del canone RAI.
Gli unici casi in cui una persona disabile può non pagare il canone sono quelli in cui rientra nelle categorie già protette dalla normativa, ovvero:
– Non possiede un televisore in casa.
– Ha più di 75 anni e un reddito inferiore a 8.000 euro.
A queste condizioni si aggiunge un’ulteriore possibilità per le persone con disabilità ricoverate in case di riposo o strutture simili. In questi casi, il contribuente può presentare una dichiarazione attestando di non possedere alcun apparecchio TV, ottenendo così l’esenzione.
Come richiedere l’esenzione
Per non pagare il canone RAI, è necessario seguire la procedura prevista dalla legge, compilando l’apposito modulo di richiesta di esonero, da inviare all’ Agenzia delle Entrate.
La domanda deve contenere tutte le informazioni necessarie, inclusi i requisiti che danno diritto all’esenzione, e va presentata entro i termini stabiliti per evitare il pagamento automatico sulla bolletta elettrica.
La Legge 104 non esonera dal canone RAI
In definitiva, non esiste un’esenzione specifica dal canone RAI per i beneficiari della Legge 104. Solo chi rientra nelle categorie esonerate, indipendentemente dalla condizione di disabilità, può richiedere l’agevolazione.
Un tema che potrebbe suscitare nuove discussioni sulle agevolazioni fiscali per le persone con disabilità, ma che al momento non rientra nelle modifiche legislative previste per il 2025.
Torino si prepara a diventare capitale dell’abitare consapevole. Dal 4 al 12 ottobre, l’Oval Lingotto Fiere ospita la 62ª edizione di Expocasa, il Salone dell’arredamento che da oltre mezzo secolo racconta l’evoluzione dello spazio domestico. L’edizione 2025 si presenta con un programma ricco, dinamico e profondamente attuale, capace di coniugare estetica, innovazione e sostenibilità.
Luce&Casa: quando l’illuminazione diventa emozione
Tra le novità più attese, il debutto di Luce&Casa, progetto realizzato in collaborazione con Traiano Luce 73. Un’area espositiva interamente dedicata al potere trasformativo della luce, dove i visitatori potranno sperimentare come intensità, temperatura e direzione luminosa influenzino la percezione degli spazi. Light designer, tecnologie smart e corpi illuminanti d’eccellenza daranno vita a un racconto immersivo sull’abitare sensoriale.
Design responsabile e nuovi protagonisti
Expocasa 2025 si apre a nuove visioni e nuovi attori. Tra gli espositori emergenti:
– STØV Vintage Furniture Design, con arredi scandinavi originali degli anni’50-’70, restaurati con cura
– Fantin, che reinterpreta il metallo in chiave sostenibile, con oltre 60 finiture cromatiche
– Memarm, eccellenza torinese nella lavorazione del marmo, impegnata nella produzione a basso impatto ambientale
– La Cassapanca e Vesta Furniture, artigianato alpino e design contemporaneo in dialogo
Giovani talenti e visioni del domani
Grande attenzione anche alle nuove generazioni con la seconda edizione della Design Call. In collaborazione con IAAD, IED, NAD e Politecnico di Torino, saranno selezionati dieci designer under 35, chiamati a immaginare gli spazi abitativi del futuro. Un trampolino di lancio per chi vuole lasciare il segno nel mondo del design.
Un’esperienza immersiva e stimolante
«Expocasa vuole raccontare l’evoluzione dell’abitare attraverso nuovi linguaggi, nuovi protagonisti e nuove sensibilità», afferma Gábor Ganczer, amministratore delegato di GL events Italia. E l’edizione 2025 lo fa con uno sguardo aperto, inclusivo e profondamente contemporaneo, capace di coinvolgere professionisti e pubblico in un dialogo creativo sul vivere di domani.
Le pompe di calore geotermiche rappresentano una soluzione di climatizzazione che sfrutta il calore naturale del sottosuolo per riscaldare e raffrescare gli ambienti, oltre a garantire la produzione di acqua calda sanitaria (ACS).
Questa tecnologia, suddivisa in sistemi aperti e chiusi, consente di abbattere l’impatto ambientale del settore edilizio, favorendo la riduzione dei consumi energetici e delle emissioni di CO₂.
L’economia della geotermia: tra potenzialità e limiti
Nonostante l’Italia sia geologicamente predisposta per lo sfruttamento della geotermia, il suo impiego resta contenuto rispetto ad altre fonti rinnovabili. Nel 2023, la geotermia ha contribuito solo per il 5% alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, contro il 35% dell’idroelettrico, il 26% del solare fotovoltaico e il 20% dell’eolico.
L’energia geotermica ad alta entalpia, utilizzata per la generazione di elettricità, è concentrata in Toscana, dove il calore profondo della terra alimenta turbine per la produzione di energia. Nel settore termico, invece, la geotermia a bassa entalpia viene impiegata per il riscaldamento e raffrescamento di edifici, sfruttando la temperatura costante del suolo a 10-15 metri di profondità.
Pompe di calore geotermiche: come funzionano
Un impianto geotermico si compone di una pompa di calore, un serbatoio di accumulo e, se previsto, un bollitore per l’ACS. Il sottosuolo, a differenza dell’aria esterna soggetta a forti escursioni termiche, mantiene una temperatura stabile, garantendo scambi termici efficienti in ogni stagione.
– In inverno, la pompa estrae calore dal terreno e lo trasferisce all’impianto di riscaldamento.
– In estate, il sistema disperde il calore interno nel sottosuolo, offrendo un raffrescamento naturale .
Tipologie di impianto: sistema aperto e sistema chiuso
Le pompe di calore geotermiche si suddividono in:
– Sistema acqua-acqua (aperto), che preleva il calore dalle acque di falda.
– Sistema terra-acqua (chiuso), che sfrutta il calore naturale del terreno senza prelievo diretto d’acqua.
Grazie alla stabilità termica del suolo, queste soluzioni rappresentano un’alternativa altamente efficiente, con resa elevata indipendentemente dalle condizioni climatiche esterne.
La geotermia a bassa entalpia si conferma una tecnologia ideale per edifici civili, contribuendo alla transizione energetica verso sistemi più sostenibili e innovativi.
Il 10 settembre 2025 è iniziato l’esame parlamentare della proposta di legge delega per la redazione di un nuovo Testo Unico delle Costruzioni, presentata alla Commissione Ambiente della Camera. L’obiettivo è ambizioso: riordinare e semplificare l’intera normativa edilizia italiana, superando le frammentazioni del DPR 380/2001 e adattando le regole alle sfide contemporanee.
La proposta, articolata in tre articoli, affida al Governo il compito di adottare entro sei mesi uno o più decreti legislativi che riorganizzino il settore secondo criteri di sostenibilità, digitalizzazione, sicurezza sismica ed energetica, inclusività e consumo di suolo a saldo zero. Tra le novità attese: la revisione delle categorie di intervento edilizio, l’aggiornamento degli standard urbanistici, il chiarimento sullo stato legittimo degli immobili e una maggiore coerenza tra norme statali e regionali.
Il mondo delle costruzioni guarda con interesse e cautela alla riforma. Ordini professionali e associazioni di categoria chiedono un coinvolgimento tecnico nella stesura dei decreti, mentre emergono interrogativi sui tempi di attuazione, sulle regole transitorie e sulla reale capacità di semplificare le procedure.
Se attuata con visione e competenza, la riforma potrà rappresentare un punto di svolta per la qualità urbana, la certezza normativa e la sostenibilità del patrimonio edilizio italiano.
Quali sono i vantaggi del riciclo degli scarti industriali nell’edilizia?
Riutilizzare gli scarti industriali per creare nuovi materiali da costruzione non è solo una scelta ecologica, ma una strategia concreta per ridurre il volume dei rifiuti destinati alle discariche e abbattere le emissioni di CO₂ derivanti dalla produzione tradizionale. Il settore edilizio, sempre più orientato alla sostenibilità, trova nel riciclo una risorsa preziosa per coniugare efficienza e rispetto ambientale.
I materiali riciclati possono essere impiegati in ogni situazione?
L’uso di materiali riciclati nell’edilizia richiede un’attenta valutazione, affinché le loro prestazioni siano comparabili a quelle dei materiali vergini. Alcuni materiali possono essere destinati a nuove applicazioni diverse da quelle originarie, ma tutto dipende dalla qualità e dalle caratteristiche che conservano dopo il processo di riciclo.
Cosa prevede la normativa sui materiali riciclati?
Non esiste una normativa univoca che regolamenti l’uso dei materiali riciclati nell’edilizia, ma diverse norme tecniche, standard UNI e certificazioni di prodotto forniscono i criteri di riferimento. Il tema è sempre più rilevante, tanto che i Criteri Ambientali Minimi (CAM) impongono che i materiali edilizi contengano almeno una percentuale minima di riciclato, incentivando pratiche costruttive più rispettose dell’ambiente.
Con la conversione in legge del decreto omnibus 2025, il panorama fiscale italiano si arricchisce di nuove misure che spaziano dall’arte alla ricostruzione post-sisma. Tra le novità più rilevanti, spicca la riduzione dell’IVA dal 22% al 5% per le opere d’arte, un intervento pensato per rilanciare il mercato culturale, e la proroga fino al 2026 del Superbonus 110% per gli immobili danneggiati dai terremoti nel Centro Italia.
Durante l’ultimo passaggio parlamentare, il Senato ha ampliato il perimetro dell’agevolazione, includendo anche i comuni colpiti dal sisma del 6 aprile 2009, oltre a quelli già previsti per gli eventi successivi al 24 agosto 2016. La proroga riguarda esclusivamente i territori in cui è stato dichiarato lo stato di emergenza e si applica alle spese sostenute nel 2026, per la parte eccedente il contributo pubblico destinato alla ricostruzione.
Il Superbonus resta accessibile anche attraverso le modalità alternative allo sconto diretto in dichiarazione: sarà possibile optare per lo sconto in fattura o la cessione del credito, grazie alla deroga al blocco prevista dal decreto legge n. 11/2023.
Il provvedimento estende inoltre, fino al 2025 e nel limite di 11,7 milioni di euro, le esenzioni fiscali per imprese e professionisti operanti nella Zona Franca Urbana Sisma Centro Italia, che abbiano subito una significativa riduzione del fatturato a causa degli eventi sismici.
Infine, il decreto proroga fino al 31 dicembre 2025 i lavori del tavolo tecnico istituito presso il Ministero dell’Economia, incaricato di monitorare l’attuazione delle norme sul rimborso delle imposte per i soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che interessò le province di Catania, Ragusa e Siracusa.
Il decreto omnibus 2025 si conferma così uno strumento poliedrico, capace di intervenire su settori diversi con misure mirate e di forte impatto sociale.