Online, nell’apposita sezione del sito delle Entrate “l’Agenzia informa” e su questa rivista, la guida “Ricostruzione post sisma Italia centrale e Superbonus 110%”, che chiarisce aspetti normativi e operativi sulle misure agevolative finalizzate a velocizzare e rafforzare la ricostruzione dei fabbricati danneggiati dagli eventi calamitosi del 2016 e quelli situati nei Comuni in cui è stato dichiarato lo stato di emergenza. Completano il manuale le risposte alle Faq più rilevanti pervenute alla struttura commissariale da parte degli operatori del settore.
A siglare la pubblicazione, il Commissario straordinario ricostruzione sisma 2016 della Presidenza del consiglio dei ministri e l’Agenzia delle entrate.
Frutto di un approfondito confronto, la guida illustra in modo semplice come usufruire dei bonus e spiega nel dettaglio le modalità di applicazione del Superbonus nell’ambito dei progetti di ricostruzione, le procedure per accedervi, la rendicontazione e la modalità di fatturazione degli interventi. In particolare, gli obiettivi principali del nuovo vademecum, introdotto da una prefazione del direttore dell’Agenzia, Ernesto Maria Ruffini, e del Commissario alla ricostruzione, Giovanni Legnini, con il coinvolgimento del Ministero delle Infrastrutture e delle mobilità sostenibili, sono coordinare l’uso combinato del Superbonus e del contributo di ricostruzione concesso dallo Stato, rendendo più efficace l’utilizzo delle cospicue risorse pubbliche stanziate per questi obiettivi, semplificare l’attività dei professionisti e delle imprese, massimizzare i benefici per i cittadini, considerato che il Superbonus spetta ai proprietari degli immobili danneggiati dal sisma per la parte di spesa che non è coperta dal contributo pubblico, a volte insufficiente, ricostruire abitazioni più sicure ed efficienti dal punto di vista ambientale.
Vediamola nel dettaglio.
Il Superbonus si integra con i contributi post sisma
La misura rafforzativa introdotta dal Dl n. 104/2020 prevede che i Comuni danneggiati dagli eventi sismici 2016 possano accedere oltre che ai contributi per la riparazione o ricostruzione degli edifici danneggiati, anche a quelli per il Superbonus 110%.
Come previsto dalla normativa, l’incentivo spetta per la parte eccedente il contributo concesso sugli interventi di riparazione o ricostruzione post sisma.
È possibile, quindi, accedere a entrambi gli istituti con la presentazione di un unico progetto e di un unico computo metrico, ferma restando la chiara riferibilità nell’ambito di tale computo metrico delle spese finanziate con il contributo e quelle eccedenti ammesse al Superbonus.
Il professionista incaricato dal soggetto interessato presenterà l’istanza relativa al contributo per la ricostruzione dell’immobile danneggiato dal sisma e depositerà un unico progetto con la documentazione prevista dalla normativa, dichiarando di voler fruire degli incentivi previsti dal Superbonus per la parte che eccede il contributo concesso dall’ufficio ricostruzione.
La fruizione dei due incentivi è chiaramente condizionata dal rispetto di tutti i requisiti oggettivi e soggettivi richiesti dalle misure sul sisma e del Superbonus previsto dal decreto “Rilancio”.
“Superbonus rafforzato”, una preziosa alternativa
Ampio spazio viene dato nella guida a questo speciale incentivo destinato ai comuni del Centro Italia colpiti dal sisma del 2016/2017, a quelli dell’Abruzzo colpiti dal sisma 2009 e a quelli interessati dagli eventi sismici avvenuti dopo l’anno 2008, nei quali sia stato dichiarato lo stato di emergenza.
Il Superbonus rafforzato rappresenta un’alternativa sia al Superbonus ordinario sia al contributo per la ricostruzione degli edifici danneggiati dal sisma. Nel caso in cui i proprietari rinuncino al contributo, i tetti della spesa ammissibile alle detrazioni Superbonus aumentano del 50%: ad esempio, il tetto di spesa per gli interventi di rafforzamento antisismico passano da 96 a 144 mila euro, quello per gli impianti termici “trainanti” da 30 a 45 mila euro, quello per gli infissi “trainati” da 60 a 90 mila euro per ciascuna unità immobiliare.
Il professionista quindi, al momento della presentazione dell’istanza è obbligato a trasmettere, a mezzo Pec, e contestualmente, alla struttura commissariale, all’Usr (Ufficio speciale ricostruzione) e al comune territorialmente competente, la dichiarazione del proprietario dell’edificio di rinunciare ai contributi per la ricostruzione.
Accesso ai bonus e spese agevolabili
Se il cittadino interessato a fare richiesta di rifacimento dell’immobile danneggiato dagli eventi sismici non lo ha ancora fatto, a mezzo del professionista incaricato, può accedere al contributo depositando un unico progetto per vie ordinarie al Comune territorialmente competente o trasmessa mediante l’applicazione informatica predisposta dalla struttura commissariale alla quale accedono anche i Comuni del cratere. Il Comune acquisisce la documentazione, le asseverazioni previste dalla normativa e avvia il procedimento per l’ottenimento degli incentivi. È possibile, inoltre, accedere alle agevolazioni fiscali anche se i lavori sono in corso d’opera e il soggetto interessato vuole acquistare, tramite una variante al progetto iniziale, dei beni per i quali è consentita la fruizione dei bonus.
La detrazione, inoltre, spetta anche per alcune spese sostenute in relazione agli interventi che beneficiano del Superbonus, (fra cui l’acquisto dei materiali, la progettazione e le altre spese professionali come le perizie e i sopralluoghi, o altri costi strettamente collegati alla realizzazione degli interventi come i ponteggi, smaltimento dei materiali, eccetera), a condizione, tuttavia, che il relativo intervento sia stato effettivamente realizzato.
Interventi in corso d’opera
Come chiarito da un parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, il Superbonus è accessibile anche nel caso in cui i lavori siano già in corso d’opera. In tal caso, le asseverazioni necessarie, normalmente richieste prima dell’avvio dei lavori, devono essere presentate tempestivamente in sede di variante progettuale o come documentazione integrativa nel corso dei lavori.
Completano la guida le risposte a specifici quesiti su casi pratici, come ad esempio, se la piattaforma informatica per le pratiche relative al sisma possa valere anche per quelle del Superbonus, o se può fruire del Superbonus l’edificio adibito a bed&breakfast o ancora se possano rientrare nel regime agevolativo le spese sostenute sulle pertinenze di immobili danneggiati dal sisma 2016.
Fonte: FiscoOggi
No a incertezze e a una proroga a singhiozzo della misura per l’efficienza energetica e messa in sicurezza degli edifici determinante per la crescita economica e l’occupazione
Tutti gli operatori economici e sociali sono in allarme per l’incertezza che avvolge negli ultimi giorni la decisione del Governo sul futuro del Superbonus 110%.
Finora, infatti, non risulta essere pervenuta alcuna conferma ufficiale sulla proroga della misura, che per poter avere un impatto importante in termini di crescita del settore, della sua filiera e di aumento dell’occupazione, necessita di una durata adeguata, indispensabile soprattutto nel caso di interventi complessi come quelli condominiali e inerenti la demolizione e ricostruzione che impiegano anni per essere attuati. Di qui la necessità di prorogare almeno al 2023 tutte le agevolazioni finora previste adottando una netta semplificazione delle norme vigenti. Eventuali decisioni di rimandare l’estensione del Superbonus alla Legge di Bilancio, che si decide solo a dicembre prossimo, come trapelato in queste ultime ore, avrebbe l’effetto certo di rallentare, se non di bloccare i lavori.
Impensabile infatti che famiglie e operatori economici possano programmare investimenti così complessi senza avere fin da ora certezza della durata del beneficio fiscale.
Una decisione che non appare in linea con le intenzioni più volte espresse dal Governo e dalle forze parlamentari di incentivare la spesa e quindi gli investimenti per la crescita. Il Superbonus 110% è infatti finora uno dei principali strumenti di immediato rilancio economico in chiave di sostenibilità e di sicurezza ad oggi operativo. Limitarne la durata e contenerne gli effetti- pari a 1 punto di Pil in più all’anno- è una scelta di retroguardia, non certo ammissibile in questo periodo storico.
comunicato stampa congiunto di
Ance, Federlegno arredo, Alleanza delle cooperative, Anaepa Confartigianato, Cna costruzioni, Casartigiani, Fillea CGIL, Filca Cisl, Feneal Uil, Claai, Confapi Aniem, Anaci, Isi, Oice, Rete professioni tecniche, Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, Federcostruzioni
La stipula del contratto di affitto non determina un mutamento della titolarità del reddito fondiario che resta imputabile al comodante-titolare di diritto reale sull’immobile ceduto in locazione.
In caso immobile concesso in locazione da parte del comodatario il reddito ritratto va imputato al proprietario dell’immobile, cioè al comodante (come se l’avesse affittato personalmente) anche se da lui materialmente non percepito.
Il contratto produce, infatti, solo effetti obbligatori mentre, secondo la legge, resta sempre obbligato il titolare di un diritto reale sull’immobile.
Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 5588 del 2 marzo 2021 che ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate.
La vicenda processuale
Un contribuente impugnava l’avviso con cui l’Agenzia delle entrate aveva accertato l’omessa dichiarazione dei redditi relativa alla locazione di tre immobili concessi in comodato ai figli e da questi locati a terzi.
Il contribuente, precisando che nei contratti di comodato era espressamente prevista la possibilità per il comodatario di concedere a terzi l’uso della cosa, contestava la legittimità dell’accertamento il quale muoveva dalla premessa che il comodante è comunque tenuto a dichiarare i redditi che derivano dalla locazione in base all’articolo 26 del Dpr n. 917/1986; secondo tale disposizione “i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale…per il periodo di imposta in cui si è verificato il possesso”.
La Ctp ha accolto il ricorso e la Ctr ha confermato la decisione rilevando che l’ufficio non aveva fornito alcuna prova certa della natura elusiva dell’operazione posta in essere dal ricorrente con la cessione in comodato ai figli di alcuni beni, che questi avevano poi concesso in locazione a terzi, così evitando al comodante (effettivo locatore) di dichiarare il reddito. Di tale problematica non vi era riferimento alcuno né nell’avviso impugnato né nelle difese svolte dall’ufficio riguardanti unicamente l’interpretazione dell’articolo 26 del Dpr 917/1986, cosicché l’esame di merito era precluso al giudice di appello.
La controversia è così giunta in Cassazione dove l’Agenzia delle entrate ha sostenuto che l’imputazione soggettiva dei redditi fondiari è in funzione del possesso qualificato della titolarità del diritto reale, con la conseguenza che i canoni percepiti per la locazione, concorrono a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà o altro diritto reale.
La pronuncia della Cassazione
La Corte suprema, nell’accogliere il ricorso, ha stabilito che il contratto di comodato, disciplinato dagli articoli 1803 e seguenti del codice civile, produce effetti obbligatori, e non reali, e il comodatario è titolare di un diritto personale di godimento e non di un diritto reale (proprietà o altro). Si tratta, per lo più, di un rapporto di cortesia che, quindi, non genera alcun particolare vincolo giuridico; difatti, il comodatario è un semplice detentore del bene mobile o immobile (cfr Cassazione, n 15877/2013).
Pertanto è il proprietario dell’immobile, quale possessore, sia pure mediato, tenuto al pagamento dell’imposta e non il comodatario, mero detentore della cosa comodata. Il comodatario, infatti, non consegue il possesso dell’immobile, ma la mera detenzione (nell’interesse proprio), che trova titolo in un contratto costitutivo di un diritto personale di godimento e non di un diritto reale. Ne consegue pertanto, ha concluso la Cassazione, che fiscalmente obbligato a dichiarare il reddito fondiario resta solo il titolare di un diritto reale sui medesimi beni.
Questa interpretazione è stata da sempre sostenuta dall’Agenzia delle entrate: con risoluzioni 381/E e 394/E del 2008 si è precisato che la stipula del contratto di locazione da parte del comodatario non determina un mutamento della titolarità del reddito fondiario dal comodante al comodatario che a sua volta stipuli, quale locatore, un contratto di locazione. Il reddito resta imputabile al comodante-titolare di diritto reale sull’immobile ceduto in locazione.
Fonte: FiscoOggi
Vale una sola regola per il contributo per la riduzione del canone di locazione spettante per il 2021 e, abrogati i commi della legge di bilancio, la data spartiacque per i contratti è il 29 ottobre 2020
Intervento all’insegna della razionalizzazione e dello snellimento dei dispositivi normativi, in un settore, quello delle locazioni e degli affitti, storicamente tra i più critici nel panorama italiano. In sostanza, con il nuovo decreto “Sostegni”, la norma sul “Fondo per la sostenibilità del pagamento degli affitti di unità immobiliari residenziali”, prima a cavallo tra due disposizioni, l’articolo 9-quater del decreto “Ristori” e i commi da 381 e 384 dell’articolo 1, della legge di bilancio 2021, trova ora un unico riferimento normativo. Infatti, tra i commi dell’articolo 42 del Dl “Sostegni”, dedicato alle disposizioni finanziarie, è stabilito quanto segue:
al comma 7 si “dispone un incremento di 50 milioni di euro per l’anno 2021 del Fondo per la sostenibilità del pagamento degli affitti di unità immobiliari residenziali di cui all’articolo 9-quater, comma 4, del decreto legge n. 137/2020 (il “Ristori), istituito nello stato di previsione del ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture”
e ancora, al comma 8, sono abrogati “…i commi da 381 a 384 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2020, n. 178 o Legge di Bilancio 2021 concernente i contributi in favore dei proprietari degli immobili che avrebbero ridotto il canone con un’autorizzazione di spesa pari a 50 milioni di euro”.
Cosa comporta questa modifica? In sostanza, è superata la duplicazione normativa che si era creata, facendo così ordine sul bonus. Negli effetti pratici, la norma che resta applicabile, e che farà da riferimento, sarà quindi quella contenuta nell’articolo 9-quater del decreto “Ristori”, mentre è definitivamente soppressa quella prevista successivamente con la legge di bilancio 2021 (commi 381-384, legge n. 178/2020).
Oltre alla novità normative, spazio anche a quelle sostanziali
Optando per la versione del bonus affitti contenuta nel Dl “Ristori”, il decreto “Sostegni” ha un duplice effetto trainante. Infatti, la norma duplicata con la Legge di bilancio 2021, pur riproducendo quasi integralmente quella contenuta nel Dl “Ristori”, in realtà adottava una formulazione più generale di quella dell’articolo 9-quater che espressamente limita lo sconto ai contratti in essere alla data del 29 ottobre 2020, ponendo de facto una condizione temporale predeterminata alla base della potenziale fruizione del bonus. Ma non è l’unica differenza. Una seconda novità da tener presente, è che la norma, come scritta nel Bilancio 2021, a differenza di quella incastonata dall’articolo 9-quater del Dl “Ristori”, non contemplava, come invece lo è ora, l’istituzione nello stato di previsione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di un fondo denominato “Fondo per la sostenibilità degli affitti di unità immobiliari residenziali” con una dotazione di 50 milioni di euro per l’anno 2021. Si tratta di una novità strutturale, non transitoria, almeno nella suo richiamo originario. Ricapitolando, due novità: la tempistica dei contratti per i quali vale il bonus, quelli sottoscritti alla data del 29 ottobre 2020 e, a seguire, l’istituzione d’un fondo ad hoc, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dedicato agli affitti di unità immobiliari residenziali.
L’a, b, c della normativa
Unificato il dispositivo normativo, spieghiamo ora la norma in dettaglio. In primo luogo, è previsto il riconoscimento, per l’anno 2021, al locatore di immobile ad uso abitativo, ubicato in un comune ad alta tensione abitativa, che costituisca l’abitazione principale del locatario e a condizione che quest’ultimo riduca il canone del contratto di locazione, un contributo a fondo perduto fino al 50% della riduzione del canone entro il limite massimo annuo di 1.200 euro per singolo locatore. A tal fine, come detto, è istituito nello stato di previsione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti un fondo ad hoc con una dotazione pari a 50 milioni di euro per l’anno 2021. A questo punto, spetterà all’Agenzia delle entrate, con provvedimento del direttore, individuare le modalità applicative della norma in esame e la percentuale di riduzione mediante riparto proporzionale in relazione alle domande presentate, anche ai fini del rispetto del limite di spesa che, ripetiamo, è fissato a 50milioni di euro per l’anno in corso.
Fonte: FiscoOggi
Previsto, tra l’altro, un determinato “valore” per particolari interventi, realizzati nell’ambito del Superbonus, finalizzati alla stabilità di immobili danneggiati da eventi sismici.
È online, da ieri 30 marzo, sul sito dell’Agenzia, il restyling delle specifiche tecniche utili alla trasmissione telematica del modello per comunicare se si è scelto di optare per la cessione del credito o per lo sconto in fattura, in relazione a interventi di recupero del patrimonio edilizio, efficienza energetica, rischio sismico, impianti fotovoltaici e colonnine di ricarica.
Validate con il provvedimento direttoriale dello scorso 12 ottobre, che ha seguito l’approvazione del modello (vedi articolo “Superbonus 110%: via libera al modello per la cessione o lo sconto in fattura”) sono state aggiornate in primis, per individuare quegli interventi effettuati, nell’ambito del Superbonus, per migliorare la tenuta statica degli edifici danneggiati da eventi sismici, che danno diritto ai raddoppiati limiti di spesa previsti dall’articolo 119 del Dl “Rilancio” (codici 1 e 2, e anche 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 26 e 27 delle istruzioni di compilazione del modello). Per questi, è stato istituito il codice “S”, da inserire nel campo “Tipologia immobile (T/U)” del riquadro contenente i dati catastali. Nel caso di interventi condominiali, la maggiorazione del 50% è applicabile solo se, per tutte le unità immobiliari, è stato indicato il nuovo valore “S” nel campo “Tipologia immobile (T/U)”.
Tra gli altri motivi della rivisitazione, la compilazione della sezione “asseverazione efficienza energetica”. Questa, infatti, nell’ipotesi in cui siano stati effettuati lavori “trainati” per l’installazione di impianti solari fotovoltaici connessi alla rete elettrica o per l’installazione contestuale (o successiva) di sistemi di accumulo integrati negli impianti (codici 19 e 20 delle istruzioni) e siano state barrate le caselle “Superbonus” o “Intervento su immobile con restrizioni edilizie – Superbonus”, è facoltativa, se l’intervento trainante è di tipo sisma-bonus. Confermata, invece, la necessità del visto di conformità.
Ulteriori specificazioni riguardano, per gli interventi condominiali, l’indicazione del codice fiscale del beneficiario che deve essere diverso da quello del condominio e, per l’ “Acquisto, installazione e messa in opera di dispositivi multimediali per controllo da remoto (Sistemi building automation)” (codice 12), il nuovo limite di detrazione per le spese 2021 che è stato fissato a 15mila euro.
Infine, viene specificato che per gli interventi condominiali n. 16 e n. 17, il limite di spesa è pari a 96 mila euro moltiplicato per il numero delle unità immobiliari.
Fonte: FiscoOggi
L’invio in formato elettronico delle fatture di luce, gas, internet e di tutte le utenze domestiche ci permette di alleggerire il portafoglio. Almeno di 36 euro l’anno, ma anche molti di più se abbiamo diverse case. Si tratta, inoltre, di una scelta ecosostenibile e al passo con i tempi. SOStariffe.it ha passato in rassegna i motivi per cui è bene che le bollette cartacee cedano il passo a quelle digitali
È ormai una possibilità offerta da tutti i fornitori. Consente di ricevere le fatture in tempi rapidi, salvaguardare l’ambiente e soprattutto risparmiare in media 36 euro ogni anno, tra bolletta di internet casa, luce e gas. Ricevere le fatture in formato elettronico, inoltre, spesso dà modo di accedere a sconti extra. Il focus dell’ultimo studio SOStariffe.it è sulle bollette digitali e su tutti i vantaggi che derivano dall’addio al vecchio formato cartaceo.
Restare fermi alla carta costa: in media 36 euro l’anno
Se la transizione al formato digitale di bolletta ci spaventa, pensiamo anzitutto ai vantaggi per la tasca. Le compagnie spingono sempre di più per il formato elettronico. Perché? Anzitutto perché inviare una bolletta cartacea tramite posta ordinaria ha un costo.
Possiamo individuarlo nelle condizioni contrattuali e ritrovarlo, per trasparenza, anche nel testo della fattura. Di solito sono 2 euro di commissione aggiuntiva che si aggiungono alla spesa dovuta per ciascuna bolletta, ma ogni operatore stabilisce il costo aggiuntivo.
Se calcoliamo pertanto che un utente medio riceve 18 bollette cartacee l’anno, tra connessione fissa, luce, e gas, in tutto dovrà sborsare circa 36 euro in più solo per vedersi recapitare in formato lettera tradizionale il riepilogo scritto dei propri consumi e dei rispettivi costi.
Ma la cifra può anche salire considerato che le società stanno alzando i costi di invio delle bollette cartacee proprio in funzione deterrente, per convertire gli ultimi nostalgici della carta. Se poi si hanno più proprietà immobiliari allora la cifra si impenna. Il vecchio bollettino cartaceo inviato per posta è destinato a finire in soffitta, travolto dall’innovazione tecnologica.
Una scelta con molti pro e pochi contro
A conti fatti la bolletta digitale è la versione in formato pdf della fattura tradizionale di carta. In genere viene inviata dalla compagnia nella casella di posta elettronica personale, oppure è consultabile online sul sito della compagnia. Se si fa eccezione per gli anziani e per chi non ha un grado minimo di alfabetizzazione digitale, la gran parte dei consumatori oggi dispone di una casella di posta elettronica.
Ovviato l’ostacolo tecnologico, dunque, la bolletta elettronica presenta molti vantaggi: non è possibile perderla, come potrebbe accadere con la carta, e non è soggetta a ingiallimento e usura. Viene recapitata con regolarità ed è sempre reperibile nell’area clienti sul sito della compagnia.
Inoltre, è semplice da conservare nei “cassetti digitali” dei propri device o su un eventuale cloud. Ci sono anche alcune compagnie che per incentivare il passaggio alla bolletta elettronica offrono sconti extra per chi opta per la fattura digitale o vincolano al solo formato di bolletta elettronica i consumatori che attivano alcune offerte.
Spesso, inoltre, le compagnie puntano a promuovere oltre alla bolletta elettronica anche la domiciliazione delle fatture. Una possibilità già attiva da molti anni, ma ancora sconosciuta ad alcuni. Non è altro che la possibilità di addebitare le proprie utenze domestiche direttamente sul proprio conto corrente, una carta di pagamento o una carta conto.
Il versamento diventerà a questo punto un automatismo, una faccenda di cui non preoccuparsi. Non sarà più necessario presentarsi di persona a pagare le fatture, magari accodandosi a lungo davanti a un ufficio postale, poiché l’importo dovuto sarà prelevato in automatico, grazie alla pre-autorizzazione concessa, senza che siano applicati i costi di commissione.
Come attivare la bolletta digitale
Il passaggio alle fatture elettroniche dal vecchio formato cartaceo può avvenire sempre e senza dover sostenere ulteriori costi. Tutte le aziende offrono questa possibilità, a basso impatto ambientale ed economico.
In genere le modalità per farne richiesta dipendono dalla nostra compagnia di riferimento. Avvalendoci dei canali di comunicazione messi a disposizione (negozi fisici, servizio clienti telefonico, apposita sezione nel portale del fornitore o nell’app della compagnia) dunque, sarà possibile effettuare lo switch in tempi rapidi.
Per ricercare i prezzi più bassi per le forniture di casa e tentare di alleggerire il nostro bilancio mensile è sempre possibile utilizzare i tanti strumenti di comparazione SOStariffe.it, grazie ai quali sono stati rilevati alcuni tra i dati di questo studio: https://www.sostariffe.it/
fonte: ufficio stampa SOStariffe.it
Fonte: Consumerismo No Profit
Bonus ed Ecobonus varati dal Governo per sostenere i cittadini durante la pandemia ed aiutare l’economia si sono rivelati un flop totale, riscuotendo basse adesioni da parte dei cittadini, e non va meglio per strumenti quali Cashback e Lotteria degli Scontrini.
Lo denuncia oggi l’associazione dei consumatori Consumerismo No profit, che rende noto un report relativo ai fondi stanziati dal Governo tra il 2020 e il 2021 per i vari incentivi e i numeri sulle somme ad oggi effettivamente utilizzate dai cittadini.
E si scopre che i bonus si sono rivelati, nei fatti, un enorme fallimento: su 9,3 miliardi di euro di previsione di spesa, solo poco più di 1,2 miliardi (il 12,9%) è stato realmente utilizzato dagli italiani.
Si parte col “Bonus Vacanze”, incentivo da 500 euro a famiglia lanciato lo scorso anno in pompa magna dal Governo Conte per sostenere le imprese del turismo in grave crisi a causa del Covid: ebbene ad oggi, stando ai dati ufficiali forniti dal Governo, sono stati generati 1.885.802 bonus, ma di questi solo 771.586 sono stati effettivamente utilizzati – spiega Consumerismo – Questo significa che sui 2,4 miliardi di euro messi a disposizione dallo Stato per il bonus vacanze, solo 829,4 milioni di euro (il 34,5% del totale) sono stati effettivamente spesi dalle famiglie.
Andamento analogo per il “Bonus Pc e tablet”, incentivo (sempre da 500 euro) teso ad aiutare le famiglie ad acquistare strumenti elettronici e connessioni telefoniche: dei 200 milioni di euro stanziati, ad oggi sono stati attivati o prenotati in totale 69,2 milioni di euro, il 34,7% dei fondi a disposizione.
C’è poi il l’ “Ecobonus Auto” – incentivo fino a 10mila euro per l’acquisto di nuove autovetture, variabile a seconda delle emissioni inquinanti – per il quale a marzo 2021 gli italiani hanno utilizzato 344.096.318 euro dei 700 milioni stanziati (il 49,1%).
Il fallimento più grande, tuttavia, è quello relativo all’ “Ecobonus al 110%”, detrazione del 110% delle spese sostenute per gli interventi che migliorano l’efficienza energetica degli edifici e che riducono il rischio sismico: sui 6 miliardi di euro detrazioni previste da Governo e Ance entro fine 2021, a febbraio scorso erano stati raggiunti appena 340 milioni di euro in detrazioni per finanziare 3.100 interventi, il 5,6% rispetto a quanto previsto.
Per quanto riguarda gli altri rimborsi e incentivi istituiti di recente, il “Cashback”, ossia il rimborso delle spese eseguite tramite carte e bancomat, ad oggi vede l’adesione di 8,1 milioni di cittadini, mentre la Lotteria degli Scontrini, per la prima estrazione dell’11 marzo, ha registrato la partecipazione di appena 4 milioni di italiani.
“Il flop di bonus, incentivi ed ecobonus è da ricercare nella eccessiva burocrazia che accompagna tali misure, e procedure macchinose e complesse per accedere ai fondi che scoraggiano milioni di italiani – spiega il presidente di Consumerismo, Luigi Gabriele – I numeri, d’altronde, parlano chiaro: su 9,3 miliardi di euro messi a disposizione dallo Stato tra il 2020 e il 2021, le famiglie ne hanno spesi appena 1,2 miliardi”.
Fondi stanziati 2021 | Fondi utilizzati ad oggi | % fondi utilizzati sul totale | |
Bonus Vacanze | 2,4 miliardi di euro | 829,4 milioni di euro | 34,5% |
Ecobonus al 110% | 6 miliardi di euro (stime a fine 2021) | 340 milioni di euro | 5,6% |
Ecobonus auto | 700 milioni di euro | 344 milioni di euro | 49,1% |
Bonus Pc e tablet | 200 milioni di euro | 69,2 milioni di euro | 34,7% |
TOTALE | 9,3 miliardi di euro | 1,2 miliardi di euro | 12,9% |
Adesioni a marzo 2021 | Adesione sul totale della popolazione | |
Cashback | 8,1 milioni | 13,5% |
Lotteria degli scontrini | 4,092 milioni | 6,8% |
Fonte: elaborazioni Consumerismo No profit su dati Mef, Agenzia delle Dogane, Mise.
Consumerismo No Profit –
La segnalazione ha lo scopo di mettere in guardia il contribuente che potrà evitare l’iscrizione pagando il debito entro 30 giorni.
SINTESI: In tema di preavviso di iscrizione ipotecaria non deriva alcun particolare onere motivazionale in capo all’Agente della riscossione, che, attraverso il preavviso di iscrizione ipotecaria, si limita ad informare il contribuente moroso che, in caso di mancato pagamento entro trenta giorni, si procederà ad iscrizione di ipoteca sull’immobile. Per valutare la legittimità dell’iscrizione ipotecaria, ai sensi degli artt. 76 e 77 del DPR n. 602 del 1973, è sufficiente l’indicazione del valore del credito per cui si procede.
Ordinanza n. 7233 del 15 marzo 2021 (udienza 10 dicembre 2020)
Cassazione civile, sezione VI – 5 – Pres. Greco Antonio – Est. Russo Rita
Preavviso di iscrizione ipotecaria – Non necessita di alcuna particolare motivazione – L’iscrizione è legittima se contiene l’indicazione del valore del credito per cui si procede.
Fonte: FiscoOggi
Alla cessione realizzata dall’ente locale, nell’ambito di un più generale programma di dismissioni pubbliche per esigenze di bilancio deve essere applicata la tassazione ordinaria.
Con l’ordinanza n. 1899 del 28 gennaio 2021, la Corte di cassazione, nel respingere il ricorso del contribuente, ha confermato la legittimità dell’operato dell’Agenzia delle Entrate, che aveva disconosciuto, in relazione a un atto di trasferimento immobiliare, la spettanza del regime agevolativo di cui all’articolo 32 del Dpr n. 601/1973.
In particolare, già in esito al giudizio di primo grado, la competente Commissione tributaria provinciale aveva dichiarato legittimo l’avviso di liquidazione relativo all’atto di compravendita, in ragione del fatto che tale atto non poteva beneficiare dell’imposta di registro in misura fissa e dell’esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale, di cui al richiamato articolo 32.
Anche la competente Ctr, nel confermare in appello l’esito del giudizio di primo grado, negava le agevolazioni, in quanto l’atto di compravendita non risultava posto in essere per l’attuazione di programmi pubblici di edilizia residenziale, di cui all’articolo 32, avendo il Comune ceduto l’immobile per esigenze finanziarie.
La Corte suprema, nella pronuncia in commento, delinea il quadro normativo vigente in materia.
In particolare, il menzionato articolo 32 del Dpr n. 601/1973, al comma 2, prevede l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa e l’esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale per gli “…atti di trasferimento della proprietà delle aree previste al titolo III della legge (n. 865/1971) e gli atti di concessione del diritto di superficie sulle aree stesse…”.
Lo stesso trattamento di favore si applica in relazione “agli atti di cessione a titolo gratuito delle aree a favore dei comuni o loro consorzi nonché agli atti e contratti relativi all’attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale di cui al titolo IV della legge (n. 865 del 1971)”.
Con la previsione di interpretazione autentica recata dall’articolo 1, comma 58, della legge n. 208/2015, a mente della quale “…l’ articolo 32, secondo comma del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, si interpreta nel senso che l’imposta di registro in misura fissa e l’esenzione dalle imposte ipotecarie e catastali si applicano agli atti di trasferimento della proprietà delle aree previste al titolo III della legge 22 ottobre 1971, n. 865, indipendentemente dal titolo di acquisizione della proprietà da parte degli enti locali”, il legislatore ha disposto l’applicazione del trattamento di favore agli atti di trasferimento indicati, a prescindere dal titolo di acquisizione delle aree da parte del Comune, anche laddove la stessa, invece che tramite una procedura espropriativa, avvenga con una ordinaria compravendita stipulata in regime di diritto privato.
In materia di programmi pubblici di edilizia residenziale, l’articolo 48 della legge n. 865/1971 stabilisce che “nel triennio 1971-1973, i programmi pubblici di edilizia residenziale, di cui al presente titolo, prevedono: la costruzione di alloggi destinati alla generalità dei lavoratori…” e al successivo articolo 50 che “nei comuni che abbiano provveduto alla formazione dei piani di zona ai sensi della legge 18 aprile 1962, n. 167, le aree per la realizzazione dei programmi pubblici di edilizia abitativa previsti dal presente titolo sono scelte nell’ambito di detti piani”.
La nozione di edilizia residenziale pubblica, richiamata dall’articolo 32 del Dpr n. 601/1973, è stata individuata dapprima dall’articolo 1, comma 2, del Dpr n. 1035/1972 e successivamente dall’articolo 1, comma 1, della legge n. 560/1993, che in materia di alienazione ha ricompreso, tra gli alloggi di edilizia residenziale pubblica “quelli acquisiti, realizzati o recuperati, ivi compresi quelli di cui alla legge 6 marzo 1976, n. 52, a totale carico o con concorso o con contributo dello Stato, della regione o di enti pubblici territoriali, nonché con i fondi derivanti da contributi dei lavoratori ai sensi della legge 14 febbraio 1963, n. 60, e successive modificazioni, dallo Stato, da enti pubblici territoriali, nonché dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) e dai loro consorzi comunque denominati e disciplinati con legge regionale”.
Ciò premesso, la Corte sottolinea che il regime di favore, di cui all’articolo 32, comma 2, del Dpr n. 601/1973, si applica agli atti e contratti relativi all’attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale, che possono articolarsi con diverse modalità e che risultano prevalentemente finalizzati alla costruzione (o ristrutturazione) di alloggi destinati a soddisfare bisogni di classi sociali disagiate, con riferimento al bene primario della propria abitazione o comunque finalizzati a favorire direttamente o indirettamente la soddisfazione di tali bisogni.
In base alle disposizioni recate dagli articoli 50 e 51 della legge n. 865/1971, tali programmi devono essere realizzati nelle aree comprese nei piani di zona, se il Comune li ha già formati ovvero, in mancanza, nelle aree indicate dal Consiglio comunale, nell’ambito delle zone destinate all’edilizia residenziale dai piani regolatori generali e dai programmi di fabbricazione.
La Cassazione ha pertanto ribadito che, in ragione della natura agevolativa rivestita dall’articolo 32, che richiede una stretta interpretazione, va esclusa l’applicazione del regime di favore in esame per tutti quegli atti e contratti che, benché relativi al settore dell’edilizia economica e popolare, non riguardino in via diretta e immediata l’attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale.
La Corte quindi condivide le conclusioni cui è pervenuta la competente Ctr, laddove ha negato la spettanza del regime di favore, avendo riscontrato l’estraneità di tale finalità nell’atto di compravendita oggetto di accertamento.
Al riguardo, fa notare che la cessione, in relazione alla quale il contribuente invoca l’applicazione del regime di favore, è stata posta in essere da parte di un Comune nell’ambito di un più generale piano di dismissioni pubbliche per esigenze di bilancio e non al fine di attuare un programma pubblico di edilizia residenziale.
Fonte: FiscoOggi.it