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Investire in immobili per garantirsi una rendita

Come ormai risaputo, quello italiano è un popolo di risparmiatori e proprietari di case. In particolare di seconde case. Case, dunque che non vengono abitate direttamente dal proprietario, ma che vengono acquistate per ricavarne un reddito immettendole nel mercato degli affitti.

I numeri forniti dall’Agenzia delle Entrate rivelano che ammonta a 5.556.340 il numero di case “a disposizione”, il 17,2% del totale delle abitazioni. Rivelano inoltre che il 18% degli italiani ha almeno una seconda casa e che il 15,2% della popolazione ha una seconda abitazione che utilizza solo per le vacanze.
I dati degli ultimi studi del gruppo Tecnocasa dicono che nel 2021 il 42% delle transazioni immobiliari avvenute ha riguardato proprio l’acquisto di una seconda proprietà, con più di 270 mila abitazioni scambiate su un totale di 628.317.

Gli studi del gruppo Tecnocasa, inoltre, rivelano che nel 32% degli acquirenti di immobili ha un’età compresa tra i 45 e i 54 anni; mentre gli acquirenti di età compresa tra i 35 e i 44 anni, rappresentano il 27,7% del volume totale. Il 70% di chi ha comprato per investire è sposato e il 29% lavora come dirigente, imprenditore o libero professionista; gli impiegati sono 26,5%, seguiti da pensionati (14,8%).
Chi compra per investire, e quindi per mettere a reddito, sceglie soprattutto la tipologia di immobile più richiesta dal mercato, ovvero il bilocale, con il 34,4% delle scelte, soprattutto nel centro delle grandi città, insieme al trilocale, che arriva al 26,4% delle scelte degli acquisti degli investitori. Chi compra per investimento non si rivolge al mercato del mutuo, ma lo fa prevalentemente con propri fondi diretti (81,3%), mentre solo il 18,7% degli investitori ricorre al credito bancario.
Indicativamente, il guadagno lordo di un investitore immobiliare si aggira intorno ai 600 euro al mese (7.200 euro annui), che salgono di molto per bilocali situati nel centro nelle grandi città o per immobili condivisi da studenti o lavoratori, mentre scendono per piccoli centri o per la periferia. Questo introito deve poi essere moltiplicato per il numero di immobili che si mettono a reddito.
Questo tipo di investimento, se sostenuto senza ricorrere a prestiti bancari, porta da subito ottimi introiti.

La differenza tra domicilio e residenza

I concetti di domicilio e residenza, anche se spesso vengono sovrapposti, hanno significati diversi e rilevanza giuridica autonoma. L’articolo 43 del Codice civile stabilisce che “il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi”. Invece la residenza coincide con il “luogo in cui la persona ha la dimora abituale”.
Residenza e domicilio possono anche coincidere.
La residenza coincide con la dimora abituale del soggetto in un dato luogo (e deve essere fissata per legge). Il domicilio coincide con il luogo in cui una persona, in un determinato momento e senza abitualità, abita o permane (ad esempio per svolgere la sua vita professionale e lavorativa o per trascorrere le vacanze estive).
Mentre il domicilio assume rilievo giuridico solo quando non è nota la residenza, quest’ultima assume rilievo per una serie di servizi e atti, come il rilascio di certificati anagrafici e l’accesso ai servizi demografici, l’iscrizione nelle liste elettorali, l’individuazione del luogo in cui vanno rilasciati determinati atti, la determinazione delle competenze giudiziarie, la pubblicazione e la celebrazione del matrimonio.

Affittare casa senza correre rischi

Trovare casa in affitto rappresenta sempre di più un problema. Tra i tanti motivi, come l’aumento dell’inflazione e dei mutui, c’è anche il timore dei proprietari di inadempienze, danni, morosità nei pagamenti che spesso inducono a lasciare la casa sfitta o a scegliere vie meno impegnative come l’affitto breve. Una situazione emergenziale che ha indotto sempre più amministrazioni comunali a cercare una soluzione, in attesa, forse, anche di una legge nazionale che intervenga sul tema della tensione abitativa.

Una risposta immediata la offre SoloAffitti, il network immobiliare leader per l’affitto con oltre 300 punti in Italia che, forte della sua esperienza sul campo, ha messo a punto un sistema capace di garantire il reddito da locazione, rendendo il processo di affitto, digitale, facile, sicuro che tutela il proprietario e agevola l’inquilino virtuoso.

Spiega Silvia Spronelli, Ceo del Gruppo SoloAffitti: “In oltre 25 anni di attività, abbiamo sviluppato una grande competenza specialistica in ambito di locazione, fondata sulla gestione della rendita dei patrimoni immobiliari e su 1 milione di nuove transizioni all’anno. Ed è sulla base della nostra esperienza che, primi su tutti, abbiamo messo a punto un sistema unendo le conoscenze in ambito normativo e fiscale del nostro team di esperti – che risponde ogni anno a più di 6.000 richieste di consulenza – e le competenze informatiche del nostro partner digitale”.

Il risultato è la prima piattaforma in Italia ad avere interamente digitalizzato il processo di locazione semplificando e velocizzando l’intero percorso di affitto. La piattaforma agisce su tutte le tipologie di contratto abitativo offrendo al proprietario il grande vantaggio della certezza di ricevere, sempre (tutti i mesi, lo stesso giorno per tutta la durata del contratto), il pagamento del canone perché l’inquilino finanziario (cioè chi paga effettivamente il canone) è il Gruppo SoloAffitti (che si fa carico dei ritardi di pagamento, insolvenze ed eventuali spese legali).

Con questo sistema innovativo, anche l’inquilino avrà i suoi vantaggi che si riassumono nella certificazione di SoloAffittiPAY.it che elimina lungaggini e frustrazioni a chi cerca casa. Infatti, il potenziale inquilino si interfaccia con la piattaforma che su criteri oggettivi (e non soggettivi) accerta la solvibilità all’inizio del percorso di ricerca, nel rispetto totale della privacy senza dover più condividere i propri dati sensibili con chiunque. L’inquilino riceve un certificato con l’indicazione del budget massimo di spesa mensile compatibile con la sua redditualità.

“In Italia, ci sono 12 milioni di case di cui più della metà risultano essere vuote e disponibili – sottolinea Silvia Spronelli – sollevare il proprietario dalla burocrazia e dal pensiero della morosità è un grande stimolo per far ripartire il mercato”.
Uno dei plus della piattaforma SoloAffittiPAY.it è proprio la possibilità per il proprietario di calcolare con pochi click il canone del proprio immobile e scoprire quale combinazione tra tipologia di contratto, tipologia di canone e formula fiscale è quella per lui più favorevole dal punto di vista economico. Con la facilità di farlo in pochi minuti, dallo smartphone o dal computer, comodamente seduto sul divano di casa.

Inoltre, SoloAffittiPAY.it digitalizza l’affitto anche con il supporto di professionisti fisici per offrire la migliore sinergia tra mondo tecnologico e reale. Il proprietario che decide di affittare il proprio immobile attraverso la piattaforma potrà infatti scegliere se farlo in maniera completamente digitale (dal divano di casa, appunto), oppure se farsi supportare da un professionista in persona nella figura del Rental Property Manager che opera nei punti SoloAffitti presenti in tutta Italia.

Fonte: Comunicato stampa

I tempi per la locazione degli immobili sul mercato

indagine affitti

L’Ufficio studi di Locare ha esaminato l’offerta di immobili in affitto, partendo dai dati pubblicati dai principali portali immobiliari italiani. Li ha quindi integrati nei propri database per costruire un quadro della situazione nelle principali città italiane, da Nord a Sud. Obiettivo del lavoro realizzato è capire quanto può rimanere sul mercato immobiliare un appartamento prima che conduttore e locatore concludano le trattative e firmino il contratto. Dallo studio è emerso che Bologna è la città più dinamica, mentre a Napoli per affittare oltre la metà delle case in offerta servono più di tre mesi.

Torino
Nel capoluogo piemontese il 24 per cento delle soluzioni in affitto rimane attivo soltanto per una settimana. Quasi metà dell’offerta (circa il 44 per cento), infatti, incontra la domanda in un periodo di tempo che varia da quindici giorni a un mese, il 18 per cento da un mese fino a tre e il restante 12 per cento non viene fittato prima dei tre mesi di permanenza sulle piattaforme.

Bologna
Tra tutte, Bologna è la città più dinamica in quanto a rapidità di affitti. Quasi la metà degli annunci (48 per cento) di case in affitto viene cancellato sul mercato allo scadere della prima settimana di pubblicazione dell’annuncio. Il 33 per cento dei proprietari ha bisogno di un tempo compreso tra otto giorni e un mese per chiudere l’accordo, mentre minima è la percentuale di immobili in offerta per più di un mese (9 per cento) e per oltre tre (10 per cento).

Roma
Nella capitale un terzo degli immobili in affitto (circa il 32 per cento) viene assorbito dal mercato in una settimana al massimo. Tempi più dilatati, compresi tra una settimana e un mese dalla prima pubblicazione dell’annuncio, per un buon 35 per cento. Cifre minori, infine, per gli appartamenti fittati dal secondo mese di pubblicazione fino al terzo e per quelli che non trovano inquilini per più di tre mesi, rispettivamente il 15 e il 18 per cento.

Milano
Anche Milano, come Roma, sembra particolarmente dinamica sul fronte dei tempi di locazione: il 35 per cento degli annunci di case in affitto ha un turnover massimo di una settimana, il 40 per cento viene locato dalla seconda settimana fino a un mese, mentre quelli che rimangono in offerta per più di un mese (e fino a tre) e oltre tre mesi rimangono il 7 e il 18 per cento.

Napoli
A Napoli, il 49 per cento delle unità immobiliari richiede oltre tre mesi per lasciare il mercato degli affitti. Scarsi, invece, i numeri relativi alle case affittate in massimo sette giorni (20 per cento del totale), dalla seconda settimana fino a un mese (16 per cento) e oltre un mese, fino a tre (15 per cento).

Fonte: Comunicato Stampa

L’esenzione dal pagamento del canone Rai 2023

Come per gli anni precedenti, anche per il 2023 il canone Rai deve essere pagato da tutti coloro che possiedono in casa un televisore oppure un apparecchio che consente la ricezione dei canali televisivi.
L’importo della tassa annuale per l’abbonamento è di 90 euro, e anche per quest’anno sarà addebitato direttamente sulla bolletta dell’energia elettrica, come confermato dal Ministero dell’Economia, nonostante le richieste di abolizione.
Non tutti però sono obbligati al pagamento e anche nel 2023 saranno in vigore specifici esoneri.
Chi dichiara di non avere alcun televisore in casa è esentato dal pagamento. Non deve però disporre di apparecchi in nessuna delle abitazioni ad uso domestico residenziale in cui è attiva un’utenza elettrica a suo nome.
Le altre categorie per cui si applica l’agevolazione sono:
– gli anziani con più di 75 anni con un reddito inferiore a 8.000 euro;
– i militari delle Forze Armate Italiane: ospedali militari, Case del soldato e Sale convegno dei militari delle Forze armate. Attenzione: se un membro delle Forze Armate si trova in un appartamento privato situato all’interno di una struttura militare non è esonerato dal pagamento del canone;
– i militari di cittadinanza straniera appartenenti alle Forze Nato;
– gli agenti diplomatici e consolari: solo per quei Paesi per cui è previsto lo stesso trattamento per i diplomatici italiani;
– i rivenditori e negozi in cui vengono riparate TV.

Esenzione canone Rai anziani over 75 anni: limiti di reddito e domanda
L’esenzione dal canone Rai 2023 per gli anziani si applica a tutti i contribuenti in possesso di specifici requisiti che non sono cambiati rispetto agli anni passati:
– almeno 75 anni d’età;
– reddito non superiore ad 8.000 euro.
Ai fini dell’esenzione dal canone Rai 2023, il limite di reddito va considerato calcolando sia le somme percepite dal soggetto richiedente sia dal coniuge.
Inoltre, questa si applica solamente nel caso in cui l’anziano non conviva con altri soggetti titolari di reddito proprio, oltre al coniuge. Sono esclusi dal requisito gli anziani che hanno assunto collaboratori domestici, colf o badanti.
Per poter beneficiare dell’esonero dal pagamento del canone Rai 2023 in bolletta, gli interessati dovranno presentare la domanda entro due precise scadenze:
– 30 aprile 2023, esonero per l’anno intero (poiché cade di domenica il termine slitta al 2 maggio);
– 31 luglio 2023, esonero per il secondo semestre dell’anno.
Nonostante la scadenza del 30 aprile, i richiedenti che intendono presentare la domanda per l’esonero annuale devono aver compiuto i 75 anni d’età entro il 31 gennaio 2023.
Nel caso in cui il requisito d’età dovesse essere raggiunto entro il 31 luglio 2023, invece, l’esonero spetterà solo per il secondo semestre.
Chi ha già inviato la domanda l’anno scorso non dovrà inviarla di nuovo.

Esenzione canone Rai 2023: disdetta per chi non ha TV in casa
Chi non ha una televisione in casa e, quindi, non usufruisce del servizio può essere esonerato dal pagamento del canone Rai 2023.
Nonostante sia assunto il possesso di una TV da parte di tutti gli intestatari di utenza ad uso domestico residenziale, è possibile presentare la richiesta per la disdetta.
Anche in questo caso sarà necessario presentare la domanda all’Agenzia delle Entrate, utilizzando il modulo di dichiarazione di non detenzione di apparecchio televisivo e compilando il quadro A.
Pertanto, possono disdire l’abbonamento alla televisione ed evitare di pagare il canone Rai tutti i contribuenti che non possiedono apparecchio televisivi in casa anche se sono intestatari di utenze di energia elettrica per uso domestico residenziale.

Disdetta canone Rai 2023: tutte le scadenze per le domande di esenzione
Chi ha intenzione di cancellare l’abbonamento alla televisione e smettere di pagare il canone Rai nel 2023 perché non ha una TV in casa, dovrà presentare l’apposito modulo di domanda entro specifiche scadenze.
Per beneficiare dell’esonero per tutto l’anno, la richiesta va presentata entro il 31 gennaio dell’anno di riferimento, quindi in questo caso del 2023.
Nel caso in cui si saltasse la scadenza, sarà comunque possibile usufruire dell’esonero, ma solamente per il secondo semestre dell’anno. In questo caso la domanda va inviata entro il 30 giugno 2023.
La dichiarazione sostitutiva (Quadro A) va presentata ogni anno se si continua a non possedere un apparecchio televisivo.

Esenzione canone Rai 2023: le istruzioni per fare domanda
La domanda di esonero dal pagamento in bolletta del canone Rai 2023 deve essere presentata direttamente dal soggetto a cui è intestata l’utenza elettrica.
Il quadro A del modulo dell’Agenzia delle Entrate compilato in ogni sua parte dovrà essere presentato online sul sito dell’Agenzia delle Entrate oppure potrà essere inviato tramite PEC all’indirizzo “cp22.sat@postacertificata.rai.it”.
In alternativa, è possibile inviare la domanda di esenzione tramite una raccomandata all’indirizzo:
“Agenzia delle entrate – Direzione Provinciale I di Torino – Ufficio Canone TV – Casella postale 22 – 10121 Torino”

Esenzione canone Rai 2023 e nuova utenza: come si chiede
Chi dovesse attivare una nuova utenza elettrica durante l’anno senza possedere un apparecchio per la ricezione del segnale televisivo potrà comunque presentare la domanda di esonero dal pagamento del canone Rai 2023.
Potrà farlo entro la fine del mese successivo a quello di attivazione della fornitura. Così facendo il canone Rai non sarà addebitato in bolletta.
In caso contrario sarà possibile presentare domanda di rimborso.

Esenzione per la seconda casa: come evitare il doppio addebito
Il canone Rai 2023 non va pagato sulla seconda casa. Il pagamento, infatti, va effettuato una sola volta per ogni nucleo familiare in cui è presente una fornitura elettrica.
L’esonero dal versamento dei 90 euro di canone si applica, quindi, anche nel caso in cui nella stessa famiglia due soggetti fossero titolari di due bollette. Per disdire l’abbonamento, anche in questo caso, bisogna presentare il modello di domanda secondo le modalità ordinarie.

Per ulteriori dettagli, si consiglia di seguire le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate in merito agli esempi di compilazione della dichiarazione sostitutiva.

Bonus edilizi e certificazione SOA

Dopo la pubblicazione della legge 38/2023 che ha introdotto alcune novità in materia di Superbonus e bonus edilizi, l’Agenzia delle Entrate ha emanato la Circolare n. 10/E del 20 aprile 2023 avente ad oggetto “Qualificazione delle imprese per l’accesso ai benefici di cui agli articoli 119 e 121 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 – Articolo 10-bis del decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21 – Certificazione SOA”, attraverso la quale ha fornito ulteriori chiarimenti sulle modifiche previste dall’art. 2-ter in riferimento all’obbligo della certificazione SOA, disciplinata dall’articolo 84 del Codice dei contratti pubblici del 2016.
L’Attestazione SOA è una certificazione che qualifica le imprese ad appaltare lavori di importo rilevante e per i quali è possibile fruire di agevolazioni fiscali. Sostanzialmente la SOA garantisce il possesso da parte dell’impresa di tutti i requisiti previsti dall’attuale normativa in ambito di Contratti Pubblici di lavoro ed è stata creata con l’obiettivo di contrastare le frodi in ambito di riqualificazione del patrimonio edilizio.
La novità è che mentre prima l’obbligo di Attestazione SOA era previsto solo negli appalti pubblici e per i lavori di ricostruzione nelle aree colpite dal sisma, adesso l’Attestazione SOA è diventata obbligatoria anche per i lavori privati per i quali si intende fruire di Superbonus o altri bonus edilizi di importo superiore a 516.000 euro.
Difatti, in merito a tale obbligo, la Circolare n. 10/E del 20 aprile 2023 chiarisce che: “A decorrere dal 1° gennaio 2023 e fino al 30 giugno 2023, ai fini del riconoscimento degli incentivi fiscali, di cui agli articoli 119 e 121 del Decreto Rilancio, l’esecuzione dei lavori di importo superiore a 516.000 euro deve essere affidata a:
a) imprese in possesso, al momento della sottoscrizione del contratto di appalto ovvero, in caso di imprese subappaltatrici, del contratto di subappalto, della occorrente certificazione SOA, ai sensi dell’articolo 84 del Codice dei contratti pubblici;
b) imprese che, al momento della sottoscrizione del contratto di appalto ovvero, in caso di imprese subappaltatrici, del contratto di subappalto, documentano al committente ovvero all’impresa subappaltante l’avvenuta sottoscrizione di un contratto finalizzato al rilascio della predetta certificazione.”
Inoltre, dal 1° luglio 2023, quindi al termine di questa fase transitoria, per poter beneficiare dei citati incentivi fiscali, l’esecuzione dei lavori di importo superiore a 516.000 euro deve essere affidata esclusivamente alle imprese in possesso, al momento della sottoscrizione del contratto di appalto o subappalto, della certificazione SOA.
Riguardo la decorrenza dell’obbligo di certificazione SOA, la Circolare chiarisce che per i lavori in corso di esecuzione al 21 maggio 2022 e per i contratti stipulati prima di tale data, ai fini della fruizione di Superbonus e altri bonus edilizi, non è richiesto il rispetto delle condizioni previste dai commi 1 e 2 dell’articolo 10-bis, ovvero avvio procedura SOA e attestazione SOA, anche successivamente al 1° luglio 2023.
Diversamente, per i contratti di appalto e subappalto stipulati a decorrere dal 21 maggio 2022 e fino al 31 dicembre 2022, relativi a lavori che si protraggono oltre il 31 dicembre 2022, è necessario, sempre ai fini del riconoscimento degli incentivi fiscali, acquisire la certificazione SOA, per lavori di importo superiore a 516.000 euro o, almeno, documentare l’avvenuta sottoscrizione di un contratto finalizzato al rilascio dell’attestazione. A tal proposito, l’Agenzia chiarisce che: “Per i suddetti contratti, secondo quanto previsto nell’articolo 2-ter, comma 1, lettera d), n. 1), del d.l. n. 11 del 2023 le “condizioni SOA” si considerano soddisfatte se la titolarità della occorrente qualificazione SOA o del contratto stipulato con l’ente certificatore per il suo rilascio avviene entro il 1° gennaio 2023 e non necessariamente già alla data di sottoscrizione del contratto di appalto o subappalto, considerato che la norma richiede tali condizioni a decorrere dal 1° gennaio 2023.”
Per quanto concerne i contratti di appalto e subappalto stipulati a decorrere dal 1° gennaio 2023, al momento della stipula del contratto stesso è necessaria la certificazione SOA o l’avvenuta sottoscrizione di un contratto finalizzato al rilascio dell’attestazione. Anche in questo caso la detrazione relativa alle spese sostenute a decorrere dal 1° luglio 2023 è subordinata al rilascio dell’attestazione.
Riguardo l’ambito applicativo, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che le condizioni SOA riguardano sia la fruizione della detrazione e sia l’esercizio delle opzioni sconto in fattura e cessione del credito, relative a Superbonus e agli altri bonus edilizi.
Le condizioni SOA non sono applicabili, invece, alle spese riguardanti l’acquisto delle unità immobiliari in edifici ristrutturati da imprese (art. 16-bis, co. 3, del TUIR) e quelle legate al Sismabonus acquisti (art. 16, co. 1-septies, del D.L. n. 63/2013).
Infine, la Circolare specifica anche che il riferimento all’esecuzione di lavori di importo superiore a 516.000 euro si deve intendere al netto dell’IVA e il limite di 516.000 euro deve essere calcolato considerando singolarmente ciascun contratto di appalto e ciascun contratto di subappalto.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

UNI in arrivo per l’illuminazione interna ed esterna

lampadina spenta

E’ terminata lo scorso 31 gennaio l’inchiesta pubblica preliminare sull’ UNI UNI1612060, relativa alla qualità dell’illuminazione interna ed esterna: “Approccio metodologico alla realizzazione o riqualificazione degli impianti di illuminazione elettrica per esterni e interni – Individuazione di criteri e parametri qualitativi“.
Il documento allo studio fornisce indicazioni metodologiche e tecnico-operative relative alla realizzazione o riqualificazione di un impianto di illuminazione elettrica per ambienti interni ed esterni, con individuazione di criteri e parametri qualitativi.
Si analizzano gli aspetti e le soluzioni progettuali che concorrono in modo integrato e complesso nel processo per la realizzazione/riqualificazione e gestione dell’impianto al fine di garantire il coordinamento degli aspetti funzionali, tecnologici, ambientali, di sostenibilità, di efficienza energetica, di gestione intelligente, nonché percettivi, nell’ottica di promuovere la qualità degli impianti.
La UNI1612060 nasce dalla necessità di riqualificazione degli impianti.
L’illuminotecnica si occupa della corretta illuminazione degli spazi interni ed esterni, ecco perché assume assoluto rilievo uno studio corretto in merito, al fine del buon posizionamento e utilizzo del numero di lampade che servono per la realizzazione di una illuminazione adeguata ed ottimizzata ad una buona fruizione degli spazi progettati.

Bollette luce e gas e studi professionali

Gli studi professionali che rientrano nelle categorie PMI e partite IVA dal 1° aprile 2023 hanno dovuto fare il loro ingresso nel mercato libero dell’energia, non potendo più accedere alle tariffe incluse nel mercato tutelato.
I professionisti, anche nel caso in cui condividano lo studio con altri colleghi, possono dedurre dalle tasse una quota delle bollette di luce e gas.

In linea generale le spese legate alle bollette di gas e luce possono essere deducibili ai fini IRPEF, nonché detraibili ai fini IVA, a patto che:
– le bollette riportino i dati del professionista, nonché l’indicazione del suo numero di partita IVA. Non è possibile, infatti, portare in deduzione il costo ai fini IRPEF, ovvero procedere alla detrazione dell’IVA, nei casi in cui le bollette riportino unicamente il codice fiscale del professionista;
– la deduzione IRPEF, nonché la detrazione IVA, saranno al 100%, qualora sia riferita allo studio professionale, quindi, spese inerenti. Viene fatta eccezione in caso di indeducibilità e indetraibilità soggettiva come nel caso dei contribuenti forfetari di cui alla Legge n. 190/2014; ovvero, con riferimento all’IVA i casi in cui la stessa per pro-rata di indetraibilità sia totalmente o parzialmente indetraibile – ad esempio per soggetti che pongono in essere operazioni esenti IVA quali i medici;
– nel caso in cui il professionista abbia un contratto delle utenze per uso promiscuo (abitazione e studio) potrà dedurre le spese al 50% indipendentemente dalle dimensioni dell’appartamento o da quante persone vi abitano.

Nel caso in cui più professionisti condividano le spese dello studio professionale, colui che supporta il costo complessivo deve poi ridistribuisce l’onere pro quota ai colleghi. Nel ri-addebitare la spesa, il professionista dovrà emettere nei loro confronti apposita fattura. Per trattare tali ri-addebiti, si deve fare riferimento ai chiarimenti dell’Amministrazione finanziaria. È pertanto necessario precisare che:
– con la CM n. 58/E del 18 giugno del 2001 è stato chiarito che il r-iaddebito, da parte di un professionista, delle spese comuni dello studio utilizzato da più professionisti non costituiti in associazione professionale, da lui sostenute, deve essere realizzato attraverso l’emissione di fattura assoggettata ad IVA. Ai fini reddituali, le somme rimborsate dagli altri utilizzatori comportano una riclassificazione in diminuzione del costo sostenuto dal professionista intestatario dell’utenza;
– la CM n. 38/E del 23 giugno 2010 ha, inoltre, precisato che ai fini reddituali le somme incassate per il ri-addebito dei costi ad altri professionisti per l’uso comune degli uffici non costituisce reddito di lavoro autonomo e quindi non rileva quale componente positivo di reddito. In tal caso, è corretto ritenere che il costo sostenuto può essere dedotto dal professionista solo parzialmente, vale a dire per la parte riferibile alla attività da lui svolta e non anche per la parte ri-addebitata o da ri-addebitare ad altri. Infatti, la parte di costo ri-addebitata o da ri-addebitare non è inerente alla attività da questi svolta e quindi non assume rilevanza reddituale quale componente negativo. Nella imputazione delle componenti reddituali al periodo d’imposta il reddito di lavoro autonomo segue il criterio di cassa, principio che può essere derogato solo nelle ipotesi previste. Pertanto, il costo rimborsato al professionista dal collega per l’uso comune del locale di esercizio dell’attività nel periodo d’imposta successivo non può considerarsi rilevante ai fini reddituali per il professionista che lo riceve. Detto componente sarà invece rilevante per il professionista (collega), nel periodo d’imposta in cui effettivamente lo corrisponde per l’uso dei locali.

Nei casi in cui il ri-addebito avvenga tra professionisti che agiscono in regime forfettario, in considerazione del fatto che tali contribuenti non applicano IVA in fattura, non possono neppure dedurre i costi inerenti all’attività.

Agenzie immobiliari, consultazione online delle planimetrie

Da fine giugno anche gli agenti immobiliari potranno accedere telematicamente ai dati e alle planimetrie catastali degli immobili. Questa è la risposta che ha ricevuto la Fimaa – Federazione Italiana Mediatori Agenti d’Affari – dopo aver avviato un lungo confronto con l’Agenzia delle Entrate, incaricata di aggiornare l’elenco dei soggetti abilitati e di attivare il servizio.
L’Agenzia delle Entrate, in risposta a una precisa richiesta formulata dalla Fimaa, ha precisato di aver già effettuato le verifiche funzionali della piattaforma e che gli agenti immobiliari potranno accedere alla modalità definitiva di consultazione nel giro di alcune settimane.
La Federazione ricorda di essersi sempre battuta per consentire che anche gli agenti immobiliari – al pari di altre categorie professionali – potessero consultare le planimetrie catastali del patrimonio immobiliare. Aveva in particolare depositato delle memorie sia nell’ambito all’indagine conoscitiva sulle Banche Dati condotta dalla Commissione parlamentare sull’Anagrafe Tributaria, sia nel corso delle audizioni tenutesi durante i lavori parlamentari sulla delega fiscale del 2021.
La norma è stata poi inserita nel decreto-legge PNRR e Semplificazioni – convertito nella legge 29 dicembre 2021, n. 233 – in base alla quale l’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto aggiornare l’elenco dei soggetti abilitati e attivare le nuove funzionalità entro il 6 febbraio del 2022. Tale termine è pero stato superato infruttuosamente.
Ma la Fimaa non ha mai smesso di sollecitare la piena attuazione della norma. “Riceviamo con soddisfazione il chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate – commenta Santino Taverna, Presidente di Fimaa. – Gli agenti immobiliari hanno chiesto per anni di poter accedere anch’essi per via telematica ai dati catastali degli immobili. Si tratta infatti di una facoltà che consente loro di svolgere con maggiore accuratezza, ma anche in modo più facile, la propria professione. Anche nelle prossime settimane manterremo alta l’attenzione – conclude Taverna – certi che non ci saranno ulteriori ritardi”.

Fonte: Comunicato stampa

Qualificato come “cliente moroso”, perde i vantaggi del libero mercato

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