Quinta puntata del nostro approfondimento on line sulla circolare 27/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha risposto ai quesiti della stampa specializzata sulle più svariate tematiche fiscali inerenti a vario titolo il settore abitativo e immobiliare: dalle agevolazioni sulla prima casa alla rendita degli imbullonati, passando per compravendite, locazioni, leasing abitativo e impianti eolici, fotovoltaici e di risalita. Il focus di oggi è dedicato all’accatastamento unico e all’unione di fatto ai fini fiscali.
D. È confermata l’impossibilità, in caso di due unità immobiliari contigue e autonomamente accatastate, di richiedere l’accatastamento unitario in presenza di distinta titolarità delle stesse (ad esempio, un’unità di proprietà del marito, l’altra di proprietà della moglie). Resterebbe pertanto l’unica possibilità di richiedere un’apposita annotazione negli atti catastali («porzione di u.i.u. unita di fatto ai fini fiscali»)?
R. Occorre premettere che non è, di norma, ammissibile la fusione di unità immobiliari, anche se contigue, quando per ciascuna di esse sia riscontrata l’autonomia funzionale e reddituale, e ciò indipendentemente dalla titolarità di tali unità. Tuttavia, se a seguito di interventi edilizi vengono meno i menzionati requisiti di autonomia, pur essendo preclusa la possibilità di fondere in un’unica unità immobiliare i due originari cespiti in presenza di distinta titolarità, per dare evidenza negli archivi catastali dell’unione di fatto ai fini fiscali delle eventuali diverse porzioni autonomamente censite è necessario presentare, con le modalità di cui al decreto del Ministro delle Finanze 19 aprile 1994, n. 701, due distinte dichiarazioni di variazione, relative a ciascuna delle menzionate porzioni.
Tali dichiarazioni di variazione prevedono, in particolare:
* l’utilizzo della causale di presentazione “Altre”, nel cui campo descrittivo deve essere riportata la dizione “DICHIARAZIONE DI PORZIONE DI U.I.”;
* l’inserimento, nel riquadro “Note relative al documento”, della dizione “Porzione di u.i.u. unita di fatto con quella di Foglio xxx Part. yyy Sub. zzzz. Rendita attribuita alla porzione di u.i.u. ai fini fiscali”;
* la rappresentazione, nelle planimetrie di ciascuna porzione, dell’intera unità immobiliare, con l’avvertenza di utilizzare il tratto continuo per la parte associata a ciascuna titolarità e quello tratteggiato per la parte rimanente. Un tratteggio a linea e punto è riportato nella planimetria per meglio distinguere e delimitare ciascuna delle parti da associare alla ditta avente diritto;
* ai fini del classamento, l’attribuzione ai beni costituenti porzioni di unità immobiliare della categoria e classe più appropriata, considerando le caratteristiche proprie dell’unità immobiliare intesa nel suo complesso (cioè derivante dalla fusione di fatto delle porzioni), mentre la rendita di competenza viene associata a ciascuna di dette porzioni, in ragione della relativa consistenza.
Non è pertanto sufficiente richiedere ai competenti Uffici dell’Agenzia delle Entrate solo l’inserimento di un’apposita annotazione negli atti catastali, senza che siano state presentate le dichiarazioni di variazione secondo le modalità sopra esposte. L’Ufficio competente dell’Agenzia delle Entrate, immediatamente dopo la registrazione in banca dati catastale delle menzionate dichiarazioni di variazione, provvede ad inserire, negli atti relativi a ciascuna porzione immobiliare, la seguente annotazione “Porzione di u. i. u. unita di fatto con quella di Foglio xxx Part. yyy Sub. zzzz. Rendita attribuita alla porzione di u.i.u. ai fini fiscali”.
[A cura di: avvocato Gian Vincenzo Tortorici – pres. Centro studi Anaci]
I rapporti che si instaurano tra persone, siano esse fisiche siano esse giuridiche, sono fonte di obbligazione tra le quali in principalità i contratti. Questi sono costituiti dall’accordo di due o più contraenti per costituire regolare o estinguere un loro rapporto giuridico di natura patrimoniale; principio prevalente inerente ai contratti è costituito dall’autonomia delle parti nel determinare il contenuto delle clausole contrattuali nel rispetto, comunque, della correttezza e della buona fede.
I contratti si distinguono in contratti tipici e contratti atipici; i primi sono disciplinati da leggi, in primis il codice civile, e gli altri sono pattuiti tra le parti stesse purché il loro contenuto non sia contrario a norme imperative e al buon costume, inteso questo come corretta gestioni degli affari economici e finanziari.
CONTRATTO DI LOCAZIONE
Il contratto di locazione di un bene immobile viene definito dalla dottrina quale diritto personale di godimento di detto bene nel quale a fronte del godimento di quella determinata cosa, il contraente che ne benefici effettua la propria controprestazione pagando un corrispettivo, comprensivo o meno del rimborso delle spese condominiali e di quelle delle utenze tra cui, principalmente, la tassa dei rifiuti solidi urbani. Si tratta pur sempre di un contratto che soggiace alle regole generali che disciplinano tutti i contratti e soprattutto si tratta di un contratto tipico, vale a dire le regole del quale sono dettate sia dal codice civile sia da altre leggi così dette speciali. Ad esso si applicano i principi generali relativi ai suoi elementi essenziali, alla simulazione, alla nullità, alla prescrizione e alla prova di un contratto soprattutto delle sue clausole pattizie.
CODICE E LEGGI
La disciplina dei contratti di locazione di beni immobili è specificatamente stabilita dal codice civile, che è integrato da leggi successive dettate da esigenze contingenti, in particolare di natura sociale. Così vengono disciplinati gli obblighi reciproci del locatore e del conduttore, detto anche locatario o inquilino, tra i quali il pagamento del canone, la durata del contratto, il diniego di rinnovazione e la disdetta e altri peculiari istituti quali, ad esempio, l’avviamento commerciale e la prelazione stabiliti a favore del conduttore di un fondo frequentato dal pubblico degli utenti e dei consumatori.
Il quadro normativo, codicistico e non, è imperativo e le parti possono gestire esattamente il loro rapporto contrattuale comportandosi con buona fede e adempiendo con scrupolosità a tutte le disposizioni di leggi. Qualora una parte non adempia la propria prestazione, trattandosi di un contratto sinallagmatico, la parte adempiente può da una parte chiedere la risoluzione del contratto, che può avvenire per inadempimento e la risoluzione può essere a sua volta giudiziale o di diritto.
RISOLUZIONE E SFRATTO
Nella prima ipotesi il giudice con una sentenza dichiara la risoluzione del contratto dopo aver constatato che l’inadempimento della parte sia grave rispetto all’interesse economico dell’altro contraente. La risoluzione di diritto si verifica nel caso sia di una diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., sia della scadenza di un termine essenziale prevista dall’art. 1457 c.c. e in particolare dal verificarsi di un fatto che le parti stesse all’origine della stipulazione del contratto hanno ritenuto talmente grave da determinare la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1456 c.c..
Una delle obbligazioni principali del conduttore è quella di corrispondere il canone in valuta legale alle scadenze convenzionalmente previste. Nel caso si verifichi una mora del conduttore, il locatore ha diritto di agire in sede giudiziaria con un’intimazione di sfratto per morosità; alla prima udienza il conduttore ha il diritto ex art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392 di chiedere un termine per poter sanare la morosità e il magistrato deve concedere questo termine che deve avere una durata non superiore a 90 giorni, estendibile a 120 giorni qualora il conduttore versi in particolare esigenze finanziarie familiari insorte dopo la stipulazione del contratto.
La problematica che sempre è sorta inerisce alla possibilità, per il locatore, di avvalersi della clausola risolutiva espressa sopra indicata di cui l’art. 1456 c.c.; ebbene la giurisprudenza ha riconosciuto la validità di una clausola risolutiva espressa pattuita in contratto, a condizione che il locatore si avvalga di questa introducendo un’azione ex art. 447 bis c.p.c invocando l’applicabilità della predetta clausola. Qualora viceversa il locatore introduca un giudizio con sfratto per morosità e a fronte dell’opposizione del conduttore, mutato il rito, chieda che il magistrato si pronunci in relazione alla invocata clausola risolutiva espressa, non si ha una modifica della domanda bensì una propria e vera mutatio con la conseguenza che la stessa è inammissibile. Considerato che, dopo il mutamento del rito, si riconosce all’intimante una propria difesa solo rispetto alle eccezioni della controparte, non deve mutare la domanda originaria, ma adeguarla alle tesi adversae ed eventualmente aggiungendo ulteriori pretese che, non siano sostitutive di quelle adottate nell’atto introduttivo, ma siano riconducibili nell’ambito di una domanda riconvenzionale.
Del resto la domanda introdotta ex art. 1456 c.c. è radicalmente diversa dalla domanda prevista dall’art. 657 c.p.c. quanto al petitum, considerato che la prima domanda presuppone una sentenza dichiarativa, mentre la seconda una sentenza costitutiva. Questo principio è stato stabilito recentemente dalla Cassazione civile, Sez. III, con sentenza del 9 giugno 2015, n. 11864 e ribadito sempre dalla Cassazione civile, Sez. III, con sentenza del 24 maggio 2016, n. 10691.
Quarta puntata del nostro approfondimento on line sulla circolare 27/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha risposto ai quesiti della stampa specializzata sulle più svariate tematiche fiscali inerenti a vario titolo il settore abitativo e immobiliare: dalle agevolazioni sulla prima casa alla rendita degli imbullonati, passando per compravendite, locazioni, leasing abitativo e impianti eolici, fotovoltaici e di risalita. Il focus di oggi è dedicato all’accatastamento degli impianti fotovoltaici.
D. A seguito della procedura Docfa prevista dal comma 22 dell’articolo 1 della legge di Stabilità 2016 (per i cosiddetti “imbullonati”), con cui si procede alla deduzione dalla rendita del fabbricato della parte relativa all’impianto fotovoltaico insito sul tetto (non integrato), anche in riferimento a quanto chiarito dalla circolare 2/E del 2016, si deve procedere all’accatastamento individuale autonomo dell’impianto e, in caso positivo, a quali condizioni ciò avviene?
R. Le disposizioni di cui all’art. 1, comma 22, della legge di Stabilità 2016 prevedono la possibilità, da parte degli intestatari catastali degli immobili a destinazione speciale e particolare censibili nelle categorie dei Gruppi D e E, di presentare atti di aggiornamento per la rideterminazione della rendita catastale degli immobili già censiti, al fine di escludere dalla stima “macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo”. Con riferimento agli impianti fotovoltaici, l’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 2/E del 1° febbraio 2016, ha precisato che tra gli elementi da escludere dalla stima rientrano, ad esempio, gli inverter e i pannelli fotovoltaici, ad eccezione di quelli integrati nella struttura e costituenti copertura o pareti di costruzioni.
La possibilità di presentare atti di aggiornamento per la rideterminazione della rendita catastale degli immobili già censiti sussiste sia per gli impianti fotovoltaici autonomamente censiti in catasto nella categoria D/1 – Opifici, sia per gli impianti fotovoltaici costituenti pertinenza di unità immobiliari a destinazione diversa comunque censite nelle categorie dei Gruppi D e E.
Quanto alla dichiarazione in catasto delle nuove realizzazioni, occorre preliminarmente osservare che, di norma, un qualsiasi cespite immobiliare, costituito dall’area, dal lastrico solare o dal tetto su cui si erge l’impianto produttivo di energia è dichiarato in catasto come unità immobiliare indipendente quando ordinariamente si riscontra per lo stesso autonomia funzionale e reddituale. Mentre l’autonomia reddituale, per gli impianti in questione, è ordinariamente verificata, l’autonomia funzionale va tecnicamente riscontrata, verificando gli elementi che ne caratterizzano la delimitazione, l’ordinaria accessibilità, ecc.
Ai sensi dell’art. 1, comma 21, della legge di Stabilità 2016 e alla luce delle precisazioni fornite con circolare n. 2/E del 1° febbraio 2016 dell’Agenzia delle Entrate, a decorrere dal 1° gennaio 2016, per gli impianti fotovoltaici dichiarati autonomamente in catasto, vanno considerate, tra le componenti immobiliari oggetto di stima, il suolo (quando trattasi di impianti a terra), ovvero l’elemento strutturale (solaio, copertura) su cui sono ancorati i pannelli fotovoltaici (quando trattasi di impianti realizzati su costruzioni), gli eventuali locali tecnici che ospitano i sistemi di controllo e trasformazione e le sistemazioni varie, quali eventuali recinzioni, platee di fondazione, viabilità, ecc., posti all’interno del perimetro dell’unità immobiliare.
Con specifico riferimento alle installazioni fotovoltaiche realizzate su edifici e su aree di pertinenza, comuni o esclusive, di fabbricati o unità immobiliari si precisa che non sussiste l’obbligo di accatastamento come unità immobiliari autonome, in quanto possono assimilarsi agli impianti di pertinenza degli immobili. Laddove tali istallazioni siano pertinenze di unità immobiliari a destinazione speciale e particolare, censite al catasto edilizio urbano nelle categorie dei Gruppi D e E, ai sensi dell’art. 1, comma 21, della legge di Stabilità 2016 e alla luce delle precisazioni fornite con la citata circolare n. 2/E del 1° febbraio 2016 dell’Agenzia delle Entrate, a decorrere dal 1° gennaio 2016, sussiste l’obbligo di dichiarazione di variazione da parte del soggetto interessato, per la rideterminazione della rendita dell’unità immobiliare di cui risulta pertinenza, allorquando le componenti immobiliari rilevanti ai fini della stima catastale di tale impianto ne incrementano il valore capitale di una percentuale pari al 15%.
Seconda puntata del nostro approfondimento on line sulla circolare 27/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha risposto ai quesiti della stampa specializzata sulle più svariate tematiche fiscali inerenti a vario titolo il settore abitativo e immobiliare: dalle agevolazioni sulla prima casa alla rendita degli imbullonati, passando per compravendite, locazioni, leasing abitativo e impianti eolici, fotovoltaici e di risalita. Il focus di oggi è dedicato ai fabbricati in corso di costruzione.
D. In base alla circolare 4/T del 2009 dell’Agenzia del Territorio le categorie catastali F/3 e F/4 sono necessariamente provvisorie, dai 6 ai 12 mesi, con possibilità di ottenere la proroga con la presentazione di apposita dichiarazione del proprietario circa la mancata ultimazione dell’immobile. Si tratta tuttavia di una prassi largamente disattesa, come testimonia il fatto che le unità censite in queste due categorie siano oltre un milione. In questo caso, quali margini di intervento ha il Comune per avviare un’attività di verifica?
R. Il Comune ha facoltà di produrre sempre, e quindi anche per le unità immobiliari impropriamente censite nelle categorie F/3 – Unità in corso di costruzione ed F/4 – Unità in corso di definizione, segnalazioni al competente Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, nel rispetto delle procedure dettate dall’articolo 3, comma 58, della legge n. 662 del 1996 o dell’art. 1, comma 336, della legge n. 311 del 2004.
Nel primo caso (legge n. 662/1996) trattasi di una generica segnalazione del comune finalizzata alla verifica di immobili il cui classamento risulti non aggiornato ovvero palesemente non congruo rispetto a fabbricati similari e aventi medesime caratteristiche.
Nel secondo caso (legge n. 311/2004) trattasi di segnalazioni fondate su elementi concreti concernenti la sussistenza di situazioni di fatto non più coerenti con i classamenti catastali, per intervenute variazioni edilizie sugli immobili.
Si apre oggi il nostro approfondimento on line sulla circolare 27/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha risposto ai quesiti della stampa specializzata sulle più svariate tematiche fiscali inerenti a vario titolo il settore abitativo e immobiliare: dalle agevolazioni sulla prima casa alla rendita degli imbullonati, passando per compravendite, locazioni, leasing abitativo e impianti eolici, fotovoltaici e di risalita. Il focus di oggi è dedicato ai fabbricati collabenti.
D. La nota 29439/2013 della Direzione centrale catasto e cartografia dell’Agenzia delle Entrate ha precisato che la categoria F/2 – Unità collabenti, priva di rendita catastale, non è ammissibile quando l’unità immobiliare è censibile in un’altra categoria o quando l’unità non è individuabile o perimetrabile. È corretto, quindi, iscrivere come F/2 un’abitazione con muri perimetrali e interni sostanzialmente integri, ma totalmente priva delle tegole, o un fabbricato produttivo con pilastri, travi e muri perimetrali integri, ma privo della copertura?
R. Occorre preliminarmente evidenziare che l’attribuzione della categoria F/2 – Unità collabenti è regolamentata dal decreto del Ministro delle Finanze 2 gennaio 1998, n. 28, art. 3, comma 2, per quelle costruzioni caratterizzate da un notevole livello di degrado che ne determina una incapacità di produrre ordinariamente un reddito proprio. In particolare, il menzionato comma 2 prevede che tali costruzioni, ai soli fini dell’identificazione, “possono formare oggetto di iscrizione in catasto, senza attribuzione di rendita catastale, ma con descrizione dei caratteri specifici e della destinazione d’uso”. Per tali immobili sussiste, quindi, la possibilità e non l’obbligo dell’aggiornamento degli atti catastali.
Con la nota n. 29439 del 2013, richiamata nel quesito posto, la Direzione centrale catasto e cartografia ha precisato che l’attribuzione della categoria F/2 non è ammissibile quando il fabbricato che si vuole censire risulta comunque iscrivibile in altra categoria catastale, o non è individuabile e/o perimetrabile.
Per entrambe le fattispecie di immobili in esame – abitazione e fabbricato produttivo – quando lo stato di fatto non consente comunque l’iscrizione in altra categoria catastale, risulta attribuibile la destinazione F/2 – Unità collabenti, essendo soddisfatti i presupposti di individuazione e/o perimetrazione del cespite.
La tremenda scadenza fiscale di metà mese è ormai alle spalle, ma i suoi strascichi si fanno ancora sentire, soprattutto nei portafogli dei proprietari immobiliari. Così il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani testa, ha colto l’occasione per fare il punto della situazione e guardare in maniera costruttiva al futuro. Secondo il numero uno della Confederazione della proprietà, “Passato il 16 giugno, la contrapposizione tra chi ha voluto celebrare l’eliminazione della Tasi sulla prima casa e chi, invece, ha preferito rimarcare la giornata delle mille tasse, dovrebbe ora lasciare il posto a un’analisi realistica della situazione del settore immobiliare e delle sue esigenze. E da un esame obiettivo della realtà non può che discendere la consapevolezza della necessità di ulteriori interventi di detassazione per il comparto, soprattutto nei suoi elementi più fragili, come il non residenziale. Auspichiamo, allora, una seria riflessione, ed un confronto, sulle misure più adeguate – di carattere fiscale ma non solo – per affrontare in modo strutturale il dramma dell’incessante moltiplicarsi, in tutta Italia, di locali commerciali vuoti e abbandonati. Far finta di nulla non vuol dire solo danneggiare i proprietari di questi beni, ma anche rendersi complici di un impoverimento crescente e della inesorabile decadenza di migliaia di centri urbani un tempo vitali”.
[A cura di: Ance]
Con la sentenza n. 469 del 20 aprile 2016 il Tribunale civile di Potenza ha ritenuto illegittimo il comportamento del conduttore che arbitrariamente aveva sospeso il pagamento di ben undici mensilità di canone a fronte del presunto inadempimento del locatore nel mettere a disposizione anche il locale cantina nonché di consegnare il certificato di agibilità.
Infatti, secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale, al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene che sia anche imputabile al locatore. La sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore. Inoltre, la sospensione della controprestazione è legittima solo se conforme a lealtà e buona fede (Cass. civ., sez. III, 10 gennaio 2008, n. 261; Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2005, n. 14739; Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2005, n. 2855; Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2006, n. 8425; Cass. civ., sez. III, 7 marzo 2001, n. 3341).
La sospensione totale dell’adempimento che può essere fatta valere ai sensi dell’art. 1460 codice civile sarebbe ammessa soltanto quando si verifichi la completa inutilizzabilità dell’immobile. In sostanza, l’obbligo dell’inquilino di pagare il canone viene meno soltanto allorquando venga accertata la sussistenza di un inadempimento colpevole del locatore idoneo a giustificare una pronunzia di risoluzione del contratto (Trib. Salerno, sez. I, 18 febbraio 2008, n. 367).
Nel caso di specie, non risulta l’inutilizzabilità totale o parziale dell’immobile locato il che rende illegittimo il rifiuto di corresponsione del canone. La giurisprudenza ha, d’altro canto, affermato che, qualora l’immobile locato venga a trovarsi, anche se non per colpa del locatore, in condizioni tali che non ne consentono il normale godimento in relazione alla sua destinazione contrattuale (nel caso di specie, le infiltrazioni di umidità derivanti dalle fatiscenti tubature condominiali avevano reso l’immobile almeno in parte inagibile), il conduttore ha diritto ad ottenere una riduzione del canone, proporzionale alla riduzione dell’utilità che il conduttore consegue (Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 2004, n. 3991).
Il conduttore, qualora il godimento del bene locato risulti ridotto o escluso per fatti sopravvenuti rispetto alle previsioni contrattuali, ha diritto al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dall’inadempimento dell’obbligo di mantenere la cosa locata comprensiva, se si tratta di immobile sito in un condominio, delle parti e dei servizi comuni in condizioni da servire all’uso convenuto, ove quei fatti gli producano pregiudizi ulteriori e diversi rispetto alla diminuzione o perdita del godimento del bene locato. (Cass. civ., sez. III, 15 dicembre 2003, n. 19181).
[A cura di: avvocato Gian Vincenzo Tortorici – pres. Centro studi Anaci]
La legge di riforma della disciplina del condominio, 11 dicembre 2012 n. 220, ha innovato notevolmente la figura dell’amministratore, stabilendo nuove regole in merito soprattutto alla nomina e al rinnovo dell’incarico. Più rigorosi sono, infatti, i requisiti richiesti per la nomina.
L’articolo 71 bis delle Disposizioni di attuazione del codice civile e disposizioni transitorie prevede cinque requisiti di “onorabilità” (dalla lettera a alla lettera e) e due requisiti di “professionalità” (lettere g e f) che il candidato alla nomina deve possedere per svolgere l’incarico di amministratore condominiale, con la precisazione che i requisiti di “professionalità” (diploma scolastico di secondo grado ed obbligo di formazione iniziale e di formazione periodica) non sono richiesti soltanto nella fattispecie in cui l’amministratore sia nominato tra i condòmini dello stabile.
È inoltre, espressamente prevista la possibilità che l’incarico di amministratore di condominio venga svolto anche da società. In questa ipotesi è specificato che i requisiti devono essere posseduti dai soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione dei condomini a favore dei quali la società presta i servizi.
La norma sopra citata ha natura di ordine pubblico in quanto si fonda sul fatto che la stessa è posta a tutela di interessi generali della collettività ed in particolare del consumatore. Ciò ancor più alla luce della Legge n. 4/2013 che riguarda anche la professione di amministratore di condominio. Del resto i requisiti richiesti dall’art. 71 bis disp.att.c.c. sono similari a quelli prescritti per l’esercizio di altre professioni, anche ordinistiche.
NOMINA NULLA
Si tratta di una norma di ordine pubblico, in quanto ha carattere imperativo ed inderogabile, indipendentemente dall’espresso richiamo o meno da parte dell’art. 72 disp.att.c.c.. La mancanza sin dall’atto di nomina dei requisiti di cui all’art. 71 bis disp att. c.c., pertanto, comporta la nullità della deliberazione di nomina e quindi dell’incarico, che ai sensi dell’ art 1129 c.c. è un contratto di mandato. Tale nullità può essere eccepita da chiunque vi abbia interesse in qualsiasi tempo. Una prima conseguenza della nullità della nomina è che l’amministratore sprovvisto dei requisiti sopra indicati non può agire nei confronti del condominio con l’azione contrattuale per conseguire il compenso relativo all’attività espletata. Conseguenze rilevanti si hanno anche con riferimento ai contratti conclusi dall’amministratore, quale falsus procurator, essendo gli stessi inefficaci e, quindi, incapaci di produrre alcun valido effetto in capo al condominio. Ne consegue il dover risarcire i danni subiti dai condòmini, nonché il danno causato al terzo contraente in considerazione dell’incolpevole affidamento inerente ai poteri dell’amministratore e, quindi, alla validità del contratto stipulato.
Nel caso vengano meno i requisiti di onorabilità, per esempio per una condanna penale, l’amministratore decade immediatamente dalla carica e ciascun condomino può convocare l’assemblea per la nomina di un nuovo amministratore.
LA FORMAZIONE
Sussistono anche conseguenze che derivano dal mancato assolvimento dell’obbligo di formazione periodica, c.d. aggiornamento annuale, disposto dalla lettera g) dell’art. 71 bis disp. att. c.c. integrato dal D.M. 13 agosto 2014 n. 240. È ovvio, infatti, che il requisito del diploma di scuola media superiore, una volta conseguito, non possa successivamente venir meno. Ebbene, il mancato assolvimento dell’obbligo di formazione periodica può costituire motivo di revoca dell’amministratore da parte dell’assemblea o da parte dell’Autorità Giudiziaria su ricorso di ciascun condomino. Questa deduzione scaturisce dalla circostanza che l’art. 1129 c.c., norma inderogabile ex art. 1138 c.c. sanziona con la revoca, considerandola una “grave irregolarità” la semplice omessa, incompleta o inesatta comunicazione dei dati professionali da parte dell’amministratore al momento dell’accettazione della nomina e/o ad ogni rinnovo del proprio incarico e, pertanto, e a maggior ragione se non ne sia in possesso.
Inoltre, il codice del consumo (D.Lgs. 6 settemre 2005 n. 206) conferisce una particolare protezione al contraente debole, specificatamente con l’art. 2 che definisce “fondamentali” i diritti dei consumatori ad una “adeguata informazione”, nonché alla “correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali”. A tal proposito va ricordato che tali diritti sono considerati, dall’art. 143 come “irrinunciabili” con ciò confermandosi la natura “essenziale” ed inviolabile degli stessi.
Il precitato D.M. n.140/2014 individua sia i requisiti di onorabilità e professionalità necessari per svolgere l’attività formativa dei formatori e del responsabile scientifico dei corsi sia i criteri, i contenuti e le modalità di svolgimento dei corsi di formazione, al fine di garantire che gli standard per la formazione iniziale e l’aggiornamento dell’amministratore siano omogenei per tutto il territorio nazionale. Anche questa norma conferma la volontà del legislatore di avere un amministratore professionista e competente.
È obbligo dei condòmini verificare il possesso dei requisiti di cui all’art. 71 bis disp. att. c.c. in capo al proprio amministratore con le conseguenze di cui si è sopra dedotto, vale a dire:
a) nullità della nomina in caso di mancanza all’origine dei requisiti, con conseguente inefficacia di tutti i contratti da lui conclusi, con possibilità di obbligo risarcitorio nei confronti dei condòmini e dei terzi.
b) decadenza dall’incarico in caso di perdita sopravvenuta dei requisiti di onorabilità;
c) revoca deliberata dall’assemblea, o disposta dall’autorità giudiziaria su ricorso anche di un solo condomino, in caso di mancato assolvimento dell’obbligo di formazione periodica, potendo tale comportamento dell’amministratore integrare una sua “grave irregolarità” gestionale.