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ARCHIVIO DEL CONDOMINIO

Amministratori di condominio: in arrivo la ‘Riforma Gardini’, che promette una rivoluzione

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Le cassette postali nella realtà condominiale: la normativa di riferimento e la ripartizione delle spese

Le cassette postali rappresentano un elemento essenziale in ogni condominio, non solo per una questione di comodità ma anche per adempiere a specifiche direttive stabilite dalla legge, che mirano a garantire accessibilità, efficienza, sicurezza e rispetto della privacy.

Le normative di riferimento
Nel corso degli anni sono state elaborate diverse normative per regolamentare il settore delle cassette postali condominiali sotto i diversi profili.
La normativa principale che regola la collocazione delle cassette postali in condominio è il Decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973.
Successivamente, il Decreto ministeriale del 9 aprile 2001 ha stabilito le regole per il loro esatto posizionamento.
Il Codice Civile definisce le regole per la gestione e l’amministrazione dei beni comuni in condominio, tra i quali anche le cassette postali.
Anche la legislazione postale fa esplicito riferimento al tema delle cassette condominiali. Vi sono poi norme tecniche e di sicurezza.

Ecco le principali normative che disciplinano il settore:
• Decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973 – Questo decreto costituisce la pietra angolare della normativa sulle cassette postali in condominio, questo stabilisce l’obbligatorietà delle cassette postali negli edifici condominiali e dettaglia i requisiti per la loro installazione in termini di accessibilità e sicurezza.
• Decreto 9 aprile 2001 – Questo decreto sottolinea la necessità che le cassette postali siano collocate, in tutti gli edifici, in un luogo facilmente accessibile per il postino per il deposito della corrispondenza, garantendo allo stesso tempo la sicurezza e la privacy dei destinatari. Intitolato “Approvazione delle condizioni generali del servizio postale“, questo decreto, facendo riferimento all’articolo 46, stabilisce una regola fondamentale per l’esatta ubicazione delle cassette postali. Dispone infatti che “devono essere collocate al limite della proprietà, sulla pubblica via o comunque in luogo liberamente accessibile senza restrizioni”. Il decreto precisa: “salvi accordi particolari con l’ufficio postale di distribuzione”, lasciando aperta la possibilità di stipulare accordi specifici con l’ufficio postale locale di distribuzione, permettendo così una certa flessibilità nella collocazione delle cassette in base alle esigenze specifiche. Per gli edifici con più famiglie o adibiti ad uso d’impresa, le disposizioni sono diverse. Per questi edifici é richiesto che le cassette postali siano centralizzate in un unico punto di accesso, per agevolare la distribuzione della posta e migliorare l’efficienza del servizio. Questo decreto sottolinea l’obbligatorietà di installare cassette postali accessibili al portalettere. Le spese di installazione ricadono sul proprietario dell’immobile.
• Nel novembre 2002 viene approvata la normativa riguardante le cassette postali EN13724. Pubblicata nel 2003 e aggiornata a novembre 2013 in tutti i Paesi europei, ha abrogato tutte le normative precedentemente in vigore diventando l’unico riferimento nel mercato europeo in tema di cassette postali. La normativa EN13724 prevede la regolamentazione della produzione delle cassette in fatto di dimensioni. Inoltre le cassette devono essere anti effrazione e realizzate in modo tale da salvaguardare la privacy e la sicurezza delle persone.
• Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 2008 – Il decreto del 9 aprile 2001 sulle cassette postali viene ripreso nel 2008 da un analogo decreto del Ministero dello Sviluppo Economico.
• Delibera del 20 giugno 2013 dell’Autorità Garante delle Comunicazioni – La delibera ribadisce l’obbligo di cassette postali esterne per qualsiasi tipologia di edificio di tipo residenziale – e non solo – quindi compresi anche gli stabili condominiali.
• Codice Civile – Il Codice Civile, in particolare gli articoli riguardanti la proprietà condominiale, fornisce il quadro legale generale per la gestione e l’amministrazione dei beni comuni in un condominio, inclusi gli aspetti relativi alle cassette postali. Questo definisce anche i doveri dell’amministratore di condominio, che include la manutenzione e la gestione delle cassette postali.
• Legislazione Postale – Le leggi che regolano il servizio postale nazionale possono anche avere disposizioni relative alla consegna della posta in condomini, influenzando quindi la gestione delle cassette postali. Queste norme possono includere specifiche su come la posta deve essere consegnata e raccolta, che a sua volta può influenzare la collocazione e il design delle cassette postali. In alcune città o regioni, possono esistere ordinanze o regolamenti comunali specifici che dettagliano ulteriormente la collocazione e il tipo di cassette postali ammesse, in armonia con il contesto urbano o estetico locale.
• Norme Tecniche e di Sicurezza – Esistono anche norme tecniche, spesso di natura non legislativa ma di standard industriale, che possono influenzare la scelta e l’installazione delle cassette postali, come quelle relative alla resistenza ai danneggiamenti, alla sicurezza contro il furto, e alla protezione dagli agenti atmosferici.

Condominio e collocazione delle cassette postali
La collocazione delle cassette postali in condominio deve essere attentamente pianificata per garantire accessibilità, sicurezza e una corretta identificazione.
È essenziale posizionare queste cassette in un’area del condominio che sia facilmente raggiungibile dal personale delle poste, generalmente vicino all’ingresso principale o in un’area comune al pianterreno.
Questo non solo agevola il lavoro dei postini, ma assicura anche che la corrispondenza venga recapitata in modo efficiente.
Allo stesso tempo, la sicurezza delle cassette postali è di fondamentale importanza. Devono essere collocate in un’area protetta per prevenire il rischio di furti o danneggiamenti. Ogni cassetta dovrebbe essere dotata di una serratura funzionante per mantenere la privacy e la sicurezza della corrispondenza.
Inoltre, è importante che ogni cassetta sia chiaramente identificabile, con il nome o il numero dell’appartamento corrispondente ben visibile, per evitare confusioni o errori nella distribuzione della posta.

Le responsabilità dell’amministratore di condominio
Infine, la manutenzione regolare delle cassette postali è un aspetto cruciale. L’amministratore di condominio deve assicurarsi che queste siano sempre in condizioni ottimali, sia dal punto di vista estetico che funzionale. La cura di questi dettagli garantisce non solo il rispetto delle normative, ma anche un servizio postale fluido e senza intoppi per tutti gli abitanti del condominio.
L’amministratore di condominio gioca dunque un ruolo chiave nella gestione delle cassette postali. Egli deve assicurarsi che siano installate conformemente alle normative vigenti e che siano mantenute in buone condizioni.
Inoltre, in caso di edifici con più ingressi o di particolari configurazioni strutturali, l’amministratore deve valutare la soluzione più idonea per garantire l’accessibilità e la sicurezza delle cassette.

Condominio e proprietà delle cassette postali
Dunque, l’installazione di cassette postali per i condomini è obbligatoria. Ma se la predisposizione è obbligatoria, chi ne detiene la proprietà e provvede alla loro gestione e manutenzione?
Mentre per la cassetta della posta singola, installata sulla parete di un’abitazione monofamiliare, non vi sono particolari fraintendimenti, la questione in condominio è ben più complessa.
Gli strumenti per la raccolta della posta, infatti, potrebbero essere considerati sia comuni, sia privati:
• la cassetta collettiva, ovvero la struttura che ospita tutte le singole caselle della posta suddivise per unità condominiale, è a tutti gli effetti un bene comune. Di conseguenza, sebbene sulle cassette postali il Codice Civile non si esprima direttamente, rientrano a pieno titolo nelle disposizioni previste dall’articolo 1117;
• la singola casella, pur appartenendo a una struttura comune, secondo diverse interpretazioni giurisprudenziali è di proprietà del relativo condomino, che ne gestisce l’utilizzo in modo esclusivo. Questo perché la funzione fondamentale della stessa casella è quella di custodire la corrispondenza personale, quest’ultima tutelata dalla legge.

L’installazione della cassetta della posta
In linea generale, la predisposizione di consoni strumenti per depositare le comunicazioni postali spetta al proprietario dell’immobile. Di conseguenza, all’interno di uno stabile condominiale, è l’assemblea condominiale ad assolvere a questa necessità. La procedura dipende dalla tipologia di installazione:
• per la prima installazione, è necessaria una delibera dell’assemblea, con la maggioranza dei presenti, purché rappresentino almeno la metà dei millesimi del condominio, come previsto dall’articolo 1136 del Codice Civile;
• per la manutenzione o la sostituzione, è sempre sufficiente per le cassette postali una maggioranza analoga, salvo non sia previsto differentemente dal regolamento condominiale o si tratti di un intervento straordinario, per il quale i quorum possono cambiare a seconda della situazione, sempre come previsto dall’articolo 1136.
Qualsiasi condòmino può richiedere all’assemblea l’installazione della cassetta, se non presente, proprio perché un obbligo di legge. Allo stesso modo, se il condominio non dovesse assolvere all’obbligo, il singolo proprietario potrebbe avere la facoltà di installare una propria cassetta privata.

Condominio e spese per le cassette postali
Ma per le cassette postali condominiali, la ripartizione delle spese quali criteri deve seguire? Solitamente, si prevede che:
• i costi della cassetta, intesa come struttura collettiva, sono a carico di tutti i condomini. È però necessario sottolineare che, in questo specifico caso, non viene di norma applicata la suddivisione delle spese in base ai millesimi di proprietà, come previsto dall’articolo 1123 del Codice Civile, poiché tutti i condomini se ne servono allo stesso modo. Di conseguenza, i costi vengono divisi equamente;
• i costi relativi alle singole caselle sono invece a carico dei singoli proprietari. In altre parole, se vi è necessità di sostituire lo sportellino o la serratura, della spesa deve occuparsene direttamente il relativo proprietario;
• le spese necessarie per cassette postali individuali, quindi installate da singoli condomini, sono a carico dei proprietari che hanno provveduto alla loro installazione.
È tuttavia utile sottolineare che, in alcuni contesti, la spesa potrebbe non essere divisa in parti uguali fra tutti i condomini, purché il regolamento condominiale ne faccia menzione. È il caso, ad esempio, di attività commerciali o professionali presenti nello stabile condominiale che, per volume di corrispondenza ricevuta, possono determinare un uso sproporzionato rispetto alle necessità dei condomini residenziali.

Proprietari e inquilini: le spese per le cassette postali
Per quanto riguarda le cassette postali delle unità immobiliari concesse in locazione, in tema di ripartizione delle spese tra locatore e locatario vale la consueta suddivisione delle spese prevista dall’articolo 1576 del Codice Civile:
• al proprietario spettano le spese di manutenzione straordinaria delle cassette;
• all’affittuario, invece, i costi di manutenzione ordinaria.
In pratica, se il condominio delibera l’installazione di nuove cassette postali, sarà il proprietario dell’immobile a farsi carico dei costi. Se, invece, è necessario intervenire su una serratura non più funzionante a causa dell’usura, dovrà procedere l’inquilino. Naturalmente, le parti possono anche accordarsi differentemente, purché la loro decisione sia esplicitata all’interno del contratto di locazione.

Infiltrazioni dal lastrico solare: chi è responsabile dei danni e della manutenzione?

litigio in condominio

In ambito condominiale uno dei problemi più spesso affrontati è quello relativo alle infiltrazioni d’acqua provenienti dal lastrico solare o dalla terrazza, rilevate dai condòmini che abitano all’ultimo piano.

A tal proposito è innanzitutto importante chiarire che il lastrico solare è una superficie piana, orizzontale, costruita in cemento o materiali impermeabili e la sua funzione è quella di proteggere l’edificio dalle intemperie. La proprietà di un lastrico solare può essere comune a tutti i condòmini oppure può essere esclusiva di uno o più condòmini.

Da un punto di vista normativo, le principali disposizioni che interessano il lastrico solare e i vari aspetti correlati ad esso sono l’art. 1117 c.c. che definisce il lastrico solare come parte comune quando ha la funzione di copertura per più unità immobiliari, l’art. 1123 c.c. che regola la ripartizione delle spese per le parti comuni e l’art. 1126 c.c. che stabilisce come ripartire le spese per il lastrico solare ad uso esclusivo.

Le infiltrazioni derivanti dal lastrico solare possono generare importanti danni a livello strutturale, ad esempio danni alle pareti o ai soffitti che vanno a indebolire la struttura muraria, danni ai pavimenti o ai rivestimenti o, nelle ipotesi più gravi, danni che vanno a compromettere la stabilità delle strutture portanti dell’edificio. Inoltre, le infiltrazioni favoriscono la proliferazione di umidità e muffa e ciò può gravare anche sulla salute dei condòmini. Infine, le infiltrazioni possono anche generare danni agli impianti elettrici e idraulici con il rischio di cortocircuiti.

Di fronte a questa tipologia di problema è necessario intervenire tempestivamente ed è quindi fondamentale capire su chi gravano le responsabilità. La distinzione fatta precedentemente tra lastrico solare di proprietà comune o esclusiva è fondamentale per determinare chi è responsabile dei danni causati dalle infiltrazioni.
Se il lastrico solare è di proprietà comune, la responsabilità ricade sul condominio che quindi deve occuparsi della manutenzione e della riparazione. Se il lastrico solare è di proprietà esclusiva di uno o più condòmini, la responsabilità per i danni da infiltrazione è condivisa tra il proprietario utilizzatore esclusivo del lastrico e gli altri condòmini.

Difatti generalmente anche se il lastrico solare è di proprietà esclusiva, questo svolge la funzione di copertura dell’edificio, pertanto tutti i condòmini traggono una diretta utilità da questa funzione, a meno che nel regolamento condominiale o nel titolo di acquisto non sia specificato diversamente.

Il condominio ha quindi l’obbligo di garantire comunque la manutenzione e la conservazione del lastrico solare, proprio perché funge da copertura all’intero edificio. A tal proposito, da un punto di vista normativo, in ragione della diversa utilizzazione della cosa comune, il legislatore ha stabilito all’art. 1126 c.c. che le spese per la manutenzione e per il risarcimento dei danni causati dall’infiltrazione, vengano ripartite secondo le seguenti quote:
• nella misura di 1/3 per il proprietario del lastrico solare;
• nella misura di 2/3 per tutti i condòmini ai quali il lastrico solare serve da copertura.
Per quanto riguarda i danni causati dalle infiltrazioni, se il lastrico solare è di proprietà condominiale le spese sono ripartite tra tutti i condòmini in proporzione alle loro quote millesimali, ciò significa che ogni condomino contribuisce al risarcimento dei danni in base alla sua quota di proprietà dell’edificio.

Sul tema delle responsabilità in caso di infiltrazioni dal lastrico solare è utile comprendere come l’obbligo risarcitorio discenda da diversi titoli, ovvero, per quanto concerne il proprietario esclusivo del lastrico solare, proprio in virtù dell’utilizzo esclusivo che ha sul bene, pesa l’obbligo di custodia dello stesso. Tale obbligo consiste, infatti, nel provvedere alla manutenzione ordinaria così da non cagionare danni a terzi.

Per quanto riguarda il condominio, la responsabilità deriva dall’obbligo dell’amministratore di garantire l’adozione di misure di conservazione delle parti comuni e dalla violazione da parte dell’assemblea di effettuare la manutenzione del condominio.

Per quanto concerne la riparazione delle infiltrazioni il primo passo da fare è una perizia tecnica volta a individuare la causa dell’infiltrazione attraverso opportuni sopralluoghi e stabilire le opere necessarie per risolvere il problema ed evitare l’aggravio del danno.

Ad ogni modo, è sempre consigliabile mirare a prevenire le infiltrazioni adottando buone pratiche di manutenzione e soluzioni specifiche per evitare i danni attraverso le ispezioni regolari, la manutenzione del manto impermeabile e la tempestiva riparazione di crepe e fessure che possono formarsi nelle giunture o nelle superfici del lastrico solare.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Sismabonus e Bonus acquisto di edifici ristrutturati: cumulabilità delle agevolazioni

Con la Risposta n. 242/2025 l’Agenzia delle Entrate ha affrontato la tematica inerente a due agevolazioni, ovvero il Sismabonus e il bonus per l’acquisto di edifici ristrutturati. Si tratta di due agevolazioni diverse che funzionano nelle seguenti modalità.

Il bonus per l’acquisto di edifici ristrutturati, previsto dall’art. 16-bis, comma 3 del TUIR, è una detrazione che si applica agli acquirenti di unità immobiliari che fanno parte di interi edifici oggetto di interventi di restauro, risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia, effettuati da imprese di costruzione e ristrutturazione o cooperative edilizie.

La condizione richiesta per poter fruire di tale agevolazione è che la vendita o l’assegnazione di tale immobile avvenga entro 18 mesi dal termine dei lavori. Il bonus per l’acquisto di edifici ristrutturati prevede una detrazione IRPEF per l’acquirente che è pari a:
• 36% del 25% del prezzo di vendita (su un massimo di € 96.000) per acquisti tra 1° gennaio e 31 dicembre 2025;
• 30% del 25% del prezzo di vendita per acquisti dal 1° gennaio 2026 al 31 dicembre 2027.

Per gli immobili destinati ad abitazione principale oggetto di interventi effettuati direttamente dal proprietario, le percentuali di detrazione spettanti sono pari al 50% dal 1° gennaio al 31 dicembre 2025 e al 36% dal 1° gennaio 2026 al 31 dicembre 2027.

Il bonus per l’acquisto di edifici ristrutturati è una detrazione che va ripartita in 10 quote annuali di pari importo e si applica su un importo pari al 25% del prezzo di vendita o assegnazione dell’unità immobiliare, su un ammontare massimo di 96.000 euro per ciascuna unità immobiliare, perciò l’importo massimo del beneficio fiscale è pari a 48.000 euro.

Per quanto concerne il Sismabonus, come sappiamo, si tratta di una detrazione fiscale prevista dall’art. 16 del DL 63/2013 che spetta per lavori di messa in sicurezza antisismica degli edifici e per l’acquisto di immobili antisismici. Per tutto il 2025 l’aliquota della detrazione è pari al 50% per le abitazioni principali e al 36% per le abitazioni non principali su un massimo di 96.000 euro per unità immobiliare.
Nel biennio 2026/2027 tale aliquota sarà pari al 36% per le abitazioni principali e al 30% per gli interventi realizzati su abitazioni diverse da quelle principali e altre tipologie di immobili. Inoltre, anche il Sismabonus è una detrazione che viene ripartita in 10 quote annuali di pari importo.

Per gli interventi antisismici effettuati su edifici in zone sismiche 1,2 e 3 la detrazione è pari al 50% su 96.000 euro per unità con ripartizione in 10 anni e sale al 70% o 80% con salto di 1 o 2 classi (DM 58/2017) con procedura autorizzatoria avviata dopo il 1° gennaio 2017.

Nel caso esaminato dall’Agenzia delle Entrate, il contribuente ha acquistato da un’impresa due unità immobiliari unifamiliari accatastate F/3 (in corso di costruzione) e oggetto di intervento di demolizione e ricostruzione con riduzione del rischio di due classi e collaudo statico depositato prima del rogito.

Le parti hanno stabilito il trasferimento all’acquirente delle quote residue del Sismabonus maturate dall’impresa, contestualmente all’atto di vendita, perciò l’Istante ha chiesto all’Agenzia delle Entrate se in aggiunta al Sismabonus potrà fruire anche del bonus per l’acquisto di edifici ristrutturati.

In risposta, l’Agenzia delle Entrate ha confermato che l’acquirente può cumulare le quote residue di Sismabonus trasferite dall’impresa venditrice con il bonus per l’acquisto di immobili ristrutturati, purché venga rispettato il tetto massimo complessivo di spesa di 96.000 euro e purché siano rispettati tutti gli altri requisiti previsti.

L’Agenzia delle Entrate chiarisce che la compatibilità tra le due agevolazioni dipende dal fatto che non condividono la stessa base di calcolo, poiché la detrazione per l’acquisto di immobili ristrutturati viene calcolata sul prezzo di vendita dell’immobile, mentre il Sismabonus è calcolato su componenti diversi dal prezzo globale, ovvero sui materiali e sulle prestazioni dei servizi utilizzati.

Ciò premesso, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito, però, che se su uno stesso immobile si combinano interventi antisismici e altri interventi di recupero, il tetto agevolabile di 96.000 euro è unico, in quanto si tratta appunto di un solo immobile.

Infine, è importante chiarire anche che la detrazione relativa all’acquisto di immobili ristrutturati è ammessa solo dall’anno di importa in cui l’intero fabbricato è stato ultimato, non prima, perciò per poter fruire di tale agevolazione è necessario che si realizzi il presupposto dell’ultimazione dei lavori riguardanti l’intero fabbricato.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Lavori di ristrutturazione e detrazioni fiscali: il decesso del beneficiario e la rinuncia all’eredità del coniuge superstite

Una contribuente si è rivolta all’Agenzia delle Entrate, attraverso la Posta di FiscoOggi, per chiedere un chiarimento relativo al tema delle detrazioni fiscali relative ai lavori di ristrutturazione edilizia.

Nel caso specifico, la contribuente spiega che nel 2019 suo padre ha sostenuto delle spese per alcuni lavori di ristrutturazione che sono stati effettuati nell’appartamento in cui abitava con la moglie (ovvero la madre della contribuente), beneficiando delle relative detrazioni fiscali.

A seguito del decesso del padre, la madre della contribuente ha deciso di rinunciare all’eredità, pertanto la contribuente si rivolge al Fisco per chiedere se sua madre possa continuare a fruire delle detrazioni fiscali, considerando che la stessa abita ancora nell’appartamento oggetto di ristrutturazione.

Attraverso tale quesito, vengono quindi approfonditi due aspetti importanti, ovvero il diritto alle detrazioni fiscali e le conseguenze nel caso di rinuncia all’eredità.

Analizzando questa situazione, l’Agenzia delle Entrate ha fornito una risposta molto chiara.

Secondo le normative relative all’ambito delle detrazioni fiscali per i lavori di ristrutturazione, in caso di acquisizione dell’immobile per successione, le quote di detrazioni residue si trasferiscono per intero all’erede o agli eredi che conservano la detenzione materiale e diretta dell’immobile.

Ciò significa che la detrazione compete a chi risiede e può disporre dell’immobile oggetto degli interventi, a prescindere dalla circostanza che lo abbia portato ad adibirlo a propria abitazione principale, a condizione che sia formalmente riconosciuto come erede.

Tuttavia, nel caso presentato dalla contribuente, la madre ha rinunciato all’eredità, perciò l’Agenzia delle Entrate chiarisce che se il coniuge superstite, titolare del solo diritto di abitazione, rinuncia all’eredità, lo stesso non potrà fruire delle quote di detrazione residue visto che viene meno la condizione di erede.

In sostanza, non è sufficiente essere un coniuge superstite o usufruttuario e abitare nell’immobile oggetto dei lavori per continuare a fruire delle detrazioni, poiché se viene meno l’accettazione dell’eredità tale diritto decade.

Inoltre, come spiegato anche nella Circolare n. 17/2023, il Fisco chiarisce che neppure gli eredi (ovvero i figli) potranno beneficiare della detrazione se non convivono con il coniuge superstite, in quanto non hanno la detenzione materiale del bene. Difatti, la citata circolare evidenzia che affinché un erede possa godere delle detrazioni, è necessario che sia in possesso dell’immobile e che ci sia un utilizzo effettivo.

A cura di: Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Condominio: cosa sono i frontalini dei balconi e chi si occupa delle spese per la loro manutenzione

Il frontalino di un balcone è quella porzione esterna che si trova generalmente sulla parte anteriore di un balcone e che delimita la parte inferiore del piano di calpestio. I frontalini sono di solito visibili osservando la facciata del condominio e solitamente sono realizzati in metallo o cemento.

I frontalini possono assolvere a diverse funzioni, ovvero possono proteggere la parte esterna del balcone dai vari agenti atmosferici che potrebbero col tempo danneggiare la soletta sottostante ed inoltre possono assumere anche una funzione estetica integrandosi armoniosamente con la facciata condominiale e contribuendo al decoro architettonico dell’edificio.

In ambito condominiale spesso viene affrontata la questione relativa alla proprietà dei frontalini, difatti i condòmini si chiedono spesso se si tratta di elementi di proprietà del singolo condomino o se invece fanno parte della facciata del condominio e sono quindi di competenza condominiale. Chiarire questo aspetto è fondamentale, poiché proprio dalla risposta a questo quesito dipendono le eventuali responsabilità in caso di danni dal distacco di calcinacci e sia la questione legata alle spese di manutenzione.

In linea generale i frontalini sono considerati di proprietà del singolo condomino proprietario del balcone, salvo che questi però non assolvano a una funzione di tipo estetico, decorativa o ornamentale, poiché contribuendo al decoro architettonico dell’edificio possono essere considerati come parti comuni del condominio.

Ad esempio, se si ha come oggetto il balcone di un palazzo di pregio, con un frontalino che ricopre una funzione ornamentale, allora questo sarà molto probabilmente considerato parte comune dell’edificio, viceversa, se i frontalini sono comuni, in cemento o metallo e non hanno una funzione decorativa, questi saranno considerati di proprietà del singolo appartamento e quindi del condomino che lo abita.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 27413/2018 ha infatti stabilito che quando i frontalini dei balconi costituiscono elementi decorativi e rientrano, quindi, tra le parti comuni del condominio, le spese relative al rifacimento sono da suddividersi tra i condòmini in proporzione alle rispettive quote di proprietà. In questo caso, per la ripartizione delle spese si segue, quindi, quanto indicato dall’art. 1123 del codice civile.

Ad ogni modo, per stabilire se un frontalino abbia una funzione decorativa, a meno che non si tratti di casi particolarmente evidenti, è necessaria un’analisi tecnica che chiarisca il ruolo di queste strutture nell’edificio, così da cercare di ridurre o evitare eventuali controversie condominiali.

Inoltre, una valutazione ciclica delle condizioni dei frontalini è sempre consigliabile per ridurre il rischio di distacco e i conseguenti danni a cose o persone e per intervenire tempestivamente qualora vi fosse l’esigenza.
Riguardo le responsabilità dei danni causati da frontalini pericolanti, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13556/2020 ha stabilito che tale responsabilità dipende anch’essa dalla funzione dei frontalini, pertanto l’intero condominio è ritenuto responsabile dei danni causati dai frontalini se questi assolvono la funzione decorativa quindi sono parte della facciata, mentre viene ritenuto responsabile il singolo condomino quando i frontalini sono considerati privati, quindi non hanno funzione decorativa per la facciata.

Per quanto riguarda la tipologia di manutenzione, gli interventi ciclici di controllo e riparazione rientrano nella manutenzione ordinaria, mentre un intervento di rifacimento completo dei frontalini o un intervento di sostituzione rientra nella manutenzione straordinaria.

Per gli interventi di manutenzione straordinaria è necessaria l’autorizzazione dell’assemblea e quindi l’approvazione della maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio, ma se l’intervento è urgente poiché pregiudica la stabilità o la sicurezza della facciata, l’amministratore può procedere senza preventiva autorizzazione da parte dell’assemblea (art. 1135 c.c.) anche se comunque è indispensabile che l’amministratore richieda una successiva ratifica da parte dell’assemblea.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Il pagamento delle spese per i terreni di confine alle proprietà condominiali

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Decarbonizzare gli edifici costa ogni anno 16 miliari

La direttiva Case Green – EPBD IV stabilisce obiettivi ambiziosi per la decarbonizzazione del settore edilizio, mirando a un risparmio energetico del 16% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020.
Ma raggiungere questo traguardo richiede ingenti investimenti. Secondo uno studio condotto da Agici, realizzato con il supporto di CVA e presentato a Milano nel corso dell’11° Convegno annuale dell’Osservatorio sull’efficienza energetica, l’Italia dovrà destinare 13 miliardi di euro all’anno agli edifici residenziali, 2,5 miliardi per il patrimonio pubblico e 700 milioni per le imprese, per un totale di 16,2 miliardi di euro annui da qui alla fine del decennio.
Una sfida colossale che, senza un sistema di incentivi più efficace, rischia di rallentare il percorso verso una transizione energetica reale e sostenibile.

Edifici unifamiliari: la combinazione più efficace per abbattere le emissioni
Lo studio ha analizzato il potenziale di riduzione delle emissioni combinando interventi di efficienza energetica e sistemi alimentati da fonti rinnovabili.
I dati indicano che una abitazione unifamiliare di 100 mq consuma in media 21,5 MWh all’anno, producendo 4,2 tonnellate di CO2.
Diverse tecnologie sono state messe a confronto, tra cui pompe di calore, impianti fotovoltaici, caldaie a biomassa e sistemi di accumulo elettrico.
La soluzione più efficace per abbattere le emissioni, riducendole fino al 94 per cento, è risultata quella che combina l’isolamento dell’involucro con un impianto fotovoltaico e una pompa di calore con accumulo.
Tuttavia, se si analizza il costo della riduzione della CO2, l’opzione più conveniente si rivela quella che unisce efficienza energetica e caldaia a biomassa, con un costo livellato di abbattimento delle emissioni fissato a 343 euro per tonnellata di CO2.
Gli incentivi attuali permettono di coprire tra il 34 per cento e il 35 per cento dei costi complessivi, mentre il risparmio in bolletta generato dagli interventi oscilla tra il 22 per cento e il 36 per cento.

La sfida dei condomini: la via più efficace è il teleriscaldamento
Se per gli edifici unifamiliari il fotovoltaico e l’accumulo risultano la soluzione più efficace, nei condomini la strategia più vantaggiosa sembra essere il teleriscaldamento.
Lo studio ha analizzato edifici di diverse dimensioni, con una superficie media di 9.735 mq e un consumo energetico di 1,38 GWh annui, con emissioni pari a 279 tonnellate di CO2.
Tra le diverse tecnologie prese in esame – tra cui caldaie ad alta efficienza, fotovoltaico e impianti a biomassa – la combinazione più efficace si è rivelata quella che integra l’isolamento dell’involucro con il teleriscaldamento, capace di ridurre l’ 89% delle emissioni.
Anche dal punto di vista economico, questa soluzione si conferma vantaggiosa, con un costo per tonnellata di CO2 abbattuta di 1.038 euro.
Gli incentivi previsti, tra detrazioni fiscali e Conto Termico, possono coprire tra il 34 per cento e il 36 per cento dei costi complessivi.

Industria: fotovoltaico e accumulo per ridurre le emissioni
Lo studio ha anche analizzato le soluzioni per il settore industriale, prendendo in considerazione una impresa energivora esposta alla competizione internazionale e inclusa nel sistema ETS.
I consumi stimati sono particolarmente elevati: 343.888 MWh di metano utilizzati per produrre 159.444 MWh di energia utile, con emissioni annue pari a 63.031 tonnellate di CO2.
Tra le diverse strategie esaminate, la più efficace per la riduzione delle emissioni è risultata la combinazione tra fotovoltaico, accumulo e interventi di efficienza energetica, che garantisce un abbattimento del 54,1 per cento della CO2.
Tuttavia, la soluzione più vantaggiosa dal punto di vista economico è quella che integra fotovoltaico ed efficienza energetica, con un costo di 95 euro per tonnellata di CO2 ridotta.
Lo studio ha anche valutato l’opzione di integrare l’idrogeno, ma ha concluso che la realizzazione di impianti autonomi presenta costi elevati e benefici minimi.
La strategia più efficiente, quindi, sarebbe investire nella creazione di una rete di produzione e distribuzione, piuttosto che in soluzioni isolate.
Gli incentivi attuali, tra cui Transizione 5.0 e Titoli di Efficienza Energetica (TEE), migliorano gli indicatori finanziari e potrebbero mobilitare investimenti di maggiore entità, riducendo il tempo di ritorno degli investimenti.

Gli incentivi attuali non bastano: serve un cambio di strategia
La ricerca evidenzia una criticità fondamentale: le attuali detrazioni fiscali non riescono a stimolare sufficientemente gli investimenti privati, soprattutto se combinate con finanziamenti bancari.
Una possibile soluzione potrebbe essere la combinazione dei Titoli di Efficienza Energetica (TEE) con il modello Energy Performance Contract (EPC), che prevede di ripagare gli interventi con i risparmi ottenuti grazie all’efficientamento.
Questa formula si è dimostrata particolarmente efficace per progetti che garantiscono una riduzione delle emissioni tra il 20 per cento e il 50 per cento, ma non può essere applicata a tutti i settori con la stessa efficienza.
Se il Governo vuole accelerare la transizione energetica e raggiungere gli obiettivi della direttiva Case Green, sarà fondamentale ripensare il sistema degli incentivi, integrando soluzioni innovative e ampliando le opportunità per mobilitare capitali privati su larga scala.

Un’occasione da non perdere
L’implementazione della direttiva EPBD potrebbe trasformarsi in una grande opportunità per il Paese, riducendo le emissioni e rilanciando l’industria dell’efficienza energetica. Ma senza una strategia finanziaria adeguata, il rischio è quello di rallentare il processo e perdere competitività rispetto agli altri Paesi europei.
La chiave per il successo sarà una revisione degli incentivi, una maggiore integrazione tra tecnologie e un piano di investimenti strutturato, capace di coniugare sostenibilità ambientale ed economica.
L’Italia ha ancora il tempo per trasformare questa sfida in un’opportunità di crescita, ma la finestra di intervento si sta rapidamente chiudendo.

Privacy e condominio: le regole per gestire con correttezza i sinistri

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Se un incidente colpisce il condominio, la gestione dei dati personali diventa una questione delicata.
Tra fotografie, verbali e documenti assicurativi, l’amministratore deve garantire il rispetto delle norme sulla privacy, evitando violazioni e proteggendo i diritti dei condòmini.

Gestire un sinistro: tra burocrazia e privacy
Un’infiltrazione d’acqua, un danno da incendio, un atto vandalico o, nei casi più gravi, un crollo strutturale. Ogni sinistro condominiale porta con sé la necessità di documentare l’accaduto, raccogliere prove e trasmettere informazioni ad assicurazioni, tecnici e legali.
Ma attenzione: ogni foto, verbale o relazione tecnica che riguarda ambienti privati, targhe di veicoli, persone o oggetti personali costituisce un trattamento di dati personali ai sensi del Regolamento UE 2016/679 (GDPR).
Per questo motivo, l’amministratore di condominio, in qualità di responsabile del trattamento, ha l’obbligo di operare nel rispetto delle normative sulla privacy, tutelando i diritti degli interessati e limitando la raccolta dei dati solo a ciò che è realmente necessario.

Raccolta e gestione della documentazione: cosa si può fotografare
La documentazione di un sinistro è fondamentale per ottenere un risarcimento o avviare interventi di ripristino, ma deve essere raccolta seguendo criteri chiari e rispettosi della privacy.
• Fotografie e video devono essere pertinenti: la ripresa di una perdita d’acqua, ad esempio, deve concentrarsi sulla zona interessata, evitando di includere persone, oggetti personali o dettagli inutili. Riprendere ambienti privati in maniera eccessiva può violare il principio di minimizzazione dei dati e portare a responsabilità ai sensi dell’ articolo 83 del GDPR.
• Verbali e relazioni devono rispettare la proporzionalità: raccogliere dati personali senza un valido motivo costituisce una violazione della privacy. La documentazione deve essere limitata allo stretto necessario, evitando di divulgare informazioni non pertinenti.

Informativa e diritto di accesso: i condòmini devono essere informati
Quando il sinistro coinvolge persone identificabili – come i proprietari delle unità danneggiate – devono essere informati sul trattamento dei loro dati. Il GDPR impone che l’amministratore fornisca un’ informativa chiara e trasparente (art. 13), in cui vengano spiegati:
• La finalità della raccolta dati.
• I tempi di conservazione delle informazioni.
• I destinatari dei dati, come compagnie assicurative e tecnici incaricati.
La documentazione raccolta deve essere protetta da misure di sicurezza adeguate, evitando accessi non autorizzati. È consigliabile adottare strumenti come credenziali di accesso e cifratura dei file (art. 32 GDPR). Inoltre, i dati devono essere conservati solo per il tempo strettamente necessario alla gestione del sinistro e alle eventuali controversie, dopodiché devono essere cancellati o anonimizzati.

Il ruolo dei periti e la trasmissione dei dati
Se l’amministratore incarica un perito esterno o una compagnia assicurativa per la valutazione del danno, è indispensabile formalizzare la nomina a responsabile esterno del trattamento ai sensi dell’ articolo 28 del GDPR.
Ogni trasferimento di dati a terzi (compagnie assicurative, avvocati, tecnici) deve avvenire con modalità sicure e tracciabili. Il Garante Privacy, nel provvedimento 244 dell’8 giugno 2023, ha ribadito che la trasmissione di informazioni deve essere protetta da misure di sicurezza adeguate, per evitare accessi non autorizzati o dispersioni di dati.

Se il sinistro provoca lesioni: obblighi aggiuntivi
In caso di incidenti che causano lesioni a persone all’interno del condominio, l’amministratore ha un ulteriore obbligo: aggiornare il Registro delle attività di trattamento (articolo 30 GDPR), necessario per garantire la tracciabilità dei dati sensibili trattati.
Il registro deve contenere:
• Categorie di interessati e dati raccolti.
• Finalità del trattamento e destinatari dei dati.
• Tempi di conservazione.
Se il sinistro è stato discusso in assemblea, è consigliabile inserire un riferimento al verbale, mantenendo il documento conservato e aggiornato in formato sicuro.

Il diritto di accesso alla documentazione: attenzione alla riservatezza
Un condòmino coinvolto nel sinistro può richiedere di visionare la documentazione, ma questo diritto non deve violare la privacy degli altri residenti.
Prima di concedere l’accesso, occorre anonimizzare o oscurare dati riferiti a terzi, bilanciando il diritto di informazione con la tutela della riservatezza.
Se gestito in modo errato, questo aspetto può portare a contenziosi e problematiche giuridiche.

Conclusione: la privacy prima di tutto
La gestione dei sinistri in condominio richiede grande attenzione alla privacy. Documentare correttamente gli eventi è fondamentale, ma deve essere fatto rispettando le norme del GDPR, adottando misure di sicurezza adeguate e garantendo la proporzionalità e la minimizzazione dei dati trattati.
Una gestione scrupolosa protegge non solo i dati personali, ma anche la sicurezza giuridica dell’amministratore e la reputazione del condominio. In un mondo sempre più orientato alla trasparenza digitale, la conformità alle norme sulla privacy può diventare un valore aggiunto per chi amministra condomini, evitando rischi e rafforzando la fiducia dei residenti.

Direttiva Ue Case Green, la grande occasione per la decarbonizzazione dell’edilizia italiana

L’Italia si trova di fronte a una sfida cruciale: decarbonizzare il patrimonio edilizio, riducendo le emissioni e migliorando l’efficienza energetica degli edifici.
La direttiva Case Green – EPBD IV – rappresenta un passo fondamentale in questa direzione, ma la sua applicazione richiede politiche mirate, incentivi efficaci e una visione di lungo periodo.
Nel corso di KEY – The Energy Transition Expo, Francesca Andreolli, ricercatrice senior del think tank Ecco, ha presentato un’analisi sulle opportunità che questa direttiva può offrire al settore edilizio italiano, mettendo in luce le sfide che il Paese deve affrontare e le misure necessarie per non perdere un’occasione storica.

Edifici italiani: vecchi, energivori e poco efficienti
L’Italia deve fare i conti con un patrimonio immobiliare obsoleto e altamente energivoro. Il 64 per cento delle abitazioni risale a prima del 1980, con una forte concentrazione di edifici costruiti negli anni’60 e’70, soprattutto nelle regioni del Nord. Inoltre, il 60 per cento delle case è collocato in contesti condominiali, e il 10 per cento si trova nei centri storici, dove le possibilità di intervento sono spesso limitate.
L’inefficienza energetica è evidente nei numeri: il settore edilizio copre oltre il 50% dei consumi energetici nazionali, alimentati prevalentemente da fonti fossili. Il 70 per cento di questa energia è destinata al riscaldamento domestico, che nella maggior parte dei casi avviene tramite caldaie a gas e radiatori, senza l’impiego di tecnologie più avanzate e sostenibili.
Secondo i dati presentati da Ecco, solo il 18% delle abitazioni italiane ha richiesto un Attestato di Prestazione Energetica (APE) e l’80 per cento degli edifici è classificato in una classe energetica inferiore alla D. Il dato più allarmante riguarda il 30 per cento degli immobili, che rientra nella classe G, la peggiore in termini di efficienza.

Il fallimento degli incentivi e il nodo sociale della riqualificazione
Gli interventi per migliorare l’efficienza energetica degli edifici non hanno prodotto i risultati sperati. Nonostante i numerosi bonus edilizi, le emissioni del settore sono rimaste pressoché stabili, evidenziando la necessità di un approccio più strutturato.
A pesare su questa situazione sono fattori sociali ed economici spesso ignorati. La riqualificazione energetica richiede investimenti da parte delle famiglie, ma la capacità di spesa degli italiani è limitata. Il 70 per cento dei contribuenti ha un reddito inferiore a 26mila euro, e la capacità di risparmio medio è sotto i 3mila euro, con significative differenze tra Nord e Sud.
Gli under 35, spesso sensibili alle tematiche ambientali e teoricamente più inclini a investire nella riqualificazione, vivono in affitto e hanno minori capacità di investimento rispetto ai proprietari di case.
Questo quadro impone una riflessione più profonda sul tema degli incentivi, che finora hanno avvantaggiato principalmente le fasce di reddito più alte -cioè coloro che avrebbero potuto investire comunque.

Superbonus: luci e ombre di una misura inefficace
Il Superbonus ha avuto un impatto significativo sul settore delle costruzioni nel periodo post-pandemico, con un incremento del 68 per cento degli investimenti nel triennio 2021-2023. Ma l’analisi del suo rapporto costo/efficacia solleva più di una perplessità.
Il costo per ogni kilowattora risparmiato è stato quasi doppio rispetto all’Ecobonus (5,2 €/kWh contro 2,8 €/kWh). Inoltre, la riduzione delle emissioni del settore edilizio è stata appena dell’1%, un risultato decisamente inferiore alle aspettative.
Uno dei problemi principali del Superbonus è stato la mancanza di un vero spostamento dal gas all’elettrico, che avrebbe garantito una decisa riduzione delle emissioni. A questo si aggiunge il fatto che lo sconto in fattura e la cessione del credito, strumenti che avevano permesso anche alle fasce più basse di accedere agli incentivi, sono stati eliminati ancor prima della riduzione dell’aliquota del Superbonus.

Come rendere la Direttiva un’occasione per l’Italia
Secondo Ecco, la direttiva Case Green deve essere recepita con politiche che risolvano i limiti strutturali degli incentivi esistenti. Servono misure capaci di rispondere realmente ai bisogni delle famiglie e delle imprese, con una programmazione di medio-lungo periodo che garantisca stabilità e sostenibilità finanziaria.
Oltre all’aspetto sociale, il Governo deve integrare la EPBD con le altre direttive europee, includendo le misure su ETS e rinnovabili, per creare una strategia coerente nell’ambito del Green Deal europeo.
Per valutare concretamente il ritorno degli investimenti, Ecco ha utilizzato la metodologia Social Return of Investment (SROI), che attribuisce un valore monetario agli impatti non quantificabili delle politiche di riqualificazione.
Analizzando diversi scenari al 2030, 2035 e 2040, il think tank ha evidenziato i benefici industriali, ambientali e occupazionali legati alla decarbonizzazione del settore edilizio.

Le raccomandazioni per una transizione efficace
Per garantire un’efficace applicazione della direttiva EPBD, Ecco ha individuato sei raccomandazioni chiave:
• Mantenere le detrazioni fiscali almeno fino al 2030, per garantire stabilità agli investimenti.
• Adeguare le agevolazioni alla reale riduzione delle emissioni e agli standard ambientali più elevati.
• Potenziamento dei controlli per verificare l’efficacia degli strumenti di incentivazione.
• Copertura totale dei costi per le fasce più deboli, per contrastare la povertà energetica.
• Riduzione progressiva dell’IMU sulle seconde case in affitto, se riqualificate energeticamente.
• Correggere il divario tra bolletta del gas ed elettrica, per incentivare il passaggio alle tecnologie più efficienti.
La transizione ecologica dell’edilizia non deve essere vista come un costo, ma come un investimento strategico per il Paese.
Se l’Italia saprà cogliere questa opportunità, potrà non solo ridurre le emissioni, ma anche migliorare la qualità della vita dei cittadini, creando posti di lavoro e rilanciando il settore edilizio in una chiave realmente sostenibile.