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ARCHIVIO DEL CONDOMINIO

Amministratore di condominio e gestione dell’acqua

L’amministratore di condominio dello stabile in cui sono proprietario di un appartamento minaccia di chiudere l’acqua per un difetto di costruzione dell’impianto (le acque scure confluiscono nelle acque chiare). L’impianto è attivo da decenni. Rientra tra le sue facoltà poter togliere l’acqua ai condomini?

Il decreto legislativo 18/2023 afferma che il gestore della distribuzione idrica interna è l’amministratore di condominio, responsabile del sistema idro-potabile collocato fra il punto di consegna e il punto d’uso dell’acqua (del tratto precedente è responsabile il fornitore).
Perciò l’amministratore deve effettuare una valutazione e gestione del rischio dei sistemi di distribuzione idrica interni e deve adottare le necessarie misure preventive e correttive, proporzionate al rischio, per ripristinare la qualità delle acque (pena la sanzione da 5mila a 30mila euro).
Quindi, se il rischio è certificato dalle analisi, deve chiudere l’impianto per il tempo necessario all’intervento di ripristino.

Dal 2025 stop agli incentivi per le caldaie a gas

A partire dal 2025 non sarà più possibile beneficiare di incentivi per l’acquisto e l’installazione di caldaie a gas, che dal 2040 saranno definitivamente messe al bando.
È una delle principali novità introdotte dalla Direttiva Ue “Case Green”, che in proposito ha tracciato una precisa roadmap: dal 2025 stop agli incentivi, dal 2040 stop alla produzione e alla vendita delle caldaie alimentate a combustibile fossile.
Nel corso dell’iter di approvazione della Legge di Bilancio è stato ratificato l’emendamento che stralcia le caldaie a combustibili fossili dall’elenco delle spese detraibili nell’ambito dei lavori edilizi e di riqualificazione energetica.
L’acquisto e l’installazione di “impianti di climatizzazione invernale con caldaie uniche alimentate a combustibili fossili”, pertanto, non potranno essere agevolati né con il Bonus Ristrutturazione né con l’Ecobonus a partire dal 1° gennaio 2025.
Una delle più severe indicazioni della Direttiva Ue Case Green è stata dunque recepita e inserita dalla Legge di Bilancio 2025, evitando così il rischio di incorrere in una probabile procedura di infrazione.
Nel testo della Direttiva si legge che due terzi dell’energia consumata per riscaldare e raffrescare gli edifici provengono ancora da combustibili fossili. Una delle leve sui cui gli Stati dovranno agire per raggiungere i traguardi ambiziosi della decarbonizzazione del riscaldamento e del raffrescamento degli edifici è l’elettrificazione dei consumi grazie all’energia da fonti rinnovabili, attraverso l’installazione di pompe di calore, impianti solari, batterie e infrastrutture di ricarica al posto delle caldaie alimentate a combustibili fossili.
Con una comunicazione dello scorso 18 ottobre 2024 la Commissione Europea ha fornito importanti chiarimenti per la corretta interpretazione dell’articolo 17 sul bando delle caldaie a gas, lasciando spazio a significative deroghe su impianti ibridi e spese non legate all’installazione.

Le linee guida della Commissione Europea
Con la comunicazione dello scorso 18 ottobre 2024 (C/2024/6206), la Commissione Europea ha fornito chiarimenti per la corretta interpretazione dell’articolo 17 della Direttiva Ue Case Green in relazione all’eliminazione graduale degli incentivi finanziari alle caldaie uniche alimentate a combustibili fossili, a norma della direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia.
Dal 1° gennaio 2025 gli Stati membri non offrono più incentivi finanziari per l’installazione di caldaie uniche alimentate a combustibili fossili, ad eccezione di quelle selezionate per gli investimenti prima del 2025.
Innanzitutto, si precisa che l’articolo 17, paragrafo 15, si applica all’installazione di caldaie uniche alimentate a combustibili fossili, ovverosia all’acquisto, all’assemblaggio e alla messa in funzione di una caldaia:
• che brucia combustibili fossili, ossia fonti energetiche non rinnovabili a base di carbonio, quali combustibili solidi, gas naturale e petrolio;
• unica, ossia non combinata con un altro generatore di calore che utilizza energia da fonti rinnovabili e che produce una quota considerevole dell’energia totale in uscita dal sistema combinato. Il fatto che l’installazione di una caldaia unica alimentata a combustibili fossili avvenga ad esempio nel quadro di una ristrutturazione profonda o integrata è irrilevante in questo contesto.
Sulla base di queste premesse:
• una caldaia a gas può essere considerata “alimentata a combustibili fossili” in funzione del mix di combustibili nella rete del gas al momento dell’installazione. Di norma, quando la rete locale del gas trasporta prevalentemente gas naturale, l’installazione di caldaie a gas non dovrebbe ricevere incentivi finanziari; può invece beneficiare di incentivi a norma dell’articolo 17, paragrafo 15, se la rete locale del gas trasporta prevalentemente combustibili rinnovabili. Spetta alle autorità competenti degli Stati membri garantire l’esistenza di uno strumento di verifica in grado di controllare questo aspetto al momento dell’installazione;
• affinché una caldaia non collegata alla rete non sia considerata “alimentata a combustibili fossili”, le autorità competenti dello Stato membro devono esigere e verificare in modo solido e credibile che l’unità funzionerà effettivamente utilizzando combustibili rinnovabili sia al momento dell’installazione che per il resto della sua vita utile, dato che il beneficiario mantiene il controllo del combustibile utilizzato durante l’intera vita utile di una caldaia non collegata alla rete. Questa verifica può essere effettuata nel quadro delle ispezioni periodiche in loco degli impianti di riscaldamento o di ispezioni di altro tipo riguardanti gli impianti di riscaldamento negli Stati membri;
• gli incentivi finanziari sono ammessi solo per gli impianti di riscaldamento ibridi con una quota considerevole di energie rinnovabili, e soltanto in misura proporzionale all’uso di energie rinnovabili in tali impianti; di conseguenza l’installazione di un impianto di riscaldamento basato al 100 per cento su energie rinnovabili dovrebbe essere incentivata maggiormente rispetto all’installazione di un impianto di riscaldamento ibrido.
Spetta agli Stati dare una definizione di “impianti di riscaldamento ibridi con una quota considerevole di energie rinnovabili” e di “quota di energie rinnovabili considerevole negli impianti di riscaldamento ibridi”, garantendo che la parte dell’impianto ibrido che utilizza energie rinnovabili, ad esempio un impianto solare termico o una pompa di calore, fornisca una quota considerevole dell’energia prodotta (ossia il fabbisogno di riscaldamento dell’edificio).
Tale valutazione dovrà essere effettuata dall’autorità competente e dipenderà dalle circostanze. L’ibridazione potrebbe essere aggiunta in loco in un secondo momento, nel qual caso il finanziamento servirà soltanto per gli elementi relativi al generatore di calore aggiuntivo ad energia rinnovabile e/o per i comandi specifici utilizzati per gestire il funzionamento congiunto delle diverse tecnologie. Diverso è il caso degli impianti di riscaldamento concepiti e immessi sul mercato come ibridi: l’incentivo finanziario può coprire l’intero prodotto, ma dovrebbe essere proporzionato alla quota di energie rinnovabili utilizzata dall’impianto ibrido.

Gli incentivi ammessi per i sistemi di riscaldamento
La Commissione Europea ha fornito gli esempi di incentivi finanziari che non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 17 e che sono ancora ammessi.
• Impianti di riscaldamento ibridi con una quota considerevole di energie rinnovabili. Potrebbero essere ancora agevolati, ad esempio, la combinazione di una caldaia con un impianto solare termico o con una pompa di calore); come detto sopra questi incentivi finanziari di questo tipo dovrebbero essere proporzionati all’uso di energie rinnovabili nell’impianto di riscaldamento ibrido.
• Eventuali costi aggiuntivi connessi alla transizione verso l’uso di gas rinnovabili in una caldaia. Tali costi possono essere connessi all’ammodernamento dell’impianto di distribuzione all’interno dell’abitazione, al punto di connessione, all’ibridazione in loco o a investimenti aggiuntivi in adeguamenti tecnici per permettere l’uso di energia rinnovabile nella caldaia, ad esempio investimenti aggiuntivi nelle parti dell’impianto di riscaldamento che consentono l’uso di energia rinnovabile al 100 per cento.
• Incentivi non correlati all’installazione. Eventuali incentivi relativi ad attività diverse dall’installazione – come la manutenzione, la riparazione o lo smantellamento di caldaie a combustibile fossile, ad esempio attraverso premi di rottamazione – non sono soggetti alla disposizione concernente l’eliminazione graduale dei finanziamenti. Incentivi simili possono essere utili a prevenire sostituzioni di emergenza a seguito di un guasto e a incoraggiare la riparazione o la sostituzione di un determinato elemento. Possono contemplare ad esempio la locazione temporanea di caldaie ai consumatori di energia nelle zone che sono o saranno servite da teleriscaldamento e teleraffrescamento.
• Incentivi finanziari a favore dell’installazione, negli edifici, di sistemi di automazione e controllo degli impianti di riscaldamento alimentati da caldaie uniche a combustibile fossile
• Misure volte ad affrontare la questione dell’accessibilità economica dell’energia
Anziché incentivare economicamente la sostituzione delle caldaie a combustibili fossili con nuove caldaie dello stesso tipo, gli Stati membri dovrebbero sostenere la riparazione di quelle esistenti e/o prevedere soluzioni temporanee di riscaldamento (ad esempio la locazione finanziaria delle caldaie) associate a livelli più elevati di sostegno alle famiglie vulnerabili per impianti di riscaldamento diversi dalle caldaie uniche alimentate a combustibili fossili (quali gli impianti di riscaldamento basati su energie rinnovabili o gli impianti ibridi con una quota considerevole di energie rinnovabili).
• Incentivi non correlati alle caldaie
Gli apparecchi che non rispondono alla definizione di caldaie, quali stufe o apparecchi di microcogenerazione, non sono interessati dall’eliminazione graduale degli incentivi finanziari a favore delle caldaie uniche alimentate a combustibili fossili.
• Erogazione di incentivi concessi e comunicati al beneficiario prima del 10 gennaio 2025. Qualora un ente pubblico abbia preso la decisione di fornire un incentivo finanziario e l’abbia comunicata al beneficiario prima del 1o gennaio 2025, sono state create legittime aspettative prima di tale data e l’erogazione effettiva dell’incentivo finanziario può aver luogo dopo tale data.

Il regolamento sull’etichettatura energetica
In tale contesto, è importante sottolineare che, sebbene l’articolo 17, paragrafo 15, non vieti gli incentivi finanziari per l’installazione di caldaie uniche alimentate a combustibili rinnovabili, questi potrebbero essere preclusi dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento sull’etichettatura energetica (Regolamento (UE) 2017/1369).
Tale disposizione impone che gli eventuali incentivi previsti dagli Stati membri puntino alle due classi di efficienza energetica più elevate tra quelle in cui si situa una percentuale significativa dei prodotti o alle classi più elevate indicate negli atti delegati dell’UE sull’etichettatura energetica dei prodotti in questione.
Nel caso degli apparecchi per il riscaldamento d’ambiente aventi capacità fino a 70 kW soggetti all’etichettatura energetica, ciò significa che gli Stati membri possono incentivare solo quelli che rientrano nelle due classi di efficienza energetica più elevate tra quelle in cui si situa una percentuale significativa dei prodotti.
Stando ai dati attualmente disponibili, le caldaie uniche non rientrano in queste due classi e non possono dunque essere incentivate, indipendentemente dal fatto che siano alimentate a combustibili fossili o rinnovabili.
Possono invece essere incentivate le caldaie ibride e le pompe di calore, più efficienti, che rientrano quindi nelle due classi di efficienza energetica più elevate tra quelle in cui si situa una percentuale significativa dei prodotti in questione.

Eccezioni
L’articolo 17 della direttiva EPBD presenta delle eccezioni al divieto di incentivi finanziari per l’installazione di caldaie uniche alimentate a combustibili fossili dopo il 1° gennaio 2025 qualora sussistano contemporaneamente due condizioni:
– 1 – sono finanziati a titolo:
• del dispositivo per la ripresa e la resilienza;
• del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e del Fondo di coesione, unicamente nei casi in cui si applica l’articolo 7, paragrafo 1, lettera h), punto i), terzo trattino, del regolamento (UE) 2021/1058(26). Tale disposizione consente di investire in caldaie e impianti di riscaldamento alimentati a gas naturale che sostituiscono impianti a carbone, torba, lignite o scisto bituminoso in alloggi ed edifici;
– 2 – sono stati selezionati per gli investimenti prima del 2025, se rientrano all’interno dei programmi nazionali o regionali adottati prima del nuovo anno.

Caldaie a gas: stop all’installazione dal 2040
A differenza delle previsioni iniziali della Direttiva, che fissavano al 2035 la fine della produzione e vendita delle caldaie alimentate a combustibile fossile, l’obbligo è ora fissato al 2040.
È importante precisare che questa restrizione non colpirà chi già possiede una caldaia a gas, ma riguarderà coloro che intendono acquistare un nuovo sistema di riscaldamento per le nuove costruzioni o per gli immobili in ristrutturazione.
Quindi, detenere una caldaia a gas rimarrà legale, ma la produzione e la commercializzazione di nuovi modelli saranno vietate a partire dal 2040.
Esistono diverse possibilità previste – proposte dalla Direttiva Ue Case Green – per coprire il fabbisogno energetico di un edificio a zero emissioni: energia da rinnovabili generata in loco o nelle vicinanze con impianti solari termici, geotermici o fotovoltaici, pompe di calore, energia idroelettrica e biomassa, rinnovabili fornite dalle comunità dell’energia rinnovabile.
Particolare enfasi è dedicata a sistemi di teleriscaldamento e teleraffrescamento efficienti ed energia da altre fonti prive di carbonio, basati sulla distribuzione di energia termica in forma di vapore, acqua calda o liquidi refrigerati da una fonte centrale o decentralizzata di produzione verso una pluralità di edifici o siti tramite una rete.

Direttiva case green e Regolamento Ecodesign
La bozza di revisione del Regolamento Ecodesign 813/2013/UE non risulta coerente con la Direttiva case green perché introduce per le caldaie a gas un indice di rendimento stagionale (seasonal space efficiency) pari al 115%.
La bozza di revisione non prevede, pertanto, un divieto diretto ma nuovi requisiti minimi irraggiungibili per le caldaie a gas in commercio, che sarebbero sostanzialmente fuori dal mercato a partire dal 1° settembre 2029.
È importante precisare che l’istruttoria e le trattative sulla revisione del Regolamento Ecodesign sono ancora in corso e i parametri indicati nella bozza potrebbero essere soggetti a modifica.
In ogni caso, anche in caso di approvazione del regolamento nella versione attuale, il divieto riguarderebbe solo le nuove caldaie e non quelle già installate.

Il passaggio alle pompe di calore costa troppo, servono soluzioni integrate
Un’analisi condotta da Bip Consulting per Assogasliquidi, Assogas, Assotermica, Proxigas e Utilitalia, presentata presso la Camera dei Deputati, propone le possibili soluzioni per la decarbonizzazione dei consumi residenziali prevista dalla Direttiva Ue Case Green, che impone all’Italia già dal 2025 lo stop degli incentivi alle caldaie a gas e il divieto di installazione e commercializzazione dal 2040.
Lo studio parte dalla premessa che:
• il riscaldamento rappresenta l’84 per cento dei consumi termici residenziali e il 68 per cento delle abitazioni utilizza sistemi alimentati a metano;
• gli obiettivi di riduzione stabiliti dall’EPBD possono essere realizzati attraverso l’utilizzo di diverse tecnologie, ciascuna delle quali presenta vantaggi e punti di attenzione.
Per valutare la convenienza economica delle differenti tecnologie di efficientamento, è stata sviluppata un’analisi volta a valutarne i costi di installazione e di gestione.
• Tecnologie a combustibile – La caldaia alimentata a gas (metano o GPL) è la soluzione più economica per l’utenza in tutti i casi analizzati.
• Tecnologie elettriche – Nonostante un’elevata efficienza, le pompe di calore risultano poco competitive considerando l’orizzonte temporale dello studio, non solo a causa degli elevati CapEx ma anche a fronte dell’attuale costo dell’energia elettrica stessa.
• Gas rinnovabili – Percentuali crescenti di gas rinnovabili potranno offrire soluzioni efficaci per raggiungere i target di efficienza a costi competitivi, supportando anche la decarbonizzazione.
Gli scenari analizzati portano ad una riduzione del consumo di energia per riscaldamento, ma con un limitato (o nullo) ritorno economico atteso per le famiglie.
Si ipotizza di raggiungere il target minimo della Direttiva EPBD (-6,3 Mtep) in quattro scenari; la sostituzione delle caldaie a gas tradizionali con quelle a condensazione potrebbe permettere di raggiungere il 60 per cento del target EPBD, con tempi di realizzazione più rapidi e interventi meno invasivi rispetto all’installazione delle pompe di calore. Le sole tecnologie impiantistiche non raggiungono il target, è necessario introdurre soluzioni miste con i sistemi di coibentazione.
Attualmente, le pompe di calore – la principale tra le soluzioni individuate dalla Direttiva e Case Green per la conversione – risultano meno competitive rispetto alle moderne caldaie a condensazione, sia per i costi d’installazione sia per i costi operativi, soprattutto a causa del prezzo dell’energia elettrica in Italia.
Lo studio considera solo 5,9 milioni di abitazioni italiane tecnicamente convertibili alle pompe di calore, tenendo conto di fattori come dimensione, dislocazione geografica e destinazione d’uso.
I target di risparmi di energia primaria possono essere garantiti tramite differenti scenari e un approccio technology neutral, volto a rendere più agevole l’accesso a soluzioni impiantistiche più efficienti ad un numero più elevato di cittadini. Questo approccio, inoltre, può facilitare la transizione green valorizzando la graduale integrazione di gas rinnovabili e vettori molecolari verdi (es. biometano/bioGPL).

Decreto “Bollette”: bonus per famiglie e imprese contro i rincari dell’energia

Per contrastare il caro energia e offrire un aiuto a famiglie e imprese, il Governo ha varato un provvedimento da 3 miliardi di euro.

Si tratta del Decreto Legge 28 febbraio 2025, n. 19, titolo: “Misure urgenti in favore delle famiglie e delle imprese di agevolazione tariffaria per la fornitura di energia elettrica e gas naturale nonché per la trasparenza delle offerte al dettaglio e il rafforzamento delle sanzioni delle Autorità di vigilanza”.

Il cosiddetto “Decreto bollette” è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 49 del 28 febbraio 2025. Si compone di sette articoli e, in particolare, dispone un contributo straordinario una tantum di 200 euro sulle bollette della luce per chi ha un Isee fino a 25mila euro.

Il contributo sarà riconosciuto nel secondo trimestre 2025. Secondo le valutazioni del Governo, la misura interesserà circa 8 milioni di famiglie, con uno stanziamento di 1,65 miliardi di euro.

Bonus bollette 2025

Come previsto dal comma 1, dell’articolo 1, “Contributo straordinario per la fornitura di energia elettrica e gas naturale”, del decreto-legge, “per l’anno 2025, ai fini del riconoscimento di un contributo straordinario del valore di 200 euro sulle forniture di energia elettrica dei clienti domestici con valori dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) fino a 25mila, si provvede con delibera dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera), nel limite delle risorse disponibili, necessarie a garantire la relativa copertura, a qualsiasi titolo sul bilancio della Cassa per i servizi energetici e ambientali”.

Il decreto bollette 2025 parla, dunque, per l’anno in corso, di un contributo straordinario del valore di 200 euro sulle forniture di energia elettrica dei clienti domestici con valori dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) fino a 25mila euro.

Come sottolineato nel comunicato diffuso da Palazzo Chigi, lo sconto di 200 euro sulla bolletta sarà aggiuntivo per chi già percepisce il bonus sociale: si tratta di circa 3 milioni di famiglie con Isee fino a 9.530 euro (15mila euro con tre figli, 20mila con almeno quattro figli) che, in base alle norme attuali, hanno già diritto a uno sconto sulla bolletta della luce pari, per l’intero 2025, a 168 euro per i nuclei fino a due componenti, 219 euro per quelli con tre e quattro componenti e 241 euro per quelli più numerosi.

Tutti coloro che già beneficiano dell’aiuto, in pratica, riceveranno in aggiunta il “contributo straordinario” di 200 euro. Invece, le famiglie che hanno un Isee superiore a 9.530 euro e inferiore a 25mila prenderanno solo l’importo una tantum da 200 euro, dopo aver ottenuto dal portale Inps la certificazione Isee.

Il contributo straordinario del valore di 200 euro sulle forniture di energia elettrica dei clienti domestici con valore Isee fino a 25mila euro sarà riconosciuto nel secondo trimestre 2025 a chi ha presentato l’Isee.

Clienti vulnerabili

L’articolo 2 del decreto-legge 28 febbraio 2025, n. 19, contiene “Disposizioni urgenti per la fornitura di energia elettrica ai clienti vulnerabili”. In pratica, il Decreto proroga di due anni – e quindi fino al 31 marzo 2027 – l’obbligo di passaggio al mercato libero dell’energia per i cosiddetti clienti vulnerabili.

Imprese

Sul fronte delle imprese, il decreto bollette 2025 autorizza la spesa di 600 milioni di euro per il finanziamento del Fondo per la transizione energetica nel settore industriale.

Il provvedimento, inoltre, prevede il taglio degli oneri di sistema alle piccole e medie imprese, garantendo un risparmio sulle bollette di circa il 20 per cento. Con oneri di sistema si fa riferimento a tutte quelle spese per la gestione dell’infrastruttura energetica e per l’incentivazione delle rinnovabili: compaiono in bolletta ma sono slegate dai consumi.

Gestori energetici

Il Decreto Bollette stabilisce degli obblighi di trasparenza ai gestori energetici.

Inoltre, oltre un certo prezzo dell’energia, lo Stato ha deciso che rinuncerà all’Iva e destinerà l’eccesso di Iva alla riduzione delle bollette.

Un particolare meccanismo consentirà infine di utilizzare, in base all’andamento futuro dei prezzi dell’energia, anche ulteriori 3,5 miliardi di euro del Fondo sociale per il clima.

Associazioni dei consumatori

“Il decreto legge interverrà solo quando i caloriferi saranno spenti e le bollette del gas, quindi, ridimensionate”, spiega Marco Vignola, vicepresidente dell’Unione Nazionale Consumatori. Il presidente del Codacons Carlo Rienzi aggiunge: “Il Governo ha messo in campo misure che non sembrano adeguate a contrastare la crescita dei prezzi energetici. Non è con sconti temporali sulla tassazione che si può risolvere un problema strutturale come quello del caro-energia”. Il presidente di Assoutenti Gabriele Melluso chiede che “il governo intervenga per consentire i maggiori risparmi possibili ai consumatori”. Altroconsumo precisa: “Si tratta di una misura che non va nella direzione auspicata, perché servirebbe una misura stabile e strutturale”.

La bolletta dei “vulnerabili” in regime di maggior tutela

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Il ‘Salva Casa’ non decolla: opportunità e criticità

Il ‘Salva Casa’, individuato come lo strumento destinato a dare una risposta tempestiva all’emergenza abitativa, consentendo di sanare le lievi difformità che impediscono a tanti immobili l’ingresso sul mercato, sta deludendo le aspettative.
Incompatibilità della legge nazionale con le disposizioni regionali, lunghi tempi di risposta dell’Agenzia delle Entrate, la mancanza di modulistica dedicata e di criteri per quantificare le sanzioni ne stanno infatti ostacolando il decollo.
Permangono quindi numerose criticità interpretative e applicative di un decreto tanto atteso, ma che per il momento non ha dato risultati concreti e anzi continua a sollevare dubbi sulla sua reale applicazione.
Gli obiettivi del Salva Casa
Il Salva Casa interviene sul Testo Unico dell’Edilizia apportandovi una serie di modifiche.
In particolare, si amplia l’attività edilizia libera, si agevolano il recupero dei sottotetti e il mutamento della destinazione d’uso, si facilita la regolarizzazione degli interventi eseguiti in parziale difformità o con variazioni essenziali e si semplifica il conseguimento dell’agibilità.
Novità anche in relazione alle tolleranze costruttive per gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024 e in materia di stato legittimo: viene infatti chiarito che ai fini della determinazione dello stato legittimo delle singole unità non rilevano le difformità esistenti sulle parti comuni e viceversa.
Il Salva Casa non può dunque sanare difformità sostanziali come aumenti importanti di cubatura o immobili edificati senza permessi.
In molti casi, però, è sufficiente dimostrare che le opere erano in regola con le norme edilizie all’epoca dei lavori e con quelle urbanistiche attuali.

Gli agenti immobiliari: un ruolo fondamentale
Gli agenti immobiliari rappresentano il principale interlocutore di chi vuole vendere o acquistare casa. Quindi sono anche i primi a venire a conoscenza delle problematiche che possono ostacolare una compravendita.
Il Superbonus ha infatti rivelato che molte case non erano conformi alle norme, magari per cose minime, ma che rappresentano comunque un intralcio per la vendita. Infatti spesso si riscontrano lievi irregolarità di cui il proprietario è all’oscuro e che emergono solo quando si raccolgono le carte per vendere l’immobile: discrepanze costruttive, planimetrie non coincidenti tra Catasto e Comune, pratiche non perfezionate.
Il Salva Casa, il cui obiettivo è semplificare la sanatoria di piccoli abusi e creare un mercato più regolare e sano, dovrebbe quindi consentire a migliaia di immobili di essere messi in commercio, generando di conseguenza una maggiore disponibilità e offerta di case.

Le associazioni della proprietà edilizia
Concordano su come il Salva Casa rappresenti un primo importante tassello per agevolare l’immissione di immobili sul mercato, le associazioni della proprietà edilizia.
Uno strumento utile, dunque. Ma non risolutivo per affrontare tante criticità. Per dare una concreta soluzione ai problemi di abusi e difformità di tanti immobili “bisognerebbe avere il coraggio di fare qualcosa di più incisivo e pensare a un vero condono”.
Fino agli anni Settanta, infatti, si costruiva senza andare troppo per il sottile e così si è generata una serie di irregolarità, sconosciute dai proprietari, che vengono allo scoperto al momento della vendita. Ci sono pertanto molti immobili che restano fuori dal raggio d’azione del Salva Casa. Inoltre rimane aperto il problema relativo ai costi da sostenere per rimediare ai piccoli abusi, costi che a fronte di un abuso lievissimo possono anche essere altissimi.

Professionisti a confronto
Per i tecnici che operano nel settore, ovvero, ingegneri, architetti e geometri, per risolvere i tanti problemi del comparto è necessaria una revisione organica del Testo Unico dell’Edilizia, ormai datato, che non consente un’azione efficace sul patrimonio edilizio esistente.
“È necessario arrivare al Testo Unico delle Costruzioni – precisa Maria Cristina Milanese, presidente dell’Ordine degli Architetti di Torino – che consenta di risolvere criticità legate alle procedure edilizie complesse, come il recupero dei sottotetti e i cambi di destinazione d’uso: una normativa organica utile a rendere il lavoro dei professionisti più efficiente e meno soggetto a incertezze”.
Un’ulteriore criticità è che l’applicazione del Decreto sul territorio non è uniforme: viene infatti interpretato in maniera diversa da Regione a Regione, generando ulteriore confusione. Criticità, questa, ben nota anche all’artefice del Decreto, il ministro Matteo Salvini, che per il momento ha ribadito che “è fondamentale uniformare l’applicazione della normativa in tutta Italia per evitare disparità tra Bolzano e Catania”, senza però dare indicazioni per la soluzione del problema.

L’Agenzia delle Entrate
Gli addetti ai lavori segnalano inoltre che il Salva Casa presenta ancora nodi fondamentali da sciogliere, quali la quantificazione degli oneri da pagare, i parametri utilizzati dall’Agenzia delle Entrate per calcolare le oblazioni e le tempistiche di risposta.
Il passaggio critico del Salva Casa è infatti quello che delega all’Agenzia delle Entrate la valutazione dell’incremento di valore dovuto per l’opera da sanare. Pertanto, per ogni pratica gli uffici tecnici comunali devono chiedere l’importo della sanzione da pagare all’Agenzia, le cui tempistiche di risposta non sono definite. Un aspetto non trascurabile che può incagliare l’applicazione effettiva della Legge soprattutto per i piccoli Comuni, meno attrezzati.
Luisa Roccia, presidente del Collegio dei Geometri di Torino, precisa: “Il Salva Casa funziona per le pratiche che rientrano nelle tolleranze previste, che vengono finalizzate in tempi brevi e certi. Invece per quanto riguarda situazioni di ampliamenti, così come il recupero dei sottotetti, entra in scena l’Agenzia delle Entrate e stiamo ancora aspettando sia la modulistica pertinente, sia l’informativa su come verranno quantificate le sanzioni. Vorremmo capire su cosa baseranno i calcoli e quali saranno le tempistiche”.

Conclusioni
La strada del Decreto, dunque, sembra soltanto all’inizio. Per vedere i suoi effetti occorre renderlo concretamente uno strumento realmente utile per cittadini e professionisti. Fondamentale, inoltre, intervenire con una riforma più ampia del Testo Unico dell’Edilizia per garantire un’applicazione uniforme e senza ambiguità.

Casa, allarme Anammi: “Venti di crisi nei condomini, la morosità rialza la testa”

debito condominio

Casa, allarme Anammi:
“Venti di crisi nei condomini,
la morosità rialza la testa”

Grande timore per oltre il 72 per cento degli amministratori: nei prossimi mesi il ritardo nei pagamenti degli oneri condominiali avrà un forte impatto sul loro lavoro e sugli stessi condòmini

La morosità condominiale rialza la testa e rende più difficile la gestione dell’attività quotidiana.
A denunciarlo è l’Anammi, l’Associazione nazional-europea degli amministratori d’immobili, sulla base di un sondaggio interno che ha coinvolto i suoi oltre 13mila iscritti.
Il fenomeno non è una novità, ma negli ultimi anni, in coincidenza con i momenti economici più difficili, come nel 2022 per via dei rincari energetici, ha vissuto picchi significativi.
“La nostra preoccupazione – afferma Giuseppe Bica, presidente dell’Associazione – è che, in un periodo di grande incertezza, la morosità in condominio aggravi le problematiche che già pesano sul patrimonio immobiliare italiano. A farne le spese saranno, ancora una volta, i professionisti del settore, chiamati a conciliare le richieste dei loro amministrati con le problematiche legate ai rincari energetici e all’inflazione”.
Secondo l’indagine, per il 72,97 per cento degli associati nei prossimi mesi il ritardo nei pagamenti degli oneri condominiali avrà un forte impatto sul loro lavoro e sugli stessi condòmini.
Ma di quanto aumenterà il fenomeno? Il 66,28 per cento degli intervistati indica il 20 per cento in più.
“Non è un dato da poco – sottolinea Bica – soprattutto se si pensa che da sempre, nei nostri condomìni, il problema del versamento rimandato a oltranza è molto comune”. Per il 15,12% andrà peggio, con una crescita del 70 per cento; mentre per il 12 per cento la percentuale raddoppierà.
La ragione principale dell’aumento è da ricercarsi nelle difficoltà economiche dei condòmini (38,8 per cento). Tuttavia, a poca distanza (36 per cento) gli associati segnalano lo scarso rispetto delle regole, una tendenza che riguarda la morosità come pure le liti di condominio. Per il 25 per cento degli intervistati, è invece l’incapacità di gestione delle proprie finanze che porta a rinviare il pagamento degli oneri condominiali. La conseguenza più evidente è che per il professionista la gestione delle spese diventerà molto complessa (66,50 per cento).
“è logico che chi onora gli impegni economici si dimostri poco disponibile a comprendere le ragioni di chi non paga – commenta il presidente Bica – mandando in rovina, letteralmente, il condominio. L’amministratore si trova così a lavorare in un contesto ‘avvelenato’, perché la morosità incide negativamente sull’ecosistema condominiale”.
Basti pensare che la dilazione dei pagamenti provoca l’impossibilità di proseguire i lavori condominiali già in corso (13,37 per cento), il mancato versamento del compenso al professionista (11,05 per cento), e ovviamente il peggioramento dei rapporti tra vicini.
La geografia dal fenomeno vede in testa Roma, secondo il 22,38 per cento degli interpellati e Milano, per il 9,3 per cento dei soci. Altri capoluoghi seguono a grande distanza, come Venezia (3,9 per cento), Firenze e Napoli (3,2 per cento), a dimostrazione che il fenomeno pesa in particolare nelle metropoli.
Gli immobili condominiali che soffrono maggiormente la morosità sono in genere di grandi dimensioni (35,53 per cento) e in periferia (35,26 per cento). Per il 14 per cento degli amministratori, il problema colpisce però anche i condomìni dei quartieri più ricchi o abitati da persone anziane (13,95 per cento).
Il Codice civile, dopo la riforma del condominio, impone il decreto ingiuntivo entro sei mesi dal mancato pagamento, ma non basta a sanare la situazione.
Gli stessi soci dell’Anammi ammettono che, per salvare i conti condominiali, ricorrono alla rateizzazione in quasi la metà dei casi, unita ad un’attenta selezione dei fornitori e all’impiego di tecnologie che favoriscono il risparmio.
“Non esistono ricette magiche per contrastare il problema – conclude il presidente dell’Associazione – guardiamo con interesse alle intenzioni del Governo, che ha annunciato di voler intervenire sulle bollette a sostegno delle famiglie. Come amministratori, intendiamo fare la nostra parte dimostrando, ancora una volta, il ruolo economico e sociale della nostra professione”.

A cura di: Silvi CERIOLI – Ufficio Stampa ANAMMI

La sostituzione dei caloriferi non rientra nell’ecobonus

Ho acquistato un appartamento e per rimodernarlo abbiamo sostituito i caloriferi: ho la possibilità di detrarre la sola spesa di acquisto, in quanto ha provveduto a montarli mio marito (sprovvisto di Partita Iva in quanto pensionato)?

La sostituzione dei caloriferi non rientra nell’Ecobonus, in quanto per godere dell’agevolazione occorre sostituire il generatore di calore.

L’Enea ha precisato, infatti, che l’agevolazione non spetta se si provvede a sostituire soltanto i corpi di emissione del calore, ovvero termosifoni, termoarredi o pavimenti radianti.

La sostituzione dei caloriferi permette di godere di un beneficio fiscale nell’ambito del bonus ristrutturazioni.
L’agevolazione concessa a chi opera la sostituzione dei termosifoni consiste nella detrazione IRPEF del 50% del costo sostenuto, fino ad un massimo di Euro 96mila.

In sostanza, si può detrarre in dichiarazione fino ad un massimo di Euro 48mila (50% di 96mila). La detrazione viene effettuata in 10 rate annuali di pari importo.

Requisito importante è che i pagamenti vengano effettuati in modo che siano tracciati, ovvero tramite un bonifico parlante, postale o bancario, sul quale risultano:
• causale del versamento, con riferimento alla norma (articolo 16-bis del Dpr 917/1986);
• codice fiscale del beneficiario della detrazione;
• codice fiscale o numero di partita Iva del beneficiario del pagamento;
• data e numero della fattura.

Il Cin obbligatorio e le nuove regole frenano gli affitti brevi

affittasi

Gli affitti brevi sono in calo per la prima volta dopo il Covid. A fornire il quadro della situazione è lo studio dell’Aigab, l’Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi.
I numeri sono in discesa in tutte le grandi città: a febbraio è stato registrato un calo dell’11 per cento rispetto al mese precedente. Di fatto, gli annunci sono passati da 75mila a 66.600. Ad esempio a Roma l’offerta è calata del 9 per cento, a Milano dell’8 per cento e a Firenze addirittura del 20 per cento.
Un fattore determinante – spiega l’Associazione – è quindi anche il CIN, obbligatorio dal 2 gennaio per gli alloggi destinati all’affitto breve.
A metà marzo, i CIN rilasciati erano 519.000, pari all’85 per cento delle strutture registrate nella banca dati del ministero del Turismo e dotate dei codici regionali.
Uno scarto in linea con il calo delle inserzioni online nel 2025. Ad esempio, Airbnb, uno dei principali portali per gli affitti brevi, da gennaio ha disattivato gli annunci privi del codice.
A contribuire allo scoraggiamento dei locatori sono anche i nuovi costi da sostenere, come gli obblighi in materia di sicurezza, che impongono l’acquisto e il mantenimento a norma di estintori e rilevatori di monossido.
A questo si aggiungono anche gli altri obblighi individuati dalla circolare del ministero dell’Interno del 18 novembre 2024, in particolare l’obbligo di identificare i clienti di persona, che ha scatenato il dibattito sulle famose Keybox.
A determinare il calo di annunci, dunque, sono soprattutto l’introduzione del nuovo adempimento e il calo della redditività.

Salva Casa, le linee guida

Salva Casa, le linee guida

Le indicazioni del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per la corretta applicazione del Decreto che dovrebbe agevolare la regolarizzazione dei piccoli abusi

Molto attese, sono arrivate le linee guida del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per la corretta applicazione del Decreto “Salva Casa”.
Prima del “Salva Casa”, per presentare una pratica edilizia si doveva ricostruire lo “stato legittimo” dell’immobile, cioè la sua storia costruttiva, un adempimento spesso lungo e complesso.
Adesso, invece, l’iter è stato semplificato: lo stato legittimo si può dimostrare partendo dall’ultimo intervento, a condizione che il Comune abbia già verificato la regolarità dei titoli precedenti.
Le linee guida del Ministero chiariscono che i titoli pregressi possono essere presunti, ma solo se nella modulistica dell’ultimo intervento sono indicati gli estremi dei titoli precedenti.

Procedure in Sanatoria
Il Salva Casa ha introdotto la possibilità di presentare un’unica istanza per il cambio di destinazione d’uso e le opere edilizie correlate, riducendo i tempi e semplificando la procedura anche in caso di sanatoria.

Sanatoria piccole difformità
Prima le normative paesaggistiche rendevano estremamente complessa la sanatoria sugli immobili vincolati. Adesso si può avviare una procedura per l’accertamento della compatibilità paesaggistica anche in caso di aumenti di volumi, purché ci sia il parere vincolante della Regione e della Soprintendenza. Nelle linee guida il MIT precisa che la procedura di sanatoria sugli immobili vincolati vale anche se l’intervento ha comportato aumenti di volumi o superfici, con tempi certi e la clausola del silenzio-assenso.

Regolarizzare varianti ante ’77
Prima era quasi impossibile sanare difformità su edifici costruiti prima del 30 gennaio 1977, data di entrata in vigore della legge Bucalossi. Con il Salva Casa entra in vigore una procedura di regolarizzazione per le difformità negli edifici ante 1977, anche se non erano previste varianti in corso d’opera. Ora tali varianti possono essere sanate a condizione che siano relative a lavori iniziati prima del 30 gennaio 1977, e che non sia necessario verificare la conformità urbanistica.

Tolleranze
Il Salva Casa amplia le tolleranze costruttive, ad eccezione delle violazioni edilizie per scostamenti fino al 2 per cento rispetto alle misure progettuali. Le stesse tolleranze si applicano agli immobili vincolati, con scostamenti che vanno dal 2 al 6 per cento, a seconda della superficie dell’unità.

Sanzioni
Con l’entrata in vigore del decreto, sono cambiate le sanzioni per regolarizzare le difformità, da determinare in base all’aumento del valore dell’immobile.
Il MIT precisa che le sanzioni si possono pagate in due fasi:
• al momento della presentazione della SCIA
• in base alla quantificazione dell’aumento di valore da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Variazione destinazione d’uso
Il cambio di destinazione d’uso era soggetto ad una complessa normativa urbanistica regionale e comunale, che ora dovrà essere determinata dai Comuni.

Oneri urbanistici
Prima chi voleva cambiare l’uso di un immobile era soggetto a oneri di urbanizzazione anche per aree da destinare a parcheggi e altre opere pubbliche. Adesso l’obbligo di reperire aree per le opere pubbliche in caso di cambio di destinazione d’uso tra categorie affini è scomparso e spetta soltanto il pagamento degli oneri secondari. Il MIT precisa che il cittadino non deve pagare gli oneri di urbanizzazione primaria, evitando duplicazioni di costi.

Sottotetti
Prima in diverse Regioni erano in vigore normative per il recupero dei sottotetti con limiti sulle distanze minime dagli edifici. Il nuovo decreto introduce delle deroghe alle distanze minime per il recupero del sottotetto, senza alterare la forma e la superficie, permettendo modifiche interne senza sopraelevazioni.

Condominio, le responsabilità per la posta in arrivo

Abito in un condominio in cui vivono altre venti famiglie e abbiamo un amministratore. Le cassette delle lettere sono poste all’interno dell’edificio. Io ho dovuto pagare una sanzione di 604,00 Euro perché non mi è arrivata una raccomandata, che comunque è stata notificata anche se io non l’ho ritirata. Pertanto chiedo di sapere chi é il responsabile della posta in un condominio.

Le cassette postali devono essere posizionate in un luogo che non crei difficoltà al portalettere durante la consegna della posta.

Lo scomparto di deposito, la forma e le dimensioni dell’apertura devono rispondere alle esigenze del traffico postale e risultare tali da consentire di introdurvi gli invii senza difficoltà particolari.

Le cassette devono recare, ben visibile, l’indicazione del nome dell’intestatario e di chi ne fa uso.

In particolare, gli artt. 46 e 47 del Decreto Ministeriale del 9 aprile 2001 prevedono che le cassette devono essere “collocate al limite della proprietà, sulla pubblica via o comunque in luogo liberamente accessibile, salvi accordi particolari con l’ufficio postale di distribuzione”.

Negli edifici plurifamiliari, nei complessi formati da più edifici e negli edifici adibiti a sede d’impresa, “le cassette delle lettere devono essere raggruppate in un unico punto di accesso”.

In definitiva, se è assente il servizio di portineria, in tema di responsabilità, i singoli titolari (ovvero i condòmini) di cassette non conformi alle caratteristiche e alle dimensioni dovranno provvedere ai necessari adattamenti, altrimenti il postino cui la consegna sia resa difficoltosa, potrà affiggere un avviso di giacenza e differire il ritiro dell’invio presso l’ufficio postale.

Difatti, la “cassetta postale è un bene di proprietà del singolo condòmino”, il quale deve provvedere alla sua manutenzione e a renderla identificabile da parte degli addetti al recapito.

La struttura dove sono contenute tutte le cassette postali è, invece, “proprietà del condominio”. Quest’ultimo è tenuto quindi a prendere ogni decisione a riguardo attraverso l’assemblea condominiale.