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ARCHIVIO DEL CONDOMINIO

Il ‘Salva Casa’ non decolla: opportunità e criticità

Il ‘Salva Casa’, individuato come lo strumento destinato a dare una risposta tempestiva all’emergenza abitativa, consentendo di sanare le lievi difformità che impediscono a tanti immobili l’ingresso sul mercato, sta deludendo le aspettative.
Incompatibilità della legge nazionale con le disposizioni regionali, lunghi tempi di risposta dell’Agenzia delle Entrate, la mancanza di modulistica dedicata e di criteri per quantificare le sanzioni ne stanno infatti ostacolando il decollo.
Permangono quindi numerose criticità interpretative e applicative di un decreto tanto atteso, ma che per il momento non ha dato risultati concreti e anzi continua a sollevare dubbi sulla sua reale applicazione.
Gli obiettivi del Salva Casa
Il Salva Casa interviene sul Testo Unico dell’Edilizia apportandovi una serie di modifiche.
In particolare, si amplia l’attività edilizia libera, si agevolano il recupero dei sottotetti e il mutamento della destinazione d’uso, si facilita la regolarizzazione degli interventi eseguiti in parziale difformità o con variazioni essenziali e si semplifica il conseguimento dell’agibilità.
Novità anche in relazione alle tolleranze costruttive per gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024 e in materia di stato legittimo: viene infatti chiarito che ai fini della determinazione dello stato legittimo delle singole unità non rilevano le difformità esistenti sulle parti comuni e viceversa.
Il Salva Casa non può dunque sanare difformità sostanziali come aumenti importanti di cubatura o immobili edificati senza permessi.
In molti casi, però, è sufficiente dimostrare che le opere erano in regola con le norme edilizie all’epoca dei lavori e con quelle urbanistiche attuali.

Gli agenti immobiliari: un ruolo fondamentale
Gli agenti immobiliari rappresentano il principale interlocutore di chi vuole vendere o acquistare casa. Quindi sono anche i primi a venire a conoscenza delle problematiche che possono ostacolare una compravendita.
Il Superbonus ha infatti rivelato che molte case non erano conformi alle norme, magari per cose minime, ma che rappresentano comunque un intralcio per la vendita. Infatti spesso si riscontrano lievi irregolarità di cui il proprietario è all’oscuro e che emergono solo quando si raccolgono le carte per vendere l’immobile: discrepanze costruttive, planimetrie non coincidenti tra Catasto e Comune, pratiche non perfezionate.
Il Salva Casa, il cui obiettivo è semplificare la sanatoria di piccoli abusi e creare un mercato più regolare e sano, dovrebbe quindi consentire a migliaia di immobili di essere messi in commercio, generando di conseguenza una maggiore disponibilità e offerta di case.

Le associazioni della proprietà edilizia
Concordano su come il Salva Casa rappresenti un primo importante tassello per agevolare l’immissione di immobili sul mercato, le associazioni della proprietà edilizia.
Uno strumento utile, dunque. Ma non risolutivo per affrontare tante criticità. Per dare una concreta soluzione ai problemi di abusi e difformità di tanti immobili “bisognerebbe avere il coraggio di fare qualcosa di più incisivo e pensare a un vero condono”.
Fino agli anni Settanta, infatti, si costruiva senza andare troppo per il sottile e così si è generata una serie di irregolarità, sconosciute dai proprietari, che vengono allo scoperto al momento della vendita. Ci sono pertanto molti immobili che restano fuori dal raggio d’azione del Salva Casa. Inoltre rimane aperto il problema relativo ai costi da sostenere per rimediare ai piccoli abusi, costi che a fronte di un abuso lievissimo possono anche essere altissimi.

Professionisti a confronto
Per i tecnici che operano nel settore, ovvero, ingegneri, architetti e geometri, per risolvere i tanti problemi del comparto è necessaria una revisione organica del Testo Unico dell’Edilizia, ormai datato, che non consente un’azione efficace sul patrimonio edilizio esistente.
“È necessario arrivare al Testo Unico delle Costruzioni – precisa Maria Cristina Milanese, presidente dell’Ordine degli Architetti di Torino – che consenta di risolvere criticità legate alle procedure edilizie complesse, come il recupero dei sottotetti e i cambi di destinazione d’uso: una normativa organica utile a rendere il lavoro dei professionisti più efficiente e meno soggetto a incertezze”.
Un’ulteriore criticità è che l’applicazione del Decreto sul territorio non è uniforme: viene infatti interpretato in maniera diversa da Regione a Regione, generando ulteriore confusione. Criticità, questa, ben nota anche all’artefice del Decreto, il ministro Matteo Salvini, che per il momento ha ribadito che “è fondamentale uniformare l’applicazione della normativa in tutta Italia per evitare disparità tra Bolzano e Catania”, senza però dare indicazioni per la soluzione del problema.

L’Agenzia delle Entrate
Gli addetti ai lavori segnalano inoltre che il Salva Casa presenta ancora nodi fondamentali da sciogliere, quali la quantificazione degli oneri da pagare, i parametri utilizzati dall’Agenzia delle Entrate per calcolare le oblazioni e le tempistiche di risposta.
Il passaggio critico del Salva Casa è infatti quello che delega all’Agenzia delle Entrate la valutazione dell’incremento di valore dovuto per l’opera da sanare. Pertanto, per ogni pratica gli uffici tecnici comunali devono chiedere l’importo della sanzione da pagare all’Agenzia, le cui tempistiche di risposta non sono definite. Un aspetto non trascurabile che può incagliare l’applicazione effettiva della Legge soprattutto per i piccoli Comuni, meno attrezzati.
Luisa Roccia, presidente del Collegio dei Geometri di Torino, precisa: “Il Salva Casa funziona per le pratiche che rientrano nelle tolleranze previste, che vengono finalizzate in tempi brevi e certi. Invece per quanto riguarda situazioni di ampliamenti, così come il recupero dei sottotetti, entra in scena l’Agenzia delle Entrate e stiamo ancora aspettando sia la modulistica pertinente, sia l’informativa su come verranno quantificate le sanzioni. Vorremmo capire su cosa baseranno i calcoli e quali saranno le tempistiche”.

Conclusioni
La strada del Decreto, dunque, sembra soltanto all’inizio. Per vedere i suoi effetti occorre renderlo concretamente uno strumento realmente utile per cittadini e professionisti. Fondamentale, inoltre, intervenire con una riforma più ampia del Testo Unico dell’Edilizia per garantire un’applicazione uniforme e senza ambiguità.

Casa, allarme Anammi: “Venti di crisi nei condomini, la morosità rialza la testa”

debito condominio

Casa, allarme Anammi:
“Venti di crisi nei condomini,
la morosità rialza la testa”

Grande timore per oltre il 72 per cento degli amministratori: nei prossimi mesi il ritardo nei pagamenti degli oneri condominiali avrà un forte impatto sul loro lavoro e sugli stessi condòmini

La morosità condominiale rialza la testa e rende più difficile la gestione dell’attività quotidiana.
A denunciarlo è l’Anammi, l’Associazione nazional-europea degli amministratori d’immobili, sulla base di un sondaggio interno che ha coinvolto i suoi oltre 13mila iscritti.
Il fenomeno non è una novità, ma negli ultimi anni, in coincidenza con i momenti economici più difficili, come nel 2022 per via dei rincari energetici, ha vissuto picchi significativi.
“La nostra preoccupazione – afferma Giuseppe Bica, presidente dell’Associazione – è che, in un periodo di grande incertezza, la morosità in condominio aggravi le problematiche che già pesano sul patrimonio immobiliare italiano. A farne le spese saranno, ancora una volta, i professionisti del settore, chiamati a conciliare le richieste dei loro amministrati con le problematiche legate ai rincari energetici e all’inflazione”.
Secondo l’indagine, per il 72,97 per cento degli associati nei prossimi mesi il ritardo nei pagamenti degli oneri condominiali avrà un forte impatto sul loro lavoro e sugli stessi condòmini.
Ma di quanto aumenterà il fenomeno? Il 66,28 per cento degli intervistati indica il 20 per cento in più.
“Non è un dato da poco – sottolinea Bica – soprattutto se si pensa che da sempre, nei nostri condomìni, il problema del versamento rimandato a oltranza è molto comune”. Per il 15,12% andrà peggio, con una crescita del 70 per cento; mentre per il 12 per cento la percentuale raddoppierà.
La ragione principale dell’aumento è da ricercarsi nelle difficoltà economiche dei condòmini (38,8 per cento). Tuttavia, a poca distanza (36 per cento) gli associati segnalano lo scarso rispetto delle regole, una tendenza che riguarda la morosità come pure le liti di condominio. Per il 25 per cento degli intervistati, è invece l’incapacità di gestione delle proprie finanze che porta a rinviare il pagamento degli oneri condominiali. La conseguenza più evidente è che per il professionista la gestione delle spese diventerà molto complessa (66,50 per cento).
“è logico che chi onora gli impegni economici si dimostri poco disponibile a comprendere le ragioni di chi non paga – commenta il presidente Bica – mandando in rovina, letteralmente, il condominio. L’amministratore si trova così a lavorare in un contesto ‘avvelenato’, perché la morosità incide negativamente sull’ecosistema condominiale”.
Basti pensare che la dilazione dei pagamenti provoca l’impossibilità di proseguire i lavori condominiali già in corso (13,37 per cento), il mancato versamento del compenso al professionista (11,05 per cento), e ovviamente il peggioramento dei rapporti tra vicini.
La geografia dal fenomeno vede in testa Roma, secondo il 22,38 per cento degli interpellati e Milano, per il 9,3 per cento dei soci. Altri capoluoghi seguono a grande distanza, come Venezia (3,9 per cento), Firenze e Napoli (3,2 per cento), a dimostrazione che il fenomeno pesa in particolare nelle metropoli.
Gli immobili condominiali che soffrono maggiormente la morosità sono in genere di grandi dimensioni (35,53 per cento) e in periferia (35,26 per cento). Per il 14 per cento degli amministratori, il problema colpisce però anche i condomìni dei quartieri più ricchi o abitati da persone anziane (13,95 per cento).
Il Codice civile, dopo la riforma del condominio, impone il decreto ingiuntivo entro sei mesi dal mancato pagamento, ma non basta a sanare la situazione.
Gli stessi soci dell’Anammi ammettono che, per salvare i conti condominiali, ricorrono alla rateizzazione in quasi la metà dei casi, unita ad un’attenta selezione dei fornitori e all’impiego di tecnologie che favoriscono il risparmio.
“Non esistono ricette magiche per contrastare il problema – conclude il presidente dell’Associazione – guardiamo con interesse alle intenzioni del Governo, che ha annunciato di voler intervenire sulle bollette a sostegno delle famiglie. Come amministratori, intendiamo fare la nostra parte dimostrando, ancora una volta, il ruolo economico e sociale della nostra professione”.

A cura di: Silvi CERIOLI – Ufficio Stampa ANAMMI

La sostituzione dei caloriferi non rientra nell’ecobonus

Ho acquistato un appartamento e per rimodernarlo abbiamo sostituito i caloriferi: ho la possibilità di detrarre la sola spesa di acquisto, in quanto ha provveduto a montarli mio marito (sprovvisto di Partita Iva in quanto pensionato)?

La sostituzione dei caloriferi non rientra nell’Ecobonus, in quanto per godere dell’agevolazione occorre sostituire il generatore di calore.

L’Enea ha precisato, infatti, che l’agevolazione non spetta se si provvede a sostituire soltanto i corpi di emissione del calore, ovvero termosifoni, termoarredi o pavimenti radianti.

La sostituzione dei caloriferi permette di godere di un beneficio fiscale nell’ambito del bonus ristrutturazioni.
L’agevolazione concessa a chi opera la sostituzione dei termosifoni consiste nella detrazione IRPEF del 50% del costo sostenuto, fino ad un massimo di Euro 96mila.

In sostanza, si può detrarre in dichiarazione fino ad un massimo di Euro 48mila (50% di 96mila). La detrazione viene effettuata in 10 rate annuali di pari importo.

Requisito importante è che i pagamenti vengano effettuati in modo che siano tracciati, ovvero tramite un bonifico parlante, postale o bancario, sul quale risultano:
• causale del versamento, con riferimento alla norma (articolo 16-bis del Dpr 917/1986);
• codice fiscale del beneficiario della detrazione;
• codice fiscale o numero di partita Iva del beneficiario del pagamento;
• data e numero della fattura.

Il Cin obbligatorio e le nuove regole frenano gli affitti brevi

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Gli affitti brevi sono in calo per la prima volta dopo il Covid. A fornire il quadro della situazione è lo studio dell’Aigab, l’Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi.
I numeri sono in discesa in tutte le grandi città: a febbraio è stato registrato un calo dell’11 per cento rispetto al mese precedente. Di fatto, gli annunci sono passati da 75mila a 66.600. Ad esempio a Roma l’offerta è calata del 9 per cento, a Milano dell’8 per cento e a Firenze addirittura del 20 per cento.
Un fattore determinante – spiega l’Associazione – è quindi anche il CIN, obbligatorio dal 2 gennaio per gli alloggi destinati all’affitto breve.
A metà marzo, i CIN rilasciati erano 519.000, pari all’85 per cento delle strutture registrate nella banca dati del ministero del Turismo e dotate dei codici regionali.
Uno scarto in linea con il calo delle inserzioni online nel 2025. Ad esempio, Airbnb, uno dei principali portali per gli affitti brevi, da gennaio ha disattivato gli annunci privi del codice.
A contribuire allo scoraggiamento dei locatori sono anche i nuovi costi da sostenere, come gli obblighi in materia di sicurezza, che impongono l’acquisto e il mantenimento a norma di estintori e rilevatori di monossido.
A questo si aggiungono anche gli altri obblighi individuati dalla circolare del ministero dell’Interno del 18 novembre 2024, in particolare l’obbligo di identificare i clienti di persona, che ha scatenato il dibattito sulle famose Keybox.
A determinare il calo di annunci, dunque, sono soprattutto l’introduzione del nuovo adempimento e il calo della redditività.

Salva Casa, le linee guida

Salva Casa, le linee guida

Le indicazioni del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per la corretta applicazione del Decreto che dovrebbe agevolare la regolarizzazione dei piccoli abusi

Molto attese, sono arrivate le linee guida del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per la corretta applicazione del Decreto “Salva Casa”.
Prima del “Salva Casa”, per presentare una pratica edilizia si doveva ricostruire lo “stato legittimo” dell’immobile, cioè la sua storia costruttiva, un adempimento spesso lungo e complesso.
Adesso, invece, l’iter è stato semplificato: lo stato legittimo si può dimostrare partendo dall’ultimo intervento, a condizione che il Comune abbia già verificato la regolarità dei titoli precedenti.
Le linee guida del Ministero chiariscono che i titoli pregressi possono essere presunti, ma solo se nella modulistica dell’ultimo intervento sono indicati gli estremi dei titoli precedenti.

Procedure in Sanatoria
Il Salva Casa ha introdotto la possibilità di presentare un’unica istanza per il cambio di destinazione d’uso e le opere edilizie correlate, riducendo i tempi e semplificando la procedura anche in caso di sanatoria.

Sanatoria piccole difformità
Prima le normative paesaggistiche rendevano estremamente complessa la sanatoria sugli immobili vincolati. Adesso si può avviare una procedura per l’accertamento della compatibilità paesaggistica anche in caso di aumenti di volumi, purché ci sia il parere vincolante della Regione e della Soprintendenza. Nelle linee guida il MIT precisa che la procedura di sanatoria sugli immobili vincolati vale anche se l’intervento ha comportato aumenti di volumi o superfici, con tempi certi e la clausola del silenzio-assenso.

Regolarizzare varianti ante ’77
Prima era quasi impossibile sanare difformità su edifici costruiti prima del 30 gennaio 1977, data di entrata in vigore della legge Bucalossi. Con il Salva Casa entra in vigore una procedura di regolarizzazione per le difformità negli edifici ante 1977, anche se non erano previste varianti in corso d’opera. Ora tali varianti possono essere sanate a condizione che siano relative a lavori iniziati prima del 30 gennaio 1977, e che non sia necessario verificare la conformità urbanistica.

Tolleranze
Il Salva Casa amplia le tolleranze costruttive, ad eccezione delle violazioni edilizie per scostamenti fino al 2 per cento rispetto alle misure progettuali. Le stesse tolleranze si applicano agli immobili vincolati, con scostamenti che vanno dal 2 al 6 per cento, a seconda della superficie dell’unità.

Sanzioni
Con l’entrata in vigore del decreto, sono cambiate le sanzioni per regolarizzare le difformità, da determinare in base all’aumento del valore dell’immobile.
Il MIT precisa che le sanzioni si possono pagate in due fasi:
• al momento della presentazione della SCIA
• in base alla quantificazione dell’aumento di valore da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Variazione destinazione d’uso
Il cambio di destinazione d’uso era soggetto ad una complessa normativa urbanistica regionale e comunale, che ora dovrà essere determinata dai Comuni.

Oneri urbanistici
Prima chi voleva cambiare l’uso di un immobile era soggetto a oneri di urbanizzazione anche per aree da destinare a parcheggi e altre opere pubbliche. Adesso l’obbligo di reperire aree per le opere pubbliche in caso di cambio di destinazione d’uso tra categorie affini è scomparso e spetta soltanto il pagamento degli oneri secondari. Il MIT precisa che il cittadino non deve pagare gli oneri di urbanizzazione primaria, evitando duplicazioni di costi.

Sottotetti
Prima in diverse Regioni erano in vigore normative per il recupero dei sottotetti con limiti sulle distanze minime dagli edifici. Il nuovo decreto introduce delle deroghe alle distanze minime per il recupero del sottotetto, senza alterare la forma e la superficie, permettendo modifiche interne senza sopraelevazioni.

Condominio, le responsabilità per la posta in arrivo

Abito in un condominio in cui vivono altre venti famiglie e abbiamo un amministratore. Le cassette delle lettere sono poste all’interno dell’edificio. Io ho dovuto pagare una sanzione di 604,00 Euro perché non mi è arrivata una raccomandata, che comunque è stata notificata anche se io non l’ho ritirata. Pertanto chiedo di sapere chi é il responsabile della posta in un condominio.

Le cassette postali devono essere posizionate in un luogo che non crei difficoltà al portalettere durante la consegna della posta.

Lo scomparto di deposito, la forma e le dimensioni dell’apertura devono rispondere alle esigenze del traffico postale e risultare tali da consentire di introdurvi gli invii senza difficoltà particolari.

Le cassette devono recare, ben visibile, l’indicazione del nome dell’intestatario e di chi ne fa uso.

In particolare, gli artt. 46 e 47 del Decreto Ministeriale del 9 aprile 2001 prevedono che le cassette devono essere “collocate al limite della proprietà, sulla pubblica via o comunque in luogo liberamente accessibile, salvi accordi particolari con l’ufficio postale di distribuzione”.

Negli edifici plurifamiliari, nei complessi formati da più edifici e negli edifici adibiti a sede d’impresa, “le cassette delle lettere devono essere raggruppate in un unico punto di accesso”.

In definitiva, se è assente il servizio di portineria, in tema di responsabilità, i singoli titolari (ovvero i condòmini) di cassette non conformi alle caratteristiche e alle dimensioni dovranno provvedere ai necessari adattamenti, altrimenti il postino cui la consegna sia resa difficoltosa, potrà affiggere un avviso di giacenza e differire il ritiro dell’invio presso l’ufficio postale.

Difatti, la “cassetta postale è un bene di proprietà del singolo condòmino”, il quale deve provvedere alla sua manutenzione e a renderla identificabile da parte degli addetti al recapito.

La struttura dove sono contenute tutte le cassette postali è, invece, “proprietà del condominio”. Quest’ultimo è tenuto quindi a prendere ogni decisione a riguardo attraverso l’assemblea condominiale.

Superbonus: tra il ‘21 e il ‘22 ha causato il 50% dei rincari sul comparto dell’edilizia

Il Superbonus, la maxi agevolazione fiscale introdotta negli ultimi anni per incentivare interventi di riqualificazione edilizia ed energetica, continua ad essere al centro del dibattito pubblico.
Un recente studio della Banca d’Italia, intitolato “Il ruolo del superbonus nella crescita dei costi di costruzione delle abitazioni in Italia”, pubblicato a dicembre nella collana “Questioni di economia e finanza”, ha messo in luce l’impatto significativo che questa misura ha avuto sui costi di costruzione e sul mercato immobiliare, sollevando interrogativi sull’efficacia e le conseguenze di politiche di questa misura.
Secondo l’analisi, circa il 50 per cento dell’aumento complessivo dei costi di costruzione registrato tra il 2020 e il 2023 è direttamente attribuibile al Superbonus. In termini numerici, il bonus ha provocato un incremento complessivo dei costi di costruzione pari al 20 per cento.
Questi aumenti si sono concentrati principalmente su materiali essenziali come il legno e i prodotti necessari per l’isolamento termico, in particolare per la realizzazione del cappotto termico. L’introduzione del Superbonus, avvenuta in un momento di grande difficoltà logistica e di crescita esplosiva della domanda globale post-pandemia, ha aggravato le pressioni sui mercati, causando carenze strutturali e dinamiche speculative.
Dal punto di vista economico, il Superbonus ha comportato una spesa pubblica che, secondo le stime, ha superato i 150 miliardi di euro entro il 2024.
Questa misura, secondo lo studio di Francesco Corsello e Valerio Ercolani della Banca d’Italia, ha inciso significativamente sull’indebitamento netto, con un impatto pari all’1 per cento del PIL nel 2021, al 3 per cento nel 2022 e al 4 per cento nel 2023.
Questi numeri hanno portato il governo a ridurre gradualmente l’aliquota agevolabile, scesa al 65 per cento per le spese sostenute nel 2025.
Nonostante l’esplosione dei costi di costruzione, l’impatto sul mercato immobiliare è stato relativamente contenuto. L’aumento dei prezzi dei materiali e della manodopera non si è tradotto in un corrispondente incremento del prezzo al metro quadro per gli immobili.
Tuttavia, per contrastare eventuali speculazioni, il Governo ha introdotto una tassazione extra sulle plusvalenze derivanti dalla vendita di immobili che hanno beneficiato degli interventi agevolati, applicando un’imposta sostitutiva del 26 per cento alle cessioni infradecennali.
Il Superbonus 110% è stato uno degli strumenti fiscali più ambiziosi degli ultimi anni, ma anche tra i più controversi.
Da un lato, ha favorito la transizione energetica, incentivando interventi di efficientamento energetico e miglioramento sismico.
Dall’altro lato, ha generato squilibri nel mercato, dinamiche speculative e truffe, oltre a rappresentare un costo rilevante per le casse dello Stato.
Questa esperienza offre importanti spunti di riflessione per il futuro. Innanzitutto è emersa l’importanza di bilanciare gli incentivi fiscali con la capacità del mercato di assorbire un aumento della domanda senza generare distorsioni significative. Inoltre, è cruciale implementare meccanismi di monitoraggio più efficaci e procedure burocratiche più snelle per evitare ritardi e inefficienze.
Ridurre le distorsioni sui prezzi e ottimizzare il ritorno degli investimenti pubblici saranno obiettivi fondamentali per le future politiche di incentivazione, per garantire un equilibrio tra sostenibilità economica e benefici sociali.
In sintesi, per la Banca d’Italia il Superbonus ha rappresentato una lezione preziosa per offrire spunti utili a delineare le strategie per affrontare le sfide del settore edilizio e del mercato immobiliare nei prossimi anni: questa analisi solleva interrogativi sulla reale sostenibilità di simili interventi e sulla necessità di una programmazione più attenta per evitare distorsioni di mercato in futuro.

Un incentivo senza precedenti nel panorama fiscale italiano
Il Superbonus, introdotto dal Decreto Rilancio (D.L. 34/2020) come misura emergenziale per sostenere l’economia post-pandemica, rappresenta uno dei più estesi programmi fiscali mai attuati in Italia.
L’incentivo prevede un credito d’imposta fino al 110% per interventi di ristrutturazione edilizia volti al miglioramento dell’efficienza energetica e della resilienza sismica.
Fino a marzo 2024, prima dell’entrata in vigore del Decreto Legge 39/2024, il credito poteva essere utilizzato non solo come detrazione fiscale diretta, ma anche ceduto a terzi o applicato come sconto in fattura, rendendolo accessibile anche a soggetti con bassa capacità fiscale o scarsa liquidità.

Il Superbonus e le dinamiche dei costi di costruzione
Lo studio ha analizzato il nesso causale tra l’aumento dei costi di costruzione e l’applicazione del Superbonus attraverso un modello empirico basato sull’indice dei costi di costruzione (CCI) pubblicato mensilmente dall’Istat. Questo indice misura i costi diretti delle imprese edili, derivanti principalmente dalle spese per materiali e manodopera, oltre che dai costi di noleggio e trasporto.
Dai risultati emerge che l’aumento della domanda generata dal Superbonus ha esercitato una pressione significativa sui prezzi dei materiali edili, in particolare legno e metalli, e sui costi energetici, che hanno registrato picchi significativi nel periodo di massima applicazione dell’incentivo. L’indice CCI è aumentato di circa il 13 per cento dal settembre 2021 al dicembre 2023, con una correlazione diretta con l’andamento degli investimenti incentivati monitorati dall’ENEA.
Sorprendentemente, nonostante la portata del programma fiscale, la crescita dei costi di costruzione in Italia è stata inferiore rispetto ad altri Paesi europei, come la Germania.
Questo risultato è attribuibile a diversi fattori, tra cui una dinamica salariale stabile nel settore edilizio italiano e un impatto più contenuto delle strozzature dell’offerta rispetto ai Paesi del Nord Europa.
Tuttavia, lo studio evidenzia come i ritardi burocratici e amministrativi nella registrazione degli investimenti abbiano potenzialmente diluito l’effetto immediato del programma sui prezzi finali.

Implicazioni macroeconomiche e fiscali e costi di costruzione
Il Superbonus non ha solo alterato le dinamiche settoriali, ma ha anche avuto un impatto considerevole sui conti pubblici italiani.
Secondo le stime, l’incentivo ha comportato un incremento cumulato del deficit pubblico di circa 150 miliardi di euro, con un’incidenza crescente negli anni di massima applicazione.
Questo aumento del debito ha sollevato interrogativi sulla sostenibilità fiscale di programmi di tale portata e sulla loro efficacia nel raggiungere gli obiettivi dichiarati di transizione energetica e resilienza sismica.
Inoltre, lo studio rileva che l’incremento dei costi delle costruzioni non si è tradotto automaticamente in un aumento proporzionale dei prezzi finali delle abitazioni.
L’indice dei prezzi alla produzione del settore edilizio (PPI) ha infatti registrato un aumento più contenuto rispetto al CCI, suggerendo una compressione dei margini di profitto per molte imprese del settore.
Questo dato evidenzia come le dinamiche di mercato abbiano parzialmente assorbito l’impatto dell’aumento dei costi, limitando i rincari al consumatore finale.

Prospettive future per le politiche di incentivazione edilizia
L’esperienza del Superbonus fornisce importanti lezioni per la futura progettazione di politiche fiscali nel settore edilizio.
In primo luogo, emerge la necessità di bilanciare l’entità degli incentivi con la capacità del mercato di assorbire un incremento repentino della domanda.
In secondo luogo, è cruciale introdurre meccanismi di monitoraggio più tempestivi per evitare ritardi burocratici nella registrazione degli interventi, che possono alterare la capacità di analisi delle dinamiche economiche generate dagli incentivi.
Infine, lo studio evidenzia come un programma fiscale di tale portata possa generare benefici redistributivi concentrati principalmente tra i proprietari di immobili e i fornitori di materiali edili, senza necessariamente tradursi in un miglioramento generalizzato del benessere economico.
Per il futuro, dunque, è essenziale che eventuali nuovi incentivi siano progettati in modo da minimizzare gli effetti distorsivi sui prezzi e massimizzare l’efficacia degli investimenti pubblici.

Condominio, costituzione e danni da infiltrazioni: le diverse ipotesi

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“E vissero felici e vicini”, il manuale di Simona Bastari: come raggiungere la serenità condominiale

Il libro “E vissero felici e vicini” è un manuale che ricerca soluzioni e spiega ai condòmini come si può raggiungere la felicità condominiale e avere un rapporto pacifico e armonico con chi ci abita accanto.
La maggior parte degli italiani che abita in condominio avrà pensato almeno una volta nella vita, con amarezza, che le liti sono all’ordine del giorno e che non c’è niente di più tedioso delle riunioni condominiali.
Eppure, non deve essere così!
Vivere in un condominio non deve essere una lotta continua per avere ragione, ma un’occasione per migliorare la nostra empatia verso gli altri e vivere tutti più serenamente.
Conoscere i nostri diritti e i nostri doveri nell’ambito condominiale, inoltre, ci può aiutare a vivere meglio e a evitare brutte sorprese.
D’altronde, poiché passiamo molto tempo in casa, perché non assicurarci di vivere tutti insieme in armonia? seguendo la semplice formula di “– Liti +Dialogo + Servizi”.
I primi tempi, quando ne parlavo con qualcuno, vedevo chiaramente lo sconcerto e i dubbi nelle espressioni di molti miei interlocutori. A parte rare eccezioni, gli altri scoppiavano direttamente a ridere.
In effetti, abbinare due parole come felicità e condominio sembra un ossimoro, così come portare la felicità nei condomini può apparire un’utopia. Io, però, sono sempre stata convinta di potercela fare. E, soprattutto, sicura che ne valesse la pena: non volevo passare la vita a difendere le ragioni di gente impegnata a litigare.
Ho preferito trovare un modo per prevenire discussioni, cause e conflitti che spesso finiscono per degenerare, diventando cause che spesso si trascinano per anni.
Quando ho iniziato questo lavoro, nel 2004, il mio modo di affrontare le gestioni condominiali era solo un approccio diverso di vedere l’amministrazione: un’impostazione più attenta alle aspettative e alle esigenze di chi vive in condominio. Qualcosa che, oltre a me, hanno sempre fatto altri amministratori e amministratrici lungimiranti.
Ecco, come alcuni tra i miei colleghi ero piena di entusiasmo e buona volontà, ma senza un vero e proprio progetto strutturato, né un nome da dargli.
Poi qualcosa ha iniziato a cambiare.
Nel corso degli anni, la mia sensazione era quella che il lavoro sul campo diventasse sempre più difficile. Avevo l’impressione che le persone fossero ogni giorno meno tolleranti e maggiormente bisognose di attenzione.
A quel punto ho provato a domandarmi le ragioni di questo peggioramento nelle relazioni.
Le cause?
Per definirle chiaramente servirebbe un’indagine sociologica: io posso pronunciarmi solo sulle conclusioni che ho tratto come amministratrice.
In primo luogo, credo c’entri il progressivo invecchiamento della popolazione italiana e il fatto che, a parte rare eccezioni, gli anziani sono generalmente meno flessibili rispetto alla convivenza con persone diverse da loro. La loro ridotta capacità di adattamento si è sommata all’aumento di individui con culture e abitudini differenti.
Questi due elementi, messi insieme, sono diventati un mix esplosivo nella condivisione degli spazi comuni. Inoltre, chi è in pensione tende a vivere il condominio a tempo pieno, sia per quanto riguarda la presenza a casa, sia per l’attenzione dedicata ai problemi del vivere comune e alla maggiore impazienza nel vederli risolti.
Il risultato rischia di essere un flusso incessante di chiamate e richieste all’amministratore affinché ammonisca i vicini e sanzioni i loro comportamenti, senza considerare che i cambiamenti nelle abitudini richiedono tempo e pazienza.
In aggiunta a tutto questo, ho notato una maggiore solitudine: un sentimento che accresce il bisogno di essere ascoltati. E non parlo solo degli anziani: sono aumentati anche i single che vivono soli, così come le persone separate con o senza figli. Situazioni di stress e isolamento che aumentano anche l’esasperazione e il nervosismo in caso di conflitti.
Tutto questo sembra essersi amplificato nel corso della pandemia da Sars-CoV-2 scoppiata a marzo del 2020.
In ogni caso nel 2017, quando ho cominciato a definire il mio progetto, i primi segnali di questi processi in corso erano già evidenti.
È stato in quel periodo che ho cominciato a coltivare il bisogno di dare un nome e un’impostazione alle strategie per la felicità condominiale che, fino ad allora, mi ero limitata a mettere in atto seguendo il mio istinto e le mie qualità migliori, ovvero capacità comunicativa ed empatia.
Volendo misurare la felicità in modo meno lungo, complesso e scientifico, è possibile considerare aspetti pratici ed economici.
Ad esempio, per quello che ho avuto modo di constatare, i condòmini più litigiosi sono quelli in cui le assemblee hanno una durata interminabile, inversamente proporzionale alla bontà dei risultati. Spesso si rivela impossibile affrontare le questioni più importanti: i punti all’ordine del giorno vengono persi per strada mentre i partecipanti si impantanano in interventi fuori tema, con recriminazioni e relative risposte.
Tutto questo porta a perdere di vista le vere ragioni per cui si è lì. Le ore perse a discutere sottraggono tempo ed energie a decisioni importanti che andrebbero analizzate con calma, lucidità e razionalità.
Insomma, uno spreco di tempo e soldi facilmente quantificabile.
Come?
A giudicare dalla mia esperienza, gli stabili in cui si litiga invece di deliberare pacificamente, sono quelli in cui il denaro viene speso peggio. A volte anche in quanto c’è di più inutile: decreti, cause, danni che potevano essere evitati grazie ad interventi e lavori approvati in assemblea, ecc.
Quelli che ho appena menzionato sono solo alcuni degli esempi che mostrano quanto possano essere vantaggiosi l’armonia e la serenità nelle relazioni condominiali.
L’obiezione più frequente a questo punto è: “Sì, certo. Tutto molto giusto e molto bello. Ma andare d’accordo in condominio è impossibile”.
Confesso che all’nizio del mio progetto questa replica mi dava parecchio sui nervi. La vedevo solo come una scusa per non darsi da fare. Anche perché investire impegno ed energie per costruire una felicità condominiale costa molta fatica: nessuno lo sa meglio di me.
Poi, però, ho cominciato a studiare e a leggere assiduamente: volevo conoscere in modo approfondito la psicologia, le tecniche di mediazione e — in generale — tutto ciò che poteva essermi utile per affinare le mie capacità di gestione nelle relazioni tra gruppi di persone.
È stato solo a quel punto che ho avuto una rivelazione illuminante: molti di quelli che sostengono l’inevitabilità dei litigi condominiali ci credono sul serio.
La buona notizia è che si tratta di una convinzione assolutamente errata: ne ho le prove.
L’ho verificato in prima persona dopo aver visto una riduzione di circa il 30 per cento nelle liti all’interno dei condomini che amministro. Un segnale che, a giudicare dai questionari che mando annualmente, porta ad un progressivo aumento della felicità negli stabili dove le persone collaborano per una maggiore armonia.
La cattiva notizia? Cambiare le cose richiede molto impegno e costanza, sia da parte dei condòmini sia degli amministratori che si relazionano con loro. Intuito, capacità di ascolto ed empatia possono aiutare, ma la vera soluzione sta in un amministratore capace di capire che la gestione dei conti, dei fornitori, dei pagamenti e delle urgenze è importante quanto quella dei rapporti umani.
Oltre a prevenire ed evitare le liti, è importante anche creare momenti felici di aggregazione e di comunicazione.
Troppi vicini si incontrano solo durante riunioni condominiali cariche di tensioni e problemi irrisolti.
La prima idea che ho realizzato in questo senso, agli albori del mio progetto, era l’anti assemblea per eccellenza, l’aperitivo condominiale. L’obiettivo era quello di bere qualcosa e fare due chiacchiere in allegria. Divertirsi, insomma.
Mi è capitato di vedere impacciate presentazioni tra vicini che si parlavano per la prima volta o di assistere all’iniziale imbarazzo tra persone che avevano litigato anni prima ma, come succede spesso nelle situazioni conviviali, tutto si è risolto in modo amichevole.
Dopo i primi aperitivi, l’idea aveva già fatto breccia: qualcuno metteva a disposizione la sua casa, qualcun altro cucinava per l’occasione o portava altre bottiglie per ulteriori brindisi. Alcuni vicini hanno anche fatto amicizia, finendo per organizzare incontri del genere anche senza di me.
I risultati?
Un clima più rilassato alle riunioni di condominio, maggiore collaborazione e un’atmosfera visibilmente più serena sia tra i condòmini sia nei miei confronti.
A qualcuno potranno sembrare cambiamenti di poco conto, ma io li ho visti come grandi successi.
Al successo degli aperitivi sono seguite sessioni di giardinaggio nei giardini comuni in cui ci si organizzava tra vicini per abbellire gli spazi verdi condivisi.
Poi, quando tutto sembrava diventare poco a poco più semplice e mi organizzavo per mettere in pratica nuove iniziative, è arrivato il primo grande ostacolo da superare: una pandemia planetaria.
Il lockdown di marzo 2020 si è rivelato come la vera prova del nove per il mio progetto: milioni di persone bloccate nelle proprie case nelle situazioni più diverse.
Oltre ai malati in situazioni preoccupanti c’era davvero di tutto: professionisti in smartworking impegnati a saltare da una call all’altra, bambini desiderosi di giocare, ragazzi isolati dai coetanei, imprenditori e professionisti di settori che la pandemia ha messo in ginocchio, anziani e single soli, coppie in crisi costrette a passare 24 ore su 24 insieme, malati, disabili, categorie più fragili…
Insomma, un intero mondo di persone diverse che — all’improvviso — si trovavano rinchiuse fianco a fianco. E qui sono iniziate le biblioteche condominiali, la spesa sospesa, la condivisione delle password wifi.
Una delle parti poi più divertenti e nello stesso più pratiche è quella dell’individuazione delle tipologie di condòmini presenti nei vari condomini (solo alcune naturalmente) e delle soluzioni comunicative per poterli affrontare al meglio: il pignolo, il teppista, il bullo, l’assente, il rumoroso, lo spirito tragico, lo spione, il giardiniere, lo studente fuori sede, il nudista.
Insomma un vero e proprio viaggio in un mondo con il quale conviviamo quotidianamente, dal quale a volte vorremmo fuggire e con il quale invece è necessario imparare a convivere per raggiungere una felicità condominiale possibile!

A cura di: Simona BASTARI – Amministratore di CONDOMINIO FELICE

Chi é Simona Bastari: profilo dell’autore

Ragioniera, laureata in giurisprudenza all’Università di Macerata e iscritta alla seconda laurea in Scienza della comunicazione a Teramo, Simona Bastari ha intrapreso nel 2004 la professione di avvocato, entrando in società con un’altra ragazza.
Costituiscono insieme uno studio associato, che Simona decide di sciogliere nel 2015. “Anche se il lavoro andava molto bene e in rapporti con la socia erano molto buoni, inizio la professione di amministratore di condominio perché l’avvocato secondo me era troppo di parte e diventare giudice troppo difficile. Volevo pero un qualcosa che fosse mio e la persona che cercava una socia in questo ambito mi era piaciuta fin da subito”, racconta. Precisa: “Ritengo che la base giuridica per un amministratore sia fondamentale”.
Intanto, nel 2011 aveva incominciato a frequentare corsi di crescita personale, comunicazione, public speaking, gestione emozionale.
Nel 2017 si affida ad una società di personal branding che crea con lei “Condominio Felice”. “Si tratta di un brand unico in Italia perché volevo distinguermi da tutti gli amministratori e mettere al centro della mia professione la persona, il condomino, la comunicazione, con un chiaro obiettivo: diminuire la conflittualità per vivere più felicemente nel microcosmo condominio e vivere più felicemente io come amministratore”.
Oggi Simona continua a frequentare corsi per migliorare e nel contempo incomincia anche a partecipare a corsi dall’altra parte come formatore. Ha creato un brand di formazione che sia chiama “Amministratore di Successo” con Jessica Collu e Manuel de Stefano.”Sto per lanciare un mio percorso personale formativo che accompagnerà l’amministratore per 1 anno – precisa – ma è ancora presto per scoprirlo”.
Attualmente gestisce 170 condomini ad Ancona e dintorni.

Bonus barriere architettoniche in condominio: chiarimenti del Fisco

Il bonus barriere architettoniche consiste in una detrazione fiscale pari al 75% delle spese sostenute per interventi mirati all’eliminazione delle barriere architettoniche su edifici esistenti e tale agevolazione è stata prorogata fino al 31 dicembre 2025 dalla legge n. 197/2022, ovvero la Legge di Bilancio 2023.

A tal proposito, un contribuente si è rivolto all’Agenzia delle Entrate, attraverso la Posta di FiscoOggi ponendo un interessante quesito.

Nel caso esaminato il contribuente ha spiegato che in un condominio è stato deciso di installare una piattaforma elevatrice nel giroscale interno, per agevolare la mobilità di persone disabili. Su un totale di 6 condòmini, solo 2 di essi hanno deciso di partecipare alle spese per questo intervento, pertanto è stato chiesto al Fisco se questi possono usufruire del beneficio fiscale sull’intero importo sostenuto per l’installazione della piattaforma elevatrice oppure se la detrazione del 75% è limitata alla parte di spesa calcolata in proporzione ai millesimi di proprietà.

In risposta l’Agenzia delle Entrate ha chiarito, innanzitutto, che la detrazione del 75%, introdotta dalla legge n. 234/2021 (Legge di Bilancio 2022) è finalizzata ad agevolare tutti gli interventi inerenti all’abbattimento delle barriere architettoniche e aventi ad oggetto esclusivamente scale, rampe, ascensori, servoscala e piattaforme elevatrici in edifici già esistenti.

Il Fisco, per rispondere al quesito posto, ha citato la risposta n. 291/2022 e la circolare n. 7/2021 attraverso le quali è stato spiegato cosa accade quando in un condominio solo un condomino sostiene le spese per l’installazione di un ascensore nel cavedio condominiale.

In tal caso al soggetto è riconosciuta la detrazione 75% solo entro il limite massimo consentito dalle disposizioni vigenti ratione temporis, con riferimento alla parte di spesa corrispondente alla ripartizione in base alla tabella millesimale del condominio oppure in base ad altre modalità stabilite dall’assemblea di condominio. In questo caso l’ascensore diventa “oggetto di proprietà comune” e utilizzabile da tutti i condòmini.

Per quanto riguarda, invece, il caso dell’installazione di un montascale o un elevatore, la detrazione 75% spetta interamente al condomino disabile che ha sostenuto integralmente le spese, proprio perché si tratta di mezzi di ausilio utilizzabili solo dai condòmini con disabilità. In tal caso, infatti, gli altri condòmini non hanno né la necessità, né l’interesse ad utilizzare tale dispositivo.

L’Agenzia delle Entrate ha concluso la risposta dichiarando, quindi, che nel caso esaminato e relativo all’installazione della piattaforma elevatrice, i due condòmini che hanno sostenuto le spese per effettuare tale intervento possono usufruire del beneficio fiscale sull’intero importo pagato.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI