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ARCHIVIO DEL CONDOMINIO

Stop al Superbonus, ma proseguono adempimenti e controlli

Stop al Superbonus, ma proseguono adempimenti e controlli

La misura é in vigore fino al 31 dicembre 2025. Sui lavori in corso e su quelli terminati i beneficiari dovranno inviare comunicazioni aggiuntive e saranno soggetti a severi controlli

Gli adempimenti legati al Superbonus continueranno anche nel 2025, nonostante la detrazione per l’efficientamento energetico e la messa in sicurezza antisismica sia fortemente limitata dal Disegno di Legge di Bilancio in discussione in Parlamento.
Chi ha realizzato o sta realizzando lavori agevolati con il Superbonus, deve infatti affrontare ancora controlli e inviare una serie di documenti aggiuntivi.
Formalmente, il Superbonus è in vigore fino al 31 dicembre 2025, ma il disegno di Legge di Bilancio 2025 di fatto mette la parola fine alla detrazione.
Il Ddl stabilisce infatti che a partire dal prossimo anno, potranno usufruire della detrazione, che avrà l’aliquota del 65%, solo condomini, persone fisiche che realizzano interventi su edifici composti da due a quattro unità immobiliari, anche se posseduti da un unico proprietario, e enti del terzo settore che abbiano già deliberato gli interventi e presentato o richiesto i titoli abilitativi entro il 15 ottobre 2024.
Chi non ha centrato questa scadenza non potrà realizzare interventi Superbonus, a meno che non intervengano modifiche.
I nuovi adempimenti, quindi, in un certo senso sopravvivono al tramonto definitivo della detrazione.

Gli adempimenti aggiuntivi per Superbonus e Sismabonus
Per effetto Dpcm 17 settembre 2024, che dà attuazione all’obbligo della nuova comunicazione Superbonus, i beneficiari della detrazione devono inviare delle informazioni aggiuntive all’Enea e a Casa Italia.
Chi sostiene le spese per gli interventi di efficientamento energetico deve infatti inviare all’Enea i dati catastali relativi all’immobile oggetto degli interventi, l’ammontare delle spese sostenute entro il 30 marzo 2024, le spese che prevedibilmente saranno sostenute dal 30 marzo 2024 e nel 2025 e le percentuali delle detrazioni spettanti per le spese. Per l’invio è necessario rispettare gli stessi termini delle asseverazioni inoltrate all’Enea, quindi 90 giorni dalla fine dei lavori.
Chi sostiene le spese per i lavori antisismici deve iinvece nviare al Portale nazionale delle classificazioni sismiche, gestito dal dipartimento Casa Italia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, i dati catastali dell’immobile, l’ammontare delle spese sostenute entro il 30 marzo 2024 e quelle da sostenere dal 30 marzo 2024 e nel 2025, oltre alle percentuali delle detrazioni spettanti.
Per l’invio delle comunicazioni relative ai lavori antisismici, le scadenze sono due. La prima, più imminente, era prevista per il 30 novembre 2024 e riguarda i SAL approvati entro il 1° ottobre 2024. La deadline per l’invio delle comunicazioni aggiuntive era stata inizialmente fissata al 31 ottobre 2024, ma è stata prorogata con il dpcm 29 ottobre 2024. La seconda scadenza dipende invece dall’approvazione del SAL: i dati devono infatti essere inviati entro 30 giorni.

I controlli sulle rendite dopo i lavori Superbonus
Un altro capitolo di adempimenti legati al Superbonus riguarda tutti i beneficiari della detrazione, anche quelli che hanno realizzato gli interventi negli anni passati e li hanno già conclusi.
Si tratta delle verifiche sull’aggiornamento dei dati catastali dopo i lavori per verificare se l’incremento del valore degli immobili, dovuto agli interventi di efficientamento energetico e miglioramento antisismico, ha aumentato anche la rendita catastale e se queste variazioni sono state correttamente segnalate.
Si ricorda, infatti, che, in generale, il direttore dei lavori deve presentare la dichiarazione di variazione catastale, oppure la dichiarazione che i lavori non hanno influito sulla rendita catastale, entro 30 giorni dalla fine dei lavori, a prescindere dal fatto che essi siano incentivati con i bonus edilizi.
Le verifiche da parte dell’Agenzia delle Entrate sono state introdotte già lo scorso anno, con la Legge di Bilancio per il 2024, ma il Governo ha recentemente espresso la volontà di rinvigorire i controlli.
I controlli su questi adempimenti riguarderanno pertanto tutti i beneficiari del Superbonus e andranno avanti nel 2025.

Superbonus e tassazione delle plusvalenze
Continueranno poi ad essere conteggiati nelle plusvalenze, tassate al 26%, i costi dei lavori agevolati con il Superbonus, realizzati su immobili venduti entro 10 anni dai lavori.
Anche questa misura è stata introdotta dalla Legge di Bilancio per il 2024 e prevede la tassazione del 26% in presenza di qualunque tipo di lavoro agevolato con il Superbonus, anche se realizzato sulle parti comuni dell’edificio di cui fa parte l’unità immobiliare venduta.
La tassazione del 26% sulla plusvalenza si applica a prescindere dalla percentuale di detrazione superbonus.
La plusvalenza non viene tassata se gli immobili sono acquisiti per successione o adibiti ad abitazione principale.
La tassazione al 26% continuerà quindi, in caso di vendita, non solo nel 2025, ma anche oltre.

Bonus mobili 2025, detrazioni del 50 per cento

La Legge di Bilancio conferma la possibilità di accedere alla detrazione del 50 per cento per l’acquisto di arredi ed elettrodomestici in caso di lavori di ristrutturazione.
Il testo della Manovra non prevede differenziazioni tra prime e seconde case: il bonus mobili 2025 resta al 50 per cento per tutti, senza novità di rilievo.
Confermato il limite delle spese ammesse: sarà possibile portare in detrazione un massimo di 5mila euro, da recuperare in 10 anni con la dichiarazione dei redditi.

Bonus mobili 2025: funzionamento e requisiti
Resta in vigore anche per il 2025, abbinato alla detrazione per i lavori di ristrutturazione edilizia, il bonus mobili ed elettrodomestici.
La proroga della detrazione è prevista dal testo della Legge di Bilancio 2025. Se per la generalità delle agevolazioni si prevedono regole differenziate per prime e seconde case, viene confermata l’aliquota unica per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici.
Non cambiano, inoltre, i requisiti generali beneficiare della detrazione.
Potranno fruire del bonus mobili i contribuenti che effettuano lavori di ristrutturazione edilizia e che acquistano mobili e grandi elettrodomestici di classe non inferiore alla A per i forni, E per le lavatrici, le lavasciugatrici e le lavastoviglie, F per i frigoriferi e i congelatori, per le apparecchiature per le quali sia prevista l’etichetta energetica.
La detrazione del 50 per cento è riconosciuta a condizione che gli interventi di recupero del patrimonio edilizio che danno diritto a fruire del bonus per arredi e grandi elettrodomestici siano iniziati a partire dal 1° gennaio dell’anno precedente a quello dell’acquisto. Quindi, ai fini dell’accesso alla detrazione, è necessario che i lavori di ristrutturazione siano iniziati dal 1° gennaio 2024.

Il limite di spesa
L’importo dello sconto fiscale, anche nel 2025, dovrà essere calcolato su un limite massimo di spesa fissato a 5mila euro.

Le spese detraibili
L’elenco degli acquisti di ammessi è stato messo a disposizione dall’Agenzia delle Entrate, nella guida dedicata al bonus mobili. Ecco alcuni esempi:
• mobili e arredi: letti, armadi, cassettiere, librerie, scrivanie, tavoli, sedie, comodini, divani, poltrone, credenze, materassi, apparecchi di illuminazione;
• grandi elettrodomestici di classe non inferiore alla A per i forni, alla E per le lavatrici, le lavasciugatrici e le lavastoviglie, alla F per i frigoriferi e i congelatori, per le apparecchiature per le quali sia prevista l’etichetta energetica.
Vi rientrano anche apparecchi per la cottura, stufe elettriche, forni a microonde, piastre riscaldanti elettriche, apparecchi elettrici di riscaldamento, radiatori elettrici, ventilatori elettrici, apparecchi per il condizionamento.

I lavori che consentono di accedere al bonus
La possibilità di accedere al bonus mobili è riconosciuta a chi effettua lavori di ristrutturazione edilizia. Quali:
• manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia su singoli appartamenti (per esempio, tinteggiatura di pareti e soffitti, sostituzione di pavimenti, sostituzione di infissi esterni e il rifacimento di intonaci interni non danno diritto al bonus);
• ricostruzione o ripristino di un immobile danneggiato da eventi calamitosi, se è stato dichiarato lo stato di emergenza;
• restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia, riguardanti interi fabbricati, eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie che entro 18 mesi dal termine dei lavori vendono o assegnano l’immobile;
• manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia su parti comuni del condominio.
Per gli appartamenti privati il bonus non spetta in ipotesi di manutenzione ordinaria, quale tinteggiatura di pareti e soffitti o sostituzione di pavimenti o sostituzione di sanitari o rifacimento di intonaci interni.
Al contrario, per le parti comuni di edifici condominiali il bonus mobili spetta anche in caso di lavori di manutenzione ordinaria, come la riparazione o la sostituzione di cancelli o portoni o la riparazione delle grondaie.

Il metodo di pagamento
Per poter accedere al bonus mobili è necessario che le spese sostenute vengano pagate con mezzi tracciabili, ossia bonifico, carta di debito o credito, mentre non è possibile fruire della detrazione in caso di versamento del corrispettivo mediante assegni o contanti.
Se il pagamento è disposto con bonifico bancario o postale, si deve utilizzare quello (soggetto a ritenuta) appositamente predisposto da banche e Poste S.p.a. per le spese di ristrutturazione edilizia.
Così come chiarito dall’Agenzia delle Entrate, si può accedere al bonus mobili anche in caso di finanziamento a rate, a condizione però che la società finanziatrice paghi il corrispettivo con le stesse modalità previste per il beneficiario della detrazione e che, contestualmente, il contribuente disponga di una copia della ricevuta di pagamento.

I documenti da conservare
Ai fini della richiesta in dichiarazione dei redditi della detrazione spettante è necessario conservare i seguenti documenti:
• ricevuta del bonifico;
• ricevuta di avvenuta transazione (per i pagamenti con carta di credito o di debito);
• documentazione di addebito sul conto corrente;
• fatture di acquisto dei beni, riportanti la natura, la qualità e la quantità dei beni e dei servizi acquisiti.

Comunicazione ENEA
Anche ai fini della detrazione del 50 per cento per mobili ed elettrodomestici è necessaria la comunicazione ENEA.
L’adempimento è necessario in caso di acquisto di elettrodomestici, quali forni, frigoriferi, lavatrici, piani cottura elettrici, lavasciuga o lavatrici ma, a differenza di quanto previsto per l’ecobonus, la mancata o tardiva trasmissione non comporta la perdita del diritto alle detrazioni (risoluzione n. 46/E del 18 aprile 2019).

La ripartizione delle spese per automazione e manutenzione il cancello condominiale

In un condominio ci sono tre cancelli, di cui uno per l’ingresso delle macchine e due per gli ingressi pedonali. Le spese di automazione/riparazione/manutenzione del cancello di ingresso del garage sono state ripartite in base ai soli posti auto e non in base ai millesimi di proprietà. Si ritiene però che il cancello condominiale sia un bene di proprietà condominiale, al pari di un impianto. Pertanto, la spesa per manutenzione/riparazione/tinteggiatura sia da ripartire tra tutti i condòmini in base ai millesimi di proprietà e non in base ai soli posti auto. Si precisa che alcuni proprietari di posti auto non possiedono appartamenti nel condominio.

Salvo diversa convenzione prevista dal regolamento del condominio, la regola generale è quella prevista dall’art. 1123, comma 1, del Codice civile, secondo cui ogni condòmino è tenuto a partecipare alle spese per i servizi di interesse comune (tra cui il cancello condominiale) in misura proporzionale al valore della proprietà in suo possesso.

Questo significa che la spesa sostenuta per riparare il cancello di accesso al condominio deve essere ripartita tra i condòmini in base ai millesimi di proprietà.

Pertanto, in presenza della decisione di automatizzare il cancello di accesso al cortile, la ripartizione delle spese deve avvenire tra tutti i comproprietari, inclusi coloro che non hanno autorimesse di proprietà esclusiva nel cortile, “qualora il cancello permetta di accedere a parti comuni dell’edificio” (Trib. Novara 19 febbraio 2007).
Tuttavia, in alcuni casi, si possono verificare ipotesi differenti.

Secondo la giurisprudenza, la ripartizione delle spese affrontate da un condominio per l’acquisto di un cancello automatico per l’accesso ai box deve essere eseguita secondo il criterio previsto dal comma 2 dell’art. 1123 c.c., a norma del quale, se si tratta di cose destinate a servire i condòmini in misura diversa, le spese devono essere ripartite in “proporzione all’uso che ciascuno può farne” (App. Roma 15 luglio 1994, n. 2134). Oppure, le spese di manutenzione di un cancello devono essere ripartite “solo” tra alcuni condòmini comproprietari dell’area alla quale dà accesso il cancello stesso (Cass. civ. sez. II, 2 marzo 2016, n. 4127).

In sintesi, la decisione circa l’effettiva ripartizione delle spese andrà presa tenuto conto e contemperando il principio dell’uso diretto, proporzionale o di specifica utilità. Fermo restando che il criterio di ripartizione delle spese sia quello espresso al comma 1 del citato art. 1123 c.c. “ove non sia possibile enucleare posizioni differenziate” (Cass. civ. 8 febbraio 1972, n. 475).

In conclusione, se tutti i condòmini utilizzano il cancello comune, tutti partecipano alle spese; diversamente, si tratta di valutare l’uso potenziale di alcuni condòmini (quando il bene serve in maniera diversa) o l’utilità del medesimo bene (quando serve solo una parte dell’intero fabbricato).

Compatibili le attività dell’amministratore di condominio e dell’agente immobiliare

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che le attività di agente immobiliare e amministratore di condominio possono essere svolte contemporaneamente.
Questa decisione rappresenta una svolta rispetto alla normativa italiana, che le considerava incompatibili fino a ora. La sentenza apre nuove prospettive per i professionisti del settore immobiliare, consentendo loro di diversificare i servizi offerti e di ampliare il loro raggio d’azione.

La sentenza della Corte di Giustizia UE
Il 4 ottobre 2024, la Corte di Giustizia UE ha risposto a un quesito sollevato dal Consiglio di Stato italiano, dichiarando che non esiste alcuna incompatibilità tra le professioni di agente immobiliare e amministratore di condominio. La normativa italiana, fino a quel momento, aveva vietato l’esercizio combinato di entrambe le attività per preservare l’indipendenza e l’imparzialità dei professionisti coinvolti.

Il caso
Il caso affrontato dalla Corte di Giustizia Ue è nato da un agente immobiliare di Bologna, al quale il TAR aveva confermato l’impossibilità di svolgere entrambe le attività, a seguito di un avviso della Camera di Commercio di competenza che gli aveva inibito la prosecuzione dell’attività di mediazione immobiliare.
L’incompatibilità tra le attività di amministratore di condominio e mediatore immobiliare è stata chiaramente stabilita dal Ministero dello Sviluppo Economico. Questa incompatibilità deriva dal fatto che svolgere entrambe le attività potrebbe causare un conflitto di interessi.
Dopo vari ricorsi, la questione è arrivata alla Corte di Giustizia UE, che ha emesso la sua decisione.

Il conflitto tra la normativa italiana e quella europea
La Corte ha rilevato che il divieto italiano é in contrasto con la Direttiva europea 2006/123/CE, nota come “Direttiva Servizi”, che tutela la libertà di prestazione dei servizi all’interno dell’Unione Europea. Secondo i giudici, la restrizione imposta dall’Italia non è proporzionata rispetto all’obiettivo di proteggere i consumatori e non giustifica adeguatamente la necessità di limitare la libertà professionale. La Corte ha inoltre evidenziato che il rischio di conflitto d’interessi tra le due professioni non è sufficientemente dimostrato, mentre la limitazione della norma italiana impedisce agli agenti immobiliari di ampliare la gamma dei servizi offerti.

Le implicazioni per gli agenti immobiliari
La sentenza in oggetto rappresenta un’opportunità per gli agenti immobiliari, che potranno ampliare i loro servizi includendo la gestione condominiale, prima a loro preclusa.
La Corte ha sottolineato che eventuali limitazioni economiche agli operatori devono essere giustificate da reali necessità di interesse pubblico e non devono costituire un ostacolo sproporzionato alla libertà di esercizio delle attività professionali.

Verso un mercato immobiliare più flessibile e competitivo
Consentendo agli agenti immobiliari di ampliare i servizi offerti ai propri clienti, la sentenza apre la strada a una maggiore flessibilità nel settore immobiliare italiano e di aumentare l’efficienza e la competitività del mercato.
Questa evoluzione offre nuove possibilità professionali e garantisce anche vantaggi significativi per i consumatori, che potranno accedere a servizi integrati e migliorati.

Il plauso della Fiaip
“Finalmente si é fatta definitiva chiarezza sull’acclarata compatibilità tra l’attività di agente immobiliare e quella di amministratore di condominio, consentendo alle agenzie immobiliari di diventare multidisciplinari ampliando i propri servizi a beneficio e a tutela del cittadino”, commenta Gian Battista Baccarini, presidente nazionale della Fiaip.
“Con questa sentenza – spiega il presidente – si raggiunge un duplice obiettivo, consentendo, da una parte, di porre fine alle note forme di illegalità e di abusivismo alimentate in questi anni dalle incertezze interpretative camerali con conseguenti danni per i cittadini; dall’altra, il chiarimento porrà fine alle pesanti ripercussioni lavorative, stratificatesi in questi anni, di molti nostri operatori professionali”.
“Ora – conclude Baccarini – sarà importante l’interlocuzione con il Ministero affinché intervenga per chiarire agli Enti Camerali quali debbano considerarsi, oltre a quella di amministrazione condominiale, le attività compatibili con quella di agente immobiliare, dando finalmente concreta attuazione alla riforma del 2019 che, sul piano normativo, ha reso compatibili tutte le attività imprenditoriali che erogano servizi in ambito immobiliare, in linea con le indicazioni Europee e le moderne esigenze del mercato”.

Cessione del credito: le semplici forniture non rientrano nel calcolo

Gli importi relativi a semplici forniture non rientrano tra quelli da considerare nel calcolo degli stati di avanzamento dei lavori (SAL). A contribuire all’importo del SAL sono esclusivamente i lavori realizzati dall’inizio dell’intervento e fino all’emissione del SAL.

Il chiarimento è stato fornito dalla Sottosegretaria al Ministero dell’Economia e delle Finanze Sandra Savino, in rappresentanza del Governo, nel corso dell’interrogazione a risposta immediata del 12 novembre, che si è svolta presso la Commissione Finanze della Camera. La risposta segue i pareri forniti dagli Uffici dell’Amministrazione finanziaria e dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Nell’audizione è stata innanzitutto richiamata la definizione di stato di avanzamento dei lavori: “La nozione di SAL rientra tra i diversi documenti contabili predisposti e tenuti dal direttore dei lavori o dai direttori operativi o dagli ispettori di cantiere, se delegati a tale compito”. La sottosegretaria del MEF ha inoltre sottolineato: “Lo stato di avanzamento lavori è un atto ricavato dal registro di contabilità, funzionale al pagamento di rate di acconto, in favore dell’esecutore, dove vengono riassunte tutte le lavorazioni dall’inizio dell’appalto fino al momento di emissione”. Nel calcolo del SAL rientrano quindi “solo le prestazioni effettivamente realizzate nel cantiere” e sono escluse le semplici forniture.

La posizione fornita dal MEF é stata anche motivata con il riferimento all’allegato 2 del decreto Asseverazioni del 6 agosto 2020, che si riferisce esclusivamente ai lavori realizzati nel disciplinare le osservazioni del tecnico.

Tale posizione rappresenta un importante chiarimento che potrebbe avere ripercussioni anche su interventi già conclusi, dal momento che il raggiungimento del SAL è stato considerato un requisito sia per l’accesso alle proroghe, sia per la determinazione del superbonus o delle agevolazioni spettanti.

I chiarimenti forniti in Commissione Finanze della Camera assumono dunque notevole importanza soprattutto per le possibili implicazioni.

L’esclusione delle forniture dal calcolo dell’importo del SAL è determinante per il raggiungimento della percentuale minima del 30 per cento di ciascuno stato di avanzamento dei lavori.

Il raggiungimento del SAL è inoltre particolarmente importante in quanto è stato considerato per l’accesso alle proroghe concesse per il completamento dei lavori del superbonus, sia nel caso di interventi su villette e unifamiliari, sia nel caso di lavori nei condomini.

Un calcolo del SAL con l’esclusione delle forniture porterebbe all’ottenimento di una proroga senza aver rispettato i requisiti previsti, anche per lavori che potrebbero essere da tempo conclusi.

Analoga riflessione può interessare la determinazione dell’aliquota della maxi agevolazione, in alcuni casi basata sul rispetto di requisiti legati al raggiungimento di un determinato stato di avanzamento dei lavori.

Alcuni effetti potrebbero inoltre avere un impatto sulle somme legate alle cessioni del credito, già accettate e i cui importi potrebbero essere già stati fruiti.

La posizione potrebbe quindi portare ad effetti retroattivi, destinati anche a incrementare i possibili contenzioni collegati con gli interventi del superbonus.

Il chiarimento incentrato su aspetti tecnici del calcolo dell’avanzamento dei lavori potrebbe quindi avere conseguenze ad ampio raggio e anche in relazione a lavori già conclusi.

Fondo morosità incolpevole rifinanziato a metà

Dopo che per alcuni anni il Fondo morosità incolpevole non è stato rifinanziato, la Legge di Bilancio 2025 lo rifinanzia a metà, con lo stanziamento di 30 milioni di euro per il prossimo biennio, dei quali 20 milioni da utilizzare nel 2025 e i restanti 10 milioni nel 2026.
La procedura di accesso e i requisiti dovrebbero rimanere invariati, a meno che il Decreto ministeriale e le regole da parte di Comuni e Regioni inseriscano modifiche.
Si tratta di un contributo che può essere richiesto dall’inquilino che non è in grado di pagare l’affitto. Per poter ricorrere al fondo è necessario aver ricevuto la notifica di sfratto. Il contributo può arrivare fino a 12mila euro.

Il Fondo morosità incolpevole
Il Fondo morosità incolpevole, istituito dal decreto legge 102 del 2013, punta a sostenere le famiglie in difficoltà e destinatarie di uno sfratto per morosità incolpevole per il pagamento dei canoni di locazione.
La morosità incolpevole consiste in una situazione sopravvenuta che rende impossibile il pagamento del canone di locazione della casa di residenza a causa della perdita della capacità reddituale della famiglia o della sua consistente riduzione.
Il Fondo per morosità incolpevole consente agli inquilini di Comuni ad alta tensione abitativa, come ad esempio Roma, Milano e Bologna, di beneficiare di un contributo per pagare l’affitto in caso di difficoltà economica.
Tra i requisiti richiesti dal Decreto 30 marzo 2016 del Ministero dei Trasporti è previsto che la richiesta del contributo per pagare le mensilità d’affitto sia preceduta dalla verifica del reddito Isee e all’accertamento dell’effettiva difficoltà economica. È necessario, inoltre, che l’inquilino sia stato sottoposto a procedura di sfratto non dipendente dalla propria volontà.
Questi inquilini potranno presentare domanda al proprio Comune accertandosi dell’apertura del bando per il 2025 e delle risorse disponibili.

Morosità incolpevole: contributo affitti 2025
Il fondo per morosità incolpevole, è rivolto agli inquilini colpiti da procedure di sfratto per non aver pagato l’affitto per motivi non imputabili alla propria volontà. Nel 2024 ha consentito di beneficiare di un contributo fino a 12mila euro da utilizzare per pagare le mensilità arretrate e per alcune di quelle future.
La legge, che ha elencato i requisiti e l’importo del bonus per il pagamento degli affitti, spiega che si tratta delle situazioni di improvvisa impossibilità a provvedere al pagamento dell’affitto a causa della perdita o della forte riduzione della capacità reddituale del nucleo familiare.
Alcuni dei casi in cui si può parlare di morosità incolpevole, a titolo esemplificativo e non esaustivo, sono:
• perdita del lavoro per licenziamento;
• accordi aziendali o sindacali con consistente riduzione dell’orario di lavoro;
• cassa integrazione ordinaria o straordinaria;
• mancato rinnovo di contratti a tempo determinato o atipici;
• cessazione di attività libero-professionali o di imprese registrate dovuta a cause di forza maggiore o da perdita in avviamento consistente;
• malattia grave, infortunio o decesso di un componente del nucleo familiare che abbia comportato la notevole riduzione della capacità economica della famiglia o la necessità dell’impiego di reddito in spese mediche e assistenziali.

Requisiti per richiedere il contributo
Per poter beneficiare del contributo affitti del fondo per morosità incolpevole 2025 le regole e i requisiti dovrebbero rimanere inalterati rispetto al passato ed è necessario rispettare le seguenti condizioni:
• reddito da modello ISEE non superiore a 26.000 euro;
• destinatario di atto di intimazione di sfratto per morosità con citazione per la convalida;
• titolare di contratto di locazione di unità immobiliare a uso abitativo regolarmente registrato (sono esclusi gli immobili appartenenti alle categorie catastali A1, A8 e A9) e residenza nell’alloggio oggetto della procedura di rilascio da almeno un anno;
• cittadinanza italiana, di un Paese dell’UE, ovvero, nei casi di cittadini non appartenenti all’UE, possesso di un regolare titolo di soggiorno.
Chi presenta domanda e tutti i componenti del nucleo familiare non dovranno essere titolari di diritto di proprietà, usufrutto, uso o abitazione nella provincia di residenza di altro immobile fruibile e adeguato alle esigenze del proprio nucleo familiare.
Verranno valutate con priorità le domande presentate da richiedenti che all’interno del proprio nucleo familiare hanno almeno un componente:
• con più di 75 anni;
• minore;
• con invalidità accertata pari almeno al 74%;
• in carico ai servizi sociali o alle ASL competenti per l’attuazione di un progetto assistenziale individuale.

Importo del contributo
Se anche l’importo dovesse rimanere inalterato rispetto al 2024, il contributo affitti massimo è pari a 12mila euro, così ripartito sulla base della destinazione del bonus:
• fino a un massimo di 8mila euro per pagare gli affitti in caso di morosità incolpevole accertata dal Comune, qualora il periodo che precede la conclusione del contratto non sia inferiore a due anni, con rinuncia della procedura di sfratto da parte del proprietario;
• fino a un massimo di 6mila euro per pagare le mensilità successive qualora il proprietario rinunci alla procedura di sfratto per il tempo necessario a trovare un’altra casa;
• assicurare il versamento di un deposito cauzionale per la stipula di un nuovo contratto di locazione;
• assicurare il versamento di un numero di mensilità che corrispondano all’importo massimo concedibile di 12mila euro in relazione a un nuovo contratto di locazione a canone concordato.
Le regole e i criteri operativi saranno stabiliti dalle Regioni e dai Comuni e stabiliranno le modalità di accesso e i tempi per presentare domanda.

Efficienza energetica e mercato immobiliare

L’ultimo Rapporto dell’Enea ha esaminato le ricadute dell’efficienza energetica sul mercato immobiliare.

Gli immobili di classe energetica E, F e G rappresentano la maggioranza in tutte le tipologie, con il 72 per cento per i monolocali e il 63 per cento per le villette a schiera. Il Rapporto ha però sottolineato che la quota di immobili in classe G è diminuita, specialmente per i bilocali e le villette a schiera. Contestualmente, aumentano gli immobili in classe D e ciò costituisce un progresso rispetto agli anni passati.

Per quanto riguarda le differenze geografiche, secondo quanto emerso, nelle periferie l’83 per cento degli immobili venduti rientra nelle classi E, F e G, mentre solo il 5 per cento è in classe A o B; nelle aree di pregio il 45 per cento degli immobili appartiene alle classi A e B.

Da segnalare, poi, il ruolo giocato dalle condizioni dell’immobile: il Rapporto ha evidenziato che l’83 per cento degli edifici da ristrutturare è in classi energetiche basse, mentre il 70 per cento degli edifici nuovi raggiunge le classi A e B.

In merito all’andamento temporale delle transazioni nelle classi A e B, il Rapporto ha evidenziato una stabilità per gli immobili nuovi (70%) e una ripresa per gli immobili ristrutturati.
Secondo quanto segnalato dagli agenti immobiliari, tuttavia, l’efficienza energetica rimane un criterio secondario nella scelta immobiliare, a prevalere sono sempre ubicazione e tipologia.

Allarme sulla casa: i costi in salita mettono a dura prova la proprietà immobiliare

cedolare secca casa

Il mercato immobiliare italiano si trova in una fase di profonda trasformazione. Lo conferma il Terzo Rapporto Federproprietà-Censis “Agenda 2024-2030. La transizione abitativa: la casa possibile”.
I dati rivelano un quadro di crescente difficoltà, se non addirittura crisi, per chi detiene la proprietà di immobili, con costi di gestione e manutenzione che l’82,2 per cento ritiene ormai insostenibili, specialmente per le fasce di reddito più basse (88,8 per cento).
A peggiorare il quadro, il calo del valore reale delle abitazioni (-16,8 per cento in dieci anni), combinato con il timore di un inasprimento fiscale (69,3 per cento).

I numeri del Rapporto
La proprietà della casa è sotto pressione. Il 78,9 per cento degli italiani è convinto che in passato fosse più facile acquistare una casa. A pensarlo sono: il 79,1 per cento degli anziani, il 78,9 per cento degli adulti, il 78,5 per cento dei giovani, il 77,6 per cento dei redditi bassi e il 71,8per cento dei redditi più alti.
L’82,2 per cento dei proprietari di casa pensa che i costi di gestione e manutenzione siano diventati eccessivi (lo afferma l’88,8 per cento dei redditi bassi e il 75,6 per cento di quelli più alti).
Il 69,3 per cento teme tasse più alte sulla casa, compresa una patrimoniale. Inoltre, cala il valore delle abitazioni: tra il 2° trimestre 2014 e il 2° trimestre del 2024 è diminuito in termini reali del 16,8 per cento.

La Legge Salva Casa tra opportunità e incertezze
La Legge 105/2024, nota come Salva Casa, rappresenta un tentativo di semplificare la gestione immobiliare. Ma permangono timori e incertezze. Infatti, sebbene il 44,5 per cento degli italiani esprima un’opinione favorevole, resta un significativo 24,2 per cento di indecisi.
Benché il 37,9 per cento degli italiani sia convinto che questa legge sia utile per l’economia e la società italiana, il 32,4 per cento non è convinto di ciò e il 29,7 per cento non si esprime in proposito. Tuttavia, il 26,7 per cento dichiara esplicitamente di aver realizzato piccole migliorie in casa che potrebbero beneficiare della semplificazione di sanatoria prevista dalla Legge Salva Casa.

La sostenibilità energetica: opportunità e costi
Il tema della sostenibilità energetica è centrale nel dibattito immobiliare. La transizione verso case meno energivore, con cappotto termico, caldaie a basso impatto e infissi a prova di spifferi, è considerata una necessità dal 67,6 per cento degli italiani, con una potenziale valorizzazione degli immobili riconosciuta dall’81,7 per cento.
Tuttavia, il timore di un costo elevato degli interventi frena molti: l’84 per cento delle famiglie ritiene indispensabile un supporto pubblico per affrontare le spese, un segnale che evidenzia una necessità urgente di politiche di incentivazione mirate.
Affitti brevi turistici
Un altro aspetto cruciale riguarda il fenomeno delle locazioni turistiche, che il 46,8 per cento degli intervistati considera responsabile di una trasformazione negativa del tessuto sociale e urbano.
Inoltre, il 44,4 per centoo rileva un aumento dei canoni di locazione dovuto alla competizione con il mercato degli affitti brevi. Questa situazione richiede un intervento normativo per bilanciare la promozione turistica con la sostenibilità abitativa.
Un’altra criticità riguarda l’applicazione del Codice CIN per le locazioni brevi, definita “confusa e disomogenea”. Regole contrastanti tra norme locali e nazionali creano incertezze, con obblighi difficili da rispettare, come l’esposizione del codice in stabili vincolati da divieti paesaggistici. Secondo Pezzetta, l’Italia deve agire subito per favorire la reimmissione delle case vuote sul mercato, altrimenti l’emergenza abitativa resterà irrisolta.

Il Social Housing
Il Social Housing emerge come una possibile soluzione abitativa per le fasce più deboli, ma resta poco conosciuto: solo il 28,6 per cento degli italiani sa di cosa si tratti. Tra chi lo conosce, la maggioranza lo ritiene utile soprattutto in chiave temporanea (74,4 per cento). Una maggiore diffusione di informazioni e incentivi potrebbe rendere questa opzione più attrattiva e accessibile.

Case vuote: è emergenza
In Italia, su 35 milioni di abitazioni, ben 9,5 milioni restano inutilizzate. Un’emergenza abitativa che non dipende dalle locazioni brevi, le quali rappresentano appena il 2 per cento degli immobili (6 per cento nelle città d’arte), ma da una normativa inefficace che disincentiva la locazione.
A denunciarlo è Maurizio Pezzetta, Vicepresidente Vicario di FIMAA-Confcommercio, nel corso della presentazione del Rapporto Federproprietà-CENSIS.
FIMAA propone soluzioni concrete: dimezzamento dell’IMU per chi affitta con contratti abitativi ordinari, esenzione fiscale per redditi non percepiti in caso di morosità e contratti di locazione considerati titoli esecutivi per agevolare il recupero degli immobili.

Prospettive per il futuro
Il Rapporto Federproprietà-Censis dipinge un quadro di sfide strutturali che richiedono interventi coordinati e lungimiranti. Dal supporto pubblico per l’efficienza energetica alla regolamentazione del mercato degli affitti brevi, fino alla valorizzazione del Social Housing, è evidente che la “casa possibile” passa attraverso una profonda revisione delle politiche abitative. La transizione abitativa 2024-2030 sarà una prova cruciale per il settore immobiliare e per l’intera economia italiana.
Sara Funaro, delegata Anci alle Politiche abitative e sindaco di Firenze, lancia un monito deciso: “Dopo anni di assenza di politiche per la casa, siamo davanti a una vera emergenza nazionale”. “Il diritto alla casa deve tornare accessibile a tutti – sottolinea Funaro – con misure mirate per giovani coppie, lavoratori, famiglie e studenti, soprattutto nelle aree urbane dove l’emergenza abitativa è più acuta”.
Il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, richiama l’attenzione sulla necessità di azioni combinate. Oltre al rifinanziamento del fondo per il sostegno alla locazione, l’abbattimento dell’IMU per le case affittate a canone concordato e una migliore gestione dell’edilizia residenziale pubblica. Spaziani Testa evidenzia l’urgenza di rimettere in uso gli immobili abbandonati, garantendo il diritto alla casa a chi ne ha realmente bisogno.

Fotovoltaico, al termine lo “Scambio sul posto”

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Case prefabbricate: a quanto ammonta l’IVA?

Le sfide della casa

Attraverso la Risposta n. 246/2024, l’Agenzia delle Entrate si sofferma sulla tematica relativa all’aliquota IVA da pagare per l’acquisto di una casa prefabbricata da montare.

Nel caso analizzato una Società estera che opera nel settore della produzione di case prefabbricate ha venduto ad un cliente privato italiano una casa prefabbricata da montare. Tale Società ha fatto presente di aderire al regime One Stop Shop (OSS), ovvero un sistema elettronico centralizzato e digitale che consente ai soggetti passivi che forniscono servizi o cedono beni a consumatori dell’UE di dichiarare e pagare l’IVA in un unico Stato membro, quello dove sono identificati

La Società si è rivolta, quindi, all’Agenzia delle Entrate chiedendo chiarimenti sulle aliquote IVA da applicare all’operazione, sui requisiti e sulla registrazione delle fatture con aliquota ridotta e sulle eventuali sanzioni per l’errata applicazione delle aliquote agevolate.

In risposta, l’Agenzia delle Entrate ha ricordato che sulle cessioni delle case di legno prefabbricate la risoluzione ministeriale 503351/1974 prevede l’aliquota IVA al 22% quando il cliente acquista i pezzi della casa e li fa montare dall’impresa stessa che li ha prodotti o da terzi.

Si applica, invece, l’aliquota ridotta del 4% o del 10% quando il committente affida a un’impresa la costruzione della casa, da effettuare con i pezzi fabbricati dall’impresa stessa.

Nel caso di specie, la Società ha ribadito più volte di aver prodotto e venduto al cliente privato italiano la casa prefabbricata che sarà installata in Italia, fornendo tutti i dettagli su consegna, montaggio e sulle moderne tecnologie utilizzate per assemblare i vari pezzi.

A tal proposito, quindi, l’Agenzia ha chiarito che il caso preso in esame rientra nella prima ipotesi per ciò che concerne l’aliquota.

Difatti, basandosi su tutte le informazioni aggiuntive rese note dalla Società Istante, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che l’acquirente non sta acquistando una casa, come affermato inizialmente dalla Società, bensì pezzi di una casa, precisamente le pareti che andranno successivamente montate.

L’oggetto della transazione, quindi, non è la vendita di un immobile ma la vendita di pezzi prodotti da una Società ai quali deve essere applicata l’aliquota IVA del 22%.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI