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ARCHIVIO DEL CONDOMINIO

Locazioni brevi: la scelta tra cedolare secca e regime ordinario

Sono proprietario di tre appartamenti che vorrei utilizzare per la locazione breve, mediante il loro inserimento su un sito dedicato. L’intermediario mi ha comunicato che all’atto del pagamento applicherà una ritenuta del 21 per cento. Posso avere precisazioni in merito?

I redditi che derivano dalla stipula di contratti di locazione breve possono essere assoggettati a due diverse modalità di tassazione: la tassazione ordinaria e la cedolare secca.

La scelta tra regime ordinario e cedolare secca va fatta tenendo conto di diversi fattori, tra cui la presenza di altri redditi che fanno aumentare il reddito complessivo. Di conseguenza, l’applicazione di un’aliquota d’imposta più elevata e la presenza di oneri detraibili e deducibili che, per loro natura, possono essere portati in deduzione dell’Irpef e non dalle imposte sostitutive (quindi, nemmeno dalla cedolare secca).

Ad esempio, il contribuente che non ha altri redditi oltre quelli derivanti dalle locazioni brevi e che magari ha effettuato degli interventi che danno diritto ad una detrazione, ha convenienza ad applicare il regime ordinario perché, altrimenti, perderebbe le detrazioni spettanti.

Quindi, nel caso descritto, se il contribuente optasse per il regime di cedolare secca, su un immobile (a scelta del contribuente stesso) applicherebbe l’aliquota del 21% mentre sul secondo e sul terzo applicherebbe quella del 26%.

I contratti di locazione breve possono essere conclusi direttamente oppure tramite intermediari, che possono essere anche soggetti che gestiscono portali telematici.

In quest’ultimo caso, se gli intermediari intervengono all’atto del pagamento, devono operare una ritenuta sul corrispettivo incassato. La ritenuta è applicata in misura pari al 21% sull’importo del corrispettivo lordo indicato nel contratto di locazione breve, mentre non devono essere assoggettati a ritenuta eventuali penali o caparre o depositi cauzionali, in quanto si tratta di somme di denaro diverse ed ulteriori rispetto al corrispettivo.

La ritenuta è applicata a titolo di acconto. Questo significa che il contribuente deve poi indicare i dati nel modello di dichiarazione dei redditi e versare l’eventuale differenza di imposta.

La ritenuta, quindi, è applicata indipendentemente dal regime scelto e rappresenta sempre un importo già versato a titolo di imposte.

Pertanto, laddove il contribuente dovesse applicare il regime ordinario, l’importo della ritenuta subita sarebbe riconosciuto in riduzione dell’Irpef da versare sui canoni di locazione.

Il massimale per la ristrutturazione della propria abitazione e dei balconi condominiali

Sto ristrutturando il mio appartamento. Contemporaneamente il condominio ha avviato il rifacimento dei balconi delle varie unità immobiliari: queste spese rientrano negli stessi massimali di detrazione o devono essere inserite in un capitolo a parte?

Le detrazioni sui lavori che il condominio ha deciso di effettuare sui balconi devono essere considerate separatamente rispetto a quelle applicate alla ristrutturazione della singola unità immobiliare.
Quindi, il limite di spesa si applica a ogni singolo intervento e non alla totalità delle spese sostenute per i lavori condominiali e per quelli sull’appartamento.
A precisarlo è la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 7/2017: “Le spese relative ai lavori sulle parti comuni dell’edificio, essendo oggetto di un’autonoma previsione agevolativa, devono essere considerate in modo autonomo ai fini della individuazione del limite di spesa detraibile. Pertanto, nel caso in cui vengano effettuati, dal medesimo contribuente, anche nello stesso edificio, sia lavori condominiali che lavori sul proprio appartamento la detrazione spetta nei limiti di spesa applicabili disgiuntamente per ciascun intervento”.
Nel caso descritto, è possibile detrarre il 50 per cento fino a un massimo di 96mila euro di spesa sostenuta per la ristrutturazione sull’unità immobiliare.
Analoga percentuale, sempre su un tetto di spesa di 96mila euro riferito alla quota attribuita dal condominio, si può detrarre ai lavori sui balconi decisi dall’assemblea.

Condominio e Superbonus con sconto in fattura: ancora possibile, ma solo a determinate condizioni

Il condominio può continuare a esercitare l’opzione per lo sconto in fattura ai sensi dell’articolo 121 del decreto Rilancio per ulteriori interventi che danno diritto al Superbonus, se alla data del 30 marzo 2024, ha pagato almeno in parte i lavori edili effettuati. La locuzione “lavori già effettuati” si riferisce esclusivamente a interventi edilizi, escludendo spese professionali, oneri di urbanizzazione e altre spese preparatorie.

È la conclusione raggiunta dall’Agenzia delle entrate nella risposta n. 26 del 12 febbraio 2025, con la quale ha fornito un chiarimento sull’applicazione delle deroga al generale divieto all’esercizio delle opzioni per la fruizione con modalità alternative alla detrazione (sconto in fattura o cessione del credito corrispondente alle detrazioni) operato dal Dl n. 11/2023 (“decreto Cessioni”) come rivisto dal più recente Dl n. 39/2024 emanato lo scorso anno.

Nel caso specifico, il condominio ha deciso, tramite un’assemblea straordinaria tenutasi nel 2022, di effettuare lavori per i quali intende usufruire delle detrazioni del Superbonus, affidando gli interventi a un general contractor interessato ad applicare lo sconto in fattura. Dopo aver presentato la Cilas il 25 novembre 2022, il condominio ha dovuto cambiare il general contractor e ha fissato l’inizio dei lavori per il 6 novembre 2023. Inoltre, il condominio intende utilizzare il Superbonus con una detrazione del 70% per le spese del 2024, rientrando nelle deroghe previste dal decreto Cessioni.

Il condominio chiede se può continuare a utilizzare lo sconto in fattura anche dopo l’entrata in vigore del decreto-legge n. 39/2024, nonostante non ci siano fatture dirette tra il general contractor e il condominio al 30 marzo 2024.

Il Dl n. 39/2024, osserva l’Agenzia, ha introdotto significative modifiche riguardanti l’esercizio delle opzioni per lo sconto in fattura e la cessione del credito d’imposta, regolate dall’articolo 121 del Dl n. 34/2020 (il decreto Rilancio). Queste modifiche si inseriscono in un contesto normativo già complesso, che ha visto l’introduzione di divieti e deroghe nel corso degli ultimi anni.

Il decreto Cessioni ha stabilito, a partire dal 17 febbraio 2023, un divieto all’esercizio delle opzioni alternative alla detrazione, come lo sconto in fattura o la cessione del credito. Tuttavia, i commi successivi hanno previsto specifiche deroghe a tale divieto, applicabili solo al verificarsi di determinate condizioni. Nel dettaglio, al comma 2, ha previsto che il divieto non si applica per le spese sostenute per interventi che beneficiano del Superbonus e per altre detrazioni specifiche. Inoltre, ha stabilito che il divieto non opera se, prima del 17 febbraio 2023, è stata adottata una delibera assembleare da parte dei condomini e presentata la comunicazione di inizio lavori asseverata (Cila).

L’articolo 1 del decreto-legge n. 39/2024 ha ulteriormente rimodulato l’ambito di applicazione delle deroghe previste dal decreto Cessioni. In particolare, al comma 5 stabilisce che le disposizioni di cui all’articolo 2, commi 2 e 3, non si applicano agli interventi per i quali, alla data di entrata in vigore del decreto, non è stata sostenuta alcuna spesa documentata da fattura per lavori già effettuati.

Tale modifica ha l’obiettivo di garantire che solo coloro i quali hanno effettivamente sostenuto spese documentate per lavori già effettuati possano continuare a esercitare le opzioni di sconto in fattura o cessione del credito.
Le deroghe al divieto di esercizio delle opzioni continuano a operare solo se, entro il 30 marzo 2024, sono stati effettuati lavori e sono state sostenute le relative spese.

Inoltre, l’Agenzia ricorda che, nell’ipotesi di pagamento tramite bonifico, secondo la risposta n. 137/2024, la spesa si considera sostenuta nel momento in cui viene dato l’ordine di pagamento alla banca. Pertanto, non è rilevante il momento in cui avviene l’effettivo addebito sul conto corrente del committente.

Per quanto riguarda i lavori già effettuati e le tempistiche, invece, precisa che per esercitare l’opzione di sconto in fattura, è necessario che il pagamento avvenga entro il 30 marzo 2024 e si riferisca a “lavori già effettuati”. Questa condizione soddisfa il requisito per le spese sostenute successivamente a tale data riguardanti gli interventi indicati nella Cilas, o nel titolo abilitativo richiesto.

La condizione di “lavori già effettuati” è soddisfatta se il pagamento, documentato da fattura, è effettuato entro il 30 marzo 2024 e si riferisce alla realizzazione, anche parziale, dei lavori. Inoltre, è possibile che la spesa sia sostenuta da un soggetto diverso dal committente finale, purché documentata adeguatamente. Ne consegue che l’opzione per lo sconto in fattura o per la cessione del credito può essere esercitata anche dal committente che si avvale di un appaltatore (ad esempio, di un contraente generale) il quale, nonostante abbia pagato alla data del 30 marzo 2024 ai subappaltatori una parte dei lavori effettuati, non abbia entro tale data emesso fattura nei confronti del committente in relazione ai medesimi lavori. Anche in tale ipotesi, precisa l’Agenzia, i pagamenti devono riferirsi a “lavori già effettuati”.

Quando più interventi sono compresi nello stesso titolo abilitativo, la condizione è soddisfatta se le spese pagate si riferiscono anche a solo uno degli interventi. Resta fondamentale che il legame tra il pagamento e il committente, beneficiario finale dell’agevolazione, sia debitamente documentato.

Amministratore di condominio e gestione dell’acqua

L’amministratore di condominio dello stabile in cui sono proprietario di un appartamento minaccia di chiudere l’acqua per un difetto di costruzione dell’impianto (le acque scure confluiscono nelle acque chiare). L’impianto è attivo da decenni. Rientra tra le sue facoltà poter togliere l’acqua ai condomini?

Il decreto legislativo 18/2023 afferma che il gestore della distribuzione idrica interna è l’amministratore di condominio, responsabile del sistema idro-potabile collocato fra il punto di consegna e il punto d’uso dell’acqua (del tratto precedente è responsabile il fornitore).
Perciò l’amministratore deve effettuare una valutazione e gestione del rischio dei sistemi di distribuzione idrica interni e deve adottare le necessarie misure preventive e correttive, proporzionate al rischio, per ripristinare la qualità delle acque (pena la sanzione da 5mila a 30mila euro).
Quindi, se il rischio è certificato dalle analisi, deve chiudere l’impianto per il tempo necessario all’intervento di ripristino.

Dal 2025 stop agli incentivi per le caldaie a gas

A partire dal 2025 non sarà più possibile beneficiare di incentivi per l’acquisto e l’installazione di caldaie a gas, che dal 2040 saranno definitivamente messe al bando.
È una delle principali novità introdotte dalla Direttiva Ue “Case Green”, che in proposito ha tracciato una precisa roadmap: dal 2025 stop agli incentivi, dal 2040 stop alla produzione e alla vendita delle caldaie alimentate a combustibile fossile.
Nel corso dell’iter di approvazione della Legge di Bilancio è stato ratificato l’emendamento che stralcia le caldaie a combustibili fossili dall’elenco delle spese detraibili nell’ambito dei lavori edilizi e di riqualificazione energetica.
L’acquisto e l’installazione di “impianti di climatizzazione invernale con caldaie uniche alimentate a combustibili fossili”, pertanto, non potranno essere agevolati né con il Bonus Ristrutturazione né con l’Ecobonus a partire dal 1° gennaio 2025.
Una delle più severe indicazioni della Direttiva Ue Case Green è stata dunque recepita e inserita dalla Legge di Bilancio 2025, evitando così il rischio di incorrere in una probabile procedura di infrazione.
Nel testo della Direttiva si legge che due terzi dell’energia consumata per riscaldare e raffrescare gli edifici provengono ancora da combustibili fossili. Una delle leve sui cui gli Stati dovranno agire per raggiungere i traguardi ambiziosi della decarbonizzazione del riscaldamento e del raffrescamento degli edifici è l’elettrificazione dei consumi grazie all’energia da fonti rinnovabili, attraverso l’installazione di pompe di calore, impianti solari, batterie e infrastrutture di ricarica al posto delle caldaie alimentate a combustibili fossili.
Con una comunicazione dello scorso 18 ottobre 2024 la Commissione Europea ha fornito importanti chiarimenti per la corretta interpretazione dell’articolo 17 sul bando delle caldaie a gas, lasciando spazio a significative deroghe su impianti ibridi e spese non legate all’installazione.

Le linee guida della Commissione Europea
Con la comunicazione dello scorso 18 ottobre 2024 (C/2024/6206), la Commissione Europea ha fornito chiarimenti per la corretta interpretazione dell’articolo 17 della Direttiva Ue Case Green in relazione all’eliminazione graduale degli incentivi finanziari alle caldaie uniche alimentate a combustibili fossili, a norma della direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia.
Dal 1° gennaio 2025 gli Stati membri non offrono più incentivi finanziari per l’installazione di caldaie uniche alimentate a combustibili fossili, ad eccezione di quelle selezionate per gli investimenti prima del 2025.
Innanzitutto, si precisa che l’articolo 17, paragrafo 15, si applica all’installazione di caldaie uniche alimentate a combustibili fossili, ovverosia all’acquisto, all’assemblaggio e alla messa in funzione di una caldaia:
• che brucia combustibili fossili, ossia fonti energetiche non rinnovabili a base di carbonio, quali combustibili solidi, gas naturale e petrolio;
• unica, ossia non combinata con un altro generatore di calore che utilizza energia da fonti rinnovabili e che produce una quota considerevole dell’energia totale in uscita dal sistema combinato. Il fatto che l’installazione di una caldaia unica alimentata a combustibili fossili avvenga ad esempio nel quadro di una ristrutturazione profonda o integrata è irrilevante in questo contesto.
Sulla base di queste premesse:
• una caldaia a gas può essere considerata “alimentata a combustibili fossili” in funzione del mix di combustibili nella rete del gas al momento dell’installazione. Di norma, quando la rete locale del gas trasporta prevalentemente gas naturale, l’installazione di caldaie a gas non dovrebbe ricevere incentivi finanziari; può invece beneficiare di incentivi a norma dell’articolo 17, paragrafo 15, se la rete locale del gas trasporta prevalentemente combustibili rinnovabili. Spetta alle autorità competenti degli Stati membri garantire l’esistenza di uno strumento di verifica in grado di controllare questo aspetto al momento dell’installazione;
• affinché una caldaia non collegata alla rete non sia considerata “alimentata a combustibili fossili”, le autorità competenti dello Stato membro devono esigere e verificare in modo solido e credibile che l’unità funzionerà effettivamente utilizzando combustibili rinnovabili sia al momento dell’installazione che per il resto della sua vita utile, dato che il beneficiario mantiene il controllo del combustibile utilizzato durante l’intera vita utile di una caldaia non collegata alla rete. Questa verifica può essere effettuata nel quadro delle ispezioni periodiche in loco degli impianti di riscaldamento o di ispezioni di altro tipo riguardanti gli impianti di riscaldamento negli Stati membri;
• gli incentivi finanziari sono ammessi solo per gli impianti di riscaldamento ibridi con una quota considerevole di energie rinnovabili, e soltanto in misura proporzionale all’uso di energie rinnovabili in tali impianti; di conseguenza l’installazione di un impianto di riscaldamento basato al 100 per cento su energie rinnovabili dovrebbe essere incentivata maggiormente rispetto all’installazione di un impianto di riscaldamento ibrido.
Spetta agli Stati dare una definizione di “impianti di riscaldamento ibridi con una quota considerevole di energie rinnovabili” e di “quota di energie rinnovabili considerevole negli impianti di riscaldamento ibridi”, garantendo che la parte dell’impianto ibrido che utilizza energie rinnovabili, ad esempio un impianto solare termico o una pompa di calore, fornisca una quota considerevole dell’energia prodotta (ossia il fabbisogno di riscaldamento dell’edificio).
Tale valutazione dovrà essere effettuata dall’autorità competente e dipenderà dalle circostanze. L’ibridazione potrebbe essere aggiunta in loco in un secondo momento, nel qual caso il finanziamento servirà soltanto per gli elementi relativi al generatore di calore aggiuntivo ad energia rinnovabile e/o per i comandi specifici utilizzati per gestire il funzionamento congiunto delle diverse tecnologie. Diverso è il caso degli impianti di riscaldamento concepiti e immessi sul mercato come ibridi: l’incentivo finanziario può coprire l’intero prodotto, ma dovrebbe essere proporzionato alla quota di energie rinnovabili utilizzata dall’impianto ibrido.

Gli incentivi ammessi per i sistemi di riscaldamento
La Commissione Europea ha fornito gli esempi di incentivi finanziari che non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 17 e che sono ancora ammessi.
• Impianti di riscaldamento ibridi con una quota considerevole di energie rinnovabili. Potrebbero essere ancora agevolati, ad esempio, la combinazione di una caldaia con un impianto solare termico o con una pompa di calore); come detto sopra questi incentivi finanziari di questo tipo dovrebbero essere proporzionati all’uso di energie rinnovabili nell’impianto di riscaldamento ibrido.
• Eventuali costi aggiuntivi connessi alla transizione verso l’uso di gas rinnovabili in una caldaia. Tali costi possono essere connessi all’ammodernamento dell’impianto di distribuzione all’interno dell’abitazione, al punto di connessione, all’ibridazione in loco o a investimenti aggiuntivi in adeguamenti tecnici per permettere l’uso di energia rinnovabile nella caldaia, ad esempio investimenti aggiuntivi nelle parti dell’impianto di riscaldamento che consentono l’uso di energia rinnovabile al 100 per cento.
• Incentivi non correlati all’installazione. Eventuali incentivi relativi ad attività diverse dall’installazione – come la manutenzione, la riparazione o lo smantellamento di caldaie a combustibile fossile, ad esempio attraverso premi di rottamazione – non sono soggetti alla disposizione concernente l’eliminazione graduale dei finanziamenti. Incentivi simili possono essere utili a prevenire sostituzioni di emergenza a seguito di un guasto e a incoraggiare la riparazione o la sostituzione di un determinato elemento. Possono contemplare ad esempio la locazione temporanea di caldaie ai consumatori di energia nelle zone che sono o saranno servite da teleriscaldamento e teleraffrescamento.
• Incentivi finanziari a favore dell’installazione, negli edifici, di sistemi di automazione e controllo degli impianti di riscaldamento alimentati da caldaie uniche a combustibile fossile
• Misure volte ad affrontare la questione dell’accessibilità economica dell’energia
Anziché incentivare economicamente la sostituzione delle caldaie a combustibili fossili con nuove caldaie dello stesso tipo, gli Stati membri dovrebbero sostenere la riparazione di quelle esistenti e/o prevedere soluzioni temporanee di riscaldamento (ad esempio la locazione finanziaria delle caldaie) associate a livelli più elevati di sostegno alle famiglie vulnerabili per impianti di riscaldamento diversi dalle caldaie uniche alimentate a combustibili fossili (quali gli impianti di riscaldamento basati su energie rinnovabili o gli impianti ibridi con una quota considerevole di energie rinnovabili).
• Incentivi non correlati alle caldaie
Gli apparecchi che non rispondono alla definizione di caldaie, quali stufe o apparecchi di microcogenerazione, non sono interessati dall’eliminazione graduale degli incentivi finanziari a favore delle caldaie uniche alimentate a combustibili fossili.
• Erogazione di incentivi concessi e comunicati al beneficiario prima del 10 gennaio 2025. Qualora un ente pubblico abbia preso la decisione di fornire un incentivo finanziario e l’abbia comunicata al beneficiario prima del 1o gennaio 2025, sono state create legittime aspettative prima di tale data e l’erogazione effettiva dell’incentivo finanziario può aver luogo dopo tale data.

Il regolamento sull’etichettatura energetica
In tale contesto, è importante sottolineare che, sebbene l’articolo 17, paragrafo 15, non vieti gli incentivi finanziari per l’installazione di caldaie uniche alimentate a combustibili rinnovabili, questi potrebbero essere preclusi dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento sull’etichettatura energetica (Regolamento (UE) 2017/1369).
Tale disposizione impone che gli eventuali incentivi previsti dagli Stati membri puntino alle due classi di efficienza energetica più elevate tra quelle in cui si situa una percentuale significativa dei prodotti o alle classi più elevate indicate negli atti delegati dell’UE sull’etichettatura energetica dei prodotti in questione.
Nel caso degli apparecchi per il riscaldamento d’ambiente aventi capacità fino a 70 kW soggetti all’etichettatura energetica, ciò significa che gli Stati membri possono incentivare solo quelli che rientrano nelle due classi di efficienza energetica più elevate tra quelle in cui si situa una percentuale significativa dei prodotti.
Stando ai dati attualmente disponibili, le caldaie uniche non rientrano in queste due classi e non possono dunque essere incentivate, indipendentemente dal fatto che siano alimentate a combustibili fossili o rinnovabili.
Possono invece essere incentivate le caldaie ibride e le pompe di calore, più efficienti, che rientrano quindi nelle due classi di efficienza energetica più elevate tra quelle in cui si situa una percentuale significativa dei prodotti in questione.

Eccezioni
L’articolo 17 della direttiva EPBD presenta delle eccezioni al divieto di incentivi finanziari per l’installazione di caldaie uniche alimentate a combustibili fossili dopo il 1° gennaio 2025 qualora sussistano contemporaneamente due condizioni:
– 1 – sono finanziati a titolo:
• del dispositivo per la ripresa e la resilienza;
• del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e del Fondo di coesione, unicamente nei casi in cui si applica l’articolo 7, paragrafo 1, lettera h), punto i), terzo trattino, del regolamento (UE) 2021/1058(26). Tale disposizione consente di investire in caldaie e impianti di riscaldamento alimentati a gas naturale che sostituiscono impianti a carbone, torba, lignite o scisto bituminoso in alloggi ed edifici;
– 2 – sono stati selezionati per gli investimenti prima del 2025, se rientrano all’interno dei programmi nazionali o regionali adottati prima del nuovo anno.

Caldaie a gas: stop all’installazione dal 2040
A differenza delle previsioni iniziali della Direttiva, che fissavano al 2035 la fine della produzione e vendita delle caldaie alimentate a combustibile fossile, l’obbligo è ora fissato al 2040.
È importante precisare che questa restrizione non colpirà chi già possiede una caldaia a gas, ma riguarderà coloro che intendono acquistare un nuovo sistema di riscaldamento per le nuove costruzioni o per gli immobili in ristrutturazione.
Quindi, detenere una caldaia a gas rimarrà legale, ma la produzione e la commercializzazione di nuovi modelli saranno vietate a partire dal 2040.
Esistono diverse possibilità previste – proposte dalla Direttiva Ue Case Green – per coprire il fabbisogno energetico di un edificio a zero emissioni: energia da rinnovabili generata in loco o nelle vicinanze con impianti solari termici, geotermici o fotovoltaici, pompe di calore, energia idroelettrica e biomassa, rinnovabili fornite dalle comunità dell’energia rinnovabile.
Particolare enfasi è dedicata a sistemi di teleriscaldamento e teleraffrescamento efficienti ed energia da altre fonti prive di carbonio, basati sulla distribuzione di energia termica in forma di vapore, acqua calda o liquidi refrigerati da una fonte centrale o decentralizzata di produzione verso una pluralità di edifici o siti tramite una rete.

Direttiva case green e Regolamento Ecodesign
La bozza di revisione del Regolamento Ecodesign 813/2013/UE non risulta coerente con la Direttiva case green perché introduce per le caldaie a gas un indice di rendimento stagionale (seasonal space efficiency) pari al 115%.
La bozza di revisione non prevede, pertanto, un divieto diretto ma nuovi requisiti minimi irraggiungibili per le caldaie a gas in commercio, che sarebbero sostanzialmente fuori dal mercato a partire dal 1° settembre 2029.
È importante precisare che l’istruttoria e le trattative sulla revisione del Regolamento Ecodesign sono ancora in corso e i parametri indicati nella bozza potrebbero essere soggetti a modifica.
In ogni caso, anche in caso di approvazione del regolamento nella versione attuale, il divieto riguarderebbe solo le nuove caldaie e non quelle già installate.

Il passaggio alle pompe di calore costa troppo, servono soluzioni integrate
Un’analisi condotta da Bip Consulting per Assogasliquidi, Assogas, Assotermica, Proxigas e Utilitalia, presentata presso la Camera dei Deputati, propone le possibili soluzioni per la decarbonizzazione dei consumi residenziali prevista dalla Direttiva Ue Case Green, che impone all’Italia già dal 2025 lo stop degli incentivi alle caldaie a gas e il divieto di installazione e commercializzazione dal 2040.
Lo studio parte dalla premessa che:
• il riscaldamento rappresenta l’84 per cento dei consumi termici residenziali e il 68 per cento delle abitazioni utilizza sistemi alimentati a metano;
• gli obiettivi di riduzione stabiliti dall’EPBD possono essere realizzati attraverso l’utilizzo di diverse tecnologie, ciascuna delle quali presenta vantaggi e punti di attenzione.
Per valutare la convenienza economica delle differenti tecnologie di efficientamento, è stata sviluppata un’analisi volta a valutarne i costi di installazione e di gestione.
• Tecnologie a combustibile – La caldaia alimentata a gas (metano o GPL) è la soluzione più economica per l’utenza in tutti i casi analizzati.
• Tecnologie elettriche – Nonostante un’elevata efficienza, le pompe di calore risultano poco competitive considerando l’orizzonte temporale dello studio, non solo a causa degli elevati CapEx ma anche a fronte dell’attuale costo dell’energia elettrica stessa.
• Gas rinnovabili – Percentuali crescenti di gas rinnovabili potranno offrire soluzioni efficaci per raggiungere i target di efficienza a costi competitivi, supportando anche la decarbonizzazione.
Gli scenari analizzati portano ad una riduzione del consumo di energia per riscaldamento, ma con un limitato (o nullo) ritorno economico atteso per le famiglie.
Si ipotizza di raggiungere il target minimo della Direttiva EPBD (-6,3 Mtep) in quattro scenari; la sostituzione delle caldaie a gas tradizionali con quelle a condensazione potrebbe permettere di raggiungere il 60 per cento del target EPBD, con tempi di realizzazione più rapidi e interventi meno invasivi rispetto all’installazione delle pompe di calore. Le sole tecnologie impiantistiche non raggiungono il target, è necessario introdurre soluzioni miste con i sistemi di coibentazione.
Attualmente, le pompe di calore – la principale tra le soluzioni individuate dalla Direttiva e Case Green per la conversione – risultano meno competitive rispetto alle moderne caldaie a condensazione, sia per i costi d’installazione sia per i costi operativi, soprattutto a causa del prezzo dell’energia elettrica in Italia.
Lo studio considera solo 5,9 milioni di abitazioni italiane tecnicamente convertibili alle pompe di calore, tenendo conto di fattori come dimensione, dislocazione geografica e destinazione d’uso.
I target di risparmi di energia primaria possono essere garantiti tramite differenti scenari e un approccio technology neutral, volto a rendere più agevole l’accesso a soluzioni impiantistiche più efficienti ad un numero più elevato di cittadini. Questo approccio, inoltre, può facilitare la transizione green valorizzando la graduale integrazione di gas rinnovabili e vettori molecolari verdi (es. biometano/bioGPL).

Decreto “Bollette”: bonus per famiglie e imprese contro i rincari dell’energia

Per contrastare il caro energia e offrire un aiuto a famiglie e imprese, il Governo ha varato un provvedimento da 3 miliardi di euro.

Si tratta del Decreto Legge 28 febbraio 2025, n. 19, titolo: “Misure urgenti in favore delle famiglie e delle imprese di agevolazione tariffaria per la fornitura di energia elettrica e gas naturale nonché per la trasparenza delle offerte al dettaglio e il rafforzamento delle sanzioni delle Autorità di vigilanza”.

Il cosiddetto “Decreto bollette” è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 49 del 28 febbraio 2025. Si compone di sette articoli e, in particolare, dispone un contributo straordinario una tantum di 200 euro sulle bollette della luce per chi ha un Isee fino a 25mila euro.

Il contributo sarà riconosciuto nel secondo trimestre 2025. Secondo le valutazioni del Governo, la misura interesserà circa 8 milioni di famiglie, con uno stanziamento di 1,65 miliardi di euro.

Bonus bollette 2025

Come previsto dal comma 1, dell’articolo 1, “Contributo straordinario per la fornitura di energia elettrica e gas naturale”, del decreto-legge, “per l’anno 2025, ai fini del riconoscimento di un contributo straordinario del valore di 200 euro sulle forniture di energia elettrica dei clienti domestici con valori dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) fino a 25mila, si provvede con delibera dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera), nel limite delle risorse disponibili, necessarie a garantire la relativa copertura, a qualsiasi titolo sul bilancio della Cassa per i servizi energetici e ambientali”.

Il decreto bollette 2025 parla, dunque, per l’anno in corso, di un contributo straordinario del valore di 200 euro sulle forniture di energia elettrica dei clienti domestici con valori dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) fino a 25mila euro.

Come sottolineato nel comunicato diffuso da Palazzo Chigi, lo sconto di 200 euro sulla bolletta sarà aggiuntivo per chi già percepisce il bonus sociale: si tratta di circa 3 milioni di famiglie con Isee fino a 9.530 euro (15mila euro con tre figli, 20mila con almeno quattro figli) che, in base alle norme attuali, hanno già diritto a uno sconto sulla bolletta della luce pari, per l’intero 2025, a 168 euro per i nuclei fino a due componenti, 219 euro per quelli con tre e quattro componenti e 241 euro per quelli più numerosi.

Tutti coloro che già beneficiano dell’aiuto, in pratica, riceveranno in aggiunta il “contributo straordinario” di 200 euro. Invece, le famiglie che hanno un Isee superiore a 9.530 euro e inferiore a 25mila prenderanno solo l’importo una tantum da 200 euro, dopo aver ottenuto dal portale Inps la certificazione Isee.

Il contributo straordinario del valore di 200 euro sulle forniture di energia elettrica dei clienti domestici con valore Isee fino a 25mila euro sarà riconosciuto nel secondo trimestre 2025 a chi ha presentato l’Isee.

Clienti vulnerabili

L’articolo 2 del decreto-legge 28 febbraio 2025, n. 19, contiene “Disposizioni urgenti per la fornitura di energia elettrica ai clienti vulnerabili”. In pratica, il Decreto proroga di due anni – e quindi fino al 31 marzo 2027 – l’obbligo di passaggio al mercato libero dell’energia per i cosiddetti clienti vulnerabili.

Imprese

Sul fronte delle imprese, il decreto bollette 2025 autorizza la spesa di 600 milioni di euro per il finanziamento del Fondo per la transizione energetica nel settore industriale.

Il provvedimento, inoltre, prevede il taglio degli oneri di sistema alle piccole e medie imprese, garantendo un risparmio sulle bollette di circa il 20 per cento. Con oneri di sistema si fa riferimento a tutte quelle spese per la gestione dell’infrastruttura energetica e per l’incentivazione delle rinnovabili: compaiono in bolletta ma sono slegate dai consumi.

Gestori energetici

Il Decreto Bollette stabilisce degli obblighi di trasparenza ai gestori energetici.

Inoltre, oltre un certo prezzo dell’energia, lo Stato ha deciso che rinuncerà all’Iva e destinerà l’eccesso di Iva alla riduzione delle bollette.

Un particolare meccanismo consentirà infine di utilizzare, in base all’andamento futuro dei prezzi dell’energia, anche ulteriori 3,5 miliardi di euro del Fondo sociale per il clima.

Associazioni dei consumatori

“Il decreto legge interverrà solo quando i caloriferi saranno spenti e le bollette del gas, quindi, ridimensionate”, spiega Marco Vignola, vicepresidente dell’Unione Nazionale Consumatori. Il presidente del Codacons Carlo Rienzi aggiunge: “Il Governo ha messo in campo misure che non sembrano adeguate a contrastare la crescita dei prezzi energetici. Non è con sconti temporali sulla tassazione che si può risolvere un problema strutturale come quello del caro-energia”. Il presidente di Assoutenti Gabriele Melluso chiede che “il governo intervenga per consentire i maggiori risparmi possibili ai consumatori”. Altroconsumo precisa: “Si tratta di una misura che non va nella direzione auspicata, perché servirebbe una misura stabile e strutturale”.

La bolletta dei “vulnerabili” in regime di maggior tutela

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Il ‘Salva Casa’ non decolla: opportunità e criticità

Il ‘Salva Casa’, individuato come lo strumento destinato a dare una risposta tempestiva all’emergenza abitativa, consentendo di sanare le lievi difformità che impediscono a tanti immobili l’ingresso sul mercato, sta deludendo le aspettative.
Incompatibilità della legge nazionale con le disposizioni regionali, lunghi tempi di risposta dell’Agenzia delle Entrate, la mancanza di modulistica dedicata e di criteri per quantificare le sanzioni ne stanno infatti ostacolando il decollo.
Permangono quindi numerose criticità interpretative e applicative di un decreto tanto atteso, ma che per il momento non ha dato risultati concreti e anzi continua a sollevare dubbi sulla sua reale applicazione.
Gli obiettivi del Salva Casa
Il Salva Casa interviene sul Testo Unico dell’Edilizia apportandovi una serie di modifiche.
In particolare, si amplia l’attività edilizia libera, si agevolano il recupero dei sottotetti e il mutamento della destinazione d’uso, si facilita la regolarizzazione degli interventi eseguiti in parziale difformità o con variazioni essenziali e si semplifica il conseguimento dell’agibilità.
Novità anche in relazione alle tolleranze costruttive per gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024 e in materia di stato legittimo: viene infatti chiarito che ai fini della determinazione dello stato legittimo delle singole unità non rilevano le difformità esistenti sulle parti comuni e viceversa.
Il Salva Casa non può dunque sanare difformità sostanziali come aumenti importanti di cubatura o immobili edificati senza permessi.
In molti casi, però, è sufficiente dimostrare che le opere erano in regola con le norme edilizie all’epoca dei lavori e con quelle urbanistiche attuali.

Gli agenti immobiliari: un ruolo fondamentale
Gli agenti immobiliari rappresentano il principale interlocutore di chi vuole vendere o acquistare casa. Quindi sono anche i primi a venire a conoscenza delle problematiche che possono ostacolare una compravendita.
Il Superbonus ha infatti rivelato che molte case non erano conformi alle norme, magari per cose minime, ma che rappresentano comunque un intralcio per la vendita. Infatti spesso si riscontrano lievi irregolarità di cui il proprietario è all’oscuro e che emergono solo quando si raccolgono le carte per vendere l’immobile: discrepanze costruttive, planimetrie non coincidenti tra Catasto e Comune, pratiche non perfezionate.
Il Salva Casa, il cui obiettivo è semplificare la sanatoria di piccoli abusi e creare un mercato più regolare e sano, dovrebbe quindi consentire a migliaia di immobili di essere messi in commercio, generando di conseguenza una maggiore disponibilità e offerta di case.

Le associazioni della proprietà edilizia
Concordano su come il Salva Casa rappresenti un primo importante tassello per agevolare l’immissione di immobili sul mercato, le associazioni della proprietà edilizia.
Uno strumento utile, dunque. Ma non risolutivo per affrontare tante criticità. Per dare una concreta soluzione ai problemi di abusi e difformità di tanti immobili “bisognerebbe avere il coraggio di fare qualcosa di più incisivo e pensare a un vero condono”.
Fino agli anni Settanta, infatti, si costruiva senza andare troppo per il sottile e così si è generata una serie di irregolarità, sconosciute dai proprietari, che vengono allo scoperto al momento della vendita. Ci sono pertanto molti immobili che restano fuori dal raggio d’azione del Salva Casa. Inoltre rimane aperto il problema relativo ai costi da sostenere per rimediare ai piccoli abusi, costi che a fronte di un abuso lievissimo possono anche essere altissimi.

Professionisti a confronto
Per i tecnici che operano nel settore, ovvero, ingegneri, architetti e geometri, per risolvere i tanti problemi del comparto è necessaria una revisione organica del Testo Unico dell’Edilizia, ormai datato, che non consente un’azione efficace sul patrimonio edilizio esistente.
“È necessario arrivare al Testo Unico delle Costruzioni – precisa Maria Cristina Milanese, presidente dell’Ordine degli Architetti di Torino – che consenta di risolvere criticità legate alle procedure edilizie complesse, come il recupero dei sottotetti e i cambi di destinazione d’uso: una normativa organica utile a rendere il lavoro dei professionisti più efficiente e meno soggetto a incertezze”.
Un’ulteriore criticità è che l’applicazione del Decreto sul territorio non è uniforme: viene infatti interpretato in maniera diversa da Regione a Regione, generando ulteriore confusione. Criticità, questa, ben nota anche all’artefice del Decreto, il ministro Matteo Salvini, che per il momento ha ribadito che “è fondamentale uniformare l’applicazione della normativa in tutta Italia per evitare disparità tra Bolzano e Catania”, senza però dare indicazioni per la soluzione del problema.

L’Agenzia delle Entrate
Gli addetti ai lavori segnalano inoltre che il Salva Casa presenta ancora nodi fondamentali da sciogliere, quali la quantificazione degli oneri da pagare, i parametri utilizzati dall’Agenzia delle Entrate per calcolare le oblazioni e le tempistiche di risposta.
Il passaggio critico del Salva Casa è infatti quello che delega all’Agenzia delle Entrate la valutazione dell’incremento di valore dovuto per l’opera da sanare. Pertanto, per ogni pratica gli uffici tecnici comunali devono chiedere l’importo della sanzione da pagare all’Agenzia, le cui tempistiche di risposta non sono definite. Un aspetto non trascurabile che può incagliare l’applicazione effettiva della Legge soprattutto per i piccoli Comuni, meno attrezzati.
Luisa Roccia, presidente del Collegio dei Geometri di Torino, precisa: “Il Salva Casa funziona per le pratiche che rientrano nelle tolleranze previste, che vengono finalizzate in tempi brevi e certi. Invece per quanto riguarda situazioni di ampliamenti, così come il recupero dei sottotetti, entra in scena l’Agenzia delle Entrate e stiamo ancora aspettando sia la modulistica pertinente, sia l’informativa su come verranno quantificate le sanzioni. Vorremmo capire su cosa baseranno i calcoli e quali saranno le tempistiche”.

Conclusioni
La strada del Decreto, dunque, sembra soltanto all’inizio. Per vedere i suoi effetti occorre renderlo concretamente uno strumento realmente utile per cittadini e professionisti. Fondamentale, inoltre, intervenire con una riforma più ampia del Testo Unico dell’Edilizia per garantire un’applicazione uniforme e senza ambiguità.

Casa, allarme Anammi: “Venti di crisi nei condomini, la morosità rialza la testa”

debito condominio

Casa, allarme Anammi:
“Venti di crisi nei condomini,
la morosità rialza la testa”

Grande timore per oltre il 72 per cento degli amministratori: nei prossimi mesi il ritardo nei pagamenti degli oneri condominiali avrà un forte impatto sul loro lavoro e sugli stessi condòmini

La morosità condominiale rialza la testa e rende più difficile la gestione dell’attività quotidiana.
A denunciarlo è l’Anammi, l’Associazione nazional-europea degli amministratori d’immobili, sulla base di un sondaggio interno che ha coinvolto i suoi oltre 13mila iscritti.
Il fenomeno non è una novità, ma negli ultimi anni, in coincidenza con i momenti economici più difficili, come nel 2022 per via dei rincari energetici, ha vissuto picchi significativi.
“La nostra preoccupazione – afferma Giuseppe Bica, presidente dell’Associazione – è che, in un periodo di grande incertezza, la morosità in condominio aggravi le problematiche che già pesano sul patrimonio immobiliare italiano. A farne le spese saranno, ancora una volta, i professionisti del settore, chiamati a conciliare le richieste dei loro amministrati con le problematiche legate ai rincari energetici e all’inflazione”.
Secondo l’indagine, per il 72,97 per cento degli associati nei prossimi mesi il ritardo nei pagamenti degli oneri condominiali avrà un forte impatto sul loro lavoro e sugli stessi condòmini.
Ma di quanto aumenterà il fenomeno? Il 66,28 per cento degli intervistati indica il 20 per cento in più.
“Non è un dato da poco – sottolinea Bica – soprattutto se si pensa che da sempre, nei nostri condomìni, il problema del versamento rimandato a oltranza è molto comune”. Per il 15,12% andrà peggio, con una crescita del 70 per cento; mentre per il 12 per cento la percentuale raddoppierà.
La ragione principale dell’aumento è da ricercarsi nelle difficoltà economiche dei condòmini (38,8 per cento). Tuttavia, a poca distanza (36 per cento) gli associati segnalano lo scarso rispetto delle regole, una tendenza che riguarda la morosità come pure le liti di condominio. Per il 25 per cento degli intervistati, è invece l’incapacità di gestione delle proprie finanze che porta a rinviare il pagamento degli oneri condominiali. La conseguenza più evidente è che per il professionista la gestione delle spese diventerà molto complessa (66,50 per cento).
“è logico che chi onora gli impegni economici si dimostri poco disponibile a comprendere le ragioni di chi non paga – commenta il presidente Bica – mandando in rovina, letteralmente, il condominio. L’amministratore si trova così a lavorare in un contesto ‘avvelenato’, perché la morosità incide negativamente sull’ecosistema condominiale”.
Basti pensare che la dilazione dei pagamenti provoca l’impossibilità di proseguire i lavori condominiali già in corso (13,37 per cento), il mancato versamento del compenso al professionista (11,05 per cento), e ovviamente il peggioramento dei rapporti tra vicini.
La geografia dal fenomeno vede in testa Roma, secondo il 22,38 per cento degli interpellati e Milano, per il 9,3 per cento dei soci. Altri capoluoghi seguono a grande distanza, come Venezia (3,9 per cento), Firenze e Napoli (3,2 per cento), a dimostrazione che il fenomeno pesa in particolare nelle metropoli.
Gli immobili condominiali che soffrono maggiormente la morosità sono in genere di grandi dimensioni (35,53 per cento) e in periferia (35,26 per cento). Per il 14 per cento degli amministratori, il problema colpisce però anche i condomìni dei quartieri più ricchi o abitati da persone anziane (13,95 per cento).
Il Codice civile, dopo la riforma del condominio, impone il decreto ingiuntivo entro sei mesi dal mancato pagamento, ma non basta a sanare la situazione.
Gli stessi soci dell’Anammi ammettono che, per salvare i conti condominiali, ricorrono alla rateizzazione in quasi la metà dei casi, unita ad un’attenta selezione dei fornitori e all’impiego di tecnologie che favoriscono il risparmio.
“Non esistono ricette magiche per contrastare il problema – conclude il presidente dell’Associazione – guardiamo con interesse alle intenzioni del Governo, che ha annunciato di voler intervenire sulle bollette a sostegno delle famiglie. Come amministratori, intendiamo fare la nostra parte dimostrando, ancora una volta, il ruolo economico e sociale della nostra professione”.

A cura di: Silvi CERIOLI – Ufficio Stampa ANAMMI

La sostituzione dei caloriferi non rientra nell’ecobonus

Ho acquistato un appartamento e per rimodernarlo abbiamo sostituito i caloriferi: ho la possibilità di detrarre la sola spesa di acquisto, in quanto ha provveduto a montarli mio marito (sprovvisto di Partita Iva in quanto pensionato)?

La sostituzione dei caloriferi non rientra nell’Ecobonus, in quanto per godere dell’agevolazione occorre sostituire il generatore di calore.

L’Enea ha precisato, infatti, che l’agevolazione non spetta se si provvede a sostituire soltanto i corpi di emissione del calore, ovvero termosifoni, termoarredi o pavimenti radianti.

La sostituzione dei caloriferi permette di godere di un beneficio fiscale nell’ambito del bonus ristrutturazioni.
L’agevolazione concessa a chi opera la sostituzione dei termosifoni consiste nella detrazione IRPEF del 50% del costo sostenuto, fino ad un massimo di Euro 96mila.

In sostanza, si può detrarre in dichiarazione fino ad un massimo di Euro 48mila (50% di 96mila). La detrazione viene effettuata in 10 rate annuali di pari importo.

Requisito importante è che i pagamenti vengano effettuati in modo che siano tracciati, ovvero tramite un bonifico parlante, postale o bancario, sul quale risultano:
• causale del versamento, con riferimento alla norma (articolo 16-bis del Dpr 917/1986);
• codice fiscale del beneficiario della detrazione;
• codice fiscale o numero di partita Iva del beneficiario del pagamento;
• data e numero della fattura.