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ARCHIVIO DEL CONDOMINIO

Per molti l’acquisto della casa é un miraggio, il 60% ripiega sull’affitto

Sono molte le famiglie italiane che non possono permettersi di acquistare una casa. Certi di ricevere un rifiuto, non provano neppure di accedere al credito e il 60 per cento dei potenziali acquirenti ripiega sulla ricerca di un’abitazione in affitto, in un contesto peraltro molto difficile.
È la fotografia che emerge dal diciassettesimo rapporto sull’Abitare di Nomisma, in collaborazione con Confindustria e con il supporto di Crif.
Negli ultimi anni, sottolinea il rapporto, l’inflazione ha eroso il reddito delle famiglie italiane, tanto che in 3 casi su 5 risulta inadeguato o appena sufficiente per far fronte alle necessità primarie. Aumentano quindi le difficoltà, soprattutto per le persone sole e le famiglie numerose, non solo per l’acquisto di una casa, ma anche per sostenere i canoni di locazione, divenuti sempre più alti.
Il report sottolinea come l’interesse delle famiglie nei confronti della casa rimane saldo: l’abitazione continua ad essere considerata non solo come un luogo dove vivere, ma anche come opportunità di investimento.
Però, a fronte di 3 milioni di famiglie che dichiarano un interesse all’acquisto nei prossimi 12 mesi, le condizioni per concretizzare la compravendita non sempre sono accessibili. Infatti, mentre secondo Nomisma la “domanda reale” vede coinvolte 980mila famiglie, le previsioni per l’anno 2024 si fermano a 700mila compravendite di abitazioni.
Contemporaneamente è in aumento la quota di famiglie in locazione che considera l’affitto come unica soluzione possibile, in considerazione della mancanza di risorse per accedere all’acquisto.
L’indagine conferma due diversi e distinti orientamenti: il primo considera l’affitto una scelta motivata da esigenze familiari e lavorative; il secondo, che riguarda la maggioranza delle famiglie, considera l’affitto una soluzione temporanea oppure obbligata perché non sussistono le condizioni economiche per accedere al mercato della compravendita.

Urgente modernizzare la normativa sulla sicurezza elettrica

La casa è il cuore della vita quotidiana, il luogo in cui ognuno cerca serenità e protezione. In un’epoca di rapidi progressi tecnologici, l’innovazione svolge un ruolo essenziale per proteggere le nostre abitazioni, migliorandone al contempo comfort ed efficienza. Dall’adozione di sistemi di allarme intelligenti ai dispositivi IoT (Internet of Things) che facilitano il controllo remoto della casa, la tecnologia offre strumenti all’avanguardia per garantire non solo la protezione dei nostri spazi, ma anche una gestione più sostenibile e confortevole dell’ambiente domestico.

Nonostante la centralità dell’impianto elettrico quale infrastruttura abilitante per sviluppare l’ecosistema tecnologico delle abitazioni, purtroppo sono ancora troppi gli impianti residenziali non a norma e decisamente pochi sono gli utenti consapevoli dell’importanza che ha l’impianto elettrico all’interno delle abitazioni. Mancano regole per la manutenzione e verifica periodica degli impianti e molte case non possiedono un impianto elettrico adeguato né in termini di sicurezza e neppure di efficienza e funzionalità.

Prosiel, associazione leader nella promozione della cultura della sicurezza e dell’innovazione elettrica, ha organizzato a Roma il convegno “La Casa SI Cura! L’infrastruttura elettrica protagonista per la Sicurezza, l’Innovazione e la Transizione Energetica nelle abitazioni nell’interesse di chi vive la casa”. L’evento ha concluso la campagna avviata nel 2022 per sensibilizzare il pubblico sull’importanza della sicurezza degli impianti elettrici.

In collegamento, il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin ha inaugurato i lavori a cui hanno partecipato i rappresentanti istituzionali, tra cui esponenti del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, della Federazione ANIE, di ADICONSUM, e i parlamentari delle commissioni competenti, con l’obiettivo di aprire dei tavoli interministeriali di confronto per adottare soluzioni concrete.
L’incontro, suddiviso in tre panel, ha affrontato i temi cruciali per la transizione energetica delle abitazioni italiane, con particolare riguardo allo stato di salute degli impianti elettrici nelle abitazioni italiane rilevato grazie ad un’approfondita indagine effettuata da CRESME.

Tra i principali argomenti discussi: l’Impatto della Direttiva Europea “Case Green” sul patrimonio immobiliare italiano esistente, con un focus specifico sui costi di adeguamento degli impianti elettrici; le carenze e criticità legislative in materia di manutenzione e sicurezza degli impianti elettrici; la necessità di un Catasto degli impianti elettrici oltre all’importanza di una formazione continua dei professionisti del settore, essenziale per una manutenzione competente e sicura.

Con l’occasione Prosiel ha inteso portare all’attenzione degli stakeholder alcune proposte di intervento per modernizzare le normative e introdurre verifiche periodiche obbligatorie, finalizzate proprio a migliorare la sicurezza e l’efficienza energetica delle abitazioni italiane.

Mancano, infatti, regole per la manutenzione e verifica periodica degli impianti: un dato preoccupante che emerge solo in occasione di guasti, malfunzionamenti o incidenti ed evidenzia come sia necessario aprire un canale di comunicazione diretto con i cittadini per aumentare la consapevolezza dell’importanza che riveste l’infrastruttura elettrica all’interno della propria casa e come il corretto utilizzo e gestione dell’impianto assicurano un livello di sicurezza adeguato e rendono le case sempre meno “a rischio incidenti”.

La trasformazione digitale e l’aumento della tecnologia nelle case rendono inoltre fondamentale un’infrastruttura elettrica efficiente e sicura, capace di integrare dispositivi connessi per offrire comfort, risparmio energetico e sostenibilità.

La campagna di sensibilizzazione sul tema è stata preceduta da una serie di iniziative territoriali dal titolo “Sensibilizzare per Agire” che si sono tenute nel novembre scorso a Macerata, Lamezia Terme e Milano e che hanno visto il coinvolgimento delle istituzioni e delle associazioni locali per raccogliere esperienze e istanze sulla centralità dell’infrastruttura elettrica nelle abitazioni. I temi discussi nel corso di questi appuntamenti hanno riguardato la gestione, la manutenzione e l’innovazione degli impianti elettrici come elementi essenziali per il benessere abitativo, la sicurezza e la sostenibilità degli edifici.

“Con l’iniziativa ‘La Casa SI Cura’ – spiega Claudio Brazzola, Presidente di Prosiel – si è inteso diffondere la consapevolezza sull’importanza della manutenzione degli impianti elettrici, per migliorare la sicurezza, l’efficienza, l’uso razionale dell’energia elettrica e il comfort nelle case degli italiani”.

“In Italia – prosegue Brazzola – molti impianti non sono conformi e molti cittadini ignorano la loro reale condizione. Attraverso questa campagna l’Associazione intende ribadire quanto sia fondamentale diffondere la cultura della sicurezza, dell’efficienza e dell’uso razionale dell’energia elettrica nelle case degli italiani e adottare le nuove tecnologie in grado di garantire standard qualitativi sempre più elevati, migliori prestazioni e vantaggi sia in termini di fruibilità sia di valorizzazione delle abitazioni”.

“Dal 2000 – conclude Brazzola – Prosiel supporta la filiera elettrica nell’adozione di pratiche sicure e consapevoli e con ‘La Casa SI Cura’ l’Associazione ha voluto fornire strumenti e conoscenze per rafforzare la sicurezza e l’efficienza degli impianti elettrici, promuovendo un dialogo aperto tra cittadini, professionisti e istituzioni”.

Le detrazioni spingono l’efficientamento, ma il calo è dietro l’angolo

Nel 2023 il 56,2 per cento dei risparmi energetici totali è stato realizzato grazie alle detrazioni fiscali. Lo ha reso noto l’Enea presentando la tredicesima edizione del Rapporto Annuale sull’Efficienza Energetica.

Il documento analizza lo stato e l’evoluzione dell’attuazione delle misure per l’efficienza energetica a livello nazionale, valutando le performance rispetto ai risultati ottenuti nel 2023, con particolare riguardo alle sfide poste dalla nuova direttiva e agli impegni che l’Italia sta assumendo con il nuovo Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec).

Secondo quanto precisato nel Rapporto, “nel 2023 in Italia sono stati realizzati nuovi risparmi energetici per oltre 3,6 Mtep” e 2,039 Mtep, pari al 56,2% dei risparmi energetici totali, è stato realizzato grazie alle detrazioni fiscali. Ma, “nonostante abbiano prodotto la maggiore quota di riduzione di consumi energetici finali, i meccanismi di detrazione fiscale segnano una flessione dei nuovi risparmi nell’anno di riferimento rispetto al 2022 (-19,6%).

L’unica eccezione è caratterizzata dal bonus casa per cui l’apporto in termini di nuovi risparmi è rimasto sostanzialmente stabile. Sia il superecobonus sia l’ecobonus hanno subito una riduzione: rispettivamente, del 21,2% e del 20,4%. Per il bonus facciate risultano ormai solo progetti residuali dato il prossimo esaurimento degli interventi incentivati a valere sulla misura”.

Oltre alla spinta derivante dalle detrazioni fiscali, il Rapporto Annuale sull’Efficienza Energetica dell’Enea ha spiegato che la riduzione dei consumi di energia finale è attribuibile anche alla crescita dei certificati bianchi che ha raggiunto il 28% rispetto al 2022.

Anche i risparmi energetici conseguiti nell’ambito dei progetti realizzati attraverso i fondi di coesione sono risultati in aumento, con un risparmio di energia finale di circa 31,8 ktep/anno al 2023. Le campagne di sensibilizzazione hanno inoltre coinvolto quasi 14 milioni di cittadini per quanto concerne il settore residenziale.

Il direttore generale Enea, Giorgio Graditi, ha affermato: “L’efficienza energetica rappresenta la chiave per raccogliere alcune delle sfide più urgenti del nostro tempo e raggiungere i traguardi disegnati dall’Unione Europea che, grazie al pacchetto legislativo Fit for 55 e alle Direttive Efficienza Energetica (EED III) e Prestazione Energetica degli Edifici (EPBD IV), si distingue come leader globale della transizione energetica.

Alla luce delle vulnerabilità delle filiere energetiche globali è fondamentale sfruttare le potenzialità offerte dall’innovazione, puntando sulle tecnologie emergenti e sulla digitalizzazione, che consente un monitoraggio in tempo reale delle emissioni e l’ottimizzazione dei consumi”.

La rimozione della canna fumaria in amianto

La mia abitazione si trova nel centro storico, in un edificio antecedente al 1950. é situata al piano terra e dispone di un camino funzionante, ma mai acceso, con canna fumaria che sbocca su un terrazzo acquistato dal nuovo proprietario dell’ultimo piano del condomino composto da due piani. Il nuovo proprietario mi ha chiesto di rimuovere la canna fumaria, che é in eternit, in quanto farà un B&B con terrazzo panoramico adibito per aperitivi. Si tratta di una richiesta corretta? Eventualmente, a chi compete la spesa necessaria per la rimozione?

La normativa vigente a livello nazionale non prevede l’obbligo di totale rimozione della canna fumaria in amianto.
Viceversa, la normativa locale (regionale o disposizioni comunali) potrebbe prevedere diversamente. Pertanto si consiglia di procedere a una verifica affidando l’incarico ad un tecnico specializzato.
Come previsto dal Decreto 6/9/1994, e in particolare dalle “Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art.6, comma 3, e dell’art.12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n.257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto”, si precisa che: “La presenza di materiali contenenti amianto in un edificio non comporta di per sé un pericolo per la salute degli occupanti. Se il materiale è in buone condizioni e non viene manomesso è estremamente improbabile che esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibre nell’aria”.
Dal momento che le canne fumarie in amianto sono solitamente posizionate all’interno del muro, non sono soggette all’erosione degli agenti atmosferici.
Ciò non vale per quanto riguarda le parti esterne o non contenute nella parte muraria che viceversa, se composte da materiale contenente amianto, devono essere rimosse.
La messa a norma del manufatto compete esclusivamente al proprietario dell’abitazione “servita” dalla canna fumaria.

In crescita il disagio abitativo

Casa e soldi

Il disagio abitativo continua ad allargarsi, come certifica la Corte dei conti. Non c’è alcuna intenzione di affrontare in maniera organica questa emergenza. Lo dichiarano il segretario confederale della Cgil, Daniela Barbaresi, e il segretario generale del Sunia, Stefano Chiappelli.

“A fronte di 2,2 milioni di famiglie in condizioni di povertà assoluta – sottolineano – sono circa un milione quelle che vivono in affitto, con un’incidenza della povertà quattro volte superiore rispetto a quelle che vivono in una casa di proprietà”.

“La Corte dei Conti – precisano – riconosce come la scarsità di immobili per la locazione, soprattutto nei grandi centri, sia un problema crescente che favorisce l’innalzamento dei canoni. Ed evidenzia come il 22% delle famiglie più povere abbia un’incidenza dei costi legati all’abitazione sul reddito superiore al 40% (così come quelle in affitto a prezzo di mercato) e come il 36,3% viva in un’abitazione sovraffollata (42% per quelle in affitto). Sempre più difficoltosa è inoltre la mobilità legata a motivi di studio e di lavoro, e crescono prepotentemente affitti e sfratti”.

Per quanto riguarda le residenze per gli studenti universitari, va ricordato che “l’obiettivo dei nuovi 60mila posti letto è ancora lontano dall’essere raggiunto, col rischio di perdita dei finanziamenti”.

Consumi a zero e costi fissi delle bollette

Sono proprietario di un appartamento attualmente disabitato, ma con utenze attive. Vorrei avere il parere dell’esperto circa il fatto che Arera non ha stabilito, per tali casi, un importo forfettario annuo, ma lascia libertà di azione ai fornitori, che emettono fattura a consumi zero, legandola, per di più, all’andamento dei costi di mercato.

Per chi possiede una seconda casa, è un dato di fatto che si devono pagare bollette di luce e gas anche in presenza di consumi pari a zero.

Questo avviene perché nelle bollette sono presenti costi fissi, che non dipendono direttamente dai consumi dell’utente ma anche da altri fattori.

Così, ad esempio, nella voce “spesa energia”, oltre al consumo della materia prima è presente il “prezzo dell’energia” (Pe), ovvero la copertura dei costi sostenuti per l’acquisto dell’energia, nonché dei costi dovuti alle perdite di rete, oppure il “prezzo del dispacciamento” (Pd), che si ricava dal rapporto tra l’energia immessa nelle reti e quella prelevata, oppure ancora il “prezzo della perequazione” (Ppe), che si riferisce a una quota che consente di equilibrare i costi sostenuti dalle compagnie di distribuzione.

A tali costi si affiancano, poi, quelli fissi per il trasporto e la gestione dei contatori, nonché gli “oneri di sistema”, che da soli pesano per il 20 per cento sulle bollette elettriche e per il 4 per cento sulle bollette del gas.

Alcune spese fisse, come quelle di trasporto energia o gli oneri di sistema, sono uniformi in tutto il territorio nazionale, mentre altre variano su base territoriale o trimestrale, seguendo le disposizioni dell’Arera, cioè l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente.

In definitiva, nel caso in questione l’unico modo per evitare in toto il pagamento di tali costi fissi sarebbe quello di disattivare momentaneamente i propri contatori di luce e/o gas, e chiederne poi la riattivazione per il periodo di tempo in cui verranno utilizzati. Ma si tratta di una soluzione non particolarmente praticabile.

Corte dei Conti, il report sullo stato di attuazione di Pnrr e Superbonus

La Corte dei Conti ha elaborato il report semestrale sul Pnrr: si procede a tappe forzate. Tutti i 39 traguardi europei previsti per il primo semestre 2024 sono stati raggiunti, portando l’avanzamento complessivo al 43 per cento, con un incremento di sei punti rispetto al semestre precedente.
Sul fronte delle procedure interne di monitoraggio nazionale, dice la Corte dei Conti, il progresso è ancora più marcato, con un tasso di completamento che sfiora l’88 per cento. Tra i successi concreti figurano la riduzione dei tempi medi per l’esecuzione di opere pubbliche (passati da 273 a 246 giorni) e un calo di oltre il 90 per cento dell’arretrato giudiziario presso Tar e Consiglio di Stato rispetto al 2019.
Il Superbonus 110% aveva promesso una rivoluzione green per il settore edilizio, e i numeri non mentono: 17,5 milioni di metri quadrati già efficientati contro i 17 milioni previsti. L’obiettivo finale di 35,8 milioni entro il 2025 sembra alla portata. Ma, dietro i traguardi raggiunti, si nasconde un costo altissimo per le casse pubbliche.

Il disagio abitativo e le politiche sulla casa
L’edilizia residenziale pubblica e quella sociale, che costituiscono il principale strumento in grado di incidere sul problema della tensione abitativa e del disagio soprattutto dei ceti più poveri, raccolgono nel PNRR risorse contenute, rientranti prevalentemente nel Piano innovativo per la qualità dell’abitare, cosiddetto PINQuA (2,8 miliardi), ai quali si aggiunge la dotazione del Piano Nazionale Complementare per la misura Sicuro, verde e sociale (2 miliardi).
Inoltre, tali misure puntano soprattutto alla riqualificazione e alla manutenzione, più che a un incremento dello stock mediante nuove costruzioni, non sfruttando appieno l’occasione del PNRR per aumentare gli sforzi di edificazione di nuovi alloggi.
Sotto il profilo attuativo si evidenziano ritardi per molti progetti, in particolare nei casi in cui la realizzazione risulta maggiormente complessa (ovvero, quando si tratta di opere pubbliche).
Prendendo a riferimento i progetti rientranti nel PINQuA, che rappresenta la misura del Piano più strettamente connessa alla questione abitativa, oltre un terzo di essi presenta dei ritardi rispetto alla rispettiva programmazione temporale. Inoltre, circa l’80 per cento di tali ritardi si concentra nelle fasi precedenti l’avvio dei lavori.
Gli interventi pubblici per mitigare le tensioni abitative, concentrati soprattutto sulla costruzione di alloggi di edilizia residenziale pubblica (ERP), sono stati importanti nel dopoguerra, e fino agli anni Ottanta, mentre negli ultimi decenni si è osservato un sostanziale disinvestimento, che si è tradotto anche in un ridotto sforzo per la manutenzione dello stock esistente.
In generale, inoltre, le risorse destinate al sostegno delle famiglie meno abbienti per il diritto alla casa sono modeste.
Dall’analisi su un ampio campione di immobili pubblici adibiti ad abitazione (per oltre 750mila unità, dato reso disponibile dal MEF) si osserva come gli alloggi ERP siano caratterizzati da un’elevata età media e da tagli medio-grandi.
In particolare, oltre la metà degli immobili del campione risulta edificata prima del 1980, e la dimensione media è pari a 77 metri quadri. Questo comporta, unitamente alla ridotta manutenzione degli ultimi anni, una scarsa efficienza energetica, oltre ad altre problematiche legate alla vetustà degli alloggi, nonché una non piena rispondenza alle esigenze di una utenza sempre più composta da singoli o da famiglie piccole.
Dai dati si evince inoltre come gli alloggi si concentrino nelle zone a maggior grado di urbanizzazione, dove d’altronde la necessità è maggiore: nei centri urbani sono presenti mediamente 19,8 abitazioni di edilizia popolare per ogni mille cittadini residenti, mentre tale rapporto si attesta su valori decisamente inferiori, pari a meno della metà, nelle aree più periferiche.
I fabbisogni inevasi, come evidente in base alla dimensione delle graduatorie per l’accesso ad alloggi ERP, restano comunque rilevanti: secondo fonti ufficiali, le famiglie ancora in attesa di assegnazione di un alloggio di edilizia popolare erano quasi 320 mila nel 2016.
Un’analisi delle graduatorie dei principali centri urbani suggerisce inoltre che sia probabile che tale numero sia aumentato nel corso degli ultimi anni.
In estrema sintesi, la Corte dei Conti precisa che, nonostante gli interventi di riqualificazione, manutenzione ed efficientamento consentano di ampliare gli alloggi disponibili, opportunamente recuperando quelli sfitti perché difficilmente utilizzabili, si è forse persa un’occasione per aumentare gli sforzi di edificazione di nuovi alloggi.
In conclusione, per quanto sia apprezzabile che la questione abitativa sia rientrata, seppure con un ruolo non prioritario, nella programmazione del PNRR, è difficile pensare che questo possa rappresentare un’inversione di tendenza nei servizi offerti ai cittadini, a meno che ulteriori programmi in questo senso proseguano, ampliando il lavoro svolto.

L’efficientamento energetico degli edifici
L’efficientamento energetico degli edifici rappresenta uno dei principali obiettivi del PNRR, in particolare attraverso le risorse per il finanziamento del Superbonus 110%.
Dai dati ancora parziali pubblicati dall’ENEA, è possibile stimare che gli obiettivi della misura, in termini di risparmio energetico e di emissioni di CO2, siano stati ampiamente superati.
Tuttavia, un’analisi costi-benefici, fatta sia a livello aggregato sia a livello di singola tipologia di intervento incentivato, restituisce un tempo di ritorno dell’investimento del Superbonus abbastanza elevato (circa 35 anni), non coerente con l’orizzonte di vita utile degli interventi incentivati.
Tale conclusione trova sostanziale conferma anche considerando un costo per lo Stato al netto delle maggiori entrate fiscali generate dalla misura (circa 24 anni).
Dati che fanno guardare con favore alla scelta del Governo di rivedere, in netta riduzione, la portata agevolativa della misura in discorso.
Inoltre, la forte eterogeneità, quanto ad anni di ritorno, tra i singoli interventi oggetto di incentivazione nel quadro della misura sembrerebbe giustificare uno schema di detrazioni differenziate, che preveda aliquote tanto maggiori quanto più efficiente è l’intervento incentivato.
Nel confronto con gli obiettivi di policy, al 2024 il Superbonus ha generato una traiettoria di consumi energetici più che conforme all’evoluzione prevista dal PNIEC 2020 e dal PNIEC 2024.
Tuttavia, rivolgendo lo sguardo all’orizzonte del 2030, il contributo positivo del Superbonus allo scenario di riferimento del consumo energetico del settore residenziale non appare sufficiente ad assicurare il conseguimento degli obiettivi fissati al 2030 dal nuovo PNIEC.
In maggior dettaglio, a politiche invariate, il Superbonus, che dal 2020 al 2024 ha generato una riduzione di consumi di circa 2 Mtep, è appena sufficiente per rispettare gli obiettivi del vecchio PNIEC, mentre mancherebbe un’ulteriore riduzione di 2 Mtep per rispettare gli obiettivi al 2030 del nuovo PNIEC.
Il PNRR, nel quadro della seconda Missione, terza Componente (Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici), prevede, oltre al potenziamento della rete di teleriscaldamento, tre tipologie di interventi su questo tema:
• 1) “Rafforzamento dell’Ecobonus per l’efficienza energetica”;
• 2) “Costruzione di nuove scuole mediante la sostituzione di edifici”;
• 3) “Costruzione di edifici, riqualificazione e rafforzamento dei beni immobili dell’amministrazione della giustizia”.
Passando alla seconda classe di interventi, costituita da opere di efficientamento dell’edilizia pubblica tramite la demolizione e costruzione di più di 200 nuove scuole e la riqualificazione di più di 50 edifici giudiziari, è al momento difficile quantificare i risparmi energetici di tali interventi e compararli con l’obiettivo di 4 Ktep/anno, vista la mancanza dei dati energetici degli edifici interessati.
Ciononostante, un esercizio di stima preliminare, svolto sfruttando le informazioni presenti sui certificati energetici di due istituti scolastici lombardi interessati dagli interventi, restituisce risultati che sembrano confermare come l’obiettivo di risparmio energetico finale per la misura di edilizia scolastica possa essere raggiunto.
Sugli uffici giudiziari non è stato possibile presentare una stima, ma un’analisi della descrizione degli interventi indica che i risultati in termini di risparmio energetico di questa particolare misura saranno probabilmente marginali.
Le infrastrutture energetiche
A valere sulle 8 misure del PNRR volte a sostenere l’ammodernamento delle infrastrutture energetiche (con risorse per 5,5 miliardi) risulta attivata la ripartizione per 53 progetti, che segnano un grado di avvicinamento ai target assegnati pari al 5,7 per cento: un valore ancora basso, a motivo del fatto che il cronoprogramma del Piano prevede la chiusura della fase di selezione dei progetti entro il 2024, per poi concentrarne la fase esecutiva nel biennio 2025-26.
Questa tipologia di finanziamenti è comunque riservata a operatori altamente specializzati e con elevata capacità di spesa e ciò dovrebbe rappresentare una garanzia per la tempestiva conclusione dei progetti.
Le misure del PNRR volte a sostenere l’ammodernamento delle infrastrutture energetiche rappresentano una vera e propria tecnologia abilitante della transizione; in questo ambito il Piano accoglie in particolare investimenti volti a favorire l’adeguamento della rete di distribuzione elettrica.
Per contribuire agli obiettivi di sicurezza energetica, apposite misure sono poi dedicate alla rete di trasmissione del gas naturale.
In entrambi i casi le esigenze di investimento sono legate al maggior utilizzo di nuove fonti (le rinnovabili per la rete elettrica; il GNL e in prospettiva l’idrogeno per la rete gasifera) e alla maggiore rilevanza che assumeranno i flussi provenienti dalle regioni meridionali. Si tratta complessivamente di otto misure a cui sono indirizzati finanziamenti per 5,5 miliardi.
Al momento, i progetti per cui sono stati definiti i criteri di riparto delle risorse (e di cui è possibile un monitoraggio all’interno della banca dati ReGiS) sono 53; la verifica sull’avvicinamento ai target assegnati indica un grado di conseguimento pari al 5,7 per cento.

Le regole per l’installazione dell’impianto fotovoltaico in edilizia libera

L’opportunità di installare un impianto fotovoltaico in edilizia libera è molto recente ed è stata introdotta dall’articolo 9 del cosiddetto “Decreto Energia”, ossia il D.L. n. 17/2022, convertito con modificazioni dalla legge n. 34 del 2022.
L’art. 9 ha stabilito che il comma 5 dell’art. 7-bis del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, è sostituito dal seguente: “5. Ferme restando le disposizioni tributarie in materia di accisa sull’energia elettrica, l’installazione, con qualunque modalità, di impianti solari fotovoltaici e termici sugli edifici, come definiti alla voce 32 dell’allegato A al regolamento edilizio-tipo, adottato con intesa sancita in sede di Conferenza unificata 20 ottobre 2016, n. 125/CU, o su strutture e manufatti fuori terra diversi dagli edifici e la realizzazione delle opere funzionali alla connessione alla rete elettrica nei predetti edifici o strutture e manufatti, nonché nelle relative pertinenze, è considerata intervento di manutenzione ordinaria e non è subordinata all’acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso comunque denominati, ivi inclusi quelli previsti dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, a eccezione degli impianti che ricadono in aree o immobili di cui all’articolo 136, comma 1, lettere b) e c), del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, individuati ai sensi degli articoli da 138 a 141 del medesimo codice, e fermo restando quanto previsto dagli articoli 21 e 157 del codice”.
A tal proposito, una recente sentenza del Consiglio di Stato (Sezione Settima), pubblicata il 9 ottobre ha chiarito la suddetta normativa che consente di installare i pannelli fotovoltaici in edilizia libera.
Si tratta della sentenza n. 8113/2024 che si sofferma su un caso in cui un Comune della Lombardia ha contestato al gestore di un’attività di ristorazione una serie di abusi edilizi, tra cui la realizzazione di un nuovo portico che, secondo la parte appellante, avrebbe avuto la funzione di sostenere un impianto fotovoltaico. Secondo il gestore dell’attività di ristorazione, questo dovrebbe rientrare nell’ambito dell’edilizia libera, considerando anche che è stato realizzato con un materiale “leggero”, diverso quindi da quelli utilizzati per la costruzione di fabbricati.
Dopo un passaggio al Tar Lombardia, tale contenzioso è arrivato al Consiglio di Stato e i giudici hanno spiegato, attraverso la suddetta sentenza, che la realizzazione del portico ha avuto come conseguenza quella di ampliare la superficie e il volume del locale, perciò la funzione di sostegno ai pannelli fotovoltaici rappresenta un effetto indiretto.
Nello specifico il Consiglio di Stato ha dichiarato che: “Il portico di cui si parla ha avuto quale effetto (e risultato) primario, quello di ampliare la superficie (ed il volume) del locale destinato a pubblico esercizio, viceversa la dichiarata funzione di sostegno ai pannelli foto-voltaici rappresenta, al più, un effetto indiretto ed accessorio dell’innesto, con conseguente non applicabilità della disciplina di cui al citato D.L. n. 17/2022”.
Proprio per questo motivo, il portico deve essere considerato come “nuova costruzione” e come tale necessita, quindi, del rilascio del permesso di costruire, pertanto il gestore non può beneficiare della liberalizzazione per l’installazione dei pannelli fotovoltaici.
Difatti, i giudici hanno chiarito che la semplificazione introdotta dal Decreto Energia riguarda l’installazione degli impianti fotovoltaici su edifici già esistenti, senza quindi comprendere le nuove costruzioni.
Per i suddetti motivi, quindi, il ricorso del gestore del locale è stato rigettato e il Consiglio di Stato ha condannato il gestore al pagamento delle spese processuali, confermando inoltre l’ordine di demolizione del portico.

A cura di: Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Superbonus addio, costi pubblici enormi per benefici minimi

Gli immobili che dal luglio 2020 hanno beneficiato del Superbonus sono stati poco meno di 500mila. Considerando che in Italia gli edifici residenziali sono circa 12,2 milioni, la misura ha interessato solo il 4 per cento del totale degli immobili ad uso abitativo presenti nel Paese.

A fare i conti è la CGIA di Mestre, che ha espresso una valutazione fortemente critica del Superbonus, ritenendo che gli enormi costi non sono giustificati dai benefici ottenuti. La misura non solo ha fallito nel raggiungere una fetta significativa del patrimonio immobiliare italiano, ma ha anche mancato un’opportunità unica per migliorare il benessere delle famiglie più vulnerabili.

Grazie alle misure restrittive imposte per legge in questi ultimi due anni, l’effetto negativo del Super Ecobonus 110% sui nostri conti pubblici si è quasi esaurito.

In linea generale, secondo l’Ufficio Studi dell’Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre, con il cosiddetto 110 per cento lo Stato ha speso una cifra spaventosa, migliorando l’efficienza energetica di una quota infinitesima di edifici presenti nel Paese.

Inoltre, stando alle prime indiscrezioni, sembrerebbe aver favorito maggiormente i proprietari di immobili con una buona, quando non addirittura elevata, capacità di reddito, anziché rivolgersi in via prioritaria alle famiglie meno abbienti che, in linea di massima, presentano una probabilità maggiore di risiedere in abitazioni in cattivo stato di conservazione e con un livello di efficienza energetica molto basso.

Non tutti, inoltre, concordano nel ritenere che il Super Ecobonus 110% contribuirà in misura importante ad abbattere le emissioni di inquinanti. Ancorché non ci siano valutazioni scientifiche rigorose sotto il profilo ambientale, l’abbattimento di Co2 sarebbe molto contenuto.

Secondo la Banca d’Italia, le prime evidenze dimostrerebbero che nello scenario migliore i benefici ambientali del Superbonus compenserebbero i costi finanziari sostenuti in quasi 40 anni. Non solo. Alcuni esperti internazionali sostengono che la riduzione delle emissioni ottenuta con l’applicazione del Superbonus poteva essere maggiore se si fosse incentivata l’elettrificazione dei sistemi di riscaldamento degli ambienti, la cottura di cibi e la produzione di acqua sanitaria. Insomma, in alternativa al gas-metano, sarebbe consigliabile utilizzare vettori elettrici (come le pompe di calore e le piastre a induzione), che sono significativamente più efficienti delle tecnologie che impiegano fonti fossili.

Chi ha voluto questo provvedimento continua comunque a difenderlo, sostenendo che non si debba guardare solo alla spesa di cui lo Stato si è fatto carico fino ad ora, ma anche agli effetti economici positivi che esso ha generato.
Vale a dire più gettito (Irpef, Ires, Iva, etc.), più occupazione, più Pil, più risparmio energetico e meno emissioni di inquinanti. È un’obiezione legittima che, tuttavia, è facilmente confutabile dalla tesi che se invece di ricorrere al Superbonus per incentivare quasi esclusivamente gli interventi di edilizia privata ci fossimo avvalsi di questa misura per demolire e ricostruire solo gli edifici residenziali pubblici, le conseguenze appena richiamate dai “sostenitori” del 110 per cento sarebbero state praticamente le stesse. Con 123 miliardi di euro avremmo teoricamente potuto costruire 1,2 milioni di alloggi pubblici, 400mila in più di quanti sono presenti nel Paese. Con una differenza sostanziale: nel secondo caso avremmo compiuto un’azione di giustizia sociale che la misura attualmente in vigore ha paurosamente disatteso.

Al 31 agosto scorso, gli interventi di ristrutturazione ed efficientamento edilizio realizzati per mezzo del Superbonus sfiorano le 500mila unità (precisamente 496.315). Nonostante gli oneri a carico dello Stato siano pari a 123 miliardi di euro, solo il 4,1 per cento del totale degli edifici residenziali presenti nel Paese è stato interessato dall’agevolazione fiscale.

A livello regionale, è il Veneto ad aver registrato il ricorso più numeroso al 110 per cento. Con 59.652 asseverazioni depositate, l’incidenza percentuale di queste ultime sul numero degli edifici residenziali esistenti è stata pari al 5,6 per cento. Seguono l’Emilia-Romagna con 44.438 asseverazioni e un’incidenza del 5,4 per cento, il Trentino-Alto Adige con 11.342 interventi e sempre con un tasso del 5,4 per cento, la Lombardia con 78.125 asseverazioni e un’incidenza del 5,2 e il Lazio con 38.532 operazioni e anch’essa con una incidenza del 5,2 per cento. In Piemonte sono state registrate 36.042 asseverazioni, pari a un’incidenza del 3,8 per cento. Per contro, a “snobbare” l’incentivo sono state le regioni del Mezzogiorno: Molise e Puglia, ad esempio, hanno interessato solo il 2,9 per cento dei propri edifici residenziali, la Calabria il 2,6 per cento e la Sicilia solo il 2,2 per cento.

Ogni intervento è costato mediamente 247.800 euro. Sempre a livello nazionale, l’onere medio per edificio residenziale a carico dello Stato è stato di 247.819 euro. Il picco massimo lo ha raggiunto la Valle d’Aosta con 401.040 euro per immobile. Seguono la Basilicata con 299.963 euro, la Liguria con 298.314 euro, la Lombardia con 296.107 euro e la Campania con 294.679 euro. Il Piemonte si trova a metà classifica con 252.342 euro. Chiudono la graduatoria il Veneto con un costo medio per intervento di 194.913 euro per edificio, la Sardegna con 187.440 e, infine, la Toscana con 182.919 euro.

Confronto tra le agevolazioni adottate dall’Italia e quelle in vigore negli altri Paesi

Bankitalia, nel rapporto “Il miglioramento dell’efficienza energetica delle abitazioni in Italia”, ha realizzato un confronto tra gli incentivi fiscali e i sussidi per la riqualificazione energetica adottati in Italia e quelli attivi negli altri Paesi.

Nel confronto con i maggiori Paesi, il sistema di incentivi fiscali in Italia, anche non considerando il Superbonus, risulta particolarmente generoso, sia in termini di misura del beneficio (percentuali di detrazione e massimali), sia per il perimetro degli immobili e degli interventi agevolati.

In particolare, all’estero, le detrazioni fiscali e i crediti d’imposta sono poco frequenti, riservati nella maggior parte dei casi alle abitazioni principali e fruibili solo dai proprietari. In Italia, invece, questo tipo di incentivi si estende a tutte le tipologie di abitazioni e a chiunque abbia titolo per occuparle (quindi anche agli inquilini). D’altro canto, sotto il profilo IVA, l’Italia prevede forme di incentivazione mirate all’efficientamento energetico più limitate rispetto a quelle presenti negli altri Paesi.

Infine, mentre in Italia il ricorso a forme di trasferimenti monetari diretti è minoritario, in altri Paesi questa sembra essere l’opzione prevalente.

La ragione di questa differenza potrebbe essere in larga parte riconducibile al fatto che nelle giurisdizioni estere si dia maggiore importanza alla finalità di raggiungere le famiglie meno abbienti, una platea circoscritta di beneficiari che rende amministrativamente più agevole l’erogazione di un beneficio in forma di sussidio.
L’aliquota del 110% accordata con il “Superbonus” ha rappresentato un unicum nel panorama internazionale. Essa, unitamente alla possibilità dello sconto in fattura o della cessione del credito, ha indubbiamente costituito un volano senza precedenti dei lavori di riqualificazione energetica, stimolando investimenti addizionali con impatti macroeconomici non trascurabili, che tuttavia ha prodotto criticità sotto molteplici aspetti, in primis sotto il profilo delle finanze pubbliche.

Germania
In Germania, nell’ambito del Climate Action Programme 2030, nel 2020 è stata introdotta una detrazione fiscale (20% dei costi dei lavori in tre anni); è inoltre soppressa l’IVA sull’installazione di pannelli solari. Vi sono dall’inizio degli anni 2000 (e sono stati potenziati a partire dal 2016) anche sussidi per il miglioramento dell’efficienza energetica dei sistemi domestici di riscaldamento e refrigerazione.

Francia
In Francia, il credito d’imposta per la transizione energetica (15-30% su determinati lavori), in vigore fino al 2020, è stato integralmente sostituito nel 2021 da un programma di incentivi erogati sotto forma di sussidi (Ma Prime Renov); è inoltre riconosciuta un’aliquota IVA del 5,5% sugli interventi di riqualificazione energetica (su immobili posseduti da almeno due anni). Un elemento interessante di Ma Prime Renov è che per ottenere il sussidio è necessaria l’asseverazione anche ex post, da parte di esperti indipendenti, dell’effettivo impatto dell’intervento di efficientamento. L’ammontare del sussidio è di mille euro per i sistemi di riscaldamento e di 8mila per l’installazione di pannelli solari.

Stati Uniti
Negli Stati Uniti sono previsti una detrazione fiscale per l’efficientamento energetico e un credito d’imposta (entrambi nella misura del 30%) per impianti che producono energia rinnovabile, con limiti variabili a seconda della tipologia di lavori. È altresì in vigore da molti anni (anche se i fondi a esso destinati si sono ridotti nel tempo) il Weatherization Assistance Program (WAP): un sistema di sussidi rivolto alle famiglie più povere, finanziato dal Bilancio Federale ma gestito dagli Stati, volto a incentivare l’efficientamento energetico delle abitazioni.

Regno Unito
Nel Regno Unito non sono presenti agevolazioni fiscali di rilievo per quanto riguarda le imposte sul reddito; fino al 2027 un’aliquota IVA dello 0% è applicata su specifici materiali e interventi di miglioramento energetico degli edifici. Vi è invece un sussidio di 5mila sterline per famiglia che viene raddoppiato nel caso delle famiglie a basso reddito.