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ARCHIVIO DEL CONDOMINIO

Distacco dall’impianto centralizzato e nullità della delibera

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Le detrazioni per la sostituzione del climatizzatore

L’Agenzia delle Entrate torna sul tema delle detrazioni legate alla sostituzione del climatizzatore attraverso una domanda fatta da un contribuente online su “La posta di FiscoOggi”.

Nello specifico, il contribuente si è rivolto alle Entrate spiegando che deve sostituire il climatizzatore presente nella propria abitazione con un impianto dotato di pompa di calore. A tal proposito il contribuente ha chiesto se può richiedere la detrazione relativa alla “manutenzione straordinaria” del 50% oppure può richiedere la detrazione al 65% per la riqualificazione energetica.

In risposta il Fisco ha spiegato che, in generale, la sostituzione, integrale o parziale di un vecchio impianto di climatizzazione con un climatizzatore a pompa di calore rientra tra gli interventi finalizzati al conseguimento di risparmio energetico, per i quali si può richiedere la detrazione prevista dall’articolo 16-bis, lettera h), del Tuir. Infatti, si tratta di un intervento che può essere assimilato alla “manutenzione straordinaria” (articolo 123, comma 1, del Testo unico sull’edilizia), per il quale si può richiedere la detrazione del 50% delle spese sostenute (bonus ristrutturazione), per un tetto massimo di 96.000 euro.

L’Agenzia delle Entrate ha spiegato anche che lo stesso intervento di sostituzione del climatizzatore può rientrare, in alternativa, tra quelli per i quali è prevista la detrazione del 65% delle spese sostenute (ecobonus), nel limite massimo di 30.000 euro. Per richiedere questo tipo di agevolazione, però, è necessario che l’intervento rispetti i valori limite indicati nella tabella 1 dell’allegato F del Decreto Ministeriale del 6 agosto 2020. Il Fisco prosegue ricordando anche che per approfondire i requisiti tecnici dell’intervento può essere utile consultare il vademecum pubblicato sul sito dell’ENEA relativo alle pompe di calore.

Ad ogni modo, rispondendo al quesito posto dal contribuente, l’Agenzia delle Entrate ha concluso spiegando che non è possibile richiedere entrambe le agevolazioni descritte, pertanto il contribuente dovrà scegliere quale delle due agevolazioni richiedere e di conseguenza rispettare gli adempimenti previsti in relazione alla detrazione scelta.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Cessione dei crediti da bonus edilizi: annullare la ripartizione in 10 rate annuali

Il Provvedimento del 22 settembre 2023 pubblicato dall’Agenzia delle Entrate e con oggetto “Annullamento della comunicazione di ripartizione in dieci rate annuali dei crediti residui derivanti dalla cessione o dallo sconto in fattura relativi alle detrazioni spettanti per taluni interventi edilizi ai sensi dell’articolo 9, comma 4, del decreto-legge 18 novembre 2022, n. 176 – Annullamento dell’opzione per l’utilizzo in compensazione tramite modello F24 dei crediti tracciabili”, ha disciplinato la possibilità di annullamento della comunicazione di ripartizione in dieci rate annuali dei crediti residui relativi ai bonus edilizi e derivanti dalla cessione o dallo sconto in fattura.

Date le numerose richieste di correzione inoltrate dai contribuenti, il Fisco ha fornito nel dettaglio le informazioni necessarie per richiedere l’annullamento delle precedenti comunicazioni.

Nello specifico, dal citato Provvedimento si evince che sarà possibile chiedere l’annullamento per:
• le opzioni per l’utilizzo in compensazione dei bonus edilizi tracciabili tramite F24;
• la ripartizione in dieci rate annuali dei crediti residui.

La richiesta di annullamento deve essere inoltrata dal titolare dei crediti o da un suo intermediario, attraverso la “Piattaforma cessione crediti”, ovvero una funzionalità specifica che verrà attivata nell’area riservata del sito dell’Agenzia delle Entrate.

Nel frattempo che tale funzionalità venga attivata, i contribuenti potranno effettuare tale richiesta attraverso la compilazione di un modello ad hoc denominato “Richiesta di annullamento della ripartizione in dieci rate annuali dei crediti residui”, dopodiché lo stesso modulo dovrà essere sottoscritto digitalmente o con firma autografa da parte del titolare del credito. Qualora si procedesse tramite firma autografa, sarà necessario allegare la copia del proprio documento di identità. Il modello dovrà essere, infine, trasmesso all’Agenzia delle Entrate tramite posta elettronica certificata all’indirizzo: annullamentoaccettazionecrediti@pec.agenziaentrate.it

Entro 30 giorni dalla richiesta, verrà inviato l’esito della stessa ai contribuenti interessati. Nel caso in cui l’esito fosse positivo e, quindi, la richiesta venisse accolta, verrà ridotto in automatico l’ammontare dei crediti fruibili dalla ripartizione in dieci rate annuali e verrà ripristinata la rata del credito originario, alla quale saranno poi attribuiti il codice tributo, l’anno di riferimento e la scadenza iniziale.
In ultimo, l’Agenzia delle Entrate ha spiegato che dato che il provvedimento del 3 febbraio 2022 aveva definito l’obbligo di comunicare attraverso la “Piattaforma cessione crediti” l’opzione per la fruizione in compensazione dei crediti tracciabili tramite modello F24, anche in relazione a questa opzione è possibile procedere con l’annullamento di tale richiesta.

Difatti, dal 5 ottobre 2023 sarà disponibile la funzione per richiedere l’annullamento totale o l’annullamento di una o più rate.

L’accoglimento di tale richiesta di annullamento comporterà la riduzione dell’ammontare dei crediti fruibili per i quali era stata comunicata l’opzione per l’utilizzo in compensazione, con conseguente facoltà di cessione delle relative rate.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Amministratori a congresso con “Forum Amministrare”

Appuntamento assolutamente da non perdere per gli amministratori condominiali, giovedì 5 e venerdì 6 ottobre, a Roma, dove avrà luogo la prima edizione del Forum Amministrare: congresso valido anche come corso gratuito di aggiornamento 15 ore ex Dm 140 per l’anno 2024!
L’evento – a numero chiuso, con un massimo di 80 partecipanti in base all’ordine di iscrizione – è organizzato dalla piattaforma di formazione Focus Condominio, in collaborazione con Uppi (Unione piccoli proprietari immobiliari); Anadimm (Associazione nazionale avvocati di diritto immobiliare); l’associazione di amministratori condominiali Capire (Coordinamento amministratori professionisti italiani e real estate); Cna Installazione Impianti, e con la partecipazione di numerose altre realtà di settore, locali e nazionali. Media-partner sono la rivista Italia Casa e Condominio e il portale d’informazione Quotidiano del Condominio.
Il Forum Amministrare si svolgerà nella centralissima via Veneto, presso il centro congressi Cappuccini, sul cui palco si alterneranno ospiti istituzionali e relatori di fama nazionale, che affronteranno – in un susseguirsi di moduli ciascuno della durata di 45 minuti – diversi dei temi più attuali e controversi nel comparto condominiale, sotto il profilo giuridico, contabile, impiantistico, normativo, fiscale.
A sopraintendere ai lavori, il responsabile scientifico del corso 15 ore di Focus Condominio, dott. Roberto Triola, già presidente della seconda sezione di Cassazione, che peraltro venerdì mattina metterà la propria esperienza al servizio della platea, con una relazione su uno dei tanti argomenti di difficile interpretazione in condominio: “la sospensione dei servizi ai condòmini morosi”.
Ad aprire la due giorni, nella mattinata di giovedì 5 ottobre, sarà invece il responsabile nazionale di Cna Impianti, Diego Prati, per l’ultima tappa di quel tour “Impianti sicuri in condominio” che negli ultimi mesi ha già riempito le sale convegni di Torino, Milano, Bologna e Padova.

La formula del convegno e l’esame di fine corso
Inframmezzate dagli interventi di esponenti di rilievo del mondo politico ed istituzionale, le dissertazioni dei relatori andranno a costituire il monte ore necessario affinché l’evento sia valido anche come formazione 15 ore per l’annualità 2023/2024.
A tale scopo, agli amministratori partecipanti sarà chiesto di firmare il foglio presenze all’inizio e alla fine di ciascuna delle 4 sessioni (giovedì mattina, giovedì pomeriggio, venerdì mattina e venerdì pomeriggio). Solo l’effettiva frequenza, dunque, consentirà l’accesso all’esame finale, costituito da un test scritto a risposta chiusa, in programma venerdì 6 ottobre a partire dalle 17,30. Chi lo supererà riceverà poi via mail, nei giorni seguenti, l’attestato personalizzato, e potrà ritenersi in regola con l’aggiornamento obbligatorio per l’anno 2024 ai sensi del Dm 140/2014.

Un evento unico nel suo genere
“Il Forum Amministrare è innanzitutto l’occasione per fare il punto sull’andamento del mondo del condominio e dell’amministrazione, attraverso la testimonianza, l’esperienza e la competenza di chi vive direttamente o indirettamente questa professione nelle sue più svariate declinazioni”, commenta il coordinatore dell’evento, Gianluca Palladino, direttore di Focus Condominio.
“Ma – e questa è la vera peculiarità – il congresso, affrontando da più sfaccettature la materia condominiale, fungerà anche da corso 15 ore, il quale, caso più unico che raro, per l’occasione potrà essere fruito del tutto gratuitamente. Questo a dimostrazione del fatto che, percorrendo strade alternative, creando le giuste sinergie ed elaborando formule innovative si possa offrire una formazione d’eccellenza senza trasformarla in un esorbitante business a danno dei suoi destinatari, vale a dire gli amministratori”.
“Ovviamente – conclude Palladino – si tratta di un esperimento che va inserito nel più ampio quadro della filosofia alla base dell’intero progetto di Focus Condominio: quella che, con il supporto di aziende partner, realtà associative e singole professionalità di spicco, mira ad andare incontro alle reali esigenze degli amministratori condominiali, garantendo loro, a condizioni uniche, un panorama diffuso e capillare di formazione, informazione e convenzioni, per svolgere al meglio e senza oneri la loro già di per sé complessa professione”.

Come iscriversi al Forum Amministrare
Per iscriversi al Forum Amministrare e poter così prendere parte gratuitamente alle due giornate del corso-convegno è sufficiente compilare il relativo form sul sito www.focuscondominio.it.
Naturalmente, è necessario affrettarsi, in quanto gli 80 posti disponibili in sala sono in rapidissimo esaurimento, dopodiché si sarà inseriti in lista d’attesa.
Chi invece non avesse modo di raggiungere fisicamente Roma per prendere parte all’evento, potrà seguire nelle settimane successive l’intero corso in modalità asincrona sulla piattaforma Focus Condominio, alle consuete condizioni agevolate per i lettori di Italia Casa e Condominio. Quindi, come sempre, potrà sostenere l’esame in presenza nelle date e nelle sedi in fase di programmazione per l’anno 2024.

Mutui a tasso variabile: quello che non quadra e le opportunità

casa e mutuo ipotecario

Con l’aumento del tasso base (Euribor) le rate dei mutui da costanti nel tempo, a parità di tasso, sono divenute a rate decrescenti caricando il maggior impatto nel breve periodo: esattamente il contrario delle esigenze dei mutuatari.

La surroga a tasso fisso è la miglior opportunità per i mutuatari a tasso variabile se lo spread contrattuale è superiore all’1%
Non c’è una ricetta unica per i mutuatari a tasso variabile per parare il colpo dell’aumento della rata. Per coloro che sono molto avanti nel piano di rimborso è probabile che la situazione sia sopportabile poiché il debito è ridotto di molto rispetto all’avvio ed i maggiori interessi generati dall’aumento dell’euribor non incidono più di tanto.

Cambia la musica per coloro che sono partiti una decina di anni fà. Con l’Euribor tendente allo zero le banche applicarono uno spread (che si aggiunge all’Euribor tasso base) più alto del solito, per avere un margine di interesse più consistente, compreso tra l’1,5% ed il 2%. Oggi che l’euribor sta tra il 3,6% annuo (Euribor 1 mese) ed il 3,9% annuo (Euribor 6 mesi) lo spread applicato sui nuovi mutui in emissione è di circa l’1%. I mutui emessi allora hanno oggi un tasso finito (Euribor + Spread) tra il 5 ed il 5,5%. I nuovi mutui a tasso pur sempre variabile sono emessi ad un tasso finito tra il 4,5% d il 4,9%.

La surroga, ovvero il cambio del creditore-banca a costo zero, consentita a tutti, a parità di tasso variabile taglierebbe il tasso passivo di 0,5%/1% annuo a crescere in funzione dello spread corrente. E non è poco!
Se però si volesse evitare l’ansia del tasso variabile e di eventuali rialzi futuri, allora l’alternativa è la surroga a tasso fisso. Alla corsa dell’Euribor (tasso variabile) non ha fatto riscontro, se non parzialmente, quella del tasso fisso (IRS), che oggi è più basso sulle scadenze lunghe, ovvero a 20 anni sta sul 2,9% annuo. Un nuovo mutuo a tasso fisso, o una surroga a tasso fisso, su quella durata avrebbe un tasso finito pari al 3,9% con un risparmio più consistente!

E’ bene sottolineare che storicamente il tasso fisso sta sopra il tasso variabile, se oggi non è così e perché il mercato sconta, giustamente o meno è una scommessa, un futuro ribasso dell’Euribor……

Le banche scaricano il rialzo dell’Euribor in modo istantaneo sulle rate di ammortamento trascurando il rischio cliente ed i doveri sanciti dal Testo Unico Bancario. La rinegoziazione delle condizioni è prevista.
Ad ogni aumento dell’euribor le banche ricalcolano la rata di ammortamento mantenendo fermo il piano di rimborso del capitale, in tal modo l’effetto negativo per il mutuatario è massimo. Se l’euribor non aumentasse più, paradossalmente, le rate diminuiranno nel tempo in corrispondenza della riduzione del debito residuo. In pratica da un piano di ammortamento a rata costante si passa ad uno a rata decrescente, contrario all’interesse del mutuatario.

Il mutuatario si trova in una condizione di rischio potenziale poiché scaricare l’aumento dell’euribor, mantenendo fermo il piano di rimborso del debito, potrebbe portarlo ad una condizione di non sostenibilità della rata rispetto al reddito. Tale rapporto (rata da sostenere rispetto al reddito) è anche la condizione di mutuabilità del richiedente in sede di istruttoria ed anche la variabile chiave che la banca dovrebbe considerare quando applica l’aumento dell’euribor.
L’art 120 del Testo Unico Bancario, comma septies, d’altronde, recita: “gli intermediari-finanziatori si comportano con diligenza….tenendo conto….degli interessi dei consumatori. Basano la propria attività sulle informazioni rilevanti riguardanti la situazione del consumatore….su ipotesi ragionevoli con riguardo ai rischi cui è esposta la situazione del consumatore”.
Il rischio cui è esposto il mutuatario è proprio il superamento della soglia di sopportabilità della rata e, dunque, l’art. 120, imporrebbe un intervento di rinegoziazione delle condizioni di mutuo.

La banca finanziatrice non fa consulenza ai propri clienti
La banca finanziatrice deve comportarsi con diligenza non solo in sede di concessione del mutuo, ma anche successivamente. Al rialzo dei tassi di interesse si è premurata di dialogare con i mutuatari riguardo l’aumentata probabilità (2021) di un rialzo del tasso Euribor? Se nel 2021 il mutuatario fosse passato ad un tasso fisso oggi dormirebbe tranquillo.
Prima del 2021 diversi anni di euribor discendenti verso lo zero o quasi hanno generato una situazione opposta a quella vigente, ovvero i mutuatari a tasso variabile hanno pagato meno del preventivato e, dunque, perché non sono stati invitati ad effettuare dei rimborsi parziali anticipati, anche di piccolo importo, con gli importi risparmiati? Riducendo il debito residuo anche l’aumento dell’euribor avrebbe avuto minor effetto.

A cura di Angelo Castagno

Direttiva Ue Case Green, sui pannelli solari l’accordo sembra lontano

Procedono a rilento le trattative sulla nuova direttiva Epbd (Energy performance of buildings directive) in materia di case green. L’obiettivo dichiarato è quello di dare attuazione alle nuove regole entro il 2030, ma i tempi per arrivare a un accordo su un testo condiviso da tutte le istituzioni europee sembrano dilatarsi. Inoltre si fa sempre più concreta la possibilità che il contenuto della normativa cambi rispetto alla versione iniziale.
A confermare queste ipotesi è, in particolare, l’esito del secondo incontro formale tra i rappresentanti di Parlamento, Consiglio e Commissione, che si è svolto a Bruxelles lo scorso giovedì 31 agosto.
Nel corso del secondo trilogo formale, infatti, i negoziati non hanno registrato quell’accelerazione decisiva che molti speravano, ma si sono ancora una volta arenati, per aggiornarsi a un nuovo incontro, il prossimo 6 ottobre.
Il motivo dello scontro tra Parlamento e Consiglio, rappresentato dalla presidenza di turno spagnola, è stato questa volta l’articolo 9, che tocca il tema dell’installazione di pannelli solari sugli edifici nuovi ed esistenti.
È stato soprattutto il terzo comma a provocare attriti. Nel testo in esame si dispone che i Paesi membri assicureranno l’installazione di pannelli solari secondo un calendario molto serrato. Già nel 2026 su tutti gli edifici pubblici e sugli edifici non residenziali, per poi coinvolgere gli altri edifici a scadenze progressive, tra il 2028 e il 2032.
Sul termine del 2026 non è stato trovato un compromesso, in quanto il Consiglio avrebbe preferito limitare l’installazione di pannelli solari solo agli edifici oggetto di ristrutturazione, anziché coinvolgere tutti gli immobili esistenti.
Qualche passo avanti, comunque, si è verificato. Il trilogo ha infatti ratificato l’accordo su una lunga lista di passaggi sui quali era stato trovato, nelle scorse settimane, un compromesso a livello tecnico: gli articoli 22, 23 e 24 – che riguardano gli esperti indipendenti che si occupano di verifiche legate all’efficienza energetica degli immobili, i professionisti dell’edilizia e i sistemi di controllo – sono pertanto stati archiviati.
Si tratta, comunque, di elementi che non sono centrali nella geografia del testo. Non è stato, invece, nemmeno avviato il confronto su alcuni dei passaggi chiave, come l’articolo 9, che fissa il contestatissimo calendario per le ristrutturazioni che i Paesi membri dovranno rispettare. È qui che si parla dell’obbligo di raggiungere la classe D entro il 2033, capitolo che, con la revisione del sistema degli attestati di prestazione energetica, rappresenta il cuore della direttiva.
Nelle prossime settimane si cercherà di accelerare, dal momento che incombe lo spettro della fine della legislatura europea e che, quindi, entro la fine dell’anno servono avanzamenti decisi per provare a completare il lavoro in tempo.
Nel mese di settembre si sono svolti quattro incontri tecnici (il 7, l’8, il 20 e il 21 settembre). Il 6 ottobre, invece, è in calendario il terzo trilogo formale.
La direttiva europea sulle prestazioni energetiche degli edifici è stata inserita nel pacchetto “Fit for 55”, presentato nel 2021 e pensato per allineare la normativa vigente in materia di clima ed energia al nuovo obiettivo di riduzione, entro il 2030, delle emissioni nette di gas a effetto di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990, nella prospettiva della neutralità climatica entro il 2050.
Obiettivo della proposta di direttiva è quello di aumentare, tramite l’introduzione di norme minime di prestazione energetica, il tasso e la profondità delle ristrutturazioni degli edifici, nonché di migliorare le informazioni in materia di prestazione energetica e la sostenibilità degli edifici. Secondo la Commissione europea, infatti, gli edifici dell’Unione europea sono responsabili del 40% del consumo energetico e del 36% delle emissioni di gas a effetto serra.
Secondo quanto previsto al momento dalla direttiva europea sulle case green, gli edifici residenziali dovranno raggiungere almeno la classe di prestazione energetica E entro il 2030 e D entro il 2033; gli edifici non residenziali e pubblici dovranno raggiungere le stesse classi energetiche rispettivamente entro il 2027 e il 2030; tutti i nuovi edifici dovranno essere a emissioni zero a partire dal 2028, con la scadenza del 2026 per i nuovi edifici occupati, gestiti o di proprietà delle autorità pubbliche. La classe G dovrà corrispondere al 15% degli edifici con le prestazioni energetiche peggiori in ogni Stato membro.
Si ricorda che non tutti gli edifici dovranno essere sottoposti a interventi di ristrutturazione per migliorare la prestazione energetica. Le eccezioni riguardano:
• abitazioni unifamiliari di superficie inferiore a 50 metri quadri;
• seconde case utilizzate meno di quattro mesi l’anno;
• edifici a uso temporaneo;
• edifici con particolare valore storico e architettonico;
• chiese e gli altri edifici di culto;
• monumenti;
• edifici di proprietà delle Forze armate o del Governo centrale e destinati a scopi di difesa nazionale.

Se l’inquilino non paga il canone di locazione si può evitare il pagamento delle imposte

Il canone di locazione rappresenta una delle poche tipologie di reddito per le quali si applica il principio di competenza e non il principio di cassa. Questo implica che gli introiti derivanti dal canone di locazione devono essere generalmente indicati nella dichiarazione dei redditi dell’anno in cui gli stessi maturano e non in quella in cui sono effettivamente riscossi.
Questa particolare norma può generare dei problemi dovuti a imposte da versare su redditi non riscossi e che non sempre si riescono a incassare.
Vediamo quindi cosa può fare il locatore nel caso in cui si trovi di fronte un inquilino che non paga il canone per non dichiarare le somme nel 730/2023 e quindi per evitare di pagare imposte su canoni non percepiti.
L’articolo 25 del Tuir ( decreto 917 del 1986) definisce redditi fondiari quelli derivanti da terreni e fabbricati. Ne consegue che i canoni di locazione devono essere annoverati in tale categoria.
L’articolo 26 del Tuir prevedeva che i redditi fondiari concorressero, indipendentemente dalla percezione (principio di cassa), a formare il reddito complessivo dei soggetti titolari di immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale.
Allo stesso tempo stabiliva che i redditi derivanti da canoni di locazione non dovevano essere dichiarati nel caso in cui nel frattempo fosse stato concluso un procedimento giurisdizionale di convalida dello sfratto. In Italia questa procedura richiede molto tempo, di conseguenza il locatore si ritrovava a dover pagare anche per anni imposte su canoni di locazione effettivamente mai riscossi. In merito a questi importi era stabilito che tali versamenti fossero da considerare come credito di imposta e se effettivamente non riscossi potevano essere utilizzati in compensazione al termine del procedimento di convalida di sfratto.
Questa disciplina è sembrata al legislatore eccessivamente penalizzante per il locatore, soprattutto nel periodo di emergenza Covid, quando gli inquilini morosi sono aumentati e i locatori si sono trovati ad affrontare difficoltà economiche non di poco conto.
Proprio per evitare distorsioni, si è provveduto con il decreto legge 34/2019, decreto Crescita, art. 3 quinquies, a modificare tali norme.
Ora, in tema di canone da locazione, continua a trovare applicazione il principio di competenza e non il principio di cassa. La modifica importante riguarda però i tempi. Infatti per far valere nel modello 730 del 2023 la morosità dell’inquilino, non occorre più attendere la conclusione del procedimento di convalida dello sfratto, ma basta dimostrare la mancata percezione degli introiti con l’ingiunzione di pagamento o ingiunzione di sfratto per morosità.
Questa norma trova applicazione per le mensilità non percepite a partire dal primo gennaio 2020, data di entrata in vigore della norma in oggetto.
Il nuovo testo dell’articolo 26 del Tuir recita: “I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito, purché la mancata percezione sia comprovata dall’intimazione di sfratto per morosità o dall’ingiunzione di pagamento”.
Sebbene non debbano essere dichiarati gli importi dei canoni di locazione maturati dopo l’ingiunzione di pagamento o ingiunzione di sfratto per morosità, nella dichiarazione 730/2023 deve comunque essere dichiarata la rendita catastale dell’immobile.
Per evitare di pagare le imposte sui canoni di locazione non percepiti, è necessario indicare nel modello 730/2023 nei righi B1-B6, colonna 7 (casi particolari) il codice 4. Se nello stesso anno una parte dei canoni sono stati percepiti, nella colonna 6 devono essere indicate le somme percepite, mentre nella colonna 7 il codice 4.

Bonus verde, la detrazione è attiva fino al 31 dicembre 2024

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Vita condominiale: un italiano su tre discute o litiga con il vicino di casa

Più di 7 italiani su 10 vivono in contesti abitativi che richiedono di relazionarsi con vicini di casa e con un’organizzazione condominiale. Su questo tema Changes Unipol ha realizzato una nuova ricerca elaborata da Ipsos, finalizzata ad analizzare qualità e quantità dei rapporti interpersonali tra condòmini, grado di soddisfazione per l’operato dell’amministratore di condominio e, più in generale, rapporto con gli aspetti gestionali quali assemblee e spese condominiali.

Un italiano su tre litiga con il vicino: le motivazioni
Le relazioni degli italiani con i vicini sono abbastanza frequenti solo per il 37% degli italiani: il 27% dichiara di entrare in rapporto con il vicinato circa una volta a settimana, ma soltanto il 10% indica di farlo più volte al giorno. Due italiani su 10 sostengono di non avere del tutto interazioni.
Bologna è l’area metropolitana più attiva nelle relazioni di vicinato (il 61% indica almeno una volta a settimana), mentre Roma e Torino emergono per la maggior quota di assenza di interazioni (rispettivamente il 24% e il 21%). Tra le generazioni, i giovani della Generazione Z (16-26 anni) hanno le frequentazioni più assidue, nel 48% dei casi almeno una volta a settimana, seguite dai Baby Boomers (57-74 anni), mentre i Millennials (27-40 anni) e Generazione X (41-56 anni) sono più “schivi”, probabilmente anche per la minor presenza in casa negli orari lavorativi.
Le relazioni di vicinato sono definite dagli italiani prevalentemente “normali”: non c’è confidenza, ma ci si aiuta in caso di necessità (nel 59% dei casi). Tuttavia, non tutto procede sempre per il meglio, anzi: un italiano su tre ha avuto almeno una lite o un’accesa discussione con i vicini e, nel 15% dei casi, i litigi sono avvenuti anche più volte.
È Napoli la città che emerge come la più litigiosa tra le aree metropolitane (il 37% ha litigato almeno una volta), seguita in questa speciale classifica da Roma (34%), Cagliari (33%) e Torino (31%). Le città in cui le relazioni risultano più armoniose sono, invece, Firenze, dove il 79% dichiara di non aver mai avuto liti condominiali, Milano (75%) e Verona (75%).
Tra le fasce di età, sono i giovani Gen Z – che hanno anche le interazioni più frequenti con i vicini – a confermare di avere avuto più frequentemente liti o discussioni (nel 39% dei casi), mentre i Baby Boomers sono i più “pacifici”, visto che nel 77% dei casi non hanno mai avuto discussioni accese.

I motivi dei contrasti
In primis, nel 29% dei casi, si litiga per i rumori molesti o che avvengono in orari inadeguati, seguiti dai comportamenti “sgraditi” dei vicini (27% dei casi) e dal “parcheggio selvaggio” dei mezzi di trasporto (20%). Ma, se si analizzano le singole città, nell’Italia dei campanili ciascuna di esse presenta delle peculiarità.
In particolare, il parcheggio selvaggio dei mezzi di trasporto è un motivo di lite soprattutto a Napoli (3 persone su 10), mentre a Bari è il mancato o ritardato pagamento delle spese condominiali al centro delle discussioni (23%).
La gestione degli animali domestici genera discussioni soprattutto a Roma (21%), mentre a Milano è la gestione delle biciclette a creare dissapori (14%), assieme al servizio di portineria (10% dei casi). A Torino, invece, le liti nascono spesso per la gestione della raccolta differenziata (18%) e l’ostruzione del passaggio nell’atrio/pianerottolo con passeggini, monopattini o altri oggetti (14%).
A Verona e Firenze, infine, si discute più della media anche per gli interventi e spese del condominio (rispettivamente nel 24% e nel 22% dei casi), ma anche per la manutenzione del giardino (rispettivamente 13% e 14% dei casi).
Tra le generazioni, un quarto della Gen X (il 25%) litiga per il parcheggio improprio dei mezzi di trasporto, mentre per la Gen Z il primo motivo di discussione in assoluto sono i comportamenti sgraditi degli altri condòmini, nel 26% dei casi. Quasi un Baby Boomer su quattro (il 23%) segnala, invece, i ritardi nel pagamento delle spese condominiali.

Metà degli italiani sono scontenti dell’amministratore di condominio
Un italiano su due, per l’esattezza il 52% degli italiani, non è soddisfatto del proprio amministratore di condominio. In particolare, sono le grandi metropoli a registrare la più alta delusione: i romani, con un 64% di giudizi negativi, risultano essere i più scontenti, seguiti dagli abitanti di Milano (56%). Bologna e Cagliari sono invece le città con le valutazioni più positive con, rispettivamente, il 43% e il 38% che promuove l’operato dell’amministratore con un voto pari almeno ad 8, a fronte di una media nazionale del 26%.
Tra le generazioni, i più soddisfatti dell’amministratore, nel 32% dei casi, sono i Baby Boomers, mentre Gen X e Millennials sono i più critici, con giudizi negativi rispettivamente nel 56% e nel 55% dei casi.
I principali motivi di insoddisfazione sono legati alla scarsa capacità propositiva dell’amministratore per la risoluzione dei problemi ed esigenze condominiali (nel 36% dei casi), alla non soddisfacente gestione amministrativa (34%), ma anche alla percezione di una certa distanza da interessi ed esigenze dei condomini (34%). Più in generale, chi si lamenta dell’amministratore è portato a farlo comunque più per motivi legati alla sua scarsa capacità nell’esercizio della funzione (nell’82% dei casi) che per motivi legati a scorrettezza o disonestà (67% dei casi).
L’insoddisfazione per la gestione amministrativa è maggiore a Roma (48%), Bologna (46%) e Napoli (44%) e, quella per la scarsa reperibilità dell’amministratore a Milano (45%) e Firenze (42%), mentre Torino e Firenze lamentano la scarsa trasparenza (rispettivamente 38% e 31%). Cagliari e Napoli, invece, segnalano le scarse capacità organizzative dell’amministratore (36% e 33%), mentre la gestione economica risulta poco soddisfacente a Bologna (35%) e Torino (31%).
Tra le diverse generazioni, la metà dei Baby Boomers lamenta la scarsa propositività dell’amministratore (nel 51% dei casi) e il suo scarso orientamento verso le esigenze dei condomini (46%), posizione quest’ultima condivisa con la Gen Z (48% dei casi), mentre i Millennials e la Gen X criticano soprattutto la gestione amministrativa, rispettivamente nel 38% e nel 37% dei casi.

Assemblea di condominio: un italiano su due partecipa assiduamente
Il tema della gestione del condominio è importante per gli italiani, che infatti intervengono numerosi alle assemblee condominiali (il 72% partecipa, di cui il 49% sempre o quasi sempre). Le città più attive sono Bari e Bologna, dove almeno sei condòmini su 10 prendono parte alle riunioni condominiali quasi sempre. Le città più assenteiste, invece, sono Milano e Verona, dove un terzo non partecipa quasi mai.
I Baby Boomers sono i più assidui partecipanti (78%), mentre i più assenteisti sono Gen Z e Millennials, che in un terzo dei casi non si presentano mai o quasi mai.
Le riunioni di condominio attualmente si svolgono principalmente in presenza (nel 77% dei casi), che risulta anche la modalità preferita per il 64% degli intervistati, anche se il 18% degli italiani le preferirebbe a distanza, on-line, (modalità ad oggi praticata solo nel 5% dei casi). In particolare, sono soprattutto i milanesi (35% dei casi), ma anche i romani (26%) a preferire maggiormente le riunioni on-line. Tra le generazioni, Millennials e Gen X, più outdoor e impegnati al lavoro durante la giornata, evidenziano il maggiore interesse per la modalità a distanza.
Complessivamente solo due italiani su 10 si dicono pienamente soddisfatti delle riunioni di condominio (voti da 8 a 10) e la città con la più alta quota di soddisfatti è Bologna, seguita da Cagliari, mentre Roma e Napoli sono le aree metropolitane in cui l’insoddisfazione è più diffusa (voti da 1 a 5).
Il motivo di insoddisfazione principale è l’assenteismo da parte dei condòmini (37%), seguito dalla scarsa frequenza delle assemblee (34%), dall’impossibilità di dialogare civilmente (27%) e dalla mancata mediazione da parte dell’amministratore in caso di discussioni (25%)
Per Millennials e Gen X l’insoddisfazione è legata principalmente all’orario inadeguato e quindi all’esigenza di maggiore flessibilità, dovuta alla loro maggiore necessità di conciliare lavoro e gestione della casa e della famiglia (rispettivamente 28% e 25% a fronte della media nazionale del 22%).
Gli italiani affermano, infine, di pagare mediamente spese condominiali per circa 100 euro mensili, un ammontare ritenuto però inadeguato da un intervistato su tre (32%). Milano e Bologna dichiarano spese mensili sopra media, rispettivamente di 162 euro e 132 euro.
Tutte le città vorrebbero – naturalmente – pagare spese condominiali inferiori alle attuali, in primis Milano, i cui abitanti vorrebbero ridurle di quasi il 40%, così da allinearsi alla media nazionale.

Comunicato Stampa

Fotovoltaico e solare negli edifici in condominio

Il fotovoltaico e il solare termico in condominio, così come in un’abitazione singola, comportano diversi vantaggi per gli utenti. Si tratta, infatti, di tecnologie che assicurano notevoli risparmi economici e benefici ambientali e che, nel corso degli anni, si sono ampiamente diffuse anche in ambito residenziale.
Pannelli fotovoltaici e solari termici, del resto, hanno oggi costi più accessibili, rientrano tra le opere di efficientamento energetico che consentono di accedere a una serie di agevolazioni fiscali e favoriscono il taglio dei costi in bolletta per l’acquisto di energia.
Il fotovoltaico, in particolare, permette l’autoproduzione di energia, che riduce in modo significativo la dipendenza dalla rete elettrica nazionale.
Naturalmente, il livello di indipendenza varia a seconda della tipologia di edificio, del profilo di consumo dell’utente e dalla predisposizione di tecnologie, quali i sistemi di accumulo.
Nel caso specifico del condominio, però, ci sono alcune importanti informazioni da conoscere.

Fotovoltaico e solare termico in condominio: impianto centralizzato e privato
Quando si decide di installare un impianto fotovoltaico o solare termico in condominio la prima questione da affrontare riguarda la proprietà dello stesso.
Il discorso vale principalmente per il fotovoltaico, dato che un impianto può essere centralizzato e, quindi, di proprietà del condominio, oppure privato, ossia di un solo condòmino.
A seconda delle circostanze, cambia la modalità con cui si utilizza l’energia prodotta dai pannelli. Nel caso si tratti di un impianto privato, l’energia viene consumata dal condòmino che ha sostenuto l’investimento, all’interno del proprio appartamento. Nel caso sia invece un impianto centralizzato, l’energia prodotta non viene ripartita tra i vari condòmini per usi domestici, bensì è utilizzata per ammortizzare la spesa sostenuta per gli spazi comuni, come l’illuminazione o il funzionamento dell’ascensore.

La comunità energetica di condominio
Esiste, poi, una terza strada: la comunità energetica condominiale.
In questo caso, viene costituita una comunità energetica i cui membri sono i diversi condòmini. Una comunità energetica è un insieme di utenti singoli che, tramite un apposito documento di costituzione e uno specifico regolamento, producono e scambiano energia pulita.
Può essere costituita tra soggetti dislocati sul territorio, ma se il confine è il condominio, si parla di comunità energetica condominiale.
In questo caso, l’impianto produce energia e tutti i condòmini che aderiscono possono beneficiarne. Da qui deriva la definizione di autoconsumo collettivo, dato che l’energia viene virtualmente distribuita sulla base del fabbisogno rilevato in quel momento.
Per costituire una comunità energetica non è necessario che tutti i condomini partecipino, ma ne sono sufficienti due.
Naturalmente, prima di procedere nella costituzione di una comunità energetica condominiale, è bene procedere con uno studio di fattibilità, finalizzato a verificare le superfici disponibili e la conformazione dell’immobile, ma anche a mappare i consumi degli utenti e calcolare i benefici che si otterrebbero.

Le autorizzazioni necessarie per fotovoltaico e solare in condominio
Per quanto riguarda il tema delle autorizzazioni necessarie, si deve precisare che nel caso si tratti di un impianto fotovoltaico di proprietà del condominio è necessaria un’assemblea e una votazione favorevole da parte di almeno la metà dei condomini. L’iter è stato semplificato con la Riforma del Condominio, che ha agevolato innovazioni quali l’installazione di impianti per la produzione di energia rinnovabile. Nel caso vi siano condòmini contrari, non si potrà chiedere loro di sostenere le spese per l’acquisto e l’installazione del fotovoltaico. Allo stesso tempo, però, non potranno godere dei benefici derivanti dallo stesso.
Se, invece, si tratta di impianti privati, siano essi fotovoltaici o solari termici, è possibile per il singolo condòmino procedere all’installazione sia su parti comuni, sia sulle proprietà che gli appartengono. In questo secondo caso, non serve una preventiva comunicazione all’assemblea. Mentre in caso di superfici comuni, come quella della copertura, è necessario comunicare all’amministratore quanto si vuole realizzare, in modo che questi possa convocare un’assemblea condominiale e informare tutti i condòmini ed eventualmente verificare la fattibilità e la conformità dell’intervento.
L’esito del confronto in assemblea può riguardare indicazioni in merito al progetto e all’installazione, ma non è possibile negare l’uso di spazi comuni per l’installazione di impianti per la produzione di energia rinnovabile, purché non siano compromessi stabilità e decoro architettonico dell’edificio.

Impianti fotovoltaici: le alternative al tetto o agli spazi comuni
In alternativa agli spazi comuni, come lastrici solari e coperture, i singoli condòmini sono liberi di installare un impianto privato sulle rispettive proprietà. è comunque bene ricordare che ci sono anche alcune alternative alle classiche ubicazioni.
Ad esempio, sempre più spesso si sente parlare del fotovoltaico “da balcone”, che può essere installato senza alcuna autorizzazione. L’intervento rientra infatti tra le opere di edilizia libera e sul mercato si trovano piccoli impianti installabili anche in totale autonomia. Chiaramente si tratta di impianti che consentono piccole produzioni, inferiori a 1 kWh. Hanno costi accessibili e occupano poco spazio, tanto da essere installati anche sulle sole ringhiere. Per quanto non sia necessaria una delibera d’assemblea, però, è sempre meglio dare comunicazione all’amministratore di quanto si vorrebbe realizzare e installare.