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Entro quando va esercitata l’azione possessoria contro il condominio?

A Cura di: Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò

Con la sentenza n. 20007/2020, la Corte di Cassazione si è pronunciata sui termini entro i quali deve essere esperita l’azione possessoria contro il condominio.

Nella vicenda in esame, un condomino, mediante la collocazione di una sbarra, impediva ad alcune proprietarie di un edificio confinante di passare attraverso una stradella che collegava la proprietà delle stesse alla pubblica via. Le proprietarie, sostenendo di essere state spossessate dal condominio, si rivolgevano al Tribunale per domandare la reintegrazione nella disponibilità del viale di accesso posto sul retro del loro immobile, ma il giudice di prime cure non accoglieva la domanda.

La sentenza di primo grado veniva confermata dai giudici di merito, secondo i quali i testimoni escussi nel corso della causa avevano confermato la presenza di una catena di divieto di passaggio alla strada posta dal condominio molti anni prima del posizionamento della sbarra. La Corte territoriale riteneva che ciò fosse la prova che lo spossessamento era avvenuto da molto tempo e, di conseguenza, dichiarava le parti decadute dalla domanda.

A questo punto, il caso giungeva in Cassazione, davanti alla quale le proprietarie sollevavano i seguenti tre motivi:

  • in primo luogo, deducevano l’omesso esame circa un fatto decisivo, quanto all’epoca di collocazione della sbarra, che sarebbe stata apposta tra fine agosto ed inizio settembre del 2011, così che doveva intendersi precisato nel ricorso possessorio il termine dell’avvenuto spoglio;
  • in secondo luogo, deducevano l’omesso esame circa un fatto decisivo, quanto alla risultanza peritale che evidenziava come la strada, presente sin dal novembre 1973, costituisse l’unica via di accesso della proprietà alla pubblica via;
  • in terzo luogo, le ricorrenti denunciavano la violazione o falsa applicazione degli artt. 1129, 1130 e 1131 c.c., in relazione alla mancata prova della qualità dell’amministratore condominiale ed al difetto della legittimazione processuale dello stesso, in difetto di autorizzazione assembleare.

Gli Ermellini dichiaravano il ricorso inammissibile, precisando che “nel caso di spoglio o turbativa posti in essere con una pluralità di atti, il termine utile per l’esperimento dell’azione possessoria decorre dal primo di essi se quelli successivi, essendo strettamente collegati e connessi, devono ritenersi prosecuzione della stessa attività, decorrendo, altrimenti, dall’ultimo atto quando ogni atto – presentando caratteristiche sue proprie – si presta ad essere considerato isolatamente”.

Inoltre, secondo il Tribunale Supremo, “l’amministratore di condominio, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, può essere convenuto in giudizio per ogni azione vertente su fatti di spoglio o turbativa concernenti le parti comuni dell’edificio ed ha facoltà di proporre tutti i gravami che successivamente si rendano necessari in conseguenza della vocatio in ius, avendo l’amministratore, tra gli altri, anche il compito di compiere gli atti conservativi – tra i quali rientrano altresì quelli a tutela del possesso – dei diritti inerenti ai beni condominiali, e perciò trattandosi di controversia compresa nell’ambito delle sue attribuzioni ex art. 1130 c.c.”.

La “vista mare” non intralcia l’applicazione del bonus facciate

Non rientra tra le ipotesi di esclusione individuate dalla circolare n. 2/2020 riguardanti i lavori effettuati sulle pareti interne di un fabbricato o su superfici confinanti con spazi interni

Sconto Irpef del 90% per il recupero dell’involucro esterno di un edificio residenziale situato in prossimità della costa e visibile soltanto dal mare e non da vie, strade o suoli pubblici. Lo chiarisce l’Agenzia delle entrate con la risposta n. 595 del 16 settembre 2021, sulla base del parere espresso dal ministero della Cultura.
Il fabbricato in questione rientra, secondo l’amministrazione comunale, all’interno della fascia B agevolabile, ma la nuova facciata potrà essere ammirata “solo a largo” e da questo nasce il dubbio del contribuente. L’istante chiede se potrà usufruire ugualmente del bonus del 90% e se lo specchio d’acqua antistante la proprietà o la scogliera demaniale da dove l’immobile è visibile rientrano tra gli spazi a uso pubblico.

L’Agenzia fornisce come di consueto le basi normative dell’agevolazione richiamata. In sintesi, il bonus facciate (articolo 1, commi da 219 e 223, della legge n. 160/2019) prevede una detrazione del 90% delle spese documentate sostenute nel 2020 e 2021 per interventi finalizzati al recupero o restauro della facciata esterna degli edifici esistenti situati in zona A o B, delle città, secondo le indicazioni del decreto n. 1444/1968 del ministro dei Lavori pubblici. La misura è stata introdotta con lo scopo di rinnovare e restituire decoro alle città di particolare pregio storico, artistico e ambientale e favorire, in generale, il risanamento degli edifici situati nei centri urbani con determinate caratteristiche, oltreché incentivare i lavori di miglioramento dell’efficienza energetica dei fabbricati.

L’amministrazione finanziaria ha fornito chiarimenti sulla sua applicazione con la circolare n. 2/2020 (vedi articolo “Bonus facciate: è arrivata l’ora della circolare con i chiarimenti”).
L’agevolazione spetta per gli interventi realizzati esclusivamente sulle strutture opache della facciata, sui balconi, ornamenti e fregi, e quindi, per i miglioramenti riguardanti l’involucro esterno visibile dell’edificio, e, in particolare, sugli elementi che costituiscono esclusivamente la struttura opaca verticale.
Niente detrazione, invece, per i lavori effettuate sulle pareti interne del fabbricato, a meno che non siano visibili dalla strada o da suolo a uso pubblico, restano fuori anche la sostituzione di vetrate, infissi, grate, portoni e cancelli.

Per quanto riguarda il caso particolare descritto nell’interpello l’Agenzia delle entrate, in linea con il parere del ministero della Cultura, ritiene che l’istante, in presenza delle altre condizioni previste dalla norma, possa usufruire del bonus facciate per i lavori effettuati sull’edificio visibile solo dal mare e non da vie, strade o suoli pubblici. Nello specifico il Mic ha chiarito che l’ipotesi non rientrata tra le esclusioni previste dalla circolare n. 2/2020, riguardanti lavori su facciate interne di un fabbricato o su superfici confinanti con spazi interni.

Fonte: FiscoOggi

Nuda proprietà di un immobile: acquisto e vantaggi

A Cura di: Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò

Per nuda proprietà si intende il valore di un immobile decurtato dell’usufrutto. Dunque, trattasi di un caso di proprietà privata a cui non si accompagna un diritto reale di godimento del bene al quale si riferisce.

La differenza fra nuda proprietà e piena proprietà sta nel fatto che nel primo caso l’immobile viene utilizzato e goduto da un soggetto diverso dal proprietario, cioè l’usufruttuario. Chi vende può continuare a vivere nella casa per tutta la vita e l’acquirente può prenderne possesso dopo la morte del venditore.

La piena proprietà si acquista anche nel momento in cui si verificano le seguenti ipotesi:

  • scadenza del periodo di usufrutto;
  • mancato utilizzo dell’usufruttuario per almeno 20 anni consecutivi;
  • totale perimento della cosa in caso di distruzione fisica ed economica del bene;
  • abuso dell’usufruttuario che deteriora il bene: ciò avviene sia arrecando danni all’immobile, sia nel caso in cui non si faccia carico di interventi di manutenzione ordinaria per il mantenimento del buono stato dell’immobile.

Colui che vende la nuda proprietà, conservando il diritto di goderne l’uso per tutta la vita oppure entro un certo periodo di tempo stabilito nel contratto, prende il nome di usufruttuario, mentre chi acquista la nuda proprietà è detto nudo proprietario, poiché detiene il diritto di proprietà del bene piuttosto che il diritto di usufruirne.

Di solito, per acquistare una casa in nuda proprietà ci si serve di un’agenzia immobiliare, la quale ha il compito di gestire tutte le pratiche occorrenti per il perfezionamento dell’acquisto. In tal caso, il prezzo di vendita del bene viene stabilito da una perizia professionale, che prende in considerazione due fattori:

  • il valore del mercato dell’immobile;
  • un coefficiente che varia in base all’età dell’usufruttuario. I valori del coefficiente da applicare al valore di mercato dell’immobile sono stabiliti e redatti periodicamente dal Ministero delle Finanze.

È importante sottolineare che più anziano è il venditore, più alto è il valore della nuda proprietà e la tassazione da applicare all’atto di compravendita.

Dall’acquisto della nuda proprietà derivano alcuni importanti vantaggi. Innanzitutto, il nudo proprietario ha il vantaggio di acquistare a un prezzo più basso rispetto al valore di mercato e non gli non è richiesto di sostenere le spese di manutenzione ordinaria e generale dell’immobile.

Inoltre, un importante vantaggio consiste nel bonus prima casa, nel rispetto delle condizioni previste per l’acquisto della piena proprietà:

  • non possedere nello stesso Comune un altro immobile idoneo ad essere adibito ad abitazione o in comunione con il coniuge;
  • non essere titolare dei diritti di uso, di usufrutto e di abitazione su un altro immobile nello stesso Comune;
  • non essere titolare di un altro immobile su tutto il territorio nazionale per il quale si abbia già usufruito delle agevolazioni prima casa;
  • non deve riguardare un immobile di lusso;
  • il contribuente deve trasferire la residenza entro 18 mesi nel Comune in cui si trova il bene.

A colui che vende la nuda proprietà rimane, invece, il diritto di utilizzare e godere dell’immobile, acquisendo una liquidità economica immediata.

FONTE

Incredibile! Ignoranza su Art. 13.2 Legge 220/12?

A cura di: Giorgio Cambruzzi – Presidente ANACI di Padova

Dal 2004 al 2012 il Senatore Franco Mugnai mise mano alla riforma del Codice Civile in materia di Condominio.

Si rese conto come ogni singolo articolo presentasse mille e più interpretazioni contrastanti che erano, di volta in volta, sviscerate dagli avvocati a seconda dell’indirizzo scelto nelle loro alterne vertenze.

Il Senatore Mugnai, con quanto stabilito al punto 4 dell’art. 13.2 della Legge 220/12 (ora punto 4 dell’art. 1135 Cod. Civ.) intendeva certamente tutelare l’Impresa esecutrice dei lavori straordinari, approvati dall’Assemblea, per la liquidazione dei lavori eseguiti, ma nel contempo intendeva garantire i condomini virtuosi a non essere coinvolti in controversie legali per il mancato rispetto economico.

Il Senatore Mugnai, negli anni dedicati alla riforma, aveva accertato con che faciloneria molti amministratori appaltavano lavori, anche economicamente importanti, senza l’accantonamento preventivo della spesa.

In quel tempo la naturale conseguenza era il Decreto Ingiuntivo richiesto dall’Impresa creditrice, non contro l’amministratore che incautamente aveva sottoscritto il contratto d’appalto perché semplice mandatario, ma contro il condominio.

Ottenuto il Decreto Ingiuntivo, l’Impresa notificava il precetto al condomino che palesemente sembrava essere il più facoltoso. Questi, prima insultava e contestava l’amministratore propagandandone la revoca, poi correva dai morosi per recuperare le singole quote,

Ora non è più così; l’Impresa che non ha incassato il saldo si fa rilasciare dall’amministratore l’elenco completo dei condomini morosi con la quota economica non corrisposta.

Singolarmente per ogni condomino moroso l’Impresa chiede ed ottiene il Decreto Ingiuntivo, comprensivo anche degli oneri legali, e notifica il tutto al moroso.

Se non ci saranno intoppi, entro un anno l’Impresa recupererà oneri legali e quota condominiale non corrisposta.

Se ci saranno intoppi, ossia: condomino nulla tenente; condomino fallito; condominio defunto; eccetera, allora la procedura inverte la rotta a 180°.

La procedura giudiziaria per accertare l’insolvenza, dura dai quattro ai sei anni.

Solo dopo la dichiarazione d’insolvenza, finalmente l’Impresa potrà rivolgersi al Condominio, richiedendo la quota del condomino moroso, oltre al rimborso di tutte le spese legali sostenute nei 4/6 anni di dibattiti.

Oltre alle varie problematiche discusse e dibattute dall’estate 2020 sul Bonus Fiscale 110%, da aprile 2021 tutti gli esperti (tecnici, opinionisti, legali, ecc. ecc.), nonché l’Agenzia delle Entrate, si sono dilettati a scrivere le interpretazioni più varie e fantasiose, nonchè esprimere giudizi imperiosi su come ci si deve comportare per risolvere l’imperativo “punto 4 art. 1135 Cod. Civ.”.

Che tristezza; volano talmente in alto che non ricordano la realtà terrena!

L’art. 1135 del Codice Civile è uno dei pochi articoli derogabili. In effetti non è elencato tra gli articoli inderogabili indicati nell’ultimo comma dell’art. 1138 del Codice Civile.

Perché accanirsi a scrivere teorie fantasiose prive di fondamento?

Perché aumentare la confusione interpretativa sul 1135.4 del C.C.?

Di che credibilità possono ancora vantarsi, constatata la loro superficialità macroscopica?

L’amministratore, sufficientemente preparato, come l’Associato ANACI Padova, indica all’ordine del giorno dell’Assemblea, tra gli altri punti:

  • Deroga Art. 1135.4 del Cod. Civ.

Il verbale dell’Assemblea, che ha approvato la deroga, deve essere scrupolosamente conservato, per essere eventualmente esibito ai Funzionari che dovessero verificare i documenti atti a ottenere le agevolazioni fiscali.

Anche questo trabocchetto del Bonus 110 è superato.

Quanto rumore per nulla!

È onere del condominio richiedere la proroga della mediazione qualora manchi la delibera assembleare

A Cura di: Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò

Il Tribunale di Venezia, con la sentenza n. 1416 del 7 luglio 2021, ha stabilito che, nel caso in cui manchi la delibera dell’assemblea, spetta al condominio richiedere la proroga della mediazione.

Nel caso in esame, il condomino Caio instaurava una controversia ai fini dell’annullamento/nullità di una delibera assembleare del condominio Alfa, il quale, a sua volta, sollevava eccezione di irregolarità della procedura di mediazione.

Il Tribunale rigettava l’eccezione, osservando che, se da un lato è vero che, ai sensi dell’art. 71 quater, commi 3 e 4, disp. att. c.c. “Al procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’articolo 1135, secondo comma, del codice” e che “Se i termini di comparizione davanti al mediatore non consentono di assumere la delibera di cui al terzo comma, il mediatore dispone…idonea proroga della prima comparizione”, dall’altro è anche vero che la predetta proroga deve essere richiesta “su istanza del condominio”.

Nella vicenda in esame, la documentazione allegata dal patrocinio del condominio metteva in luce il fatto che l’Organismo di mediazione, con nota del 5/9/2019, invitava il condominio ad aderire alla procedura e che lo stesso Organismo, a fronte della risposta dell’amministrazione condominiale, pregava l’amministratore non solo di voler convocare l’assemblea nei tempi d’urgenza, ma anche di voler fornire una risposta in breve tempo. A tale richiesta formulata dall’Organismo di mediazione seguiva la totale inerzia del condominio convenuto, tant’è che si provvedeva a fissare il primo incontro alla presenza delle parti per il giorno 16/10/2019, dunque a distanza di oltre un mese dalla missiva.

Evincendosi dall’inciso “su istanza del condominio” di cui al suddetto disposto normativo come ricadesse in capo al condominio l’onere di attivarsi per ottenere la proroga, in verità quest’ultimo non aveva fatto più pervenire alcuna risposta all’Organismo di mediazione, né tantomeno alcuna nota giustificativa.

Il singolo condomino non ha diritto di appello

A Cura di: Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò

La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 2008 del 30 giugno 2021, ha stabilito che ai singoli condòmini non spetta il diritto di appellare la sentenza pronunciatasi sulla validità della deliberazione assembleare impugnata.

Legittimato a ciò è solo l’amministratore, in quanto trattasi di controversie che non hanno ad oggetto i diritti su di un bene o su di un servizio comune, ma la gestione di esso.

Nel caso in esame, l’appellante ha invocato il principio enunciato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite, secondo cui “Nelle controversie condominiali che investono i diritti dei singoli condòmini sulle parti comuni, ciascun condòmino ha, in considerazione della natura dei diritti contesi, un autonomo potere individuale – concorrente, in mancanza di personalità giuridica del condominio, con quello dell’amministratore – di agire e resistere a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota”, sicché è ammissibile il ricorso incidentale tardivo del condòmino che, pur non avendo svolto difese nei precedenti gradi di merito, intenda evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio senza risentire dell’analoga difesa già svolta dallo stesso” (Cass., Sez. Unite, n. 10934 del 18 aprile 2019).

I giudici di merito, richiamando una decisione della giurisprudenza di legittimità, hanno sottolineato che “laddove oggetto del ricorso sia un diritto afferente alla sfera di ogni singolo condòmino, ciascuno di essi può autonomamente far valere la situazione giuridica vantata. A tal fine può avvalersi personalmente dei mezzi d’impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio”.

Tuttavia, detto principio non si applica alle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di deliberazioni assembleari (Cass., sent. n. 29748/2017); essendo in discussione esigenze di carattere collettivo, la legittimazione attiva e passiva spetta in via esclusiva all’amministratore, la cui acquiescenza alla sentenza esclude la possibilità di impugnare da parte del singolo condòmino.

Poi ancora la Corte distrettuale ha fatto riferimento ad un’altra pronuncia della Cassazione, secondo cui nelle controversie aventi a oggetto l’impugnazione di deliberazioni assembleari, dal momento che unico soggetto legittimato passivo è l’amministratore, l’eventuale intervento del singolo condòmino è adesivo dipendente, sicché questi non è ammesso a proporre gravame avverso la sentenza che abbia visto soccombente il condominio. “La legittimazione passiva esclusiva dell’amministratore del condominio nei giudizi relativi alla impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea promossi dal condomino dissenziente discende dal fatto che la controversia ha per oggetto un interesse comune dei condomini, ancorché in opposizione all’interesse particolare di uno di essi” (Cass., ord. n. 2623/2021).

Nel caso in esame, la condòmina appellante non ha allegato di essere in alcun modo, direttamente o indirettamente, lesa nei suoi diritti dall’esecuzione dei lavori avviati dal proprietario dei locali sottostanti il tetto comune, né la stessa ha esposto di aver subìto una lesione dei suoi diritti da parte del predetto condòmino, nemmeno quale comproprietaria pro quota.

Bonus facciate: l’Agenzia delle Entrate conferma l’estensione anche ai balconi

A Cura di: Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò

Il bonus facciate è un’agevolazione fiscale messa a disposizione dallo Stato per coloro che devono eseguire specifiche opere sulla facciata esterna di un edificio.

Più precisamente, trattasi di un’agevolazione consistente in una detrazione di imposta del 90% su determinati interventi eseguiti sulle parti esterne degli immobili.

Il bonus facciate riguarda esclusivamente gli immobili situati nei centri delle città, individuati come edifici urbani, che fanno parte dei centri storici o di zone contigue, e non trova applicazione durante la costruzione di nuovi edifici.

Per poter usufruire del bonus facciate, occorre specificare i dati dell’immobile al momento della dichiarazione dei redditi e presentare tutte le spese effettuate, con metodo tracciabile, per eseguire i lavori.

La detrazione consiste in un credito d’imposta applicato per il periodo di tempo di 10 anni, oppure è possibile richiedere l’accesso all’agevolazione attraverso i seguenti sistemi alternativi:

  • sconto in fattura: trattasi di uno sconto applicato direttamente da chi esegue gli interventi, a beneficio di chi usufruisce del bonus, direttamente in fattura;
  • cessione del credito: tale modalità prevede l’accumulo di un credito cedibile a terzi.

Possono beneficiare dell’agevolazione in questione i soggetti fisici, anche se svolgono attività professionale autonoma, ma anche gli enti e le società, dal momento che tale bonus è esteso anche nell’ipotesi in cui gli immobili vengano utilizzati come strutture per attività d’impresa.

Con Risposta ad interpello n. 482 del 15 luglio 2021, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il bonus facciate può essere esteso anche agli interventi da eseguire sui balconi.

L’interrogazione riguardava lavori da svolgere sui parapetti dei balconi di un hotel, con inclusa l’installazione di oggetti per l’illuminazione.

Questa la risposta fornita dall’Agenzia:

“Trattandosi di rinnovo degli elementi costitutivi dei balconi, l’Istante ritiene che l’intervento sui parapetti possa rientrare tra quelli agevolabili con il “bonus facciate” e pertanto sia consentita la detrazione delle spese relative al rifacimento dei parapetti stessi, secondo le ipotesi progettuali sopra descritte”. Inoltre, “Con riferimento all’installazione dei corpi illuminanti a soffitto o a parete, nel presupposto che si tratti di opere accessorie e di completamento dell’intervento sulle facciate esterne nel suo insieme i cui costi sono strettamente collegati alla realizzazione dell’intervento stesso (cfr. risposta n. 520 del 2020), il bonus facciate spetta nel caso in cui tali interventi si rendessero necessari per motivi “tecnici”.

Sfratti: in arrivo uno tsunami

Dal 1 luglio riprendono le esecuzioni di sfratto in applicazione delle sentenze emesse fino al 29 febbraio 2020. Poi altre scadenze saranno dal 30 settembre 2021 e dal 31 dicembre 2021. Già dal 1 luglio saranno circa 80.000 le richieste di esecuzione che si riverseranno sui commissariati, solo a Roma 4500.

Si sappia: i Comuni italiani non hanno alcuna possibilità di affrontare questa ondata di sfratti, non hanno case popolari per garantire il passaggio da casa a casa e le risorse per contributi affitto e morosità incolpevole o non sono stati utilizzate o neanche ripartite alle Regioni”. Così Walter De Cesaris, segretario nazionale Unione Inquilini. “C’è una evidente responsabilità politica che si sono assunti Governo, Regioni e Comuni che nei scorsi 16 mesi da una parte non hanno previsto ristori per proprietari, facendo così ulteriormente incancrenire i rapporti tra inquilini e proprietari- denuncia De Cesaris- e, dall’altra, non hanno utilizzato questo tempo per definire un piano nazionale per realizzare, attraverso il recupero e senza consumo di suolo, le 500.000 case popolari di cui in Italia c’è necessità”.

Cosi dal PNRR “è scomparsa una voce di finanziamento per quella che sarebbe stata ed è una grande opera infrastrutturale strategica sociale, ovvero dotare l’Italia di un numero adeguato di case popolari”, prosegue il segretario nazionale Unione Inquilini, “oggi il tempo è scaduto ed è necessario mettere in atto iniziative per tentare almeno di ‘governare’ gli sfratti impedendo che siano derubricati a questione di ordine pubblico.

Per l’Unione Inquilini “è necessario che:

a) presso le prefetture si attivino tavoli di crisi per l’esecuzione degli sfratti garantendo il passaggio da casa a casa;

b) che gli enti pubblici o a partecipazione pubblica ad esempio Inps, Ferrovie, Ministero della difesa, Ipab etc mettano a disposizioni dei comuni anche temporaneamente il loro patrimonio inutilizzato che consta di decine di migliaia di alloggi;

c) che il Ministero delle infrastrutture ripartisca immediatamente le risorse dei fondi contributi affitto e morosità incolpevole stanziati dall’ultima legge di bilancio”. A medio e lungo termine “è necessario che la questione abitativa entri nell’agenda politica italiana e si proceda alla definizione di un vero piano nazionale di edilizia residenziale pubblica a canone sociale”, prosegue Unione Inquilini. Infine, Unione Inquilini “raccoglierà le richieste di sfrattati per chiedere un intervento sul Governo italiano da parte del Relatore Onu sul diritto alla casa in quanto l’Italia ha aderito a convenzioni internazionali nelle quali si esplicita il diritto alla casa e che questi in casi di sgomberi e sfratti si attua prevedendo prima il passaggio da casa a casa”.

Le detrazioni fiscali dipendono dall’uso del bonifico “parlante”

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Escrementi di colombi in condominio: problem solving.

A Cura di: Dott. Emanuele Mascolo

Una problematica che non può passare inosservata, soprattutto alla stregua dell’emergenza sanitaria Covid19 che stiamo vivendo, quella degli escrementi di colombi in condominio è relativa soprattutto all’igiene in condominio e alla salubrità delle parti comuni.

Spesso i colombi nidificano sui cornicioni o sulle terrazze e gli escrementi finiscono o sui balconi di degli immobili sottostanti il cornicione oppure nel cortile, finendo per sporcare le parti comuni.

In entrambi i casi, deve chiarirsi che la questione riguarda l’intero condominio, quindi le spese per addivenire all’istallazione di dissuasori, vanno ripartite tra tutti i condomini in base alla porzione millesimale di proprietà.

Infatti, la dottrina sul punto sostiene che “anche se si tratta di installare dissuasori su un cornicione divenuto ricettacolo per i colombi che, stazionandovi, sporcano il balcone sottostante, l’intervento può considerarsi doveroso e la spesa va ripartita in ragione del valore proporzionale[1]. Allorquando la situazione divenga esasperata, ogni condomino può chiedere all’Amministratore di Condominio, di convocare l’assemblea per discutere il da farsi, tenendo conto che l’installazione dei dissuasori è da ritenere innovazione a tutti gli effetti, al fine di garantire la salubrità condominiale.

Ne discende che l’assemblea condominiale, ai sensi dell’articolo 1136, comma 2, del codice civile,  deve deliberare con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.

A parere di chi scrive, la situazione potrebbe anche degenerare – tenuto conto anche dell’era Covid19 e dei rischi di infezioni – un una vera e propria emergenza condominiale, a tal punto che l’Amministratore pro tempore possa intervenire senza l’autorizzazione del deliberato assembleare, trattandosi di urgenza, come dispone expressis verbis, l’articolo 1135, comma 2, del codice civile, dovendone riferirne nella prima assemblea.

Va precisato che, sia nel caso in cui l’assemblea non deliberi, ovvero nel caso in cui l’Amministratore di Condominio non vi provveda in caso di urgenza, ciascun condomino che vi abbia l’interesse, può provvedervi in autonomia, previa comunicazione all’Amministratore pro tempore, richiedendone successivamente il rimborso delle spese sostenute.

Sul tema, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che “il Condominio non incorre in responsabilità per i danni derivanti al condomino dalla presenza di piccioni, qualora, siano stati posizionati da parte del Condominio specifici offendicula”, non rilevandosi “alcuna condotta colposa idonea a dar luogo ad una ipotesi risarcitoria ex art. 2043 c.c.”, in quanto “tecnicamente altro non può fare per impedire molestie provenienti dall’esterno ed al di fuori della propria sfera di controllo”.[2]

Ex adverso, la giurisprudenza ha anche affermato “il dovere del proprietario di evitare che il proprio immobile diventi ricettacolo per piccioni, con pericolo di danni alla salute e ai beni dei vicini. Se i piccioni trovano rifugio in una parte comune, il dovere di intervenire graverà sul condominio”.[3]

Nel caso in cui, in Condominio si dovesse presentare una simile problematica e l’assemblea delibera favorevolmente, oppure l’Amministratore resta inerte o insensibile alla problematica, ciascun condomino può tutelarsi anche a mezzo diffida, rendendosi esente da responsabilità per danni a cose o persone causati dalla persistente situazione di fatto, poiché ogni condomino è obbligato anche a tener puliti gli ambienti di sua proprietà esclusiva.

 

 

 

[1] Spadaro C. P., “Quando i piccioni provocano danni. Privati e condomini, ecco come tutelarsi”, in www.retidigiustizia.it, 16 luglio 2018.

[2] Trib. Aosta, 14/07/2010.

[3] Trib. Bologna, 21/09/2005.