Anche nel 2025 il “Conto Termico” rappresenterà una valida alternativa all’Ecobonus per l’efficientamento energetico, il fotovoltaico e la climatizzazione ad alta efficienza, soprattutto a fronte della riduzione delle detrazioni per gli interventi che rientrano nei bonus edilizi.
Attualmente è ancora in vigore il “Conto Termico 2.0”. Lo scorso 10 maggio 2024 si è chiusa la consultazione pubblica con la quale sono state raccolte indicazioni degli operatori. Dal 13 dicembre il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha avviato il confronto con le Regioni per l’approvazione definitiva del decreto “Conto Termico 3.0”.
Da allora sono già circolati almeno un paio di schemi di Decreto Ministeriale. Quello definitivo è atteso a breve. La linea di fondo è comunque quella di rendere più agevole l’accesso agli incentivi e soprattutto di ampliare la lista dei lavori agevolabili anche per gli edifici privati, come case indipendenti e condomini. Oltre all’ampliamento della platea dei beneficiari, sarà incrementata la tipologia di interventi agevolabili e aumentate le spese ammissibili, che potranno arrivare anche al 100 per cento.
Cos’è il Conto Termico
Il Conto Termico, disciplinato dal D.M. 16/02/2016, è un meccanismo di incentivazione introdotto in Italia per favorire interventi di efficienza energetica, quali l’uso di fonti rinnovabili per il riscaldamento, la climatizzazione e la produzione di acqua calda sanitaria.
Il Conto Termico è un’agevolazione non soggetta a scadenza. Non prevede una detrazione fiscale ma un contributo a fondo perduto e può essere valutato per ogni progetto di efficientamento energetico di abitazioni, edifici adibiti ad attività produttive e strutture pubbliche.
è un incentivo statale erogato dal GSE (Gestore dei Servizi Elettrici) che agevola interventi di:
• incremento dell’efficienza energetica degli edifici esistenti (Interventi tipo 1 – Art. 4, comma 1);
• produzione di energia termica da fonti rinnovabili e sistemi ad alta efficienza (Interventi Tipo 2 – Art. 4, comma 2).
Gli incentivi per gli interventi di incremento dell’efficienza energetica (Interventi tipo 1) sono riservati alle pubbliche amministrazioni. Mentre quelli per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili e sistemi ad alta efficienza (Interventi Tipo 2) sono estesi a privati ed imprese.
Il Conto Termico 2.0
Questo sistema di agevolazioni, gestito dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), è dunque rivolto sia alle Pubbliche Amministrazioni, sia ai soggetti privati. Consente di ottenere contributi economici per interventi volti a migliorare le prestazioni energetiche degli edifici.
Rispetto alla sua versione iniziale, il Conto Termico 2.0 ha introdotto procedure più snelle e incentivi più generosi, coprendo fino al 65 per cento delle spese sostenute per l’efficientamento energetico.
Tra gli interventi finanziabili rientrano:
• la sostituzione di impianti di riscaldamento obsoleti con sistemi più efficienti (pompe di calore, caldaie a biomassa, solare termico);
• l’installazione di schermature solari e l’adozione di sistemi di building automation.
L’accesso agli incentivi avviene tramite una piattaforma online del GSE, con tempi di erogazione ridotti, spesso compresi tra pochi mesi e due anni, a seconda dell’importo spettante.
I soggetti che possono accedere al meccanismo del Conto Termico 2.0 sono:
• le Pubbliche Amministrazioni che includono anche gli ex Istituti Autonomi Case Popolari, le Cooperative di abitanti iscritte all’Albo nazionale delle società cooperative edilizie di abitazione e dei loro consorzi costituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico, nonché le Società a patrimonio interamente pubblico e le Società cooperative sociali iscritte nei rispettivi albi regionali;
• i privati, ovvero persone fisiche, condomini e imprese (soggetti titolari di reddito di impresa o di reddito agrario).
Il Conto Termico prevede incentivi che vanno dal 40 al 65 per cento della spesa sostenuta, a seconda dei soggetti richiedenti e di alcune variabili:
• fino al 65 per cento per la demolizione e ricostruzione di edifici a energia quasi zero;
• fino al 40 per cento per: interventi di isolamento di pareti e coperture; sostituzione di chiusure finestrate con altre più efficienti; installazione di schermature solari; sostituzione dei corpi illuminanti; installazione di tecnologie di building automation; sostituzione di caldaie tradizionali con caldaie a condensazione;
• fino al 50 per cento per gli interventi di isolamento termico nelle zone climatiche E/F;
• fino al 55 per cento nel caso di isolamento termico e sostituzione delle chiusure finestrate, se abbinati ad altro impianto (caldaia a condensazione, pompe di calore, solare termico);
• fino al 65 per cento per la sostituzione di impianti tradizionali con impianti a pompe di calore, caldaie e apparecchi a biomassa, sistemi ibridi a pompe di calore e impianti solari termici.
Il Conto Termico è cumulabile con altri incentivi di natura non statale e nell’ambito degli interventi precedentemente indicati.
Finanzia inoltre il 100 per cento delle spese per la Diagnosi Energetica e per l’Attestato di Prestazione Energetica (APE) per le Pubbliche Amministrazioni e il 50 per cento per i soggetti privati e le cooperative di abitanti e quelle sociali.
Interventi agevolati per i privati
Il Conto Termico incentiva interventi per l’incremento dell’efficienza energetica e la produzione di energia termica da fonti rinnovabili di edifici o singole unità immobiliari accatastate e dotate di un impianto di riscaldamento.
Si tratta di interventi (art. 4, comma 2) di piccole dimensioni di produzione di energia termica da fonti rinnovabili e di sistemi ad alta efficienza in edifici esistenti parti di essi o unità immobiliari esistenti:
• Sostituzione di impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti di climatizzazione invernale utilizzanti pompe di calore elettriche o a gas, anche geotermiche (con potenza termica utile nominale fino a 2000 kW);
• Sostituzione di impianti di climatizzazione invernale o di riscaldamento delle serre esistenti e dei fabbricati rurali esistenti con generatori di calore alimentati da biomassa (stufe, termo-camini o caldaie con potenza termica nominale fino a 2000 kWt);
• Installazione di collettori solari termici, anche abbinati a sistemi di solar cooling (con superficie solare lorda fino a 2500 m2);
• Sostituzione di scaldacqua elettrici con scaldacqua a pompa di calore;
• Sostituzione di impianti di climatizzazione invernale esistenti con sistemi ibridi a pompa di calore.
Per il Conto Termico 2.0 privati, i costi massimi ammissibili sono determinati sulla base della producibilità stimata dell’intervento; il contributo massimo è del 65 per cento in funzione delle caratteristiche dell’impianto.
Per le caldaie, le pompe di calore, i collettori solari, etc., inclusi nel Catalogo degli apparecchi domestici reso pubblico e aggiornato periodicamente dal GSE, la procedura di accesso è semplificata, poiché la conformità dei requisiti tecnici al dettato normativo è stata preventivamente verificata dal GSE.
Contatore Conto termico
Il Contatore del Conto Termico è lo strumento che consente di monitorare i dati relativi agli incentivi riconosciuti tramite il Conto Termico 2.0.
Per l’anno 2024, sulla base delle informazioni disponibili al 1° agosto, il contatore stima un impegno di spesa complessivo pari a 438 milioni di euro, di cui 180 milioni per interventi di privati e 258 milioni per interventi della Pubblica Amministrazione.
Gli importi impegnati rientrano nei limiti di spesa annui previsti dalla normativa, pari a 500 milioni di euro per i privati e 400 milioni di euro per la Pubblica Amministrazione.
Il Conto Termico 3.0
Con il Conto Termico 3.0, il cui debutto è atteso a breve, sono previste diverse novità rispetto al Conto Termico 2.0, attualmente in vigore.
Fondamentalmente, sono previsti l’ampliamento della platea dei beneficiari e l’estensione dell’incentivo a nuove tipologie di interventi.
In primo luogo, con il Conto Termico 3.0 è prevista l’equiparazione degli enti del terzo settore alle amministrazioni pubbliche.
Saranno inoltre agevolate nuove tipologie di interventi, come gli impianti solari fotovoltaici con relativi sistemi di accumulo e le colonnine di ricarica per veicoli elettrici, se installati congiuntamente alla sostituzione dell’impianto termico con impianto a pompe di calore elettriche.
Con il conto termico 3.0 saranno ammessi agli incentivi per interventi di efficienza energetica anche gli edifici non residenziali privati.
Saranno poi aggiornati i massimali di spesa specifici e assoluti per adeguarli ai prezzi di mercato.
Altra novità sarà l’aumento del contributo al 100 per cento delle spese ammissibili per gli interventi realizzati:
• su edifici ad uso pubblico di proprietà di piccoli Comuni con popolazione fino 15mila abitanti;
• sugli edifici pubblici adibiti a uso scolastico;
• su edifici di strutture ospedaliere e di altre strutture sanitarie, incluse quelle residenziali, di assistenza, di cura o di ricovero del sistema sanitario nazionale come previsto dal D.L. n. 104/2020.
Le risorse complessivamente messe a disposizione per il Conto Termico 3.0 saranno pari a 900 milioni di euro annui, di cui 500 milioni di euro riservati ai soggetti privati e 400 milioni di euro destinati alle amministrazioni pubbliche. Ulteriori 20 milioni di euro saranno a disposizione per coprire le esigenze di contributo anticipato che le amministrazioni pubbliche potranno richiedere per le spese relative alla redazione della diagnosi energetica preliminare.
Tra i soggetti che potranno sfruttare i vantaggi del conto termico 3.0 rientrano:
• le amministrazioni pubbliche;
• i soggetti privati;
• gli enti del terzo settore;
• le configurazioni di autoconsumo collettivo e le comunità energetiche rinnovabili.
I soggetti privati potranno realizzare, in ambito civile residenziale, solo interventi Conto Termico 3.0 di piccole dimensioni di produzione di energia termica da fonti rinnovabili e di sistemi ad alta efficienza.
Sono considerati “interventi di piccole dimensioni di produzione di energia termica da fonti rinnovabili e di sistemi ad alta efficienza in edifici esistenti, parti di edifici esistenti o unità immobiliari esistenti, dotati di impianto di climatizzazione”:
• sostituzione di impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti di climatizzazione invernale, anche combinati per la produzione di acqua calda sanitaria, dotati di pompe di calore, elettriche o a gas, utilizzanti energia aerotermica, geotermica o idrotermica, unitamente all’installazione di sistemi per la contabilizzazione del calore nel caso di impianti con potenza termica utile superiore a 200 kW;
• sostituzione di impianti di climatizzazione invernale esistenti con sistemi ibridi a pompa di calore. Unitamente all’installazione di sistemi per la contabilizzazione del calore nel caso di impianti con potenza termica utile superiore a 200 kW;
• sostituzione di impianti di climatizzazione invernale esistenti o di riscaldamento delle serre e dei fabbricati rurali esistenti con impianti di climatizzazione invernale dotati di generatore di calore alimentato da biomassa, compresi i sistemi ibridi a pompa di calore, unitamente all’installazione di sistemi per la contabilizzazione del calore nel caso di impianti con potenza termica utile superiore a 200 kW.
Le tempistiche
Una volta definito, il decreto dovrà essere approvato definitivamente dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni. Dopodiché sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore nei successivi novanta giorni.
Entro sessanta giorni, poi, il Ministero dell’Ambiente, su proposta del Gestore dei Servizi Energetici (GSE), responsabile dell’erogazione degli incentivi, dovrà adottare le regole attuative.
Solo a questo punto, si aprirà il portale per la presentazione delle domande e il Conto termico 3.0 diventerà realtà.
Sono da poco proprietario di un’unità immobiliare e non mi é chiaro il concetto relativo alla morosità condominiale. Pertanto vorrei capire quali sono le conseguenze, per il condominio e per l’amministratore, nel caso in cui un condòmino non riuscisse a far fronte alle spese a lui addebitate.
Il condomino moroso è colui che non corrisponde la sua quota per le spese ordinarie di manutenzione dell’immobile, oppure quelle straordinarie e occasionali.
La morosità scatta alla scadenza dei termini di pagamento.
Questa situazione può avere un riflesso evidente sia sugli altri condomini, sia sull’attività dell’amministratore di condominio stesso.
I condomini “virtuosi”, ovvero coloro che hanno proceduto al regolare pagamento delle spese necessarie, possono infatti trovarsi nella spiacevole situazione di dover coprire anche le somme che avrebbero dovuto essere pagate da altri condomini e questo apre lo scenario complesso sul pagamento dei debiti dei morosi.
L’amministratore invece, proprio per far fronte a queste situazioni, ai sensi del Codice civile (articolo 63 comma 5), può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, ed è anche tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi.
Prima di arrivare al decreto di ingiunzione l’amministratore del condominio può:
• inviare solleciti di pagamento;
• adire le vie legali per cercare di recuperare il credito;
• disattivare i servizi comuni al condomino moroso.
Per cercare di prevenire gli atteggiamenti morosi, l’amministratore può:
• redigere un regolamento condominiale chiaro che definisca con chiarezza le scadenze ordinarie;
• inviare subito solleciti di pagamento ai condomini in ritardo;
• offrire sempre la possibilità di rateizzare il pagamento delle quote;
• ricorrere a strumenti di recupero crediti, come l’ingiunzione di pagamento.
Cosa ben diversa, ovviamente, è la morosità nel pagamento canone di locazione. Per non trovarsi di fronte a spiacevoli sorprese, prima di affidare un immobile in locazione è possibile consultare la banca dati della morosità immobiliare, giusto per capire con chi si avrà a che fare.
Il lavoro dell’amministratore condominiale comprende grandi responsabilità e lo svolgimento di numerose mansioni, tutte collegate alla gestione di uno o più condomini. Ma quanto guadagna, in Italia, un amministratore di condominio?
La categoria sostiene di essere pagata poco. Anzi, pochissimo. I condòmini, però, ritengono che le spese per l’amministratore siano eccessive. Chi ha ragione?
Premessa
I guadagni di un amministratore di condominio sono variabili in base al numero degli edifici e delle unità immobiliari gestite. Non esistono tariffari nazionali ma, come previsto dall’articolo 1129 del Codice Civile, l’amministratore è obbligatorio in presenza di più di otto proprietari.
Data la crescente complessità di gestione dei contesti condominiali, sono in costante aumento i condomini che decidono di avvalersi di questa figura professionale, anche nei casi non espressamente obbligatori per legge.
In apparenza, infatti, la vita di condominio può sembrare tranquilla. Ma la stretta vicinanza di diversi nuclei familiari può generare malumori e problematiche comuni tra i condòmini. La figura dell’amministratore di condominio interviene proprio per gestire questi problemi, oltre che per amministrare le finanze condominiali.
Il calcolo base
L’amministratore riceve una quota per ogni unità immobiliare presente nel condominio che amministra. In media, si tratta di circa 50-80 euro l’anno per unità, con tariffe che possono aumentare a seconda della posizione geografica dell’edificio, della sua complessità di gestione, del pregio e di molto altro. In linea generale, per uno stabile condominiale di media grandezza in una grande città, si può arrivare a 80-120 euro l’anno per appartamento, cifra che può superare anche i 300 euro per condomini più lussuosi.
Questo significa che, al mese, un amministratore di condominio percepirà una media tra i 4 e i 10 euro per unità condominiale, con picchi anche di 25 euro per contesti maggiormente pregiati.
Il confronto con gli altri Paesi europei
Sembra che in Italia gli stipendi di un amministratore di condominio siano tra i più bassi di tutta Europa. Ecco alcuni dati forniti dall’Associazione Nazionale Amministratori Condominiali e Immobiliari in merito al guadagno medio di un amministratore italiano rispetto ai suoi colleghi europei, per unità immobiliare al mese:
• Italia 8 euro;
• Francia 15 euro;
• Lussemburgo 16 euro;
• Belgio 17 euro;
• Paesi Bassi 23 euro;
• Germania 25 euro.
Stando alla media nazionale di 8 euro per unità immobiliare e considerando un condominio da 20 unità immobiliari, il compenso mensile di un amministratore sarà quindi di 160 euro per condominio, tasse e oneri vari esclusi.
Il compenso di un amministratore
Per comprendere quanto sia l’effettivo guadagno mensile, bisogna però prendere in considerazione i diversi elementi che determinano il compenso dell’amministratore:
• il numero di condomini gestiti;
• il numero totale di unità immobiliari amministrate;
• l’ubicazione degli stabili condominiali;
• i servizi effettivamente offerti;
• i compensi concordati con l’assemblea condominiale.
In linea generale, i prezzi vengono concordati a partire dal tariffario da amministratore di condominio ANACI, ovvero l’Associazione Nazionale Amministratori Condominiali e Immobiliari. Questo fornisce le linee guida sui compensi medi per questa tipologia di professione. Tuttavia il singolo amministratore può accordarsi per cifre più elevate.
Ipotizzando che il professionista riceva 80 euro l’anno per ogni unità, il costo dell’amministratore di condominio per 6 unità immobiliari sarà di circa 480 euro l’anno, pari a 40 euro mensili.
Poiché difficilmente il singolo professionista gestisce uno stabile solo, si può ipotizzare che un professionista di media esperienza, che si occupa di una ventina di condomini dalle unità immobiliari e dai compensi variabili, possa attestarsi su un guadagno di 3mila euro lordi mensili, che si traducono in uno stipendio netto per l’amministratore di condominio di circa 1.500-1.800 euro mensili.
Si tratta di riferimenti soltantoindicativi perché, come già precisato, molto dipende dalle tariffe concordate, dalla complessità del condominio e dalla zona in cui è situato.
Per questa ragione, la forbice di fatturato può essere molto ampia: dai 20mila agli oltre 60mila euro l’anno.
L’importo può variare in base alle proprie capacità e all’esperienza maturata e, di conseguenza, al numero di condòmini che si riescono a gestire contemporaneamente. La cifra che si può raggiungere dipende infatti dal numero di condòmini che si amministrano, dal numero di appartamenti e dalla complessità della gestione.
Naturalmente, un amministratore di condominio fresco di corso o nei suoi primi 2-3 anni di esperienza lavorativa avrà meno immobili da gestire (potenzialmente solo uno, nel primo anno di attività) e riceverà di conseguenza un compenso inferiore. Nel corso degli anni, però, le cifre possono alzarsi sensibilmente: un amministratore di condominio con oltre 20 anni di esperienza e con più condomini grandi in gestione può guadagnare cifre di molto superiori alla media sopra riportata.
La determinazione dello stipendio dell’amministratore
L’amministratore è tenuto a concordare preventivamente il suo compenso.
Infatti, l’articolo 1129 del Codice Civile impone l’obbligo di presentare un preventivo dettagliato, includendo sia le attività ordinarie sia quelle straordinarie.
Di norma, viene prevista una quota fissa per unità immobiliare e una variabile in base agli incarichi aggiuntivi.
È l’assemblea condominiale che, al momento del rinnovo annuale del contratto con l’amministratore o in caso di nuova nomina, deve analizzare e approvare il preventivo presentato, secondo le maggioranze previste dall’articolo 1136 del Codice Civile.
Il compenso concordato può essere modificato in itinere, ad esempio quando emergono nuove esigenze del condominio o nel caso si rendesse necessario assegnare ulteriori incarichi.
L’onorario di un amministratore di condominio deve coprire le spese sostenute da questo professionista per svolgere le sue mansioni. La normativa di riferimento si trova in diversi articoli del Codice Civile. Ad esempio nell’Art. 1129 “Nomina, revoca ed obblighi dell’amministratore”, nell’Art. 1130 “Attribuzioni dell’amministratore”, nell’Art. 1131 “Rappresentanza” e infine nell’Art. 1133 “Provvedimenti presi dall’amministratore”.
La corresponsione del compenso
L’amministratore ha diritto di prelevare il proprio compenso dal conto corrente condominiale, rilasciando fattura.
Naturalmente, il corrispettivo prelevato deve essere quello approvato dall’assemblea in sede di nomina o rinnovo.
Il compenso dell’amministratore è suddiviso tra i condòmini in base ai millesimi e il suo corrispettivo deve essere corrisposto:
• da tutti i condomini,
• dal locatore (proprietario dell’immobile) e non dal conduttore.
Il pagamento dell’amministratore avviene annualmente, al termine del mandato. Nel caso di revoca, durante il mandato, egli matura il diritto al compenso per l’attività sino ad allora svolta. Nell’ipotesi di revoca senza giusta causa, ha diritto ad ottenere integralmente il compenso.
Le possibilità di carriera degli amministratori
In genere, la carriera di un amministratore di condominio inizia con la gestione di un singolo stabile, per poi passare nel corso degli anni all’acquisizione e alla gestione di più immobili.
Di solito l’acquisizione avviene tramite canali commerciali tradizionali (come brochure, biglietti da visita e volantini), canali commerciali online (come un sito web o l’iscrizione a liste online) o tramite il classico passaparola. Ecco perché in questa professione le abilità personali, che in genere consentono di crearsi una buona reputazione, sono molto importanti.
Da liberi professionisti a imprenditori
A condomini più grandi e articolati corrispondono in genere maggiori responsabilità: un amministratore di condominio alle prese con la gestione di un immobile molto popoloso, magari composto da più palazzine con impianti distinti, dovrà infatti trascorrere molto tempo amministrando le finanze condominiali e contattando i fornitori per risolvere le problematiche emerse con gli impianti e le parti comuni.
Per questo motivo, spesso gli amministratori di condominio non lavorano da soli, ma assumono uno o più collaboratori; questi possono svolgere mansioni di segretariato o mansioni più tecniche, come piccole manutenzioni o consulenze sui grossi lavori da effettuare nei vari stabili.
Se l’attività si ingrandisce ulteriormente, sarà possibile diventare veri e propri imprenditori nel settore immobiliare: esistono infatti studi associati che riuniscono più amministratori di condominio, oppure studi creati da un singolo amministratore che si avvale di una folta schiera di collaboratori. In questo caso, il guadagno dipenderà non solo dal numero di immobili gestiti dallo studio, ma anche dalle abilità imprenditoriali del suo fondatore.
I compiti di un amministratore
I compiti di un amministratore di condominio comprendono le seguenti attività:
• Rappresentanza legale e processuale del condominio;
• Gestione ordinaria del condominio;
• Convocazione delle assemblee periodiche;
• Adempimento degli obblighi fiscali;
• Gestione dei registri condominiali;
• Garanzia dell’osservanza del regolamento condominiale;
• Sollecito dei pagamenti dei condòmini morosi;
• Gestione straordinaria.
Gestione ordinaria e gestione straordinaria
L’importo preventivato dall’amministratore per la gestione ordinaria annuale deve basarsi sul tempo dedicato a svolgere le funzioni sopra elencate, nonché su tutti i costi sostenuti (come i costi degli stipendi di eventuali collaboratori, il costo dell’affitto dello studio e delle relative utenze o i costi di software e altri strumenti tecnologici).
Per coprire almeno in parte le spese vive, alcuni amministratori chiedono al condominio un rimborso per le spese di cancelleria o altre spese amministrative.
L’importo annuale richiesto dall’amministratore di condominio per la gestione ordinaria deve essere accettato dai condòmini durante l’assemblea ordinaria annuale e deve essere specificato nel bilancio preventivo del condominio, unitamente alla stima di eventuali rimborsi spese. Non tutte le spese sostenute dall’amministratore nel suo lavoro quotidiano sono addebitabili al condominio, che può sempre vigilare sulle spese esposte dall’amministratore ed eventualmente contestarle.
Un discorso a parte va fatto per i lavori straordinari che, come dice il nome stesso, esulano dalle spese fisse annuali e comportano un aumento del carico di lavoro per l’amministratore di condominio. In questo caso, durante l’assemblea straordinaria per l’approvazione della spesa aggiuntiva, l’amministratore può chiedere al condominio un onorario extra (in genere calcolato come una piccola percentuale che si aggira di solito intorno al 2-3% dell’importo complessivo dei lavori straordinari).
Quante ore lavora un amministratore di condominio
Questa professione non è regolata da orari rigidi, di conseguenza il tempo dedicato alla gestione dei condomini dipenderà dalla complessità degli stessi, dagli incarichi concordati con l’assemblea condominiale e molto altro ancora.
A scopo esemplificativo, si può ipotizzare che il tempo necessario per le attività tipiche dell’amministratore all’incirca sia:
• di 10-15 ore settimanali per condomini piccoli, fino a 10 unità immobiliari;
• di 20-30 ore settimanali per condomini medi, fino a 30 unità immobiliari;
• oltre 40 ore per condomini grandi, dal numero di unità immobiliari particolarmente grande.
A queste tempistiche, dovranno essere aggiunte anche le eventuali ore aggiuntive per imprevisti, emergenze e altre questioni che richiedono l’improvvisa presenza dell’amministratore.
In ogni caso, le fasce temporali indicate hanno valore solamente generico poiché, come più volte ribadito, quella dell’amministratore è una professione versatile e flessibile, che non può essere riassunta all’interno di orari lavorativi standard.
Come diventare amministratore di condominio
Per svolgere questo lavoro non occorre conseguire alcuna laurea, ma è necessario essere in possesso di alcuni requisiti, quali:
• l’ottenimento del diploma di scuola superiore secondaria;
• l’essere in possesso di tutti i diritti civili;
• non aver commesso reati contro la pubblica amministrazione, l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica o il patrimonio;
• non aver subito pene detentive tra 2 e 5 anni per reati non colposi;
• non essere interdetti, inabilitati o protestati.
Inoltre, è fondamentale superare un apposito corso di formazione.
L’accesso alla professione è infatti regolamentato dalle disposizioni presenti nell’articolo 71 del Regio Decreto 318/48, poi aggiornato dalla Legge 220/2012, nota anche come Riforma del Condominio.
Questi corsi in genere sono erogati da enti privati e sono a pagamento. Al termine del corso si ottiene un attestato che permette di inserire il proprio nome nelle liste degli amministratori di condominio disponibili e iniziare a candidarsi per la gestione di una o più palazzine.
A supporto della propria attività ci si potrà iscrivere anche a un’associazione di categoria. Queste chiedono in genere una quota associativa di poche centinaia di euro all’anno, a fronte di aggiornamenti costanti sulle normative e sulle buone prassi del settore. La frequenza di corsi di aggiornamento professionale costituisce infatti un obbligo ai sensi del Codice Civile.
Una volta in possesso dei requisiti previsti, il professionista può avviare la sua professione, ad esempio in regime di Partita IVA, con codice ATECO 68.32.00.
Infine, per gestire le finanze di un condominio occorre dotarsi di un apposito software gestionale. Ne esistono di diversi, ma i software più sofisticati e completi costano alcune centinaia di euro.
Si precisa che il titolo di studio non è necessario per coloro che risiedono nello stesso stabile condominiale e hanno condotto per almeno un anno, nei tre precedenti all’entrata in vigore della Riforma del Condominio, l’attività in carica da amministratori.
In un condominio di 15 unità, alcune abitative e altre commerciali, è stato affermato che l’IVA pagata sulle fatture addebitate non è detraibile per il condominio e quindi viene ri-addebitata ai singoli condòmini. Si tratta non solo delle classiche spese (compenso amministratore, pulizie condominiali e fornitura di energia elettrica), ma anche dei lavori di ristrutturazione dei muri perimetrali, le cui spese non possono usufruire dei bonus edilizi.
I lavori relativi alle parti comuni dell’edificio devono essere fatturati al condominio, in quanto quest’ultimo è il consumatore finale dei servizi fatturati. Per essere più chiari, l’imposta di cui alle fatture in possesso dell’amministratore addebitata dai vari fornitori al condominio non costituisce, per un condòmino soggetto passivo d’imposta, titolo idoneo alla relativa detrazione.
Quanto alle spese di ristrutturazione che riguardano le parti comuni di edifici condominiali, come osservato dal Fisco, spettano le seguenti detrazioni:
• 50 per cento delle spese sostenute (bonifici effettuati dall’amministratore) fino al 31 dicembre 2024 con un limite massimo di spesa di 96mila euro per ciascuna unità immobiliare;
• 36 per cento con il limite massimo di spesa di 48mila euro per unità immobiliare, delle somme pagate dal 1° gennaio 2025.
L’appuntamento annuale con Osservatorio congiunturale dell’Associazione nazionale costruttori edili ha scattato una fotografia del comparto con un focus sulla casa, che molte famiglie non solo non riescono a comprare, ma neppure ad affittare.
L’accesso alla casa
Il sogno della casa di proprietà sta diventando sempre più irraggiungibile per 10 milioni di famiglie italiane, specialmente nelle grandi città. Un sogno proibito, dunque. Inaccessibile come lo è il lusso più sfrenato, per chi in tasca non dispone di fortune.
Ma non è solo l’acquisto di un immobile ad essere diventato un miraggio. Anche sostenere i costi per l’affitto è un problema per tantissime famiglie.
Il vero nodo critico emerge dall’analisi dell’indice di accessibilità elaborato dal Centro Studi dell’ANCE, che misura quanto pesano le rate del mutuo sul reddito familiare. I risultati non sono dei più rosei: per le famiglie meno abbienti, l’acquisto di una casa richiede in media il 38,8% del reddito disponibile, ben oltre la soglia di sostenibilità del 30%. La situazione diventa drammatica nelle grandi città: a Milano l’indice raggiunge l’82,9%, mentre a Roma e Firenze si attesta intorno al 61%.
L’alternativa dell’affitto non offre prospettive migliori. Le famiglie meno abbienti devono destinare in media il 36,1% del proprio reddito al canone di locazione nei capoluoghi, con picchi del 70% a Milano e del 60% a Roma e Firenze. La situazione è ulteriormente aggravata dall’esplosione degli affitti brevi, che ha reso proibitive le locazioni tradizionali nelle grandi città: a Milano si arriva a dover destinare il 46% del reddito all’affitto, mentre a Roma e Firenze le percentuali oscillano intorno al 40%.
Questo scenario si inserisce in un contesto demografico in evoluzione: mentre i grandi centri urbani mantengono o aumentano leggermente la popolazione (58.971.230 residenti totali a fine 2023), si assiste a un progressivo spopolamento dei comuni più piccoli, specialmente nelle aree interne. Il 57,8% dei comuni italiani ha perso popolazione nel 2023, con un impatto particolare sui centri fino a 5mila abitanti.
Secondo i numeri raccolti dall’Ance, dunque, non è solo un problema per i nuclei più fragili, ma anche per quelli il cui reddito è troppo alto per rientrare nei requisiti delle case popolari ma è troppo basso per soddisfare i prezzi del mercato libero.
Le proposte di Ance e Confindustria
La presidenza dell’Ance ha illustrato il documento di proposte redatto con Confindustria per individuare soluzioni abitative per i lavoratori e le famiglie italiane. Come evidenziato dalla presidente di Ance, Francesca Brancaccio: “Se vogliamo un Paese socialmente coeso, sano, inclusivo, dobbiamo affrontare e risolvere il problema dell’accesso alla casa”.
Le proposte si basano su tre pilastri: misure fiscali, semplificazioni urbanistiche e amministrative e lo sviluppo di strumenti fiscali che possano rendere possibile la partecipazione all’investimento dei privati.
Il vicepresidente Ance, Pietro Petrucco: “Molti Paesi stanno adottando piani nazionali mirati per affrontare la crisi abitativa e garantire soluzioni adeguate alle esigenze della popolazione. Siamo consapevoli, in un contesto di vincoli di bilancio, che le risorse pubbliche non saranno sufficienti a soddisfare tutti i fabbisogni. Per questo non abbiamo altra strada se non quella di coinvolgere i privati. Purtroppo, le modifiche recentemente introdotte alla disciplina del PPP nel Correttivo al Codice dei contratti non vanno nella direzione di favorire l’iniziativa privata”.
Un nodo europeo
Se l’Italia piange, l’Europa non ride, dice Ance che da sempre mantiene un occhio rivolto alle dinamiche in atto nel Vecchio Continente.
E se da un lato i Paesi dell’Unione presentano mercati immobiliari molto diversi l’uno dall’altro la crisi morde un po’ tutti e la questione dell’emergenza abitativa inizia a scalpitare anche sulla scena politica europea.
Non a caso, dicono in Ance, è arrivata la nomina a Commissario per l’energia e l’edilizia abitativa di Dan Jørgensen che secondo i costruttori rappresenta un’assunzione di responsabilità chiara della Commissione europea.
A chiudere il cerchio c’è poi l’incarico alla Bei di offrire gli strumenti finanziari per piani di offerta abitativa a canoni accessibili.
Le grandi manovre sulla casa nella Ue sono iniziate con un messaggio chiaro: senza un tetto, soprattutto sulla testa dei giovani, niente sviluppo.
Sono proprietario di tre appartamenti che vorrei utilizzare per la locazione breve, mediante il loro inserimento su un sito dedicato. L’intermediario mi ha comunicato che all’atto del pagamento applicherà una ritenuta del 21 per cento. Posso avere precisazioni in merito?
I redditi che derivano dalla stipula di contratti di locazione breve possono essere assoggettati a due diverse modalità di tassazione: la tassazione ordinaria e la cedolare secca.
La scelta tra regime ordinario e cedolare secca va fatta tenendo conto di diversi fattori, tra cui la presenza di altri redditi che fanno aumentare il reddito complessivo. Di conseguenza, l’applicazione di un’aliquota d’imposta più elevata e la presenza di oneri detraibili e deducibili che, per loro natura, possono essere portati in deduzione dell’Irpef e non dalle imposte sostitutive (quindi, nemmeno dalla cedolare secca).
Ad esempio, il contribuente che non ha altri redditi oltre quelli derivanti dalle locazioni brevi e che magari ha effettuato degli interventi che danno diritto ad una detrazione, ha convenienza ad applicare il regime ordinario perché, altrimenti, perderebbe le detrazioni spettanti.
Quindi, nel caso descritto, se il contribuente optasse per il regime di cedolare secca, su un immobile (a scelta del contribuente stesso) applicherebbe l’aliquota del 21% mentre sul secondo e sul terzo applicherebbe quella del 26%.
I contratti di locazione breve possono essere conclusi direttamente oppure tramite intermediari, che possono essere anche soggetti che gestiscono portali telematici.
In quest’ultimo caso, se gli intermediari intervengono all’atto del pagamento, devono operare una ritenuta sul corrispettivo incassato. La ritenuta è applicata in misura pari al 21% sull’importo del corrispettivo lordo indicato nel contratto di locazione breve, mentre non devono essere assoggettati a ritenuta eventuali penali o caparre o depositi cauzionali, in quanto si tratta di somme di denaro diverse ed ulteriori rispetto al corrispettivo.
La ritenuta è applicata a titolo di acconto. Questo significa che il contribuente deve poi indicare i dati nel modello di dichiarazione dei redditi e versare l’eventuale differenza di imposta.
La ritenuta, quindi, è applicata indipendentemente dal regime scelto e rappresenta sempre un importo già versato a titolo di imposte.
Pertanto, laddove il contribuente dovesse applicare il regime ordinario, l’importo della ritenuta subita sarebbe riconosciuto in riduzione dell’Irpef da versare sui canoni di locazione.
Sto ristrutturando il mio appartamento. Contemporaneamente il condominio ha avviato il rifacimento dei balconi delle varie unità immobiliari: queste spese rientrano negli stessi massimali di detrazione o devono essere inserite in un capitolo a parte?
Le detrazioni sui lavori che il condominio ha deciso di effettuare sui balconi devono essere considerate separatamente rispetto a quelle applicate alla ristrutturazione della singola unità immobiliare.
Quindi, il limite di spesa si applica a ogni singolo intervento e non alla totalità delle spese sostenute per i lavori condominiali e per quelli sull’appartamento.
A precisarlo è la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 7/2017: “Le spese relative ai lavori sulle parti comuni dell’edificio, essendo oggetto di un’autonoma previsione agevolativa, devono essere considerate in modo autonomo ai fini della individuazione del limite di spesa detraibile. Pertanto, nel caso in cui vengano effettuati, dal medesimo contribuente, anche nello stesso edificio, sia lavori condominiali che lavori sul proprio appartamento la detrazione spetta nei limiti di spesa applicabili disgiuntamente per ciascun intervento”.
Nel caso descritto, è possibile detrarre il 50 per cento fino a un massimo di 96mila euro di spesa sostenuta per la ristrutturazione sull’unità immobiliare.
Analoga percentuale, sempre su un tetto di spesa di 96mila euro riferito alla quota attribuita dal condominio, si può detrarre ai lavori sui balconi decisi dall’assemblea.
Il condominio può continuare a esercitare l’opzione per lo sconto in fattura ai sensi dell’articolo 121 del decreto Rilancio per ulteriori interventi che danno diritto al Superbonus, se alla data del 30 marzo 2024, ha pagato almeno in parte i lavori edili effettuati. La locuzione “lavori già effettuati” si riferisce esclusivamente a interventi edilizi, escludendo spese professionali, oneri di urbanizzazione e altre spese preparatorie.
È la conclusione raggiunta dall’Agenzia delle entrate nella risposta n. 26 del 12 febbraio 2025, con la quale ha fornito un chiarimento sull’applicazione delle deroga al generale divieto all’esercizio delle opzioni per la fruizione con modalità alternative alla detrazione (sconto in fattura o cessione del credito corrispondente alle detrazioni) operato dal Dl n. 11/2023 (“decreto Cessioni”) come rivisto dal più recente Dl n. 39/2024 emanato lo scorso anno.
Nel caso specifico, il condominio ha deciso, tramite un’assemblea straordinaria tenutasi nel 2022, di effettuare lavori per i quali intende usufruire delle detrazioni del Superbonus, affidando gli interventi a un general contractor interessato ad applicare lo sconto in fattura. Dopo aver presentato la Cilas il 25 novembre 2022, il condominio ha dovuto cambiare il general contractor e ha fissato l’inizio dei lavori per il 6 novembre 2023. Inoltre, il condominio intende utilizzare il Superbonus con una detrazione del 70% per le spese del 2024, rientrando nelle deroghe previste dal decreto Cessioni.
Il condominio chiede se può continuare a utilizzare lo sconto in fattura anche dopo l’entrata in vigore del decreto-legge n. 39/2024, nonostante non ci siano fatture dirette tra il general contractor e il condominio al 30 marzo 2024.
Il Dl n. 39/2024, osserva l’Agenzia, ha introdotto significative modifiche riguardanti l’esercizio delle opzioni per lo sconto in fattura e la cessione del credito d’imposta, regolate dall’articolo 121 del Dl n. 34/2020 (il decreto Rilancio). Queste modifiche si inseriscono in un contesto normativo già complesso, che ha visto l’introduzione di divieti e deroghe nel corso degli ultimi anni.
Il decreto Cessioni ha stabilito, a partire dal 17 febbraio 2023, un divieto all’esercizio delle opzioni alternative alla detrazione, come lo sconto in fattura o la cessione del credito. Tuttavia, i commi successivi hanno previsto specifiche deroghe a tale divieto, applicabili solo al verificarsi di determinate condizioni. Nel dettaglio, al comma 2, ha previsto che il divieto non si applica per le spese sostenute per interventi che beneficiano del Superbonus e per altre detrazioni specifiche. Inoltre, ha stabilito che il divieto non opera se, prima del 17 febbraio 2023, è stata adottata una delibera assembleare da parte dei condomini e presentata la comunicazione di inizio lavori asseverata (Cila).
L’articolo 1 del decreto-legge n. 39/2024 ha ulteriormente rimodulato l’ambito di applicazione delle deroghe previste dal decreto Cessioni. In particolare, al comma 5 stabilisce che le disposizioni di cui all’articolo 2, commi 2 e 3, non si applicano agli interventi per i quali, alla data di entrata in vigore del decreto, non è stata sostenuta alcuna spesa documentata da fattura per lavori già effettuati.
Tale modifica ha l’obiettivo di garantire che solo coloro i quali hanno effettivamente sostenuto spese documentate per lavori già effettuati possano continuare a esercitare le opzioni di sconto in fattura o cessione del credito.
Le deroghe al divieto di esercizio delle opzioni continuano a operare solo se, entro il 30 marzo 2024, sono stati effettuati lavori e sono state sostenute le relative spese.
Inoltre, l’Agenzia ricorda che, nell’ipotesi di pagamento tramite bonifico, secondo la risposta n. 137/2024, la spesa si considera sostenuta nel momento in cui viene dato l’ordine di pagamento alla banca. Pertanto, non è rilevante il momento in cui avviene l’effettivo addebito sul conto corrente del committente.
Per quanto riguarda i lavori già effettuati e le tempistiche, invece, precisa che per esercitare l’opzione di sconto in fattura, è necessario che il pagamento avvenga entro il 30 marzo 2024 e si riferisca a “lavori già effettuati”. Questa condizione soddisfa il requisito per le spese sostenute successivamente a tale data riguardanti gli interventi indicati nella Cilas, o nel titolo abilitativo richiesto.
La condizione di “lavori già effettuati” è soddisfatta se il pagamento, documentato da fattura, è effettuato entro il 30 marzo 2024 e si riferisce alla realizzazione, anche parziale, dei lavori. Inoltre, è possibile che la spesa sia sostenuta da un soggetto diverso dal committente finale, purché documentata adeguatamente. Ne consegue che l’opzione per lo sconto in fattura o per la cessione del credito può essere esercitata anche dal committente che si avvale di un appaltatore (ad esempio, di un contraente generale) il quale, nonostante abbia pagato alla data del 30 marzo 2024 ai subappaltatori una parte dei lavori effettuati, non abbia entro tale data emesso fattura nei confronti del committente in relazione ai medesimi lavori. Anche in tale ipotesi, precisa l’Agenzia, i pagamenti devono riferirsi a “lavori già effettuati”.
Quando più interventi sono compresi nello stesso titolo abilitativo, la condizione è soddisfatta se le spese pagate si riferiscono anche a solo uno degli interventi. Resta fondamentale che il legame tra il pagamento e il committente, beneficiario finale dell’agevolazione, sia debitamente documentato.