Il Superbonus, la maxi agevolazione fiscale introdotta negli ultimi anni per incentivare interventi di riqualificazione edilizia ed energetica, continua ad essere al centro del dibattito pubblico.
Un recente studio della Banca d’Italia, intitolato “Il ruolo del superbonus nella crescita dei costi di costruzione delle abitazioni in Italia”, pubblicato a dicembre nella collana “Questioni di economia e finanza”, ha messo in luce l’impatto significativo che questa misura ha avuto sui costi di costruzione e sul mercato immobiliare, sollevando interrogativi sull’efficacia e le conseguenze di politiche di questa misura.
Secondo l’analisi, circa il 50 per cento dell’aumento complessivo dei costi di costruzione registrato tra il 2020 e il 2023 è direttamente attribuibile al Superbonus. In termini numerici, il bonus ha provocato un incremento complessivo dei costi di costruzione pari al 20 per cento.
Questi aumenti si sono concentrati principalmente su materiali essenziali come il legno e i prodotti necessari per l’isolamento termico, in particolare per la realizzazione del cappotto termico. L’introduzione del Superbonus, avvenuta in un momento di grande difficoltà logistica e di crescita esplosiva della domanda globale post-pandemia, ha aggravato le pressioni sui mercati, causando carenze strutturali e dinamiche speculative.
Dal punto di vista economico, il Superbonus ha comportato una spesa pubblica che, secondo le stime, ha superato i 150 miliardi di euro entro il 2024.
Questa misura, secondo lo studio di Francesco Corsello e Valerio Ercolani della Banca d’Italia, ha inciso significativamente sull’indebitamento netto, con un impatto pari all’1 per cento del PIL nel 2021, al 3 per cento nel 2022 e al 4 per cento nel 2023.
Questi numeri hanno portato il governo a ridurre gradualmente l’aliquota agevolabile, scesa al 65 per cento per le spese sostenute nel 2025.
Nonostante l’esplosione dei costi di costruzione, l’impatto sul mercato immobiliare è stato relativamente contenuto. L’aumento dei prezzi dei materiali e della manodopera non si è tradotto in un corrispondente incremento del prezzo al metro quadro per gli immobili.
Tuttavia, per contrastare eventuali speculazioni, il Governo ha introdotto una tassazione extra sulle plusvalenze derivanti dalla vendita di immobili che hanno beneficiato degli interventi agevolati, applicando un’imposta sostitutiva del 26 per cento alle cessioni infradecennali.
Il Superbonus 110% è stato uno degli strumenti fiscali più ambiziosi degli ultimi anni, ma anche tra i più controversi.
Da un lato, ha favorito la transizione energetica, incentivando interventi di efficientamento energetico e miglioramento sismico.
Dall’altro lato, ha generato squilibri nel mercato, dinamiche speculative e truffe, oltre a rappresentare un costo rilevante per le casse dello Stato.
Questa esperienza offre importanti spunti di riflessione per il futuro. Innanzitutto è emersa l’importanza di bilanciare gli incentivi fiscali con la capacità del mercato di assorbire un aumento della domanda senza generare distorsioni significative. Inoltre, è cruciale implementare meccanismi di monitoraggio più efficaci e procedure burocratiche più snelle per evitare ritardi e inefficienze.
Ridurre le distorsioni sui prezzi e ottimizzare il ritorno degli investimenti pubblici saranno obiettivi fondamentali per le future politiche di incentivazione, per garantire un equilibrio tra sostenibilità economica e benefici sociali.
In sintesi, per la Banca d’Italia il Superbonus ha rappresentato una lezione preziosa per offrire spunti utili a delineare le strategie per affrontare le sfide del settore edilizio e del mercato immobiliare nei prossimi anni: questa analisi solleva interrogativi sulla reale sostenibilità di simili interventi e sulla necessità di una programmazione più attenta per evitare distorsioni di mercato in futuro.
Un incentivo senza precedenti nel panorama fiscale italiano
Il Superbonus, introdotto dal Decreto Rilancio (D.L. 34/2020) come misura emergenziale per sostenere l’economia post-pandemica, rappresenta uno dei più estesi programmi fiscali mai attuati in Italia.
L’incentivo prevede un credito d’imposta fino al 110% per interventi di ristrutturazione edilizia volti al miglioramento dell’efficienza energetica e della resilienza sismica.
Fino a marzo 2024, prima dell’entrata in vigore del Decreto Legge 39/2024, il credito poteva essere utilizzato non solo come detrazione fiscale diretta, ma anche ceduto a terzi o applicato come sconto in fattura, rendendolo accessibile anche a soggetti con bassa capacità fiscale o scarsa liquidità.
Il Superbonus e le dinamiche dei costi di costruzione
Lo studio ha analizzato il nesso causale tra l’aumento dei costi di costruzione e l’applicazione del Superbonus attraverso un modello empirico basato sull’indice dei costi di costruzione (CCI) pubblicato mensilmente dall’Istat. Questo indice misura i costi diretti delle imprese edili, derivanti principalmente dalle spese per materiali e manodopera, oltre che dai costi di noleggio e trasporto.
Dai risultati emerge che l’aumento della domanda generata dal Superbonus ha esercitato una pressione significativa sui prezzi dei materiali edili, in particolare legno e metalli, e sui costi energetici, che hanno registrato picchi significativi nel periodo di massima applicazione dell’incentivo. L’indice CCI è aumentato di circa il 13 per cento dal settembre 2021 al dicembre 2023, con una correlazione diretta con l’andamento degli investimenti incentivati monitorati dall’ENEA.
Sorprendentemente, nonostante la portata del programma fiscale, la crescita dei costi di costruzione in Italia è stata inferiore rispetto ad altri Paesi europei, come la Germania.
Questo risultato è attribuibile a diversi fattori, tra cui una dinamica salariale stabile nel settore edilizio italiano e un impatto più contenuto delle strozzature dell’offerta rispetto ai Paesi del Nord Europa.
Tuttavia, lo studio evidenzia come i ritardi burocratici e amministrativi nella registrazione degli investimenti abbiano potenzialmente diluito l’effetto immediato del programma sui prezzi finali.
Implicazioni macroeconomiche e fiscali e costi di costruzione
Il Superbonus non ha solo alterato le dinamiche settoriali, ma ha anche avuto un impatto considerevole sui conti pubblici italiani.
Secondo le stime, l’incentivo ha comportato un incremento cumulato del deficit pubblico di circa 150 miliardi di euro, con un’incidenza crescente negli anni di massima applicazione.
Questo aumento del debito ha sollevato interrogativi sulla sostenibilità fiscale di programmi di tale portata e sulla loro efficacia nel raggiungere gli obiettivi dichiarati di transizione energetica e resilienza sismica.
Inoltre, lo studio rileva che l’incremento dei costi delle costruzioni non si è tradotto automaticamente in un aumento proporzionale dei prezzi finali delle abitazioni.
L’indice dei prezzi alla produzione del settore edilizio (PPI) ha infatti registrato un aumento più contenuto rispetto al CCI, suggerendo una compressione dei margini di profitto per molte imprese del settore.
Questo dato evidenzia come le dinamiche di mercato abbiano parzialmente assorbito l’impatto dell’aumento dei costi, limitando i rincari al consumatore finale.
Prospettive future per le politiche di incentivazione edilizia
L’esperienza del Superbonus fornisce importanti lezioni per la futura progettazione di politiche fiscali nel settore edilizio.
In primo luogo, emerge la necessità di bilanciare l’entità degli incentivi con la capacità del mercato di assorbire un incremento repentino della domanda.
In secondo luogo, è cruciale introdurre meccanismi di monitoraggio più tempestivi per evitare ritardi burocratici nella registrazione degli interventi, che possono alterare la capacità di analisi delle dinamiche economiche generate dagli incentivi.
Infine, lo studio evidenzia come un programma fiscale di tale portata possa generare benefici redistributivi concentrati principalmente tra i proprietari di immobili e i fornitori di materiali edili, senza necessariamente tradursi in un miglioramento generalizzato del benessere economico.
Per il futuro, dunque, è essenziale che eventuali nuovi incentivi siano progettati in modo da minimizzare gli effetti distorsivi sui prezzi e massimizzare l’efficacia degli investimenti pubblici.
Il libro “E vissero felici e vicini” è un manuale che ricerca soluzioni e spiega ai condòmini come si può raggiungere la felicità condominiale e avere un rapporto pacifico e armonico con chi ci abita accanto.
La maggior parte degli italiani che abita in condominio avrà pensato almeno una volta nella vita, con amarezza, che le liti sono all’ordine del giorno e che non c’è niente di più tedioso delle riunioni condominiali.
Eppure, non deve essere così!
Vivere in un condominio non deve essere una lotta continua per avere ragione, ma un’occasione per migliorare la nostra empatia verso gli altri e vivere tutti più serenamente.
Conoscere i nostri diritti e i nostri doveri nell’ambito condominiale, inoltre, ci può aiutare a vivere meglio e a evitare brutte sorprese.
D’altronde, poiché passiamo molto tempo in casa, perché non assicurarci di vivere tutti insieme in armonia? seguendo la semplice formula di “– Liti +Dialogo + Servizi”.
I primi tempi, quando ne parlavo con qualcuno, vedevo chiaramente lo sconcerto e i dubbi nelle espressioni di molti miei interlocutori. A parte rare eccezioni, gli altri scoppiavano direttamente a ridere.
In effetti, abbinare due parole come felicità e condominio sembra un ossimoro, così come portare la felicità nei condomini può apparire un’utopia. Io, però, sono sempre stata convinta di potercela fare. E, soprattutto, sicura che ne valesse la pena: non volevo passare la vita a difendere le ragioni di gente impegnata a litigare.
Ho preferito trovare un modo per prevenire discussioni, cause e conflitti che spesso finiscono per degenerare, diventando cause che spesso si trascinano per anni.
Quando ho iniziato questo lavoro, nel 2004, il mio modo di affrontare le gestioni condominiali era solo un approccio diverso di vedere l’amministrazione: un’impostazione più attenta alle aspettative e alle esigenze di chi vive in condominio. Qualcosa che, oltre a me, hanno sempre fatto altri amministratori e amministratrici lungimiranti.
Ecco, come alcuni tra i miei colleghi ero piena di entusiasmo e buona volontà, ma senza un vero e proprio progetto strutturato, né un nome da dargli.
Poi qualcosa ha iniziato a cambiare.
Nel corso degli anni, la mia sensazione era quella che il lavoro sul campo diventasse sempre più difficile. Avevo l’impressione che le persone fossero ogni giorno meno tolleranti e maggiormente bisognose di attenzione.
A quel punto ho provato a domandarmi le ragioni di questo peggioramento nelle relazioni.
Le cause?
Per definirle chiaramente servirebbe un’indagine sociologica: io posso pronunciarmi solo sulle conclusioni che ho tratto come amministratrice.
In primo luogo, credo c’entri il progressivo invecchiamento della popolazione italiana e il fatto che, a parte rare eccezioni, gli anziani sono generalmente meno flessibili rispetto alla convivenza con persone diverse da loro. La loro ridotta capacità di adattamento si è sommata all’aumento di individui con culture e abitudini differenti.
Questi due elementi, messi insieme, sono diventati un mix esplosivo nella condivisione degli spazi comuni. Inoltre, chi è in pensione tende a vivere il condominio a tempo pieno, sia per quanto riguarda la presenza a casa, sia per l’attenzione dedicata ai problemi del vivere comune e alla maggiore impazienza nel vederli risolti.
Il risultato rischia di essere un flusso incessante di chiamate e richieste all’amministratore affinché ammonisca i vicini e sanzioni i loro comportamenti, senza considerare che i cambiamenti nelle abitudini richiedono tempo e pazienza.
In aggiunta a tutto questo, ho notato una maggiore solitudine: un sentimento che accresce il bisogno di essere ascoltati. E non parlo solo degli anziani: sono aumentati anche i single che vivono soli, così come le persone separate con o senza figli. Situazioni di stress e isolamento che aumentano anche l’esasperazione e il nervosismo in caso di conflitti.
Tutto questo sembra essersi amplificato nel corso della pandemia da Sars-CoV-2 scoppiata a marzo del 2020.
In ogni caso nel 2017, quando ho cominciato a definire il mio progetto, i primi segnali di questi processi in corso erano già evidenti.
È stato in quel periodo che ho cominciato a coltivare il bisogno di dare un nome e un’impostazione alle strategie per la felicità condominiale che, fino ad allora, mi ero limitata a mettere in atto seguendo il mio istinto e le mie qualità migliori, ovvero capacità comunicativa ed empatia.
Volendo misurare la felicità in modo meno lungo, complesso e scientifico, è possibile considerare aspetti pratici ed economici.
Ad esempio, per quello che ho avuto modo di constatare, i condòmini più litigiosi sono quelli in cui le assemblee hanno una durata interminabile, inversamente proporzionale alla bontà dei risultati. Spesso si rivela impossibile affrontare le questioni più importanti: i punti all’ordine del giorno vengono persi per strada mentre i partecipanti si impantanano in interventi fuori tema, con recriminazioni e relative risposte.
Tutto questo porta a perdere di vista le vere ragioni per cui si è lì. Le ore perse a discutere sottraggono tempo ed energie a decisioni importanti che andrebbero analizzate con calma, lucidità e razionalità.
Insomma, uno spreco di tempo e soldi facilmente quantificabile.
Come?
A giudicare dalla mia esperienza, gli stabili in cui si litiga invece di deliberare pacificamente, sono quelli in cui il denaro viene speso peggio. A volte anche in quanto c’è di più inutile: decreti, cause, danni che potevano essere evitati grazie ad interventi e lavori approvati in assemblea, ecc.
Quelli che ho appena menzionato sono solo alcuni degli esempi che mostrano quanto possano essere vantaggiosi l’armonia e la serenità nelle relazioni condominiali.
L’obiezione più frequente a questo punto è: “Sì, certo. Tutto molto giusto e molto bello. Ma andare d’accordo in condominio è impossibile”.
Confesso che all’nizio del mio progetto questa replica mi dava parecchio sui nervi. La vedevo solo come una scusa per non darsi da fare. Anche perché investire impegno ed energie per costruire una felicità condominiale costa molta fatica: nessuno lo sa meglio di me.
Poi, però, ho cominciato a studiare e a leggere assiduamente: volevo conoscere in modo approfondito la psicologia, le tecniche di mediazione e — in generale — tutto ciò che poteva essermi utile per affinare le mie capacità di gestione nelle relazioni tra gruppi di persone.
È stato solo a quel punto che ho avuto una rivelazione illuminante: molti di quelli che sostengono l’inevitabilità dei litigi condominiali ci credono sul serio.
La buona notizia è che si tratta di una convinzione assolutamente errata: ne ho le prove.
L’ho verificato in prima persona dopo aver visto una riduzione di circa il 30 per cento nelle liti all’interno dei condomini che amministro. Un segnale che, a giudicare dai questionari che mando annualmente, porta ad un progressivo aumento della felicità negli stabili dove le persone collaborano per una maggiore armonia.
La cattiva notizia? Cambiare le cose richiede molto impegno e costanza, sia da parte dei condòmini sia degli amministratori che si relazionano con loro. Intuito, capacità di ascolto ed empatia possono aiutare, ma la vera soluzione sta in un amministratore capace di capire che la gestione dei conti, dei fornitori, dei pagamenti e delle urgenze è importante quanto quella dei rapporti umani.
Oltre a prevenire ed evitare le liti, è importante anche creare momenti felici di aggregazione e di comunicazione.
Troppi vicini si incontrano solo durante riunioni condominiali cariche di tensioni e problemi irrisolti.
La prima idea che ho realizzato in questo senso, agli albori del mio progetto, era l’anti assemblea per eccellenza, l’aperitivo condominiale. L’obiettivo era quello di bere qualcosa e fare due chiacchiere in allegria. Divertirsi, insomma.
Mi è capitato di vedere impacciate presentazioni tra vicini che si parlavano per la prima volta o di assistere all’iniziale imbarazzo tra persone che avevano litigato anni prima ma, come succede spesso nelle situazioni conviviali, tutto si è risolto in modo amichevole.
Dopo i primi aperitivi, l’idea aveva già fatto breccia: qualcuno metteva a disposizione la sua casa, qualcun altro cucinava per l’occasione o portava altre bottiglie per ulteriori brindisi. Alcuni vicini hanno anche fatto amicizia, finendo per organizzare incontri del genere anche senza di me.
I risultati?
Un clima più rilassato alle riunioni di condominio, maggiore collaborazione e un’atmosfera visibilmente più serena sia tra i condòmini sia nei miei confronti.
A qualcuno potranno sembrare cambiamenti di poco conto, ma io li ho visti come grandi successi.
Al successo degli aperitivi sono seguite sessioni di giardinaggio nei giardini comuni in cui ci si organizzava tra vicini per abbellire gli spazi verdi condivisi.
Poi, quando tutto sembrava diventare poco a poco più semplice e mi organizzavo per mettere in pratica nuove iniziative, è arrivato il primo grande ostacolo da superare: una pandemia planetaria.
Il lockdown di marzo 2020 si è rivelato come la vera prova del nove per il mio progetto: milioni di persone bloccate nelle proprie case nelle situazioni più diverse.
Oltre ai malati in situazioni preoccupanti c’era davvero di tutto: professionisti in smartworking impegnati a saltare da una call all’altra, bambini desiderosi di giocare, ragazzi isolati dai coetanei, imprenditori e professionisti di settori che la pandemia ha messo in ginocchio, anziani e single soli, coppie in crisi costrette a passare 24 ore su 24 insieme, malati, disabili, categorie più fragili…
Insomma, un intero mondo di persone diverse che — all’improvviso — si trovavano rinchiuse fianco a fianco. E qui sono iniziate le biblioteche condominiali, la spesa sospesa, la condivisione delle password wifi.
Una delle parti poi più divertenti e nello stesso più pratiche è quella dell’individuazione delle tipologie di condòmini presenti nei vari condomini (solo alcune naturalmente) e delle soluzioni comunicative per poterli affrontare al meglio: il pignolo, il teppista, il bullo, l’assente, il rumoroso, lo spirito tragico, lo spione, il giardiniere, lo studente fuori sede, il nudista.
Insomma un vero e proprio viaggio in un mondo con il quale conviviamo quotidianamente, dal quale a volte vorremmo fuggire e con il quale invece è necessario imparare a convivere per raggiungere una felicità condominiale possibile!
A cura di: Simona BASTARI – Amministratore di CONDOMINIO FELICE
Chi é Simona Bastari: profilo dell’autore
Ragioniera, laureata in giurisprudenza all’Università di Macerata e iscritta alla seconda laurea in Scienza della comunicazione a Teramo, Simona Bastari ha intrapreso nel 2004 la professione di avvocato, entrando in società con un’altra ragazza.
Costituiscono insieme uno studio associato, che Simona decide di sciogliere nel 2015. “Anche se il lavoro andava molto bene e in rapporti con la socia erano molto buoni, inizio la professione di amministratore di condominio perché l’avvocato secondo me era troppo di parte e diventare giudice troppo difficile. Volevo pero un qualcosa che fosse mio e la persona che cercava una socia in questo ambito mi era piaciuta fin da subito”, racconta. Precisa: “Ritengo che la base giuridica per un amministratore sia fondamentale”.
Intanto, nel 2011 aveva incominciato a frequentare corsi di crescita personale, comunicazione, public speaking, gestione emozionale.
Nel 2017 si affida ad una società di personal branding che crea con lei “Condominio Felice”. “Si tratta di un brand unico in Italia perché volevo distinguermi da tutti gli amministratori e mettere al centro della mia professione la persona, il condomino, la comunicazione, con un chiaro obiettivo: diminuire la conflittualità per vivere più felicemente nel microcosmo condominio e vivere più felicemente io come amministratore”.
Oggi Simona continua a frequentare corsi per migliorare e nel contempo incomincia anche a partecipare a corsi dall’altra parte come formatore. Ha creato un brand di formazione che sia chiama “Amministratore di Successo” con Jessica Collu e Manuel de Stefano.”Sto per lanciare un mio percorso personale formativo che accompagnerà l’amministratore per 1 anno – precisa – ma è ancora presto per scoprirlo”.
Attualmente gestisce 170 condomini ad Ancona e dintorni.
Il bonus barriere architettoniche consiste in una detrazione fiscale pari al 75% delle spese sostenute per interventi mirati all’eliminazione delle barriere architettoniche su edifici esistenti e tale agevolazione è stata prorogata fino al 31 dicembre 2025 dalla legge n. 197/2022, ovvero la Legge di Bilancio 2023.
A tal proposito, un contribuente si è rivolto all’Agenzia delle Entrate, attraverso la Posta di FiscoOggi ponendo un interessante quesito.
Nel caso esaminato il contribuente ha spiegato che in un condominio è stato deciso di installare una piattaforma elevatrice nel giroscale interno, per agevolare la mobilità di persone disabili. Su un totale di 6 condòmini, solo 2 di essi hanno deciso di partecipare alle spese per questo intervento, pertanto è stato chiesto al Fisco se questi possono usufruire del beneficio fiscale sull’intero importo sostenuto per l’installazione della piattaforma elevatrice oppure se la detrazione del 75% è limitata alla parte di spesa calcolata in proporzione ai millesimi di proprietà.
In risposta l’Agenzia delle Entrate ha chiarito, innanzitutto, che la detrazione del 75%, introdotta dalla legge n. 234/2021 (Legge di Bilancio 2022) è finalizzata ad agevolare tutti gli interventi inerenti all’abbattimento delle barriere architettoniche e aventi ad oggetto esclusivamente scale, rampe, ascensori, servoscala e piattaforme elevatrici in edifici già esistenti.
Il Fisco, per rispondere al quesito posto, ha citato la risposta n. 291/2022 e la circolare n. 7/2021 attraverso le quali è stato spiegato cosa accade quando in un condominio solo un condomino sostiene le spese per l’installazione di un ascensore nel cavedio condominiale.
In tal caso al soggetto è riconosciuta la detrazione 75% solo entro il limite massimo consentito dalle disposizioni vigenti ratione temporis, con riferimento alla parte di spesa corrispondente alla ripartizione in base alla tabella millesimale del condominio oppure in base ad altre modalità stabilite dall’assemblea di condominio. In questo caso l’ascensore diventa “oggetto di proprietà comune” e utilizzabile da tutti i condòmini.
Per quanto riguarda, invece, il caso dell’installazione di un montascale o un elevatore, la detrazione 75% spetta interamente al condomino disabile che ha sostenuto integralmente le spese, proprio perché si tratta di mezzi di ausilio utilizzabili solo dai condòmini con disabilità. In tal caso, infatti, gli altri condòmini non hanno né la necessità, né l’interesse ad utilizzare tale dispositivo.
L’Agenzia delle Entrate ha concluso la risposta dichiarando, quindi, che nel caso esaminato e relativo all’installazione della piattaforma elevatrice, i due condòmini che hanno sostenuto le spese per effettuare tale intervento possono usufruire del beneficio fiscale sull’intero importo pagato.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI
La Legge di Bilancio 2025, tra le varie novità, ha introdotto una modifica importante relativa alle detrazioni Irpef per i contribuenti con reddito complessivo superiore a 75.000 euro.
Nello specifico, è stato introdotto dalla Legge di Bilancio 2025 il nuovo art. 16 -ter del D.P.R. 917/1986 (Testo unico delle imposte sui redditi), rubricato “Riordino delle detrazioni”, il quale prevede che, fermi restando gli specifici limiti previsti da ciascuna norma agevolativa, per i soggetti con reddito complessivo superiore a 75.000 euro le detrazioni dall’imposta sui redditi sono ammesse fino ad un tetto massimo calcolato moltiplicando un importo base, attribuito a seconda del reddito, per un coefficiente basato sul numero di figli fiscalmente a carico presenti nel nucleo familiare del contribuente. Sono compresi i figli adottivi, i figli nati fuori dal matrimonio ma riconosciuti, i figli affidati o affiliati.
Per quanto riguarda i nuovi massimali detraibili, i contribuenti con reddito complessivo tra 75.000 euro e 100.000 euro hanno un tetto massimo di spese detraibili pari a 14.000 euro, mentre i contribuenti con reddito complessivo superiore a 100.000 euro hanno un massimale di spese detraibili pari a 8.000 euro.
Tale massimale viene poi adeguato in base al numero di figli fiscalmente a carico del contribuente e i coefficienti sono:
• coefficiente 0,50: nessun figlio a carico;
• coefficiente 0,70: 1 figlio fiscalmente a carico;
• coefficiente 0,85: 2 figli fiscalmente a carico;
• coefficiente 1,00: con più di due figli fiscalmente a carico o almeno 1 figlio con disabilità.
Per fare un esempio pratico, se un contribuente ha un reddito complessivo superiore a 75.000 euro ma inferiore a 100.000 euro, e ha un figlio fiscalmente a carico, potrà detrarre le spese fino ad un tetto massimo di 9.800 euro (14.000 x 0,70), tenendo conto che in questa fascia il tetto massimo previsto è di 14.000 euro ma per contribuenti che hanno più di 2 figli a carico o almeno 1 figlio con disabilità.
Il comma 4 dell’art. 16-ter del D.P.R. 917/1986 precisa che non rientrano nel calcolo e, quindi, rimangono interamente detraibili per qualsiasi reddito:
• le spese sanitarie detraibili ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. 917/1986, comma 1, lettera c);
• le somme investite nelle startup innovative, detraibili ai sensi degli artt. 29 e 29-bis del D.L. 179/2012;
• le somme investite nelle PMI innovative, detraibili ai sensi dell’art. 4 del D.L. 3/2015, comma 9, seconda parte del primo periodo, e comma 9-ter;
• le rate di spesa sostenute entro il 31/12/2024;
• gli interessi sui mutui e i premi assicurativi relativi ai contratti stipulati fino al 31/12/2024.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI
Nel condominio in cui sono proprietario dell’immobile in cui abito dobbiamo rifare la guaina del tetto. Come viene calcolata la parcella dell’amministratore.
L’intervento di rifacimento della guaina è configurabile come manutenzione straordinaria.
L’amministratore può pertanto richiedere un compenso extra, che in linea generale varia dall’uno al 3 per cento rispetto al valore complessivo dei lavori.
Il compenso extra è però dovuto solo se l’incarico esula dalle mansioni indicate all’atto della sua nomina.
Si ricorda, infatti, che quando viene nominato, o anche semplicemente riconfermato, l’amministratore condominiale deve indicare in modo analitico il compenso e descrivere dettagliatamente le mansioni che andrà a svolgere.
Devo ristrutturare il mio appartamento, sito al piano rialzato di una bifamiliare. Attualmente, per accedervi, dall’area del parcheggio auto si devono salire 43 gradini oltre a una rampa di scale, interna all’edificio, di altri sei scalini. Installando un ascensore che dal parcheggio conduca alla nuova entrata dell’appartamento, consentendo di eliminare tutti i gradini, è possibile fruire del bonus barriere architettoniche al 75 per cento (da detrarre in 10 anni) o solo del bonus ristrutturazione al 50 per cento? Sarebbe possibile superare il problema degli ultimi sei gradini con l’installazione di un montascale?
Per l’intervento di installazione dell’ascensore che consenta l’abbattimento dei 43 gradini principali è possibile fruire della detrazione del 75 per cento, prevista per il superamento delle barriere architettoniche.
A condizione però che l’ascensore rispetti i requisiti tecnici previsti dal Dm Lavori Pubblici 14 giugno 1989, n. 236, anche nell’ipotesi che restino, dopo la costruzione, sei gradini non serviti dall’impianto. Questo perché l’intervento elimina, anche se non del tutto, le barriere esistenti.
In particolare, l’articolo 4 del Dm 236/1989 stabilisce che l’ascensore deve avere una cabina di dimensioni minime tali da permettere l’uso da parte di una persona su sedia a rotelle, con porte di cabina e di piano del tipo automatico, e di dimensioni adeguate per l’accesso di tale sedia.
Qualora non sia possibile installare cabine di dimensioni superiori, in caso di adeguamento di edifici preesistenti l’ascensore può avere una cabina di dimensioni minime di 1,20 metri di profondità e 0,80 metri di larghezza, con porta di accesso sul lato corto di luce netta minima di 0,75 metri.
Pertanto, se l’ascensore installato rispetta tali requisiti tecnici, consentendo l’effettivo superamento delle barriere architettoniche rappresentate dai 43 gradini, è possibile fruire della detrazione del 75 per cento, in alternativa alla detrazione del 50 per cento per ristrutturazioni edilizie.
Per quanto riguarda gli ultimi sei gradini interni, qualora si rendesse necessario installare un montascale per superarli, le relative spese potrebbero rientrare nella detrazione del 50 per cento per le ristrutturazioni edilizie, in quanto si tratterebbe di un intervento di manutenzione straordinaria su un edificio residenziale, a norma dell’articolo 16-bis del Tuir.
Il bonus prima casa 2025 consentirà anche quest’anno l’accesso alle agevolazioni fiscali sulle imposte di registro, ipotecarie a catastali dovute per l’acquisto dell’abitazione principale.
Per gli acquisti da privati o da imprese, in esenzione IVA, l’imposta di registro è ridotta dal 9 al 2 per cento, mentre le imposte ipotecarie e catastali sono dovute ciascuna nella misura di 50 euro.
Le imposte da versare, se la vendita è soggetta ad IVA, sono stabilite nella misura fissa di 200 euro.
L’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto da applicare in questo caso viene però ridotta dal 10 al 4 per cento.
Non è stata, invece, rinnovata l’esenzione totale delle imposte dovute per l’acquisto dell’abitazione principale.
L’agevolazione non è stata prorogata nemmeno lo scorso anno e al momento gli ultimi beneficiari saranno i giovani under 36 con ISEE fino a 40mila euro che hanno stipulato un contratto preliminare entro lo scorso 31 dicembre 2023 e hanno firmato il relativo rogito entro lo scorso 31 dicembre 2024.
Agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa
Le imposte dovute sull’acquisto della casa da destinare ad abitazione principale sono determinate secondo le regole che seguono.
Se il venditore è un privato o un’impresa, che vende in esenzione IVA:
• imposta di registro proporzionale nella misura del 2 per cento (anziché del 9 per cento), con un minimo di mille euro;
• imposta ipotecaria fissa di 50 euro;
• imposta catastale fissa di 50 euro.
Se si acquista da un’impresa, con vendita soggetta a IVA, le imposte da corrispondere sono:
• IVA ridotta al 4 per cento;
• imposta di registro fissa di 200 euro;
• imposta ipotecaria fissa di 200 euro;
• imposta catastale fissa di 200 euro.
A questi vantaggi si aggiungono altre due agevolazioni alla presentazione della dichiarazione dei redditi:
• la detrazione IRPEF del 19 per cento e fino a mille euro per le spese di intermediazione immobiliare;
• la detrazione degli interessi passivi sul mutuo.
Requisiti bonus prima casa
Per accedere al bonus prima casa dal 1° gennaio 2025 è necessario rispettare determinati requisiti. In particolare l’acquirente:
• non deve possedere abitazioni in tutto il territorio nazionale per le quali si è avuto accesso alle agevolazioni oppure, in alternativa, provvedere alla vendita entro 12 mesi;
• non deve essere proprietario di abitazioni nello stesso Comune in cui si richiedono le agevolazioni per l’acquisto della prima casa;
• deve essere residente nel Comune in cui si acquista casa o trasferire la residenza entro 18 mesi dall’acquisto che rientra nell’agevolazione;
• non deve essere titolare di diritto d’uso, usufrutto o abitazione di un altro immobile nello stesso Comune in cui si richiede l’agevolazione sull’acquisto della prima casa.
Abitazioni e categorie catastali
Ci sono, inoltre, determinate condizioni che devono essere valutate in relazione all’abitazione.
Nel rispetto dei requisiti oggettivi, l’agevolazione prima casa è prevista esclusivamente per gli immobili che rientrino in una delle seguenti categorie catastali:
• A/2, abitazioni di tipo civile;
• A/3, abitazioni di tipo economico;
• A/4, abitazioni di tipo popolare;
• A/5, abitazione di tipo ultra popolare;
• A/6, abitazione di tipo rurale;
• A/7, abitazioni in villini;
• A/11, abitazioni e alloggi tipici dei luoghi.
L’agevolazione è prevista anche per le pertinenze, in questo caso inserite nelle seguenti categorie catastali:
• C/2, magazzini e locali di deposito;
• C/6, rimesse e autorimesse;
• C/7, tettoie chiuse o aperte.
L’agevolazione spetta per una sola pertinenza, destinata in modo durevole al servizio dell’abitazione principale, per ciascuna categoria.
Anche tale pertinenza deve essere acquistata con il bonus prima casa.
Non permettono l’accesso alle agevolazioni gli immobili accatastati come:
• A/1, abitazioni di tipo signorile;
• A/8, abitazioni in ville;
• A/9, castelli e palazzi di eminente pregio storico e artistico.
Agevolazioni sui mutui
Oltre alle agevolazioni sulle imposte, per l’acquisto della prima casa in alcuni casi sono previste agevolazioni anche per la richiesta di mutui. Fattore importantissimo, in un momento difficile.
La misura, prevista anche per lo scorso anno, è stata rinnovata per il prossimo triennio con l’approvazione della Legge di Bilancio 2025.
Queste agevolazioni fiscali si applicheranno quindi fino al 31 dicembre del 2027.
Bonus prima casa under 36
La Legge di Bilancio 2023 aveva prorogato fino al 31 dicembre 2024 il bonus prima casa per giovani under 36.
Si tratta di un’agevolazione, introdotta dal decreto Sostegni bis, per chi ha un ISEE non superiore a 40mila euro e non ha compiuto il trentaseiesimo anno di età nell’anno del rogito.
L’agevolazione consiste nell’esonero totale dal versamento delle imposte di registro, ipotecarie e catastali.
Con la Legge di Bilancio 2025, la misura non è però stata prorogata.
Ci sono tuttavia ancora alcuni soggetti che potranno beneficiarne: i contribuenti che hanno stipulato e registrato il contratto preliminare entro il 31 dicembre 2024.
Inoltre, le agevolazioni non spetteranno se il contribuente acquisisce l’immobile a seguito di provvedimento giudiziale, con verbale di aggiudicazione redatto nel 2023 e decreto di trasferimento immobiliare emanato nel 2024.
La legge di conversione del decreto Milleproroghe permette di beneficiare dell’incentivo a chi ha stipulato l’atto notarile entro la scadenza dello scorso 31 dicembre 2024.
Su tali aspetti le istruzioni dell’Agenzia delle Entrate sono state fornite nella circolare n. 14/2024.
Ulteriori chiarimenti sono arrivati con il principio di diritto n. 5/2024.
Obbligo di trasferimento della residenza
L’accesso alle agevolazioni prima casa è legato anche a specifici adempimenti.
L’immobile acquistato deve trovarsi all’interno del territorio del Comune in cui l’acquirente è residente. Lo stesso dovrà eventualmente spostare la residenza, trasferendola entro 18 mesi dall’acquisto. La procedura può essere effettuata online, tramite il servizio dell’Anagrafe Nazionale Popolazione Residente (ANPR).
Il cambio di residenza si considera finalizzato nel nel giorno in cui è stata presentata la dichiarazione di trasferimento, al termine della procedura online.
Non è necessario il cambio residenza se la casa comprata si trova:
• nel territorio del Comune in cui l’acquirente svolge la propria attività (anche se svolta senza remunerazione, come, per esempio, per le attività di studio, di volontariato, sportive);
• nel territorio del Comune in cui ha sede o esercita l’attività il proprio datore di lavoro, se l’acquirente si è dovuto trasferire all’estero per ragioni di lavoro nell’intero territorio nazionale. Per acquisti da parte di un cittadino italiano all’estero, l’immobile deve risultare “prima casa” sul territorio italiano.
L’obbligo di trasferimento di residenza non interessa il personale delle Forze Armate e di Polizia.
A prescindere dalle agevolazioni relative alla prima casa, è necessario sottolineare che può essere opportuno il cambio di residenza subito dopo l’acquisto dell’abitazione.
Se la residenza deve essere trasferita entro 18 mesi per ottenere l’accesso all’agevolazione, diverse sono le regole che riguardano l’IMU.
L’IMU è dovuta, infatti, per il periodo che intercorre tra la data dell’acquisto e quella dello spostamento della residenza. La nuova abitazione risulterà “prima casa” solo dopo il trasferimento di residenza.
Riacquisto della casa entro un anno dalla vendita
Le agevolazioni prima casa spettano esclusivamente per l’acquisto di un solo immobile.
Chi è già proprietario di un’abitazione potrà accedere all’agevolazione, nel rispetto del requisito della vendita dell’immobile precedentemente posseduto entro due anni dal nuovo acquisto. Fino allo scorso 31 dicembre 2024 questo termine era di un anno ed è stato aumentato a due anni a partire dal 1° gennaio 2025.
L’impegno alla vendita entro un anno fino al 31 dicembre 2024 oppure entro due anni a partire dal 1° gennaio 2025 deve essere indicato nell’atto di acquisto: la compravendita, l’atto di donazione o la dichiarazione di successione.
La mancata vendita porta al pagamento:
• delle maggiori imposte dovute;
• di una sanzione del 30 per cento.
Revoca bonus e recupero delle imposte
In alcune situazioni è prevista la revoca del bonus da parte dell’Agenzia delle Entrate.
La decadenza dalle agevolazioni si verifica nei seguenti casi:
• mendacità delle dichiarazioni previste dalla legge, in sede di registrazione dell’atto;
• mancato trasferimento della residenza nel Comune in cui è ubicato l’immobile, entro 18 mesi dell’acquisto.
Il trasferimento entro il termine dei 18 mesi, come evidenziato dalla Cassazione, deve essere rispettato anche se la casa acquistata dal costruttore non fosse ancora pronta. In tal caso sarà necessario trasferirsi in un altro immobile ubicato nello stesso Comune.
Nel caso di decadenza dal beneficio:
• sarà dovuta, oltre alla differenza tra l’imposta di registro in misura ordinaria e le imposte corrisposte per l’atto di trasferimento, una sanzione pari al 30 per cento delle imposte e il pagamento degli interessi di mora;
• nei casi di cessione soggetta a IVA, il pagamento della differenza d’imposta non versata e, allo stesso modo, una sanzione pari al 30 per cento della differenza, oltre al pagamento degli interessi di mora.
La Legge di Bilancio 2025 mette un freno alla realizzazioni degli interventi di una certa consistenza in condominio. Infatti, se le ristrutturazioni negli ultimi anni sono state caratterizzate da una forte spinta sulle agevolazioni per i lavori più incisivi sugli immobili, come la realizzazione di cappotti termici trainata dal superbonus, la messa in sicurezza delle parti strutturali e, in generale, tutte le operazioni di manutenzione straordinaria, con le nuove regole le condizioni sono meno favorevoli.
Il taglio agli sconti fiscali è infatti generalizzato al 36 per cento che, in alcuni casi, significa una sforbiciata di quasi 40 punti.
La regola generale, indicata dalla manovra 2025, è che per le spese sostenute dai titolari del diritto di proprietà o di un diritto reale di godimento per interventi sull’unità immobiliare adibita ad abitazione principale i bonus 2025 si incassano alla percentuale più elevata, ovvero il 50 per cento, mentre negli altri casi si scende al 36 per cento.
I lavori condominiali non vengono citati in questa definizione.
Così, le soluzioni immaginabili sono due. Da un lato, una differenziazione delle aliquote, che seguirebbero quelle dedicate all’immobile principale. Quindi, chi incassa il 50 per cento sui lavori nel suo appartamento, lo otterrebbe anche sulle parti comuni. Dall’altro, invece, si può ipotizzare che le parti comuni non siano qualificabili come abitazione principale: in altre parole, per loro non ci sarà alternativa al 36 per cento.
Quest’ultima è, indubbiamente, la soluzione più probabile per come è scritta la Legge di Bilancio. Un’interpretazione diversa sarebbe “estensiva” rispetto a quello che dice la manovra.
E, peraltro, questa linea è anche quella più semplice da gestire per chi amministra i condomini, perché non costringe a raccogliere informazioni difficili da reperire.
Il problema è che, se dovesse essere confermato il taglio al 36 per cento, per diversi lavori condominiali si materializzerà un taglio della convenienza fiscale di molti punti.
Le nuove aliquote ribassate, infatti, si applicano a tutte le tipologie di intervento, da quelli incentivati con l’ecobonus al vecchio sismabonus.
Quindi, se i cappotti termici incassavano nel 2024 il 75 per cento, nel 2025 scenderanno al 36 per cento, trattandosi di interventi sulle parti comuni.
Niente sconti per le caldaie condominiali (in base al divieto inserito nelle direttive europee), contro il vecchio 50 per cento.
In caso di installazione di un ibrido o di una pompa di calore, invece, si passa dal 65 per cento del 2024 al 36 per cento del 2025: chi valuterà questi nuovi apparecchi dovrà farlo anche alla luce di una diversa convenienza fiscale.
Mentre per la messa in sicurezza antisismica era possibile incassare agevolazioni fino all’85 per cento che, però, da quest’anno saranno tagliate al 36 per cento.
La conseguenza è che la sostenibilità economica di questi investimenti cala in maniera netta.
E diventa, quindi, più difficile la formazione delle maggioranze in condominio necessarie ad approvare questi interventi di riqualificazione.
Una penalizzazione che rischia di colpire tutti quei condomini nei quali ci sono più situazioni di difficoltà economica, rendendo impossibili in molti casi opere essenziali come quelle di coibentazione e di efficientamento energetico.