La manutenzione di un condominio è una delle responsabilità fondamentali per garantire la sicurezza, l’efficienza e il benessere di tutti i residenti.
Essa si divide principalmente in due categorie: ordinaria e straordinaria, ciascuna con caratteristiche e modalità di gestione differenti.
La manutenzione ordinaria riguarda gli interventi regolari e preventivi che consentono di mantenere in buone condizioni le strutture e gli impianti, evitando che piccoli problemi si trasformino in guasti gravi e costosi.
Al contrario, la manutenzione straordinaria include lavori più complessi che, spesso, richiedono modifiche strutturali o miglioramenti significativi, e comportano costi maggiori e una pianificazione più attenta.
Ecco gli interventi per le tipologie di manutenzione, i processi di approvazione, e le responsabilità.
Le spese per i lavori comuni in condominio sono ripartite tra i condomini in base ai millesimi di proprietà.
Manutenzione ordinaria
La manutenzione ordinaria in condominio comprende gli interventi necessari a mantenere in buono stato le parti comuni senza alterare la struttura o la destinazione d’uso degli impianti.
Secondo l’art. 3, primo comma, lettera a) del D.P.R. 380/2001, la manutenzione ordinaria riguarda “gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti“.
Questi interventi hanno lo scopo di:
• prevenire il deterioramento delle aree comuni;
• ridurre il rischio di guasti tecnici;
• assicurare la sicurezza e il benessere degli abitanti.
Interventi di manutenzione ordinaria in condominio
I lavori di manutenzione ordinaria in condominio riguardano una serie di attività che assicurano il buon funzionamento degli impianti e la conservazione delle strutture.
Alcuni esempi comuni includono:
• tinteggiatura e riparazione di pareti e soffitti: interventi di routine per mantenere l’aspetto estetico e proteggere le superfici;
• controllo e manutenzione degli impianti elettrici e idraulici: verifica delle linee elettriche e degli impianti per ottimizzare il funzionamento, evitare guasti e prevenire cortocircuiti;
• sostituzione di infissi e serramenti danneggiati;
• manutenzione periodica degli ascensori e impianti di riscaldamento;
• riparazione di porte e finestre comuni;
• controllo delle grondaie e pluviali;
• impermeabilizzazione di tetti e terrazze: trattamenti periodici per prevenire infiltrazioni d’acqua e proteggere la struttura.
Questi interventi, pur essendo meno complessi rispetto alla manutenzione straordinaria, sono essenziali per evitare che piccoli danni evolvano in problematiche costose e complicate.
Manutenzione straordinaria
La manutenzione straordinaria in condominio riguarda quegli interventi necessari per affrontare problemi urgenti o guasti imprevisti, che spesso richiedono modifiche rilevanti alle strutture o agli impianti esistenti.
Ai sensi dell’art. 3, primo comma, lettera b) del D.P.R. 380/2001, gli “interventi di manutenzione straordinaria” riguardano tutte quelle opere necessarie per rinnovare o sostituire anche parti strutturali degli edifici, così come per realizzare o integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici.
Tali interventi non devono però modificare la volumetria complessiva dell’edificio né comportare cambiamenti rilevanti sotto il profilo urbanistico, come l’aumento del carico urbanistico o il cambio della destinazione d’uso.
All’interno di questi interventi si considerano anche le opere che riguardano il frazionamento o l’accorpamento delle unità immobiliari, inclusi i cambiamenti nelle superfici delle singole unità e l’incremento del carico urbanistico, a condizione che la volumetria complessiva dell’edificio non venga modificata e che la destinazione d’uso originaria resti invariata.
Inoltre, la manutenzione straordinaria può includere anche modifiche ai prospetti esterni degli edifici, purché queste siano necessarie per garantire l’agibilità dell’edificio o per consentirne l’accesso, senza compromettere l’aspetto architettonico.
Tali interventi devono essere conformi alla normativa urbanistica ed edilizia vigente e non devono riguardare edifici tutelati dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Lavori di manutenzione straordinaria condominio
Alcuni interventi di manutenzione straordinaria in un condominio sono:
• rifacimento del tetto: intervento che richiede una sostanziale modifica della struttura esterna per garantire l’efficienza e la sicurezza dell’edificio;
• sostituzione dell’impianto di riscaldamento: intervento che implica la completa sostituzione di un impianto tecnologico per migliorare l’efficienza energetica e ridurre i costi;
• consolidamento strutturale: lavori necessari per garantire la stabilità dell’edificio in caso di danni gravi o segni di degrado;
• installazione di ascensori o scale di sicurezza: interventi che migliorano l’accessibilità e la sicurezza dell’edificio;
• ristrutturazione di aree comuni: interventi volti a migliorare l’estetica e la funzionalità delle aree condivise, come ad esempio il rifacimento del cortile o del giardino condominiale;
• realizzazione di nuove luci, porte o finestre esterne: interventi che modificano l’aspetto esterno dell’edificio e migliorano l’illuminazione naturale;
• sostituzione di infissi esterni con modelli diversi;
• interventi di risparmio energetico: come l’installazione di pannelli fotovoltaici o solari per ridurre i costi energetici e migliorare la sostenibilità dell’edificio;
• frazionamento o accorpamento di unità immobiliari: interventi che modificano la distribuzione interna delle proprietà senza alterare la volumetria complessiva dell’edificio;
• creazione di cortili e giardini: interventi volti a migliorare l’estetica e la vivibilità delle aree esterne comuni.
Manutenzione ordinaria e straordinaria in condominio: a chi spetta?
La responsabilità della manutenzione ordinaria e straordinaria in condominio ricade principalmente sull’amministratore, che ha il compito di gestire e mantenere le parti comuni dell’edificio, come stabilito dall’art. 1130 del Codice Civile, il quale include tra i suoi doveri quello di “compiere gli atti conservativi dei beni comuni“, inoltre, l’amministratore di condominio deve “riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni“.
L’amministratore è chiamato a garantire l’integrità e la sicurezza dell’edificio, assicurandosi che vengano eseguiti gli interventi necessari, sia ordinari sia straordinari. In situazioni di pericolo imminente, può decidere autonomamente di avviare lavori urgenti, informando successivamente i condòmini.
La manutenzione ordinaria riguarda interventi di routine, come la pulizia delle scale, il controllo degli impianti tecnologici e la riparazione di piccoli danni alle strutture comuni, e può essere disposta autonomamente dall’amministratore, previa approvazione del preventivo annuale da parte dell’assemblea.
La manutenzione straordinaria, invece, include interventi più complessi che necessitano dell’approvazione dell’assemblea condominiale, a meno che non si tratti di emergenze, in cui l’amministratore può agire senza il preventivo consenso dell’assemblea, informandola successivamente (Art. 1135 del Codice civile).
I condòmini, dal canto loro, sono obbligati a contribuire alle spese di manutenzione in base ai millesimi di proprietà e partecipano alle decisioni relative alla manutenzione attraverso l’assemblea, ma non possono impedire i lavori già approvati dalla maggioranza qualificata.
Lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria in condominio: serve la maggioranza?
Per i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria in condominio, la necessità di una maggioranza varia in base alla tipologia dell’intervento e alle circostanze specifiche.
Per la manutenzione ordinaria, l’amministratore può agire autonomamente senza bisogno di una delibera assembleare, purché gli interventi siano di routine e siano già previsti nel preventivo annuale approvato dall’assemblea.
In questo caso, non è necessaria una maggioranza specifica per l’approvazione, ma i costi devono essere discussi e approvati dall’assemblea quando viene approvato il rendiconto annuale.
Per la manutenzione straordinaria, invece, è necessaria l’approvazione dell’assemblea condominiale.
La maggioranza richiesta per approvare i lavori di manutenzione straordinaria è di almeno la metà del valore dei millesimi, insieme alla maggioranza dei presenti in prima convocazione.
In seconda convocazione, invece, basta un terzo del valore dei millesimi, pur mantenendo la maggioranza dei presenti.
Manutenzione ordinaria e straordinaria in condominio: ripartizione spese
La suddivisione delle spese per i lavori di manutenzione, sia ordinaria sia straordinaria, in condominio avviene solitamente in base ai millesimi di proprietà, secondo quanto stabilito dall’articolo 1123 del Codice Civile.
Il principio generale prevede che ogni condomino contribuisca in proporzione al valore della propria unità immobiliare, espresso appunto in millesimi.
Ai sensi dell’art. 1123 del Codice civile, le spese necessarie per mantenere in buono stato le parti comuni dell’edificio, per offrire servizi utili a tutti i condomini e per realizzare innovazioni approvate dalla maggioranza, devono essere sostenute da ciascun condomino in proporzione al valore della propria unità immobiliare, a meno che non sia stato stabilito un accordo diverso.
Se un bene comune è utilizzato in misura diversa dai vari condomini, le spese devono essere suddivise in base all’uso che ciascuno può effettivamente farne.
Nel caso in cui l’edificio abbia scale, cortili, terrazze o impianti che servono solo una parte dei condomini, le relative spese di manutenzione devono essere pagate solo da coloro che ne traggono beneficio.
Oltre alle regole generali previste dalla legge, è possibile stabilire modalità differenti di ripartizione attraverso il regolamento condominiale, purché approvato all’unanimità, o mediante delibere assembleari anch’esse con il consenso unanime di tutti i condomini.
Ripartizione spese manutenzione e sostituzione scale e ascensori in condominio
La manutenzione e l’eventuale sostituzione di scale e ascensori spetta ai proprietari delle unità immobiliari che ne fanno uso.
Le relative spese vengono suddivise tra questi ultimi seguendo un criterio misto: metà del costo è ripartito in base al valore millesimale di ciascuna unità, mentre l’altra metà si calcola proporzionalmente all’altezza di ciascun piano dal suolo.
Ai fini della suddivisione della quota basata sul valore, si considerano come piani anche cantine, soffitte, palchi morti, camere a tetto e lastrici solari, a condizione che non siano di proprietà comune.
Ripartizione spese per la manutenzione e ricostruzione di soffitti, volte e solai in condominio
Le spese per la manutenzione o la ricostruzione di soffitti, volte e solai che separano due appartamenti devono essere divise in parti uguali tra i proprietari dei due piani sovrastanti e sottostanti.
Tuttavia, alcune parti specifiche restano a carico dei singoli:
• il proprietario del piano superiore si occupa della copertura del pavimento;
• il proprietario del piano inferiore è responsabile dell’intonaco, della pittura e della decorazione del soffitto.
Ripartizione spese per lastrici solari ad uso esclusivo in condominio
Nel caso in cui un lastrico solare sia destinato all’uso esclusivo di uno o più condomini, le spese per la sua riparazione o ricostruzione non ricadono interamente su chi lo utilizza.
Chi ne ha l’uso esclusivo è infatti tenuto a sostenere un terzo del costo complessivo, mentre i restanti due terzi vanno suddivisi tra tutti i condomini dell’edificio – o di quella parte che beneficia della copertura fornita dal lastrico – in proporzione al valore delle rispettive unità immobiliari (art. 1126 del Codice civile).
Titoli abilitativi per la manutenzione ordinaria e straordinaria in condominio
Per la manutenzione ordinaria e straordinaria in condominio, esistono specifici titoli abilitativi edilizi da considerare.
In caso di manutenzione ordinaria, non è necessario alcun titolo abilitativo edilizio.
Questa categoria comprende interventi come la riparazione, il rinnovo o la sostituzione delle finiture, oltre alla manutenzione degli impianti esistenti (come riscaldamento, impianto elettrico, impianto idrico).
Tali lavori rientrano in edilizia libera e possono essere svolti senza bisogno di comunicare nulla al Comune o di ottenere autorizzazioni.
Al contrario, la manutenzione straordinaria richiede sempre un titolo abilitativo edilizio. Nel caso di interventi che non comportano modifiche al volume, alla sagoma o alla destinazione d’uso dell’edificio, sono previsti due tipi di procedura:
• CILA (Comunicazione Inizio Lavori Asseverata) per lavori di manutenzione straordinaria leggera,
• SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) per interventi più complessi, che includono modifiche strutturali.
Se l’immobile o l’area si trova in una zona soggetta a vincoli paesaggistici, come edifici storici, aree protette o centri storici, potrebbe essere necessaria un’autorizzazione paesaggistica.
Questa autorizzazione deve essere richiesta presso l’ente competente, come la Soprintendenza o il Comune, e potrebbe essere obbligatoria tanto per gli interventi ordinari quanto per quelli straordinari, a seconda del contesto.
È sempre fondamentale consultare le normative locali e il regolamento edilizio comunale, poiché potrebbero esserci disposizioni specifiche o ulteriori adempimenti da rispettare.
Manutenzione ordinaria e straordinaria in condominio: le detrazioni
Attualmente, la detrazione per gli interventi di manutenzione straordinaria e ordinaria è quella prevista dal bonus ristrutturazione.
In aggiunta, i lavori di manutenzione ordinaria possono dare diritto anche al bonus mobili.
FAQ manutenzione ordinaria e straordinaria in condominio
Di seguito alcune FAQ riassuntive sulla manutenzione ordinaria e straordinaria condominio.
• Qual è la differenza tra manutenzione ordinaria e straordinaria in un condominio?
La manutenzione ordinaria riguarda interventi di routine, come la riparazione di danni minori o la manutenzione di impianti e strutture comuni, mentre la manutenzione straordinaria implica lavori complessi che possono includere modifiche strutturali, rifacimento di impianti o ristrutturazioni importanti.
• Chi è responsabile della manutenzione in un condominio?
L’amministratore di condominio è responsabile della gestione delle attività di manutenzione, sia ordinaria che straordinaria, delle parti comuni dell’edificio. Tuttavia, le decisioni importanti vengono prese in assemblea condominiale.
• Quando è necessaria l’approvazione dell’assemblea condominiale?
Per la manutenzione ordinaria, l’amministratore può agire autonomamente se gli interventi sono già previsti nel preventivo annuale.
Per la manutenzione straordinaria, è invece necessaria l’approvazione dell’assemblea condominiale, che deve deliberare in merito all’intervento.
• Come vengono suddivise le spese di manutenzione tra i condomini?
Le spese per la manutenzione sono generalmente ripartite in base ai millesimi di proprietà di ciascun condomino, salvo accordi diversi presi in assemblea.
Alcune spese specifiche, come quelle per ascensori o lastrici solari, possono seguire criteri diversi.
• Cosa succede se un intervento di manutenzione comporta modifiche strutturali?
Gli interventi che richiedono modifiche strutturali, come il rifacimento del tetto o la sostituzione dell’impianto di riscaldamento, rientrano nella manutenzione straordinaria e necessitano dell’approvazione dell’assemblea condominiale.
• Sono necessarie autorizzazioni edilizie per i lavori di manutenzione?
La manutenzione ordinaria non richiede autorizzazioni edilizie, mentre la manutenzione straordinaria potrebbe richiedere titoli abilitativi come la CILA (Comunicazione Inizio Lavori Asseverata) o la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), a seconda della complessità dell’intervento.
• Qual è la ripartizione delle spese per la manutenzione delle scale e degli ascensori?
Le spese per la manutenzione e sostituzione di ascensori e scale sono suddivise tra i condomini che ne fanno uso, utilizzando un criterio misto che considera il valore dell’immobile e l’altezza del piano.
• Come vengono ripartite le spese per il rifacimento del tetto o interventi strutturali simili?
Le spese per il rifacimento del tetto o altri lavori strutturali rilevanti vengono suddivise tra tutti i condomini in base ai millesimi di proprietà, a meno che non ci siano specifiche condizioni o accordi previsti dal regolamento condominiale.
• Posso fare dei lavori di manutenzione senza il consenso degli altri condomini?
I lavori di manutenzione ordinaria, se inclusi nel preventivo annuale, possono essere eseguiti dall’amministratore senza bisogno di approvazione preventiva.
Tuttavia, qualsiasi intervento straordinario o che comporti modifiche sostanziali necessita dell’approvazione dell’assemblea.
In caso di urgenza, come nel caso di danni immediati che mettono in pericolo la sicurezza dell’edificio, l’amministratore può avviare lavori urgenti senza il consenso dell’assemblea.
Ma dovrà comunque informare i condomini successivamente.
La gestione dei dati personali all’interno dei condomini è stata oggetto di una nuova regolamentazione.
Il Garante per la protezione dei dati personali, con il Documento di indirizzo del 10 aprile 2025, ha definito criteri più rigorosi e chiari per il trattamento delle informazioni condominiali, eliminando le ambiguità interpretative e rafforzando le tutele per i residenti.
Il provvedimento stabilisce che possono essere trattati solo i dati strettamente necessari alla gestione condominiale, come informazioni anagrafiche, quote millesimali e consumi collettivi, mentre sono vietate informazioni personali non pertinenti, come abitudini di vita o dettagli privati dei condòmini.
Numeri telefonici e email: servono regole precise
La condivisione di numeri telefonici e indirizzi email all’interno del condominio è possibile solo con il consenso esplicito degli interessati. Il Garante chiarisce che questi dati non possono essere divulgati liberamente, salvo che siano pubblicamente accessibili e utilizzati solo per scopi condominiali ben definiti.
Gli amministratori hanno l’obbligo giuridico di evitare la diffusione impropria dei recapiti e di garantire che ogni comunicazione avvenga nel rispetto della privacy.
Dati sensibili e giudiziari: trattamenti strettamente necessari
Il nuovo documento stabilisce regole severe per il trattamento dei dati sensibili e giudiziari. Informazioni sullo stato di salute o controversie legali possono essere utilizzate solo se strettamente indispensabili, ad esempio per interventi di abbattimento delle barriere architettoniche o per la gestione di contenziosi condominiali.
Questi dati devono essere trattati con misure di sicurezza avanzate, limitandone l’accesso esclusivamente ai soggetti autorizzati.
Le responsabilità degli amministratori
Il Garante impone agli amministratori un elevato livello di responsabilità nella gestione dei dati condominiali. Ogni trattamento deve essere:
• Motivato e proporzionato.
• Documentato in modo chiaro.
• Supportato da misure di sicurezza adeguate.
Gli amministratori devono evitare la diffusione superflua di elenchi condominiali, garantendo trasparenza con informative accessibili a tutti i residenti.
Più chiarezza e tutela per i condòmini
Questa nuova regolamentazione rafforza la protezione della privacy nei condomini, dando ai residenti maggiori garanzie sui propri dati e fornendo agli amministratori regole chiare per evitare violazioni.
Con queste direttive, il Garante stabilisce un quadro normativo preciso, ponendo fine alle incertezze interpretative e assicurando un equilibrio tra gestione condominiale e tutela dei diritti personali.
Il vicino che abita al piano sotto il mio vuole installare nel suo appartamento una stufa a pellet. Vorrebbe far passare le relative tubazioni utilizzando la servitù di cui gode sul mio appartamento per la presenza attuale e storica delle canne fumarie della cappa. Può pretendere di utilizzare tale servitù? A me risulta che tali tubazioni in acciaio debbano usufruire di un percorso esterno e non certo utilizzare la servitù delle canne della cappa. Ho il diritto di oppormi al passaggio all’interno dell’appartamento delle tubazioni della stufa a pellet? C’è una norma precisa al riguardo?
La realizzazione di una stufa a pellet non necessità di una apposita e diversa servitù di passaggio di canna fumaria.
Di certo la canna fumaria deve essere adeguata allo scarico della stufa a pellet e rispettare la normativa di settore.
Naturalmente il regolamento non deve porre limiti, altrimenti se vieta la realizzazione di stufe a pellet ciò non si può realizzare.
La UNI 10683/2012 regola l’installazione di tutti gli impianti a bio-combustibile solido (pellet, legna, bricchette e cippato), di potenza inferiore ai 35 kW, come: stufe a pellet; caldaie; termocucine; inserti a focolare chiuso e aperto.
Per quanto riguarda lo scarico dei fumi, la norma disciplina le modalità di posa delle tubazioni di scarico dei fumi di combustione (che devono sempre avvenire a tetto e mai a parete), e fornisce tutta una serie di indicazioni sul rispetto delle distanze minime dalle pareti, dai balconi, dalle finestre (UNI7129), e dalle strutture infiammabili nel caso di installazione di una canna fumaria esterna.
D’altronde, l’installazione interna è una soluzione consigliata solo per chi abita all’ultimo piano, poiché implica un’apposita foratura dei solai.
La canna fumaria deve essere realizzata in materiali adatti a resistere alle sollecitazioni meccaniche e al calore, impermeabili, adeguatamente isolati e coibentati. Anche il canale di fumo che collega la stufa alla canna fumaria deve rispettare dei requisiti ben precisi e presentare una soluzione di continuità per evitare che la canna fumaria poggi direttamente sull’apparecchio.
Ho comprato una casa al mare e sto pianificando la ristrutturazione. Come italiano residente all’estero (iscritto AIRE) senza alcun reddito in Italia, a che incentivi posso accedere per la ristrutturazione (caldaia, finestre, condizionatori, zanzariere, stufa, etc.)?
A fini delle imposte sui redditi si considerano “residenti” le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno la residenza ai sensi del Codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti. Per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona. Salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente.
Devono iscriversi all’A.I.R.E. i cittadini che fissano all’estero la dimora abituale e quelli che già vi risiedono, sia perché nati all’estero sia per successivo acquisto della cittadinanza italiana a qualsiasi titolo.
Nel caso di specie, il contribuente afferma di non possedere alcun reddito in Italia, pertanto, dovendo presentare la dichiarazione dei redditi in Italia solo per dichiarare redditi ivi conseguiti, a parere di chi scrive non vi è alcuna possibilità di poter usufruire delle detrazioni fiscali previste in caso di ristrutturazione di immobili.
Al contrario, se il contribuente pagasse l’IRPEF all’Amministrazione finanziaria italiana potrebbe beneficiare della detrazione fiscale, legata agli interventi di ristrutturazione edilizia.
Che cosa sono le CER? Chi può farne parte? Quali sono i principali requisiti degli impianti di produzione che possono accedere alle CER?
Queste alcune delle risposte del Gestore dei Servizi Energetici alle domande più frequenti sugli impianti di produzione di energia rinnovabile regolati dal Decreto n. 414 del 7 dicembre 2023 del MASE, entrato in vigore il 24 gennaio 2024.
Il decreto CER individua due strade per promuovere lo sviluppo nel Paese delle Comunità Energetiche Rinnovabili. I due benefici sono tra loro cumulabili e si tratta di:
• un contributo a fondo perduto fino al 40% dei costi ammissibili, finanziato dal PNRR e rivolto alle comunità i cui impianti sono realizzati nei comuni sotto i cinquemila abitanti che supporterà lo sviluppo di due gigawatt complessivi;
• una tariffa incentivante sull’energia rinnovabile prodotta e condivisa per tutto il territorio nazionale.
Cosa è una Comunità Energetica Rinnovabile
Una CER è un insieme di cittadini, piccole e medie imprese, enti territoriali e autorità locali, incluse le amministrazioni comunali, le cooperative, gli enti di ricerca, gli enti religiosi, quelli del terzo settore e di protezione ambientale, che condividono l’energia elettrica rinnovabile prodotta da impianti nella disponibilità di uno o più soggetti associatisi alla comunità.
In una CER l’energia elettrica rinnovabile può esser condivisa tra i diversi soggetti produttori e consumatori, localizzati all’interno di un medesimo perimetro geografico, grazie all’impiego della rete nazionale di distribuzione di energia elettrica, che rende possibile la condivisione virtuale di tale energia.
Come si costituisce una CER
Per prima cosa è necessario individuare le aree dove realizzare gli impianti alimentati da fonti rinnovabili e gli utenti con cui associarsi e condividere l’energia elettrica.
È poi necessario costituire legalmente la CER, sotto forma di associazione, ente del terzo settore, cooperativa, cooperativa benefit, consorzio, organizzazione senza scopo di lucro etc, ossia dotare la CER di una propria autonomia giuridica attraverso una qualsiasi forma che ne garantisca la conformità con i principali obiettivi costitutivi. Ogni CER è, pertanto, caratterizzata da un atto costitutivo e uno statuto.
L’adesione alla CER di un consumatore di energia o di un produttore di energia rinnovabile può avvenire nella fase di costituzione legale della CER, ovvero in una fase successiva, secondo le modalità previste negli atti e negli statuti delle stesse CER.
Chi può far parte di una CER
Una CER è una comunità che aggrega produttori da fonti rinnovabili e consumatori di energia. È quindi possibile partecipare alla CER in qualità di:
• produttore di energia rinnovabile, soggetto che realizza un impianto fotovoltaico (o di altra tipologia);
• autoconsumatore di energia rinnovabile, soggetto che possiede un impianto di produzione da fonte rinnovabile e che produce energia per soddisfare i propri consumi e condividere l’energia in eccesso con il resto della comunità;
• consumatore di energia elettrica, soggetto che non possiede alcun impianto di produzione di energia, ma che ha una propria utenza elettrica, i cui consumi possono essere in parte coperti dall’energia elettrica rinnovabile prodotta dagli altri membri della comunità. Rientrano in tale casistica anche i clienti cosiddetti “vulnerabili” e le famiglie a basso reddito.
I principali requisiti degli impianti di produzione che possono accedere agli incentivi previsti
Per poter accedere agli incentivi previsti per le CER gli impianti di produzione da fonte rinnovabile devono avere potenza non superiore a 1 MW.
Tali impianti sono generalmente di nuova costruzione, anche se possono far parte di una CER impianti già realizzati, purché entrati in esercizio successivamente alla data del 16 dicembre 2021 (data di entrata in vigore del D.lgs. 199/2021) e comunque successivamente alla regolare costituzione della CER. Inoltre, ai fini dell’accesso ai benefici previsti dal Decreto di incentivazione, gli impianti non devono beneficiare di altri incentivi sulla produzione di energia elettrica.
Gli incentivi statali previsti per la costituzione delle CER
Per tutte le CER sono previsti incentivi sull’energia autoconsumata sotto due diverse forme:
• 1 – Una tariffa incentivante sull’energia prodotta da FER e autoconsumata virtualmente dai membri della CER. Tale tariffa è riconosciuta dal GSE – che si occupa anche del calcolo dell’energia autoconsumata virtualmente – per un periodo di 20 anni dalla data di entrata in esercizio di ciascun impianto FER. La tariffa è compresa tra 60 €/MWh e 120€/MWh, in funzione della taglia dell’impianto e del valore di mercato dell’energia. Per gli impianti fotovoltaici è prevista una ulteriore maggiorazione fino a 10 €/MWh in funzione della localizzazione geografica. (Per informazioni dettagliate sulla valorizzazione economica della tariffa incentivante si rimanda al punto 13);
• 2 – Un corrispettivo di valorizzazione per l’energia autoconsumata, definito dall’ARERA – Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente. Tale corrispettivo vale circa 8 €/MWh.
Inoltre, tutta l’energia elettrica rinnovabile prodotta ma non autoconsumata resta nella disponibilità dei produttori ed è valorizzata a condizioni di mercato. Per tale energia è possibile richiedere al GSE l’accesso alle condizioni economiche del ritiro dedicato.
Infine, per le sole CER i cui impianti di produzione sono ubicati in Comuni con una popolazione inferiore a 5mila abitanti, è previsto un contributo in conto capitale, pari al 40 per cento del costo dell’investimento, a valere sulle risorse del PNRR.
Il contributo in conto capitale del PNRR è pari al 40 per cento delle spese sostenute per la realizzazione di impianti FER, nei limiti delle spese ammissibili e dei seguenti costi di investimento massimi in funzione della taglia di potenza:
• 1.500 €/kW, per impianti fino a 20 kW;
• 1.200 €/kW, per impianti di potenza superiore a 20 kW e fino a 200 kW;
• 1.100 €/kW per potenza superiore a 200 kW e fino a 600 kW;
• 1.050 €/kW, per impianti di potenza superiore a 600 kW e fino a 1.000 kW.
L’imposta sul valore aggiunto (IVA) non è ammissibile alle agevolazioni, salvo il caso in cui non sia recuperabile ai sensi della legislazione sull’IVA.
È possibile cumulare la tariffa incentivante con il contributo PNRR o altri contributi Regionali/provinciali in conto capitale?
Si, la tariffa incentivante è cumulabile con il contributo PNRR o altri contributi in conto capitale, nella misura massima del 40 per cento, a fronte di una decurtazione della tariffa incentivante del 50 per cento.
Pertanto, se un produttore ottenesse un contributo in conto capitale di qualunque tipologia superiore al 40 per cento del costo dell’investimento (calcolato sulla base dei massimali precedentemente illustrati), non sarebbe possibile ottenere la tariffa incentivante per l’energia elettrica prodotta dall’impianto in questione.
Una colonnina per la ricarica di veicoli elettrici può appartenere a una CER?
Sì, in una CER possono essere presenti anche infrastrutture di ricarica per veicoli elettrici e l’energia assorbita per la ricarica di autoveicolo, tramite appositi algoritmi, viene considerata dal GSE ai fini del calcolo dell’energia condivisa all’interno della CER.
Cosa è un Gruppo di autoconsumatori di energia rinnovabile?
Un gruppo di autoconsumatori di energia rinnovabile è un insieme di almeno due autoconsumatori che si associano per condividere l’energia elettrica prodotta dall’impianto di produzione da fonte rinnovabile e che si trovano nello stesso edificio (ad esempio i condòmini facenti parte di un condominio in cui è installato un impianto fotovoltaico).
Cosa è un autoconsumatore individuale a distanza?
Un autoconsumatore individuale “a distanza” è un cliente finale che produce e consuma energia elettrica rinnovabile per il proprio consumo utilizzando la rete di distribuzione. È costituito da almeno due punti di connessione di cui uno che alimenti l’utenza di consumo intestata al cliente finale e un altro a cui è collegato un impianto di produzione.
Al piano terra del condominio in cui vivo diversi alloggi sono stati destinati agli affitti turistici. Dato il continuo andirivieni, vorremmo installare una telecamera negli spazi comuni ma non riusciamo ad avere la maggioranza dei millesimi. Inoltre non riusciamo neppure a modificare i millesimi di quei locali, che prima erano negozi.
Si può fare ben poco, o meglio nulla. La Cassazione (con la Sentenza n. 14969 del 2022) ha chiarito che per l’installazione delle telecamere basta la maggioranza dei presenti in assemblea, che rappresenti, però, almeno 500 millesimi. Cosa che nel suo caso sembra impossibile.
Il singolo condomino può però installare una telecamera che controlli esclusivamente i suoi spazi privati.
Quanto alla revisione delle tabelle millesimali, è possibile solo se è stato fatto un errore nella loro compilazione o se cambia per oltre un quinto il valore delle unità interessate (per sopraelevazione o aumenti di superficie). Il semplice cambio di destinazione d’uso non fa scattare la revisione (Cassazione, sentenza 19797/2016) e in ogni caso servirebbe, oltre alla maggioranza dei presenti in assemblea, anche quella dei millesimi.
Il vicino che guarda la televisione a tutto volume nel cuore della notte. La signora del piano di sotto che cucina piatti dall’odore insopportabile. Per non parlare dei costi sempre più alti. L’elenco potrebbe andare avanti a lungo. In condominio battibecchi, liti e dispetti sono all’ordine del giorno. Talvolta la situazione degenera: dalle parole si passa allo scontro fisico e i problemi tra vicini di casa finiscono in Tribunale.
“Basta poco per innescare la scintilla della lite quando diverse generazioni, tradizioni e culture si ritrovano a vivere sotto lo stesso tetto e condividere spazi comuni. Quando poi si tocca il portafoglio, anche la persona più affabile si trasforma in un demonio”, concordano le associazioni della proprietà edilizia e degli amministratori condominiali.
Certo esistono anche realtà nelle quali la convivenza tra vicini è pacifica e armoniosa. Però nel confronto con quelle dove la litigiosità imperversa sono davvero poche.
I numeri del fenomeno
Su circa 5 milioni di cause civili pendenti in Italia, secondo le statistiche del Ministero della Giustizia sarebbero 2 milioni quelle relative a liti condominiali. Di queste, poco più della metà trova una soluzione amichevole grazie all’istituto della mediazione. Tutte le altre finiscono in Tribunale, andando ad ingolfare le aule di giustizia.
A toccare con mano quanto il fenomeno della litigiosità condominiale in città sia in crescita esponenziale sono gli studi legali, che affermano senza titubanza: “Il lavoro in questo settore con conosce crisi”.
Le cause principali di lite
Ma quali sono i cinque motivi che provocano liti tra chi vive in condominio?
“Il mancato pagamento delle spese, quindi la morosità, e le spese condominiali in genere – non ha dubbi l’avvocato Anna Nicola, specializzata nel settore – ma si fa sempre più strada una vera e propria intolleranza verso i vicini e qualunque cosa mette in moto dispetti e denunce”.
Anche gli odori sgradevoli sono in grado di sollevare contrasti che sfiorano la rissa. Così come i rumori molesti in orari inadeguati. Gli amici a quattro zampe, poi, sembrano essere tollerati davvero da pochi. Infine, il non corretto utilizzo delle parti comuni è fonte di grandissime tensioni.
L’odore di cucina e le difficoltà di integrazione
Le esalazioni e gli odori che provengono dalle parti comuni o dalle singole unità immobiliari provocano spesso diverbi e addirittura querele.
Gli odori di cucina, in particolare, sono in grado di far saltare i nervi e scatenare vere e proprie guerre. Si tratta di contenziosi che spesso nascono dal contrasto tra culture e abitudini diverse, la fotografia della difficile integrazione tra italiani e stranieri. La maggior parte delle liti culinarie coinvolge infatti immigrati provenienti da India, Bangladesh e Pakistan, seguiti dai cinesi e maghrebini arrivati dalla Tunisia e dal Marocco. Utilizzano le spezie tipiche della cucina etnica, che risulta particolarmente indigesta a tanti, che nulla hanno da dire di fronte all’odore altrettanto intenso emanato dalla cottura del cavolo.
Liti sempre più “rumorose”
Tra i vari tipi di rumore, il ticchettio dei tacchi non conosce rivali per l’intolleranza che riesce a provocare. “Il tacco 12, regala qualche centimetro di altezza e slancia la figura, ma soprattutto dona una straordinaria sensualità ed eleganza all’incedere femminile. Ma gli esperti di acustica in edilizia sostengono che il ticchettio prodotto dai tacchi ha messo a dura prova non solo la resistenza di tanti e tanti solai, ma ha anche fatto litigare tanti e tanti vicini di casa”, precisa l’ingegnere forense Fabrizio Mario Vinardi, consulente tecnico in casi di contenzioso condominiale che si sono conclusi con la condanna di chi, camminando in casa con scarpe con il tacco, ha provocato “vibrazioni nocive e immissioni acustiche” così moleste da compromettere seriamente la salute di chi questi rumori li aveva dovuti subire.
Dopo il ticchettio dei tacchi, a provocare liti è il rumore degli elettrodomestici in orari di riposo, seguito dal volume troppo alto di musica e tv. A chiudere la classifica dei rumori meno tollerati sono lo schiamazzare dei bambini e i versi degli animali da compagnia.
Animali domestici poco tollerati
Proprio i nostri amici a quattro zampe sono al centro di tantissime controversie condominiali, che spesso finiscono all’attenzione dei giudici.
Nonostante la riforma del 2012 abbia cancellato il divieto di tenere animali domestici in condominio, la loro presenza provoca in molti malessere e intolleranza. Il disturbo causato dagli ululati dei cani, magari perché lasciati soli in casa per ore, è una delle ragioni di tante cause giudiziarie. Chi porta a spasso il cane e non pulisce quando sporca in cortile o davanti al portone rischia pesantissime ritorsioni.
Anche i gatti sono poco tollerati, pure loro colpevoli di provocare rumori e odori che compromettono l’igiene dello stabile.
L’utilizzo improprio delle parti comuni
A provocare accese discussioni e tanti procedimenti giudiziari è l’utilizzo delle parti comuni dell’edificio. Spazi come l’androne, il pianerottolo e le scale, il cortile, le aree parcheggio, il giardino quando c’è, l’isola per la raccolta differenziata, dovrebbero essere a disposizione di tutti, nel reciproco rispetto. Ma c’è chi abbandona la spazzatura fuori dal cassonetto o lascia in giro mobili e oggetti. Chi parcheggia l’auto dove non dovrebbe, la bicicletta o il monopattino nell’androne. Un aspetto molto conflittuale è l’abbandono delle calzature sul pianerottolo, usanza esplosa con la pandemia da Covid-19 perché gli infettivologi raccomandavano di togliersi le scarpe prima di entrare in casa. Molti hanno continuato farlo anche dopo, generando malumori per motivi di igiene e di decoro. “Fino a qualche anno fa il fenomeno era tipico dei paesi di campagna o di montagna: chi arrivava dal lavoro nei campi o da una giornata sulla neve lasciava le scarpe fuori. Ora molti lo fanno anche in città, e altrettanti protestano”, precisa un amministratore. Spiega: “Se il regolamento lo contempla, è possibile punire queste trasgressioni con una sanzione fino a 800 euro. Ma ricorrere a questo strumento vorrebbe dire gettare alcol sul fuoco”.
Spese e morosità in cima alla classifica
È legata al portafoglio la causa che in assoluto provoca il maggior numero di liti. Le spese di condominio sono in grado di trasformare l’assemblea in un campo di battaglia.
Si litiga, e anche tanto, quando qualche condòmino è in ritardo con i pagamenti. “Un litigio inutile – spiegano dall’Anaci, l’Associazione Nazionale Amministratori Condominiali e Immobiliari – perché la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10929 del 18 maggio 2011, ha stabilito che non è possibile addebitare penali ai ritardati, nonostante la morosità provochi gravi problemi, a partire dal rischio che il creditore faccia pignorare il conto corrente condominiale. Questo significa che chi è stato diligente si vedrà privare di quanto ha pagato per colpa di chi invece diligente non lo è stato. Una situazione molto pericolosa, perché talvolta il moroso diventa vittima di stalking, ossia di vere e proprie molestie, persecuzioni e minacce da parte di chi invece è in regola con le quote”.
Il tema della morosità condominiale ha però anche un altro risvolto. Perché se qualcuno non è riuscito a far fronte a tutte le spese la colpa, in ultima istanza, è dell’amministratore. “Se i costi lievitano, la responsabilità – precisano dall’Anaci – non è della crisi energetica, del guasto all’ascensore o al portellone del garage e dei relativi costi di riparazione, ma è sempre dell’amministratore”. Le spese, in questo caso, da motivo di lite diventano ragione di ritrovata armonia tra i condòmini, che anziché accapigliarsi tra loro uniscono le forze e dichiarano guerra all’amministratore.
Dal Codice civile alla Mediazione, fino in Tribunale
In un contesto problematico quale quello condominiale la capacità di intermediazione dell’amministratore può fare molto, a meno che non sia proprio lui la causa scatenante dei dissapori. “La tempestività d’intervento è essenziale per evitare che le liti si prolunghino e si acuiscano nel tempo: talvolta le parole giuste possono fare miracoli nel dirimere le tensioni. Quando però vengono a mancare il rispetto e la volontà di capire che ogni condòmino ha diritto alla propria libertà, purché questa non danneggi quella altrui, l’amministratore può fare ben poco”, conclude un amministratore.